giuliano

lunedì 24 ottobre 2022

"LUI".... parla... (2)




















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L'olio di balena

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Due Eretici (3/4)













L’olio di balena qual fango e materia della Terra.

Oppure l’oro della Terra svelare la propria Natura, così se ammirata e pregata narra come, in verità e per il vero, un più probabile Dio che così Perfetta l’ha pur creata rivelare il miracolo della Vita celato e velato nel duplice intento e Superiore manifesto Ingegno rispetto alla bassezza con cui per sempre si cimenta l’artefice della (dotta) Parola o ancor peggio del Verbo.

Parla e ricambia la cortesia di aver pregato lo Spirito Anima del Creato, giacché la sua lingua per quanto ricercata apostrofata perfezionata castigata rinchiusa costretta studiata monitorata torturata… ma giammai capita o appena decifrata.

E chi l’arduo compito apostolo della  Divina Natura giammai profeta di un Verbo mal interpretato… coniugare retta linfa, solo l’umana tortura di chi cogitando, pensa, o ancor peggio, crede di averne intuito il principio divino affine all’intero Creato con cui castigare un Dio…

…E con vil destino viene esiliato e condannato…

In Verità e per il Vero la sua creazione affine ad un più elevato e certo Pensiero in cui l’uomo compirà l’eterna croce della propria inferiore natura: Golgota sacrificato a cui affidare il proprio vil misfatto pensandosi superiore a ciò da cui nato e derivato, apostrofando e pregando un Dio costretto e rinchiuso, o ancor peggio, interpretato ad uso della propria natura ma non certo specchio d’un più elevato Superiore Ingegno.

E se codesto ‘animale evoluto’ in uso di presunto Intelletto Ragione e Parola pensa d’aver compreso, o ancor peggio conquistato, il piccolo mondo osservato da cui trae costantemente il nettare della vita barattato per inutile materia; in realtà, in difetto della benché minima comprensione di come un più Elevato linguaggio composto da una completa armonia distribuisce, non una, ma innumerevoli lingue giammai udite da chi a malapena coniuga un sola parola in difetto della corretta pronuncia.

Un vagito, un tenue lamento anche mal coniugato con l’Universale lingua del Creato.

Un difettevole pregiudizievole limitato limitante pensiero con cui vorrebbe apostrofare l’intera grammatica non ancor compresa capita e neppure correttamente pronunciata.

È come se un neonato volesse insegnare le Superiori Leggi del Creato alla Natura che così l’ha pur partorito in difetto di ciò che pur sempre dovrà compiere ‘simbolo’ e ‘limite’ della corrotta inferiore parola giammai specchio e grammatica d’un Dio Infinito per essere appena pronunciato da un neonato.

E se solo Uno di questi sceso in ciò che Creato svelare il difetto di pronuncia, oppure, l’accento stonato divenuto insopportabile dialetto, allora l’Uomo cresciuto non più Dio dimostrare il limite limitante della parola costretta ad una diversa grammatica coniugata in difetto del vero Pensiero che così l’ha pensata inchiodata ad un più elevato incompreso linguaggio divenuto mito o peggio sacrificio.

Qualche Spirito d’un più elevato Ingegno si alterna in questa Parabola, troppo elevata per essere appena osservata o solo compresa.

Ben altre parabole regnano in questa misera Terra.

‘Lui’ parla cogita e svela il proprio Pensiero da cui inferiore limitato linguaggio in cui costretta l’intera opera, e se il neonato nato nominato uomo difetta della corretta pronuncia credendosi dio in Terra, non dirgli mai che esiste un Dèmone antico affine al male con il quale per sempre stiamo combattendo.

Da quando, cioè, Tempo e Materia, da e in ciò, in cui rivelato o udito, nella difettevole limitata parola con cui si diletta e balocca.

Noi crediamo in un più Elevato Ingegno con cui il nostro Dio ha creato non una, e non certo Perfetta Natura, la quale però ha mantenuto e mantiene l’elevato compito a cui la corretta pronuncia divenuta Poesia, Rima e Sinfonia.

Ci scusino i rimanenti piccoli uomini nati se la loro una carente pronuncia in difetto della vera parola, noi preghiamo Madre Natura!    



