giuliano

martedì 4 ottobre 2022

LA PUTZI DI PUTZIN & C. (4)

 










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l'uomo venuto dal freddo (5)







 Putzi viene dall’est forse dalla Russia!

 

Putzi desidera diventare sciatrice.

 

Durante l’estate è sempre ad arrampicare in montagna con gli amici. D’inverno la poveretta è trascurata; nessuno si ricorda più di lei, mentre le compagne, e in particolare la Mitzi, fanno lo sci. Anche lei deve ogni costo imparare a sciare.

 

Primo ostacolo: la mamma, sempre preoccupata.

 

Putzi le spiega quanto meno pericoloso sia lo sciare dell’arrampicare, e riesce a convincerla. Acquista un magnifico paio di sci norvegesi,  ultima moda. Indossa un bel costume giuntole alla vigilia, dopo sette prove dal sarto, ed eccola pronta a partire verso una nota stazione invernale del nord Italia.

 

Ha quattro valigie: gli sci, il sacco a pelo, nella seconda colma di lettere di raccomandazione del suo invisibile ‘padrino’ Putzin, nella quarta non lo possiamo sapere incombe il segreto diplomatico!

 

Otto giorno dopo.




‘E allora, Putzi, com’è andata?’.

 

‘Stupendo, magnifico, incomparabile’.

 

Parla solo dei giovani che ha conosciuto, bruni, biondi, eleganti, ottimi ballerini…’.

 

‘Ma che cosa ha imparato?’.

 

‘Tutto, tutto: faccio le più rapide discese, so volteggiarmi da ogni parte, frenarmi quando voglio, ed evitare ogni ostacolo. Guarda come faccio la curva’.

 

E per dimostrarmelo in salotto, rovescia un vaso da 10.000 $ che va in frantumi, sorride e dice:

 

‘Speriamo che Putzin non ne abbia a male è un suo investimento’.




 ‘Ci hanno fotografato, e ci fu anche la caccia alla volpe, interessantissima. Abbiamo fatto una gita. Mi piacque più degli esercizi del campetto, tanto noiosi. Fu riuscitissima e mi divertii un mondo perché si sale più di scendere, eccetera, eccetera…’.

 

Una settima dopo invito gli amici a fare un’escursione in sei con Putzi, ma ho risposte negative. Uno solo viene con noi. Ha 19 anni ed è uno studente, specializzato nella psicologia femminile. Nel treno Putzi critica severamente i costumi, gli sci e l’equipaggiamento dei compagni di viaggio:

 

‘Io uso solo sci norvegesi e seguo lo stile norvegese, anzi cado norvegesemente per questo indosso maglioncini dell’amico Benetton, me li fa su misura, per me ed il mio amico Putzin’.




Lasciando il treno, dimentica biglietto guanti fazzoletti e sciarpa. La salita nonostante le pelli di foca, è dura per Putzi. Però non si lamenta, anzi con la naturale energia delle donne si sforza di sorridere e a dire di continuo:

 

‘STO BENESSIMO! Ha fatto questa gita la Metzi?... Sono così tutte le altre cime?’.

 

Finalmente al rifugio.

 

‘Che aria ho?’.

 

Dice subito.

 

‘Un tè caldo per favore. Niente da mangiare, non ho fame’.

 

Dopo parecchie ore di svago con i suoi amici in cuccetta, discesa.

 

‘Si va giù di qui? Pare senza fine. Dio mio! Non date la sciolina! Scenderò ugualmente come un cannone, il mio Putzin ne sa qualcosa’.

 

Come discese Putzi?

 

Non saprei dirlo perché l’ho soltanto vista sdraiata sulla neve.




‘Perché ci sono troppi alberi mi impicciano preferisco tutto piatto come il mio Kremino’.

 

E finalmente giunti in fondo:

 

‘Sono scesa bene, vero?’.

 

…Putzi e lo sport dello sci?

 

Mi sembra come un buon governo con un cattivo parlamento, o come una guerra dove sparano alla cieca su donne e bambini inermi. Chi sarà il vincitore in questa guerra? I vinti siamo in ogni caso noi fieri poeti della Natura.

 

Da lontano intanto s’ode una voce, l’accompagnatore di Putzi, mi dice con fare deciso:

 

Non dica sciocchezze il governo di Putzin è il miglior esempio…

 

(Preuss)




  

                                               LA PUTZA DI PUTZIN        

                                      (scusate mi correggo la Putzi di Putzin)   

 

 

La politica dell’inevitabilità è l’idea che non ci siano idee. I suoi sostenitori negano l’importanza delle idee, dimostrando soltanto di essere sotto l’influsso di un’idea potente.

