giuliano

domenica 30 dicembre 2018

AD UN FANCIULLO DELLA VAGA TERRA RECENTEMENTE PERITA (36)






























Precedenti capitoli:

Gli anelli dell'Albero (35/1)

Prosegue in:

Il Potere delle Parole (37)















Agli uomini che pensano o peggio pretendono vedere parlare ammonire e capire.

Agli esseri assisi eterni vermi su medesimi ceneri di vulcani mai spenti. Scomposti ed uniti dalla vista non più Visione dalla Parabola ammirata.

Agli uomini celebranti e festanti uniti dai nuovi fasti e con loro l’araldo della falsità così pregata.

Agli uomini ed all’eterna calunnia socialmente con-divisa qual vero motto d’unità e credo: lo sguardo assente assorto concentrato e forsennato in cerca del proprio peccato scolpito su un saggio un eretico un pagano e l’ombra dell’istinto [con-divisa] qual prodigiosa artificiosa cornice braccare più profonde Parole come l’animale evoluto e nella folla accresciuto alla deriva di un globale colosseo d’un’insana risata nel sudario di medesima Storia celebrata… divorata derisa sbranata… 

Agli uomini che corrono fieri e veloci lo sguardo unito qual motto di conoscenza odio e superiore spirito di rivalsa senza radice alcuna che non sia Storia antica giammai progredita.

Agli uomini ed ai falsi credenti narro come fanciulli di una terra (de)perita unita nel dialogo da cui l’impropria vista, solo e nascosto scorgere profilo volto mediato e indiretto nell’ortica d’antiche e nuove parole ricomporre l’immagine da cui l’immateriale energia del Profeta (e Dio così mal celebrato) nato comporre universale materia e come un Bambino decifrarne urla ingiurie e smorfie così ben unite e distribuite all’alba d’una primavera quando i colori di quella stessa Poesia così come la Vita che lui presiedeva furono scomposti e ridistribuiti dalla cima del Teschio morte d’ogni Perfetta Imperfetta Natura e l’uomo dell’impero contare moneta barattare e confondere diavolo con dio patto antico profilo con la bestia globalmente condivisa…

Agli uomini dimenticando chi e come furono generati se donne o peccati abdico agli angeli d’un diverso credo unito dall’eresia solo per vedere quei volti colmi ed ubriachi imbevuti di calunnia e nutriti dall’odio spacciato per amore scomposto e ricomposto alla vista d’una breve fugace smorfia…

Agli uomini alla falsa presuntuosa (loro) creazione o peggio involuta evoluzione quando Pagani pregavamo medesimo Dio racchiuso nella volontà della comprensione divenuta potenza condivisa motto dell’uomo immagine di Dio e questa mutar destino dimensione e rotta ed aprire il limite ad una più vasta accresciuta prospettiva; e quando Cristiani vedere e scorgere medesimo enunciato della Storia comporre ugual Memoria, scoprendo il limite della volontà per ogni Storia numerata fuggire le ceneri dal vulcano ove nata; ma quando uniti nella superiore volontà d’un credo divenuto pazzia superare e valicare il limite d’ogni misura creata e misurata così come falsamente intendono e condividono Pensiero e Ragione al porto dell’errata comprensione; camminiamo d’improvviso fino alla cima del vulcano dall’abisso in cui nati e caduti non scorgendo differenza fra ciò che eravamo e divenuti non scorgendo l’Abisso cenere ghiaccio fuoco e lava ma solo il Pensiero pregato (anche nell’assenza di questo) da ciò cui il Tutto ammirato e ugualmente pregato per scoprire un Superiore Ingegno se pur nell’Imperfetto nato…    







PRIMO DIALOGO


 Oinos: Perdona, Agathos, la debolezza di uno spirito appena avvolto dall’immortalità!

Agathos: Nulla hai detto, caro Oinos, di cui chiedere perdono. Nemmeno qui, la conoscenza è frutto dell’intuizione. Per la saggezza, rivolgiti liberamente agli angeli, ché ti venga concessa!

Oinos: Ma in questa esistenza, sognai che subito avrei conosciuto ogni cosa, e subito sarei stato felice per tale conoscenza.

Agathos: Non nella conoscenza sta la felicità, ma nell’acquisizione della conoscenza! Nell’eterno conoscere, siamo eternamente beati; ma conoscere tutto, sarebbe la maledizione di un nemico.

Oinos: Ma che forse l’Altissimo non conosce tutto?

Agathos: Questa (poiché egli è il Sommamente Gaudioso) deve rimanere l’unica cosa ignota perfino a Lui.

Oinos: Ma, dal momento che, ora per ora, cresciamo in conoscenza, non dovrà, alla fine, esserci nota ogni cosa?

Agathos: Spingi il tuo occhio nelle distanze abissali! – Tenta di costringere il tuo sguardo lungo il molteplice panorama degli astri, mentre lentamente fra di essi scivoliamo, così – e così – e così! Forse che anche questa spirituale visione non è continuamente bloccata dalle ininterrotte, auree pareti dell’universo? Quelle pareti di miriadi di corpi luminosi il cui solo numero è sufficiente a fonderli in un tutto unico?