       











venerdì 7 ottobre 2022

IL SENTIERO (9)

 











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lungo il Sentiero (8/1) 


& Il Capitolo completo


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Sentiero (nr.) (10)







La verità rilevata ‘regna perisce e soffre’ come le passate Eresie cui la Storia saprà purgarne o controllarne l’efficacia alla materia del loro… (secondo) Dio sottratto all’immateriale Spirito.

 

Ecco quindi offerto uno strumento che serviva da guida all’interno della congerie dei libri ecco quindi ‘le candide et prudenti censure’, ‘grandemente a tutti gli studi giovevoli’ in grado di contrastare i vari ‘mezi tenuti da Satanasso per turbar la coltura degl’ingegni negli studi’.

 

(M. Benedetti, Inquisitori lombardi del Duecento; G. Lazzari, Dialoghi con Pietro Autier; M. Infelise, I libri proibiti)       



                          

Iniziamo dal principio tu hai sentenziato più volte al di fuori dal nostro contesto che non solo Gesù Cristo è immortale quale immagine incarnata di Dio ma tutti gli uomini sono immortali ed inoltre che gli – Immortali – come nostro Signore sono mortali.

 

Che gli uni vivono con la morte degli altri e muoiono con la vita degli altri. Pietro rimane seduto in quella scomoda posizione in quella specie di sedia. E’ rimasto vicino al suo discepolo impaurito quanto le circostanze comandano. Pietro appare lucido non intimorito. Come un Cristo sul Golgota accetta questa Croce ma dal suo punto di vista il panorama che appare ai suoi occhi sofferenti è un esercito ed un popolo in cerca del suo agnello sacrificale. Per  la sua anima afflitta è lo sguardo e la vista del già visto conosciuto è il sacrificio che si ripete sull’innocente sul Dio incarnato quale lui sente di essere. 

 

E’ la dubbia morale del tempo e della storia interpretata ad uso e consumo non della verità ma delle esigenze che essa deve interpretare. Che lei deve sentenziare per tutti gli - Uomini - sprovvisti della capacità della comprensione e della verità .

 

 - Io penso che tutti gli uomini sono l’immagine incarnata di – Nostro Signore - e nel lento divenire del dono dell’esistenza non conoscano mai la morte dell’anima e forse neppure quella del corpo che come il – Cristo - resuscita a vita eterna. Non vi è un lento divenire fra un Paradiso ed un Inferno con delle soste intermedie in improbabili Purgatori. Ogni cosa creata nella terra e forse nell’Universo è immortale nel suo lento divenire ma prima di essa l’anima che la sovrintende in assenza di luogo e tempo. Quale certa e probabile manifestazione di ciò che ora voi chiamate Dio Cristo ed in seguito Spirito Santo.

 

E guardando fisso negli occhi Eraclio quasi a fargli comprendere la verità di cui si sente portatore lo nomina con sottointesa  comprensione.

 

- Eraclio io penso come ho imparato e studiato ed ancor prima cercato e contemplato con gli occhi e lo Spirito che se io muoio in nome di tutte le Verità da voi cancellate ...voi poi vivrete in nome di esse. E come  Gesù Cristo vi dono nella sentenza della mia morte la vita che voi pensate di pregare e troppo spesso interpretare.

 

Quando tutti gli errori di cui siete portatori – cadranno - io tornerò di nuovo a vivere, in nome dello stesso per il quale in questo luogo due – Verità - fra il bene ed il male si fronteggiano.

 

Quando voi morirete e con voi i vostri errori io tornerò a vita eterna. Perché questo è scritto. Voi guardate ma non vedete cercate ma non trovate imparate e riempite l’anima soffocandola all’altare del già scritto e compreso.  La mia è la stessa di colui che avete sacrificato perché io più di voi ho cercato ho scrutato ammirato ed osservato. Ho contemplato e molto spesso finalmente prima che mi spoglierete del tutto del vostro abito - capito - . Ho trovato quello che con l’umiliazione troppo spesso come regola di vita confondete e cancellate. Dentro di me ho visto – Dio - ma prima di lui e suo figlio come dite voi incarnato. Tanti suoi  figli  in quello che voi chiamate e numerate come – Storia – hanno vagato senza una direzione perché eterni nella loro essenza e sostanza. Perché prima di quella luce della quale voi vi sentite portatori e conoscitori prima della sostanza creata in quanto tale perché nella verità che tu Eraclio insegni ed gli altri a cui distilli le gocce del tempo non vi è cosa creata dal – Nulla - in ciò che voi decretate come assenza.

 

 Non vi è cosa creata o increata perché tutto ad immagine e somiglianza della prima sostanza Increata ed eterna Tu Eraclio lo dovresti sapere ma se tu mi accusi e domandi io dall’alto della verità sentenzio e dico. Perché sia tu che io qui a risponderti sappiamo la - Verità - io a raccontarla e divulgarla tu ad interpretarla e confonderla. Io muto a guardare la sua tela come il nero abito che indosso che si dispiega nella sostanza e forma di una probabile verità, compresa decifrata e capita perché so essere quello e solo quello il vero linguaggio.

 

Tu Eraclio à soffocare e nascondere, come tanti e tutti prima di te in rappresentanza dell’abito che indossi. Hai nascosto e confuso Eraclio ecco perché mi trovo qui. Ecco perché son trattato da ladro peggio del ladro. Perché - Eraclio - dovresti saper bene quale ladro è più intimorito di colui che si avvicina ed ad un ladro fa il suo dono. L’altro non può comprendere l’umiltà del gesto perché a lui sempre disconosciuto e mai compreso.  Chi ha sempre rubato anche con lo Spirito più motivato verso la fede non ha mai compreso il dono della verità cercata e trovata per altri sentieri.  Il ladro anche se non sa di essere un ladro confonde intimorito il dono con il sospetto ed il sospetto con il raggiro.  Perché pensa ed agisce da ladro.  Non da - Dio- .  E’ questa sostanza ed essenza di porci di fronte alla Storia che ci differenzia.

 

Un giorno prima di quanto tu possa immaginare io interrogherò te e la verità avrà luce. Ma  ora vittima del  tempo e della storia della quale tu rendi artefice e maestro tu interroghi me e sentenzi perché hai studiato capito e troppo spesso Eraclio arredato e vissuto nei fasti della mia verità di cui  sai di essere usurpatore.

 

Appunto per questo, prima di dire condanni reciti e mi privi della vita.  Eraclio mi donasti ciò che era  mio. Ma nel timore della storia hai recitato la parte del – Santo - . Tu Eraclio, hai studiato non per apportare il dono della verità ma per mortificarla e condannarla al rogo o alla morte prematura di ogni cella e bara con la quale il potere ti è riconoscente. 

 

Tu – Eraclio – hai privato ed ucciso la storia e non solo.  Hai depredato essa confiscando in nome dell’abito che a tutti  noi e non solo conferisce terrore antico. Tu – Eraclio hai confuso mistificato e troppo spesso falsato le verità e ogni parola in essa contenuta. Hai volutamente travisato la verità per gli inganni che per tanti e troppi anni continuerai a seminare nella certezza che il tuo – Potere – non venga mai compromesso. Perché tu – Eraclio – non credi in nulla di ciò che non sia materiale ed ogni verità al di fuori della tua ti ripugna. Ogni miracolo che conferma l’inganno del tuo dire lo devi seppellire in ragione del dubbio che da esso potrebbe scaturire. Sono io – Eraclio -, che ti accuso ma la storia che dall’alto del Potere che presiedi ti assolve e comanda per ogni nuovo inganno perché entrambe sappiamo dove poggiano le sue fondamenta.

 

Si è vero – Eraclio sono sceso nelle fondamenta di essa ho scavato forse anche tramato per approdare a ciò che tu hai confuso. Di ciò che ogni giorno con la costante paura che qualcuno possa serbarne memoria. Fu quella – Eraclio – che tu contempli, e nutri. Perché hai capito dove risiede il vero. L’anima assetata di sapere mortifichi conferendo una parvenza di verità a ciò cui per secoli obblighi in una lenta litania non compresa ma recitata.

 

Perché chiunque cerca la salvezza in – Dio -  guardando in sé e nella propria anima tu hai punito con il dono della presunta conoscenza. Perché la verità hai punito hai condannato umiliato e sempre mortificato. Regalandoci il dono della fede che può cancellare e comandare fiaccare e distruggere ogni mente brillante ogni intento di pervenire alla stessa - Essenza-  per la quale io ora e per sempre mi troverò qui seduto o in piedi di fronte a te.