Oinos: Comprendo chiaramente che l’infinità della materia non è un sogno.

Agathos: Non esistono sogni in Aidenn – ma qui si sussurra che l’unico scopo è di offrire sorgenti infinite alle quali l’anima può placare la sete di conoscenza che sempre in essa arde – poiché spegnerla significherebbe spegnere l’anima stessa. Interrogami dunque, caro Oinos, liberamente e senza timore. Vieni! Lasceremo a sinistra la sonora armonia delle Pleiadi e ci slanceremo fuori dal trono nei campi stellati oltre Orione dove, quali mammole e viole, per la serenità del cuore, si stendono aiuole di triplici e tricolori soli.

Oinos: E ora, Agathos, mentre avanziamo, istruiscimi! – parlami nei familiari accenti della terra! Non comprendo ciò che or ora mi hai accennato circa i modi e i metodi di quella che, durante la nostra mortalità, usavamo definire Creazione. Intendi dire che il Creatore non è Dio?

Agathos: Intendo dire che la Divinità non crea.

Oinos: Spiegati!

Agathos: Solamente all’inizio, egli creò. Le illusorie creature che ora, in tutto l’universo, balzano improvvisamente in essere, possono unicamente considerarsi risultato mediato o indiretto, non già diretto o immediato, del Divino potere creativo.

Oinos: Fra gli umani, caro Agathos, questo sarebbe visto come il massimo dell’eresia.

Agathos: Fra gli angeli, caro Oinos, è visto come la semplice verità.

Oinos: Fin qui riesco a comprenderti – determinate operazioni di quella che noi chiamiamo Natura, o leggi naturali, in determinate circostanze, danno vita a qualcosa che ha tutta l’apparenza della creazione. Poco prima della distruzione finale della terra erano in corso, lo ricordo bene, molti esperimenti fortunati in quella che alcuni filosofi avevano la debolezza di definire la creazione di organismi animali microscopici.

Agathos: Gli esperimenti cui ti riferisci erano, in effetti, esempi della creazione secondaria – e dell’unica specie di creazione che sia mai esistita, da quando il suono diede vita alla prima legge.

Oinos: Quei mondi stellari che, dagli abissi del non-essere si catapultano continuamente nei cieli – quelle stelle, Agathos, non sono opera immediata del Sovrano?

Agathos: Cercherò, caro Oinos, di condurti passo dopo passo al concetto cui mi riferisco. Tu sai che, come nessun pensiero può morire, così nessuna azione può rimanere senza un risultato infinito. Quando dimoravamo sulla terra, per esempio, muovevamo le mani e, così facendo, impartivamo una vibrazione all’atmosfera che cingeva il nostro mondo. Quella vibrazione si dilatava all’infinito fino a trasmettere un impulso ad ogni particella dell’aria terrestre che da quel momento, e per sempre, rimaneva attivata da quel semplice movimento della mano. I matematici del nostro globo ben conoscevano questo fenomeno. E di tali effetti speciali, riproducendoli, anzi, mediante speciali impulsi nella materia fluida, fecero oggetto di calcoli precisi – tanto che divenne facile determinare l’esatto periodo in cui un impulso di una data ampiezza avrebbe circondato il globo terrestre, imprimendosi (per sempre) su ogni atomo dell’atmosfera circostante. Compiendo l’operazione opposta, non ebbero difficoltà a calcolare, in base a un determinato effetto, in determinate circostanze, l’impatto dell’impulso originale. I matematici – constatando come i risultati di un qualsiasi impulso fossero assolutamente infiniti – constatano che parte di questi risultati erano rintracciabili con precisione grazie all’analisi algebrica – e constatando, inoltre, quanto facile fosse questa operazione di regresso – i matematici, ripeto, al tempo stesso si resero conto che quel tipo di analisi consentiva anche un progresso indefinito – che non esistevano limiti concepibili al suo progresso e alla sua applicabilità, tranne i limiti imposti dall’intelletto di colui che la faceva progredire o la applicava. Ma a questo punto i nostri matematici si arrestarono.

Oinos: E perché, Agathos, avrebbero dovuto continuare?

Agathos: Perché, più oltre, esistevano considerazioni di estremo interesse. Da ciò che sapevano, si poteva dedurre che un essere di intelletto infinito – un essere al quale la perfezione dell’analisi algebrica era rivelata – non avrebbe avuto alcuna difficoltà a rintracciare ogni impulso trasmesso all’aria – e all’etere attraverso l’aria – fino alle più remote conseguenze e risalendo alle infinitamente remote epoche del tempo. È anzi dimostrabile che ciascuno di questi impulsi trasmessi all’aria deve, alla fine, ripercuotersi su ogni singola cosa esistente nell’universo; e questo essere di intelletto infinito – questo essere che noi abbiamo immaginato – avrebbe potuto rintracciare le remote ondulazioni dell’impulso – sia verticali che orizzontali, nella loro influenza su ciascuna particella di materia – verticali e orizzontali per sempre, nella loro modificazione di antiche forme – o, in altre parole, nella loro creazione di forme nuove – fino a trovarle riflesse -finalmente senza più trasmettere impulsi – dal trono della Divinità. E quell’essere non solamente poteva fare ciò ma, in qualsiasi epoca, avendo a disposizione un determinato risultato – per esempio se avesse potuto esaminare una di queste innumerevoli comete – non avrebbe avuto difficoltà a individuare, grazie a un’analisi regressiva, da quale impulso originale essa fosse stata creata. Questo potere di regresso, nella sua assoluta pienezza e perfezione – questa facoltà di rapportare in tutte le epoche, tutti gli effetti a tutte le cause – è naturalmente prerogativa esclusiva di Dio – ma, in ogni grado e misura, tranne che nell’assoluta perfezione, è lo stesso potere che esercita l’intera schiera delle menti angeliche.