 

Per sempre - Eraclio - dovrai confondere umiliare torturare cancellare e derubare non più il corpo di – Pietro - ma il Dio che vi dimora.  E’ quello il tuo terrore quella verità che segnerebbe la tua sconfitta. Quello stesso – Dio – che tu hai confuso ed ingannato per sempre da qui all’eternità si troverà dinnanzi a te. Ricordalo - Eraclio - . Perché ciò che dico non morirà qui ma per secoli entro e fuori a ciò che tu governi e forse governerai per sempre finché il mio spirito dimora in tal corpo noi ci incontreremo ci parleremo e forse ci comprenderemo. Potrai cancellare la mia parola il mio dire. Ma ci incontreremo ancora nella costanza del tempo. 

 

Eraclio congiunge le mani ora sembra pregare ogni tanto alza gli occhi al cielo quasi volesse gridare qualcosa che a stento riesce a trattenere. La sua recita diviene lo specchio delle sue e altrui coscienze questo con il tempo imparammo. I suoi modi diventano modello per tutti perché sa che il giudizio degli altri confratelli risiede soprattutto nel fare e sapersi presentare e contenere.

 

Nell’apparenza e nell’apparire che l’abito impone.

 

E’ Eraclio in nome della Chiesa e non solo l’anima offesa e martoriata. E con essa tutta la parola dell’Altissimo. E’ Eraclio il benefattore custode ….e segreto maestro di ogni dire. Tutto ciò che riceve ora per l’inganno tramandato nei secoli è una musica soave  alla quale lui accompagna una danza e una mimica gestuale che ha studiato da anni da secoli.

 

Sembra che riesce anche a regalare per i Confratelli delle lacrime a distanza di anni non posso dire se furono per la gioia o l’offesa. Tutti fummo convinti anche nel gesto al quale spesso ci invitava che era gioia pura Fra un po’ avrebbe potuto emettere la sua sentenza se già non la si udiva da qualche altra parte…

 

(Dialoghi con Pietro Autier)  


(Il Capitolo completo)


(Giuliano Lazzari, Un mondo perduto) 









martedì 4 ottobre 2022

LA PUTZI DI PUTZIN & C. (4)

 










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con Paul Preuss (3)


& l'homo selvatico 


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l'uomo venuto dal freddo (5)







 Putzi viene dall’est forse dalla Russia!

 

Putzi desidera diventare sciatrice.

 

Durante l’estate è sempre ad arrampicare in montagna con gli amici. D’inverno la poveretta è trascurata; nessuno si ricorda più di lei, mentre le compagne, e in particolare la Mitzi, fanno lo sci. Anche lei deve ogni costo imparare a sciare.

 

Primo ostacolo: la mamma, sempre preoccupata.

 

Putzi le spiega quanto meno pericoloso sia lo sciare dell’arrampicare, e riesce a convincerla. Acquista un magnifico paio di sci norvegesi,  ultima moda. Indossa un bel costume giuntole alla vigilia, dopo sette prove dal sarto, ed eccola pronta a partire verso una nota stazione invernale del nord Italia.

 

Ha quattro valigie: gli sci, il sacco a pelo, nella seconda colma di lettere di raccomandazione del suo invisibile ‘padrino’ Putzin, nella quarta non lo possiamo sapere incombe il segreto diplomatico!

 

Otto giorno dopo.




‘E allora, Putzi, com’è andata?’.

 

‘Stupendo, magnifico, incomparabile’.

 

Parla solo dei giovani che ha conosciuto, bruni, biondi, eleganti, ottimi ballerini…’.

 

‘Ma che cosa ha imparato?’.

 

‘Tutto, tutto: faccio le più rapide discese, so volteggiarmi da ogni parte, frenarmi quando voglio, ed evitare ogni ostacolo. Guarda come faccio la curva’.

 

E per dimostrarmelo in salotto, rovescia un vaso da 10.000 $ che va in frantumi, sorride e dice:

 

‘Speriamo che Putzin non ne abbia a male è un suo investimento’.




 ‘Ci hanno fotografato, e ci fu anche la caccia alla volpe, interessantissima. Abbiamo fatto una gita. Mi piacque più degli esercizi del campetto, tanto noiosi. Fu riuscitissima e mi divertii un mondo perché si sale più di scendere, eccetera, eccetera…’.

 

Una settima dopo invito gli amici a fare un’escursione in sei con Putzi, ma ho risposte negative. Uno solo viene con noi. Ha 19 anni ed è uno studente, specializzato nella psicologia femminile. Nel treno Putzi critica severamente i costumi, gli sci e l’equipaggiamento dei compagni di viaggio:

 

‘Io uso solo sci norvegesi e seguo lo stile norvegese, anzi cado norvegesemente per questo indosso maglioncini dell’amico Benetton, me li fa su misura, per me ed il mio amico Putzin’.




Lasciando il treno, dimentica biglietto guanti fazzoletti e sciarpa. La salita nonostante le pelli di foca, è dura per Putzi. Però non si lamenta, anzi con la naturale energia delle donne si sforza di sorridere e a dire di continuo:

 

‘STO BENESSIMO! Ha fatto questa gita la Metzi?... Sono così tutte le altre cime?’.

 

Finalmente al rifugio.

 

‘Che aria ho?’.

 

Dice subito.

 

‘Un tè caldo per favore. Niente da mangiare, non ho fame’.

 

Dopo parecchie ore di svago con i suoi amici in cuccetta, discesa.

 

‘Si va giù di qui? Pare senza fine. Dio mio! Non date la sciolina! Scenderò ugualmente come un cannone, il mio Putzin ne sa qualcosa’.

 

Come discese Putzi?

 

Non saprei dirlo perché l’ho soltanto vista sdraiata sulla neve.




‘Perché ci sono troppi alberi mi impicciano preferisco tutto piatto come il mio Kremino’.

 

E finalmente giunti in fondo:

 

‘Sono scesa bene, vero?’.

 

…Putzi e lo sport dello sci?

 

Mi sembra come un buon governo con un cattivo parlamento, o come una guerra dove sparano alla cieca su donne e bambini inermi. Chi sarà il vincitore in questa guerra? I vinti siamo in ogni caso noi fieri poeti della Natura.

 

Da lontano intanto s’ode una voce, l’accompagnatore di Putzi, mi dice con fare deciso:

 

Non dica sciocchezze il governo di Putzin è il miglior esempio…

 

(Preuss)




  

                                               LA PUTZA DI PUTZIN        

                                      (scusate mi correggo la Putzi di Putzin)   

 

 

La politica dell’inevitabilità è l’idea che non ci siano idee. I suoi sostenitori negano l’importanza delle idee, dimostrando soltanto di essere sotto l’influsso di un’idea potente.

 

Il cliché di questa politica è che ‘non ci sono alternative’.

 

Accettare questa teoria equivale a negare la responsabilità individuale di capire la storia e innescare un cambiamento.

 

La vita diventa un viaggio semicosciente verso una tomba precontrassegnata in un terreno preacquistato. L’eternità sorge dall’inevitabilità come un fantasma da un cadavere.

 

La versione capitalista della politica dell’inevitabilità, il mercato come sostituto della linea politica, genera disuguaglianze economiche che minano la fede nel progresso. Quando la mobilità sociale si blocca, l’inevitabilità cede il passo all’eternità, e la democrazia all’oligarchia.

 

Un oligarca che racconta la storia di un passato innocente, magari con l’aiuto di idee fasciste, offre una protezione fasulla a persone afflitte da un dolore reale. La convinzione che la tecnologia sia al servizio della libertà spiana la strada al suo spettacolo. Mentre la distrazione soppianta la concentrazione, il futuro si dissolve nelle frustrazioni del presente e l’eternità diventa la vita di tutti i giorni.

 

L’oligarca entra nella politica reale da un mondo di finzione e governa invocando il mito e la crisi dell’industria manifatturiera.

 

Negli anni Duemiladieci un uomo di questo tipo, Vladimir Putzin, ne ha accompagnato un altro, Ronaldo Trumbone, dalla finzione al potere. La Russia ha raggiunto per prima la politica dell’eternità, e i leader russi hanno protetto se stessi e la propria ricchezza esportandola.