Oinos: Ma tu parli semplicemente di impulsi trasmessi all’aria.

Agathos: Parlando di aria mi riferivo esclusivamente alla terra; ma l’enunciato in genere riguarda gli impulsi trasmessi all’etere – il quale poiché pervade, ed esso solo pervade, tutto lo spazio è, di conseguenza, il grande medium della creazione.

Oinos: Allora ogni movimento, di qualsiasi natura, è un atto creativo?

Agathos: Deve esserlo; ma una vera filosofia ha da tempo insegnato che fonte di ogni moto è il pensiero – e che fonte di ogni pensiero è – Oinos: Dio.

Agathos: Ti ho parlato, Oinos, come a un fanciullo della vaga terra recentemente perita – degli impulsi sulla sua atmosfera.

Oinos: È così.

Agathos: E mentre in tal modo io parlavo, la tua mente non è stata attraversata da un pensiero sul potere fisico delle parole? Forse che ogni parola non trasmette un impulso all’aria?

Oinos: Ma tu piangi, Agathos – perché, perché le tue ali si incurvano mentre ci libriamo al disopra di questa bella stella – la più verde eppur la più terribile fra quelle che abbiamo incontrato nel nostro volo? I suoi fiori scintillanti appaiono simili a un sogno di fiaba – ma i suoi fiammeggianti vulcani somigliano alle passioni di un cuore tempestoso.

Agathos: E lo sono! – lo sono! Quest’astro sfolgorante – sono ormai tre secoli da quando, con le mani giunte, con gli occhi colmi di lacrime, ai piedi della mia amata – con le mie parole - con poche frasi appassionate – le diedi vita. I suoi fiori scintillanti sono i più cari fra tutti i sogni non realizzati, e i suoi vulcani fiammeggianti sono le passioni del più tempestoso e profano dei cuori.

(Poe)







SECONDO DIALOGO


GENTILE. ti vedo, inginocchiato con grande devozione, mentre versi lacrime d'amore sincere e non false. Ti chiedo: chi sei?

CRISTIANO. Sono un cristiano.

GENTILE. Che cosa adori?

CRISTIANO. Dio.

GENTILE. Chi è il Dio che adori?

CRISTIANO. Non lo so.

GENTILE. Come fai ad adorare con tanta serietà ciò che non conosci?

CRISTIANO. Adoro perché non conosco. 

GENTILE. Mi stupisco che l'uomo possa essere preso da ciò che ignora.

CRISTIANO. È più strano che l'uomo sia preso da ciò che crede di sapere.

GENTILE. Perché?

CRISTIANO. Perché conosce meno ciò che crede di sapere di ciò che sa di ignorare.

GENTILE. Spiegalo, ti prego.

CRISTIANO. Siccome non si può sapere nulla, chiunque creda di sapere qualcosa, a me sembra un folle.

 GENTILE. A parer mio, il folle sei tu che dici che non si può conoscere nulla.

CRISTIANO. Intendo per scienza l'apprendimento della verità. Chi afferma di sapere, dice di avere appreso la verità.

GENTILE. Anch'io lo credo.

CRISTIANO. E come può essere appresa la verità se non per se stessa? Ma allora essa non è appresa, perché chi apprende è prima e l'appreso dopo.

GENTILE. Non capisco come la verità possa essere appresa solo per se stessa.

CRISTIANO. Credi che la si possa apprendere diversamente e in altro?

GENTILE. Sì.

CRISTIANO. Sbagli in modo evidente. La verità non è al di fuori della verità; il circolo non è al di fuori della circolarità, l'uomo non è al di fuori dell'umanità. Dunque, la verità non si trova al di fuori della verità, né diversamente, né in altro.

GENTILE. In che modo allora so che cosa è l'uomo, che cosa la pietra e, così, di ogni cosa che conosco?

 CRISTIANO. Tu non ne sai nulla, ma credi di sapere. Se ti avessi interrogato sulla quiddità di ciò che credi di sapere, avresti affermato che non sei capace di esprimere la verità dell'uomo o della pietra. Bensì sai che l'uomo non è la pietra, e ciò non deriva dalla scienza per la quale conosci l'uomo, la pietra e la [loro] differenza, ma dall'accidente, dalla diversità delle operazioni e delle figure. A queste cose, quando le distingui, imponi i nomi diversi. Il movimento della ragione impone i nomi.