 

L’oligarca capo, Vladimir Putzin, ha scelto come guida il filosofo fascista Ivan Il’in.

 

Nel 1953 il poeta Czesław Miłosz scrisse: 

 

‘solo alla metà del XX secolo gli abitanti di molti Paesi europei sono arrivati a capire, di solito attraverso la sofferenza, che i libri di filosofia complessi e difficili hanno un influsso diretto sul loro destino’.

 

Alcuni dei libri di filosofia che contano oggi furono scritti da Il’in, scomparso l’anno dopo che Miłosz aveva buttato giù queste righe. La ripresa di Ivan Il’in da parte della Russia ufficiale negli anni Novanta e Duemila donò alla sua produzione una seconda vita sotto forma di fascismo adattato per rendere possibile l’oligarchia, sotto forma di idee specifiche che hanno aiutato i leader a passare dall’inevitabilità all’eternità. Il fascismo degli anni Venti e Trenta, l’epoca di Il’in, aveva tre caratteristiche principali: celebrava la volontà e la violenza sopra la ragione e la legge; proponeva un leader che avesse un legame mistico con il popolo; definiva la globalizzazione un complotto anziché una serie di problemi.

 

Tornato oggi in auge in condizioni di disuguaglianza sotto forma di politica dell’eternità, esso è utile agli oligarchi per dirottare le transizioni dalla discussione pubblica verso la fiction politica, dalle elezioni significative verso una finta democrazia, dal principio di legalità verso regimi personalisti.

 

La storia continua sempre, e le alternative si presentano sempre.

 

Il’in è una di loro.

 

Non è l’unico pensatore fascista a essere stato ripreso nel nostro secolo, ma è il più importante. È una guida sulla strada sempre più buia verso la mancanza di libertà, che conduce dall’inevitabilità all’eternità. Studiando le sue idee e il suo influsso, possiamo guardare lungo questa strada, cercando luci e uscite. È questo che significa ragionare storicamente: chiedersi come le idee del passato possano contare nel presente, confrontando l’epoca della globalizzazione di Il’in con la nostra, rendendosi conto che, ieri come oggi, le possibilità erano reali ed erano più di due.

 

Il successore naturale del velo dell’inevitabilità è il sudario dell’eternità, ma ci sono alternative che vanno trovate prima che quest’ultimo scivoli via. Se accettiamo l’eternità, sacrifichiamo l’individualità e diciamo addio alla possibilità.

 

L’eternità è un’altra idea secondo cui non ci sono idee.

 

Quando l’Unione Sovietica crollò, nel 1991, i politici americani dell’inevitabilità proclamarono la fine della storia, mentre alcuni russi cercarono nuove autorità in un passato imperiale. Quando l’URSS fu fondata nel 1922, ereditò quasi tutto il territorio dell’Impero russo. I possedimenti dello zar erano stati i più vasti del mondo, estesi da ovest a est dal centro dell’Europa alle coste del Pacifico, e da nord a sud dall’Artide all’Asia centrale.

 

Benché la Russia fosse perlopiù un Paese di contadini e di nomadi, le classi medie e gli intellettuali si domandarono, all’inizio del XX secolo, come un impero governato da un autocrate potesse diventare più moderno e più giusto.

 

Ivan Il’in, nato in una famiglia nobile nel 1883, da giovane fu il tipico rappresentante della sua generazione. Nel primo decennio del Novecento, sognava che la Russia si trasformasse in uno Stato governato dalle leggi. Dopo la catastrofe della Prima guerra mondiale e l’esperienza della Rivoluzione bolscevica nel 1917, diventò un controrivoluzionario, un difensore dei metodi violenti contro la rivoluzione e, con il tempo, l’artefice di un fascismo cristiano volto a sconfiggere il bolscevismo. Nel 1922, qualche mese prima della fondazione dell’Unione Sovietica, fu esiliato dalla patria. Scrivendo a Berlino, propose un programma agli oppositori della nuova URSS, denominati Bianchi (sottointeso che in questa o altra sede non gratifichiamo i Rossi…). Erano uomini che avevano combattuto contro l’Armata Rossa dei bolscevichi durante la lunga e cruenta guerra civile russa e poi, come Il’in, erano dovuti emigrare in Europa per ragioni politiche.