GENTILE. C'è una sola verità o esistono molte verità?

CRISTIANO. La verità è una sola. L'unità è una sola e la verità coincide con l'unità, perché è vero che c'è una sola unità. Come nel numero non si trova che una sola unità, così nei molti non si trova che una sola verità. E, pertanto, chi non raggiunge l'unità, non conoscerà mai il numero, e chi non raggiunge la verità nell'unità non può sapere nulla di vero. E, sebbene creda di sapere con verità, si accorge facilmente che ciò che crede di sapere si può sapere con più verità. Il visibile può essere sempre visto con più verità di quanto non lo veda tu. Ed è visto con più verità dagli occhi più acuti. Dunque non è visto da te come è visibile in verità. Lo stesso si può dire dell'udito e degli altri sensi. Ora, poiché tutto ciò che è saputo, ma non con la scienza con la quale può essere saputo, non è conosciuto in verità, ma diversamente e in altro - infatti non si conosce la verità altrimenti e diversamente dal modo che è la verità stessa -, ne segue che è folle chi crede di sapere qualcosa in verità, e che ignora la verità. Non passerebbe forse per pazzo quel cieco che credesse di conoscere le differenze dei dolori quando non conosce il colore?

GENTILE. Quale uomo è, allora, sapiente, se non si può sapere nulla?

CRISTIANO. Deve essere stimato sapiente chi sa di essere ignorante. E venera la verità chi sa di non potere apprendere nulla, ossia di non potere essere, vivere e conoscere, senza di essa.

GENTILE. Ma all'adorazione [di Dio] non ti ha attirato proprio il desiderio di essere nella verità?

CRISTIANO, È come dici. Io onoro Dio, non quel [Dio] che la tua religione di gentile nomina e crede falsamente di conoscere, bensì quel Dio che è la verità ineffabile.

GENTILE. Ti prego, fratello, qual è la differenza tra te e me quando onori Dio che è la verità e io non voglio onorare quel Dio che non è Dio in verità?

  CRISTIANO. Le differenze sono molte. Ma la differenza una e massima è che noi onoriamo la verità assoluta, non mescolata, eterna, ineffabile; invece voi onorate non la verità stessa come è assoluta in sé, ma come è nelle sue opere; non l'unità assoluta, ma l'unità nel numero e nella molteplicità, e vi sbagliate perché la verità che è Dio non si può comunicare ad altro.

 GENTILE. Ti prego, fratello, guidami a capirti quando parli del tuo Dio. Dimmi: che cosa sai del Dio che adori?

CRISTIANO. So che tutto ciò che so, non è Dio, e che tutto ciò che concepisco, non gli è somigliante, ma che egli è al di sopra di tutto.

GENTILE. Dunque Dio è nulla.

CRISTIANO. Non è il nulla, perché questo nulla ha il nome di nulla.

GENTILE. Se non è nulla, è allora qualcosa.

 CRISTIANO. Non è qualcosa. Qualcosa, infatti, non è tutto. Dio non è qualcosa piuttosto che tutto.

GENTILE. Tu affermi in modo strano che il Dio che adori non e né nulla, né qualcosa, affermazione che nessuna ragione comprende.

CRISTIANO. Dio è al di sopra di nulla e di qualcosa perché il nulla gli obbedisce sì da divenire qualcosa. E questa è la sua onnipotenza. Per la sua potenza, egli supera tutto ciò che e o non è, per cui gli obbedisce sia ciò che non è, sia ciò che è. Egli fa che il non-essere venga in essere e che l'essere passi nel non-essere. Egli non è nulla di quanto è sotto di lui e che la sua onnipotenza previene. Pertanto, non può essere detto più questo che quello, perché tutte le cose sono da lui.

 GENTILE. Può essere nominato?

 CRISTIANO. È piccola cosa quella che è nominata. La grandezza di ciò che non può essere concepito, rimane ineffabile.

GENTILE. È allora ineffabile?

CRISTIANO. Non è ineffabile, bensì esprimibile al di sopra di tutto, in quanto è la causa di tutte le cose nominabili. Colui che dà il nome agli altri, come può esser senza nome?

GENTILE. È, dunque, esprimibile e ineffabile insieme.

CRISTIANO. Neppur questo. Dio non è la radice della contraddizione, ma è la semplicità stessa anteriore ad ogni radice. Pertanto, non dobbiamo dire che è esprimibile e ineffabile insieme.

GENTILE. Allora che cosa dici di esso?

 CRISTIANO. Che egli non è nominato né non nominato, né nominato e non nominato insieme; bensì tutte le cose che si possono dire in modo disgiuntivo e copulativo per consenso o contraddizione, non convengono a lui a causa dell'eccellenza della sua infinità, perché è il principio unico anteriore a ogni pensiero che possiamo formarci di lui.

GENTILE. Allora, quindi, a Dio non converrebbe l'essere.

CRISTIANO. Dici bene.

GENTILE. Allora è nulla.

CRISTIANO. Non è nulla, né non è, né è e non e insieme, ma è la fonte e l'origine di tutti i principi dell'essere e del non-essere.

GENTILE. Dio è la fonte dei principi dell'essere e del non-essere?

CRISTIANO. No.

GENTILE. Tu l'hai detto poco prima.

CRISTIANO. Ho detto la verità quando l'ho detto, e dico la verità anche ora, quando lo nego. Perché se ci sono i principi dell'essere e del non-essere, Dio è anteriore ad essi. Ma il non-essere non ha il principio del non-essere, ma dell'essere. Il non-essere ha bisogno del principio per essere. C'è allora il principio del non-essere, perché il non-essere non è senza di esso.

 GENTILE. Dio è verità?

CRISTIANO. No, ma è anteriore a ogni verità.

 GENTILE. È diverso dalla verità?

CRISTIANO. No, perché l'alterità non può convenirgli. Ma è infinitamente anteriore a tutto ciò che possiamo concepire e nominare della verità, in modo eccellente.

GENTILE. Non chiamate ‘Dio’, Dio?

CRISTIANO. Sì.

GENTILE. Dite il vero o il falso?

CRISTIANO. Né l'una cosa né l'altra, né tutte e due. Infatti non diciamo il vero, cioè che questo sia il suo nome, né il falso, perché non è falso che questo sia il suo nome. Né diciamo il vero e il falso, perché la sua semplicità è anteriore a tutte le cose sia nominabili che non nominabili.

GENTILE. Perché lo chiamate ‘Dio’, se ignorate il suo nome?

CRISTIANO. Per la somiglianza della perfezione.

 GENTILE. Spiegalo, ti prego.

CRISTIANO. Dio è chiamato così da theorò, cioè vedo. Dio è nella nostra sfera come la vista nella sfera del colore. Il colore è afferrato solo dalla vista; e, perché possa cogliere liberamente ogni colore, il centro della vista è senza colore. Dunque la vista non si trova nella sfera del colore, perché è priva di colore. Perciò secondo la sfera del colore, la vista è un nulla piuttosto che qualcosa. La sfera del colore non coglie l'essere al di fuori della sua sfera, ma afferma che è tutto ciò che è nella sua sfera. Qui non si trova la vista. La vista, dunque, che esiste senza il colore non ha un nome nella sfera del colore, perché non le corrisponde nessun nome di colore. La vista dà il nome a ogni colore per la distinzione, perciò dipende dalla vista ogni imposizione di nome nella sfera del colore, ma 6 comprendiamo che il suo nome, dal quale [è] ogni nome [di colore] è piuttosto nulla che alcunché. Dio si comporta nei confronti di tutte le cose come la vista rispetto ai visibili.

 GENTILE. Mi piace quello che hai detto, e ho capito chiaramente che nella sfera di tutte le creature non si trova Dio, né il suo nome. Dio sfugge a ogni concetto piuttosto che essere l'affermazione di qualcosa, in quanto egli non si trova nella sfera delle creature, non avendo la condizione di creatura. Nella sfera dei composti non si trova il non-composto, e tutti i nomi che sono nominati sono nomi di composti. Il composto non è da sé, ma da quello che è anteriore a ogni composto. E, sebbene la sfera dei composti e tutti i composti sono ciò che sono per lui, tuttavia, in quanto egli non è composto, non e conosciuto nella sfera dei composti. Sia, dunque, benedetto nei secoli Dio che si nasconde agli occhi di tutti i sapienti del mondo.

(Cusano)









sabato 22 dicembre 2018

UN UOMO NASCE NELLA DIREZIONE DEL PRINCIPIO (32)




















































Precedenti capitoli:

I nemici (31)

Prosegue in:

Esorcizzare il male... & il male esorcizzato (33/4)

& Gli anelli dell'Albero (35)













Nella tenda leggera nel campo ondeggiante nella sera grande di primavera, vicino al mare e alla barca con un albero di cedro, il legno, dietro, incrostato di becchi e di conchiglie, una vela salmone, piegata, e due remi pinnati; con i gabbiani in un solo stormo alto, cicogna, pellicano e passero, volando alla fine dell’oceano al primo granello di una terra eterna che ruota sulla cima di una clessidra, un cerchio di piume giù nel buio della primavera in un anno capovolto; come le rocce nella storia, con ogni forma e ogni scarabocchiato membro, cruna di un ago, ombra di un nervo, tagliato nel cuore, con fibre spaccate e filamenti di creta, registrarono per la declamazione dell’odissea il cadere della foglia di lauro crollare della quercia scheggiarsi della pietra lunare contro l’apparizione assassina ancor vive e moriture acque, un uomo nacque nella direzione del principio.





E fuori dal sonno, dove la luna l’aveva sollevato attraverso le montagne nei suoi occhi e con forti, occhiute braccia che ricadevano dietro di lei piene di maree e di dita, egli lottò sull’orlo della sera, si dette al principio come un’oca al cielo, e chiamò le furie con i loro nomi dall’indice della tomba e delle acque portato dal vento.  