 

In seguito, Il’in formulò i suoi scritti come guida per i leader russi che sarebbero saliti al potere dopo la fine dell’Unione Sovietica. Morì nel 1954. Dopo che una nuova Federazione russa era emersa dalla defunta URSS nel 1991, il suo breve libro I nostri compiti iniziò a circolare in nuove edizioni russe, la sua opera omnia fu data alle stampe e le sue idee conquistarono potenti sostenitori.

 

Il’in era morto nell’oblio in Svizzera; Putin organizzò una risepoltura a Mosca, nel 2005. I documenti personali del filosofo erano arrivati alla Michigan State University; Putzin mandò un emissario a recuperarli nel 2006. Ormai Putzin citava Il’in durante i discorsi presidenziali annuali all’assemblea generale del parlamento russo. Si trattava di interventi importanti, scritti di suo pugno. Negli anni Duemiladieci, Putzin ha fatto affidamento sull’autorevolezza di Il’in per spiegare perché la Russia dovesse indebolire l’Unione Europea e invadere l’Ucraina. Quando gli hanno chiesto di fare il nome di uno ha definito il filosofo la massima autorità sul passato. La classe politica russa ha seguito e nutrito foraggiandoli ovunque i sostenitori di tale finalità…

 

(T. Snyder, La paura e la ragione)

 

 


 

 

 



domenica 2 ottobre 2022

SULLE STESSE CIME (2)

 




















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Parlano i monti  


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Paul Preuss (3)








Eccetera, ma è tutto nudo e freddo; il fatto è che a scriverle non era più un artista. (Per loro fortuna l’anno venturo la famosa guida sarà dismessa, in suo vece uscirà una nuova aggiornatissima edizione elegantemente vestita all’ultima moda; divisa in due volumi di peso trasportato per la baita della Cima. L’hanno incaricata ad un assoggetto della ‘casta’. Sarà condita e nutrita con tutte le vie nuove degli ultimi vent’anni compressi in brevi messaggini comandati. Con tutti i sesti gradi compresi i divani su cui a coppie rotolarsi. La documentazione dei progressi tecnici uniti da chiodi ben cementati. Ma anche, ne siamo più che certi, con l’uguale disumanità di prima in accoppiata unita…)




 Intanto il ‘povero’ Antonio Berti, con materia e in forma assai diversa, ha rinnovato in certo senso il suo fenomeno. Questa volta non sono descrizioni di rupi e di salite. Si tratta di un graziosissimo libretto, Parlano i monti, che Hoepli ha stampato con molto stile. In 550 pagine sono raccolte 419 brevi testimonianze di ogni genere sulla montagna.

 

Breviario?

 

Antologia?

 

Florilegio?

 

‘Libro dei mille savi’ alpino? Non c’è un termine adatto.




Parlano Dante, Guido Rey, Shakespeare, Emilio Comici, la Bibbia, Gervasutti, Jacopone da Todi, Lammer, Senofonte, Tita Piaz, le grandi guide, le vecchissime gazzette, gli antichi testi indiani, i cannoni del sesto grado, i poeti e i romanzieri delle Alpi. Le voci sono in ordine alfabetico.

 

Ecco le prime: Abisso, Acrobatismo, Alba, AllenamentoAlpi, AlpiniE sotto Alpini per esempio: ‘Fioi, avanti per l’onor del baston, chi torna indrio lo copo mi’ (un caporale ignoto, subito fulminato sulla Schönleitenschneide, ottobre 1915).

 

Apriamo alla G.: Gloria, Gola, Grandine, Grotta, Guerra, Guglia.

 

Apriamo all’N: Nebbia, Nembo, NeveE sotto Neve: ‘Où il y a la neige, on peut toujours passer’ (D. Maquignaz, guida).

 

Apriamo all’R: Rifugio, Ripa, Ripetizione di salite, Ripidezza. E sotto a Ripidezza’: Non l’altitudine, è il pendio che è terribile!’ (Nietzsche, Così parlò Zarathustra).




 Versi, descrizioni, detti memorabili, brani polemici, pagine di diario, episodi strani, avventure agghiaccianti, fulminei resoconti di tragedie, brani di poemi e di romanzi, confidenze di grandi scalatori, e per ciascuno poche righe, al massimo un paio di pagine. Non pretese di enciclopedia, non scopi di pura erudizione, non mentalità di professore.

 

Ma la scelta com’è stata fatta?

 

Col sentimento, prima di ogni altra cosa. E nel coloritissimo mosaico – così come avvenne nella guida – le cento e cento voci di ogni tempo si compongono in una voce sola, nobile, umana, familiare.

 

Parlano Aristofane, Zsigmondy, Victor Hugo, Cassin, Tolstoj, Giacosa; ma Berti, senza una riga di commento, li ha combinati in modo che si incastrano per incanto l’uno nell’altro con straordinario effetto. Non son che citazioni, eppure è come leggere un romanzo.

 

Di colpo tornano a noi i mille volti della montagna, le albe, le paure, i temporali, le delusioni, le soste al sole sulla cima, la pioggia sotto la tenda, i malinconici ritorni, i boschi, le nuvole, le rupi. E tutto intorno sta una gente candida e onesta, i pionieri, i poeti, i vittoriosi delle massime muraglie, i morti degli abissi.

 

Un esempio della Guida aggiornata.




C: connessione:

 

Passaggio periglioso, in prossimità di Sentieri più facili fors’anche ‘adatti’ e ricongiunti dalla parabola segnalata, senza rischio alcuno per il rimosso stato d’incosciente coscienza inchiodato ad elevate quote partecipative sull’utile netto del capitale. Sottratto al dovuto rischio del normale Sentiero. Connessione verso più elevato Sentiero calcolato e non segnalato dal dovuto controllore controllato, nell’equilibrio ben esercitato nell’esercizio dell’auto-controllo-certificato. Si prega di connettersi alla dovuta materia ed imprecare Dio. Al passo disgiunto per ogni Elemento precipitato e ben curato. Chi sorpreso in più elevata immateriale Connessione rischia l’ammenda del cantone. Esempi quivi riportati di impropria ‘remota’ Connessione non del tutto in Vista. Chi prega e si incammina nella dubbia fallace credenza che ‘nulla’ per sé esiste eccetto Dio (di per se grave peccato punito altresì dall’alto prelato; alto: in più elevato rifugio al riparo da ogni bufera); che l’Anima (Anima: inutile bagaglio, si consiglia l’ultimo modello della Apple e coglierne il frutto proibito, tutto sarà più saporito; il Rifugio Giardino vi attende, i vigilanti dell’ordine pubblico tuteleranno e veglieranno la salute d’ognuno e nessuno sarà salvato. Digitare il numero con prefisso. Grazie per l’intrusione. L’Anima sarà debitamente salvata e rimossa nonché controllata e purgata da ogni virus del dovuto contagio…)... 




...umana è una emanazione dell’essenza di Lui, la quale, benché dalla sua celeste sorgente rimanga per un periodo divisa, pure in siffatta Connessione sarà ad essa finalmente ricongiunta; e che la più elevata felicità di questo Sentiero da tal unione sarà per derivare; e che il principale bene della umanità in questo transitorio Sentiero consiste in un perfetto congiungimento con lo Spirito Eterno, per quanto gli abbracciamenti dell’umana forma il possa permettere; che a tal fine gli uomini debbon rompere qualunque Connessione con gli esterni oggetti, e valicare attraverso il mar della vita senza ritegni, pari ad un nuotatore il qual tutto libero, e sgombro dell’imbarazzo delle vesti, naviga (senza più  connessione alcuna) l’oceano; che se meri diletti terrestri han tanta forza sull’Anima, l’idea della celestial bellezza debba di necessità rapirla in estatica voluttà; che per mancanza di parole capaci di esprimere le perfezioni dell’Altissimo Dio, e gli ardori dell’Anima devota, convien far uso di tali espressioni che più si avvicinino alle nostre idee, e parlare di Bellezza e d’Amore, ma in un senso mistico e trascendentale; che il figlio dell’uomo con malinconico canto lamenta la sua disunione da ciò che più ama, e versa lagrime cocenti, come una candela accesa, la quale tristamente anela al momento del suo estinguersi, quasi per isvilupparsi dai suoi vincoli terrestri, e come mezzo di ritornare all’unico sospirato oggetto dell’amor suo.

 

(D. Buzzati con i FuoriLegge della Montagna)