Chi era questo straniero che venne come un chicco di grandine, tagliato nel ghiaccio, una frasca marina con foglie di neve per i capelli di lei, e più alto di un’antenna di cedro, con la bianca pioggia del nord che scendeva e il mare spinto delle balene gettato fin nelle caverne dell’occhio, da una città di pescatori sull’isola fluttuante?




Essa era di sale e bianca e viaggiava mentre il prato, su di una sola lama d’erba, ondeggiava con i suoi uccellini intorno a lei, la sera centrata nel cuore mai fermo, egli udì le sue mani fra le cime degli alberi – una piuma si tuffò, le dita di lei passarono sopra le voci – e il mondo andò ad annegarsi attraverso, la visione d’erba e bestie acquatiche e neve di uno straniero-sirena.

Il mondo fu succhiato fino all’ultima goccia di lago; la cateratta dell’ultima particella si disfece in una schiuma per terra, come se la pioggia dal cielo avesse lasciato cadere le sue nuvole capovolte come una mano fatta di stagioni dal ventre molle, e la dura grandine, cadendo, si fosse sparsa e agitata in una nube metà fiore e metà cenere o il vento spazzino dai piedi di pettine attraverso una piramide innalzata con il fango o il morbido lento cumulo di foglie e vapore.




Nel centro esatto dell’incantesimo egli era un uomo di Terra in alto mare, attaccato per i capelli all’occhio sul petto ciclope, con le cosce sferzate tese come una corda in mezzo alla sua voce; uno sciame di orsi bianchi e di marinai annegava alla musica che essa squamava e staccava con mani e favole dai suoi capelli verticali; essa tirò il suo terrore per gli orecchi e lo portò cantando alla luce attraverso la foresta della pietrificante voce anguichiomata.

La rivelazione guardava fisso la sua spalla trafitta.

Qual era la sua genesi, l’ultima scintilla del giudizio o il primo zampillo di balena dal mondo dell’acqua?

La conflagrazione alla fine, lo scaturire di un fuoco mortale, un razzo consumato con la coda in fiamme, o, dove la prima primavera e la sua follia scalarono le barriere marine e abbatterono i cancelli del giardino, un’acqua che sommerge e spegne la luce in cima alla montagna?




Di chi era l’immagine nel vento, l’impronta sullo scoglio, l’eco che chiedeva una risposta?

Essa era aurea e anguicrinata.

Si muoveva nel campo salato, ingoiante, la storia e le rocce, le oscure anatomie, lo stesso mare ancorato.




Infuriava nell’utero infecondo.

Tremava nella dinastia galoppante.

Era squillante nella vecchia tomba, teneva una ferma, svelta lingua al sole.




Egli vide la reietta immagine, disegnata con un piede d’incubo intinto nel veleno e incorniciata nel vento, impronta del pollice che lei affondò sulla mano come un’ombra palmata, interrogazione dell’eco familiare: qual è la mia genesi, la fontana di granito che si estingue dove la prima fiamma fu gettata nel mondo scolpito, o il falò dalla criniera leonina sulla soglia dell’ultima volta sepolcrale?




Una voce quella sera attraversò la luce e le onde, una forma assunse i mutevoli umori, da dove la cantaride marina verde-oro tinge lo strascico del polpo una virulenza strisciò attraverso la spuma, e dai quattro angoli della mappa un cherubino dalla forma di un’isola soffiò le nuvole verso il mare.

(Thomas Dylan)















mercoledì 19 dicembre 2018

L'IMPRONTA DEL DESERTO (30)











































Precedenti capitoli:

Un granello di senape (& uno di polvere) (29/1)

Prosegue in:

I nemici (31)













La condanna ‘materiale’ non ancora approdata ad una consona evoluzione della scienza-teologica portò i versi precedentemente detti all’inevitabile isolamento culturale all’interno, però, dell’ambito ove una determinata materia tratta.

Quindi possiamo prendere spunto da questi eventi storici sfociati in un conflitto ed esteso dibattito teologico sulla Natura di Dio dalla Chiesa (teologica-scienza) interpretata per rapportarli simmetricamente all’Universo del nostro Tempo…

E, come chi li aveva generati nei brevi Frammenti di una Poesia rimembrane di nuovo i Versi e con questi procedere nel difficile periglioso Sentiero degli odierni tempi dall’uomo maturati ed evoluti frutto del nuovo Intelletto.

Diventa bambino,
diventa sordo, diventa cieco!
La tua stessa sostanza
deve diventare nulla;
guida tutta la sostanza, tutto il nulla lontano da te!
Lascia spazio, lascia il tempo,
evita anche ogni rappresentazione fisica.
Vai senza un sentiero a
piedi stretto,
poi riuscirai a trovare il deserto.




Non è mio intento ripercorrere il difficile Passo e cammino del Teologo in odor di Eresia, visto che la stessa [Ortodossa/Eresia] presenta delle valide casualità circa futuri ‘ritrovamenti’ da parte di medesimi confratelli di ugual ordine. Potremmo definire ‘tracce inequivocabili’ di ‘anti-materia’ dedotta: particelle di un Cosmo primordiale ove riflettere e poter dedurre le condizioni di come il Cosmo o l’intero Universo evoluto  e successivamente (re)interpretato numerato.

Procediamo verso cotal Deserto che la materia ed i motivi di un Uomo promettono, come già detto, ‘dal e nel’ Freddo accresciuto specchio di codesto ed ogni Creato… nato, visto che gli atei - i veri atei - e non certo il Maestro… si apprestano a celebrarlo.

Poveri noi, costretti a guardare questo Cielo di stelle brillare nel firmamento come un falso dispiegamento di impropria materia luccicare l’innaturale venuta in un futuro Deserto progredita ove ogni Profeta costretto cagione del vero Universo inquisito motivo di una Storia falsata per sua limitata Genesi proiettata nella Natura.




Ed allora, ammiriamo codesto Deserto che avanza cantiamone le lodi fra insulti e calunnie per ogni Natura derisa calpestata e rinnegata. Evidenziamone i paradossi nell’impropria sua costruzione specchio di un futuro ad ognun promesso qual Paradiso dall’Oceano nato e da uno strano cielo riflesso…

Pur essendo entrato in vigore da poche ore il protocollo che ingiunge al rispetto della dovuta (diremmo noi Divina) Natura, i dati con annesse statistiche parlano chiaro: il futuro che avanza nella sostanziale condivisa pretesa della dovuta ‘materia’ sarà per ogni Stato ed annessa (presunta) democrazia il risultato di un lento inesorabile Deserto che cammina. Giacché gli obiettivi, e ciò è stato ampiamente detto e dedotto, poco cambieranno la ‘sintomatologia’ di un graduale peggioramento, potranno per lo più decelerare il passo di ogni futuro granello di polvere divenuta deserto che inesorabilmente avanza e reclama la pretesa di esser frutto di questa Terra.

A codesto frutto a codesto veleno rispondiamo nella dovuta maniera anche se la ‘Bolla’ (non ancor Fattura) o la nuova inquisizione elettronica & ‘meccanizzata’ annuncia proprio ed altrui (per l’interesse al pil convenuto) ortodosso principio globalizzato…

Universalmente congiunto ma disgiunto…




Il problema è che la tecnica ottenuta per ogni granello di polvere e non certo senape che avanza mette in pericolo l’essenza stessa dell’uomo, giacché tutto il vivente, tecnicamente organizzato, è, in realtà, esposto al rischio più grande, poiché non si tratta soltanto di pianificazione, allevamento e/o sfruttamento dei principi basilari su cui poggiano gli Elementi della Natura; ma, con ‘l’assalto ad esser rimessa alla produzione tecnica’ ogni sua Ragione ed Intelletto nell’intero processo di cui l’uomo stesso riflesso e specchio della Natura rischia di esaurirsi e procedere all’inverso di come l’Universo evoluto all’interno della propria ed altrui futura Spirale accresciuto; a prescindere se cotal Sogno frutto dal Non-Essere (presunto Vuoto dedotto) nato, o, al contrario, principio ed atto primo ed assoluto come un dovuto Big-Bang espanso nel motivo e riflesso di una Genesi studiata frutto di una relatività ristretta ed ugualmente nonché ortodossamente pregata.

Come detto codesta Duale premessa ci conduce a ritroso verso un deserto da cui la Ragione e con essa ogni Profeta (sia ateo che religioso) costretto ad un logorante ‘processo’ da cui il Golgota e di cui ogni Temp(i)o e materia incisa e crocefissa nel Teschio dell’incomprensione racchiusa nell’Essere (dal non-Essere) promettere la dovuta cicatrice alla schiena per ogni avversa preghiera.




Così in questo moderno Evo (e non più Medio almeno così scrivono e dicono) indichiamo uomo e materia dedotta da una chimica (e non solo cotal elevata scienza) frutto di una ricerca tecnico-scientifica in grado, con gli approfondimenti della stessa di ‘autoricreare’ l’uomo stesso (non più dall’uovo della Terra non cogitando circa la gallina - d’ogni gallina - afflitta e così allevata ed anche mi dicono bastonata) masturbato di per se stesso (quanto dall’allevatore), ed in grado, come dicevo, di auto replicare materiale umano e con questo artificioso falso artifizio, come spesso ammiriamo, impropri algoritmi regolatori e dispensatori di improprio verbo e parola e futura globale architettura proiettata su nuove prospettive piatte per loro (almeno così dicono) progredita natura.

Certo la prospettiva piatta in quanto irrimediabilmente persa in quel Punto di Fuga ove ognun costretto e dove la Terra deserta per ogni viandante quanto urbano (nonché futuro beduino) essere in lei evoluto e sempre connesso (condizione necessaria e sufficiente per la detta consistente-esistenza giacché ci viene più volte detto che la tecno-democrazia non ammette altra e diversa condizione postulata dalla ‘macchina’ auto creata e più volte masturbata e dedotta nonché calcolata, ed in cui, l’uomo alla propria ed altrui grotta non rimembrarne Verbo ma direttamente regredito all’icona primo atto assoluto assente al verso ed in cui digitare la propria globale condizione e connessione alla Parabola del Grande fratello; il qual mi dicono allietato di pansa ed in eccesso costante di material crescita espansa come ogni improprio Universo misura la propria ed altrui distanza accresciuta…




Ripetere la propria apprensione per codesto improprio modo di accrescimento il quale risolverà l’algoritmo detto verso il puro manifesto deserto è peccato assoluto, bestemmia suscettibile del ‘pronto intervento’ del preposto di turno; anche se come detto, l’attacco della Vita con i principi basilari che la distinguono e risaltano come atto unico di un Dio può estendersi nell’intera inconsapevolezza della soglia della gravità raggiunta (la Parabola invita all’acquisto di gettoni extra-soglia così di esser connessi al vasto mondo del Dio o Lucifero di codesto universale Universo pregato), rimanendo spettatori di fatti e misfatti abdicare non solo cenere e polvere al vento ma anche un certo brivido di orrore mista a disappunto quando si focalizza l’attenzione di come la tecno-democrazia ragguaglia l’universale propria oasi di calcolata incertezza mascherata per dovuta certezza di un benessere ad ognuno promesso e difeso tutelato anche nella manifestazione del ‘libero arbitrio’ dovutamente perseguitato e democraticamente censurato così come fu l’Evo che pensavamo, dico pensavamo, in qualcosa di evoluto.

Così mi par obbligo in questi Tempi di Spazio e Materia per ogni cielo e satellite ‘da cui ed in cui’ indistintamente ‘geolocalizzati’ al dovuto conto di un secolo accresciuto (giacché il conio quanto la dovuta scrittura nell’orbita della dovuta censura) soldo e araldo nell’interno nominato leghista, dovute simmetriche prospettive per ciò (con la premessa di un buffone assente alla capacità come retta comprensione di quanto cogitato espresso e partorito) che concerne un trascorso - o più recenti trascorsi - transitati ed ugualmente evaporati in cenere di un totalitarismo, cui ci dicono nella tecnica accresciuto e di cui la stessa promettere riscatto e diritto taciuto nel totalitarismo ugualmente rinnovato e sottratto nel Vuoto del tempo rimembrato… ed in cui di nuovo… nato….




…Ed in cui, come in ogni totalitarismo nazista o comunista agognato la stessa tecnica assumere direttamente il governo del mondo (adoperando altresì la risultante ottenuta assente e difettosa di Pensiero e Parola, giacché pur tante espresse assommate il computo di un più elevato algoritmo ‘dalla e nella’ materia dedotto, accompagnato sempre però da un sano deficiente da cui la promessa di una futura vittoria e disfatta motto ed araldo d’un antico simmetrico movimento ci riconduce al vasto passo da cui ed in cui l’oca e non solo la Storia…), camuffandosi sotto le mentite spoglie della democrazia liberale la quale altresì tratta e contesta nei termini impropri di una comunitaria appartenenza soldo pensiero e debito; scoprendo così in codesto Universo acclamato non sussistere infamia e deplorevole calunnia per chi ancora possiede ugual Ragione ad ogni confino perseguitata e fuggita, in quanto per chi avvezzo alla politica così come la Storia e la graduale impropria sua ed altrui ascesa nella manifestazione e pretesa di come medesimi profili toni e contorni assumere l’oblio di una velata e sperata duratura dittatura della tecnica contestata ma (dalla stessa) velatamente ordinata.

Mi unisco così al coro di chi braccato e perseguitato indicare il Benito e il Trans con lui reclamato non ancora amante congiunto e domiciliato alla loggia di una plateale Venezia (giacché uniti eppur divisi; giacché amanti nessun confino può la loro carnale unione neppure la morte come disse un più nobile Poeta!) ove il popolo assemblato - così chimicamente e/o artificiosamente coniugato - reclamare la calva nuova venuta (calvizia dal trans contestata nonché curata) ed il pretoriano con la dovuta Difesa sperare e motivare il Colpo per ogni Servizio graduato di questa affollata demenza riunita, promettendolo per ora solo a coloro - così come un Tempo -, non congiunti carnalmente alla biologica-chimica dottrina [segretamente] apostrofata.

Le camicie non più nere, la moda evoluta, bensì verdi, non certo quel Verde ove la Natura ogni Libera Natura cogitata padrona del proprio Pensiero figlio dell’Universo in grado di scorgere il male raggrumato in  libera discesa, o se preferite, qual indigeribile tecnica dirigibile d’un totalitario Unico Pensiero sponsorizzato, mascherare la lenta graduale inesorabile dovuta ascesa alla parete di una montagna ove solo Dio reclama i chiodi d’insani alpinisti forare piede mano e parola e come la tecnica promette condirlo con il dovuto ardito cimento divenuto il miglior cemento dalla Ditta liberalizzato ed ad ogni rifugio protetto, soprattutto quanto il profeta promette il dovuto Dono, o se preferite, Condono statisticamente evoluto dal 59 al 60 per cento per ogni digerita merdata sputata al vento…