 

Il cliché di questa politica è che ‘non ci sono alternative’.

 

Accettare questa teoria equivale a negare la responsabilità individuale di capire la storia e innescare un cambiamento.

 

La vita diventa un viaggio semicosciente verso una tomba precontrassegnata in un terreno preacquistato. L’eternità sorge dall’inevitabilità come un fantasma da un cadavere.

 

La versione capitalista della politica dell’inevitabilità, il mercato come sostituto della linea politica, genera disuguaglianze economiche che minano la fede nel progresso. Quando la mobilità sociale si blocca, l’inevitabilità cede il passo all’eternità, e la democrazia all’oligarchia.

 

Un oligarca che racconta la storia di un passato innocente, magari con l’aiuto di idee fasciste, offre una protezione fasulla a persone afflitte da un dolore reale. La convinzione che la tecnologia sia al servizio della libertà spiana la strada al suo spettacolo. Mentre la distrazione soppianta la concentrazione, il futuro si dissolve nelle frustrazioni del presente e l’eternità diventa la vita di tutti i giorni.

 

L’oligarca entra nella politica reale da un mondo di finzione e governa invocando il mito e la crisi dell’industria manifatturiera.

 

Negli anni Duemiladieci un uomo di questo tipo, Vladimir Putzin, ne ha accompagnato un altro, Ronaldo Trumbone, dalla finzione al potere. La Russia ha raggiunto per prima la politica dell’eternità, e i leader russi hanno protetto se stessi e la propria ricchezza esportandola.

 

L’oligarca capo, Vladimir Putzin, ha scelto come guida il filosofo fascista Ivan Il’in.

 

Nel 1953 il poeta Czesław Miłosz scrisse: 

 

‘solo alla metà del XX secolo gli abitanti di molti Paesi europei sono arrivati a capire, di solito attraverso la sofferenza, che i libri di filosofia complessi e difficili hanno un influsso diretto sul loro destino’.

 

Alcuni dei libri di filosofia che contano oggi furono scritti da Il’in, scomparso l’anno dopo che Miłosz aveva buttato giù queste righe. La ripresa di Ivan Il’in da parte della Russia ufficiale negli anni Novanta e Duemila donò alla sua produzione una seconda vita sotto forma di fascismo adattato per rendere possibile l’oligarchia, sotto forma di idee specifiche che hanno aiutato i leader a passare dall’inevitabilità all’eternità. Il fascismo degli anni Venti e Trenta, l’epoca di Il’in, aveva tre caratteristiche principali: celebrava la volontà e la violenza sopra la ragione e la legge; proponeva un leader che avesse un legame mistico con il popolo; definiva la globalizzazione un complotto anziché una serie di problemi.

 

Tornato oggi in auge in condizioni di disuguaglianza sotto forma di politica dell’eternità, esso è utile agli oligarchi per dirottare le transizioni dalla discussione pubblica verso la fiction politica, dalle elezioni significative verso una finta democrazia, dal principio di legalità verso regimi personalisti.

 

La storia continua sempre, e le alternative si presentano sempre.

 

Il’in è una di loro.

 

Non è l’unico pensatore fascista a essere stato ripreso nel nostro secolo, ma è il più importante. È una guida sulla strada sempre più buia verso la mancanza di libertà, che conduce dall’inevitabilità all’eternità. Studiando le sue idee e il suo influsso, possiamo guardare lungo questa strada, cercando luci e uscite. È questo che significa ragionare storicamente: chiedersi come le idee del passato possano contare nel presente, confrontando l’epoca della globalizzazione di Il’in con la nostra, rendendosi conto che, ieri come oggi, le possibilità erano reali ed erano più di due.

 

Il successore naturale del velo dell’inevitabilità è il sudario dell’eternità, ma ci sono alternative che vanno trovate prima che quest’ultimo scivoli via. Se accettiamo l’eternità, sacrifichiamo l’individualità e diciamo addio alla possibilità.

 

L’eternità è un’altra idea secondo cui non ci sono idee.

 

Quando l’Unione Sovietica crollò, nel 1991, i politici americani dell’inevitabilità proclamarono la fine della storia, mentre alcuni russi cercarono nuove autorità in un passato imperiale. Quando l’URSS fu fondata nel 1922, ereditò quasi tutto il territorio dell’Impero russo. I possedimenti dello zar erano stati i più vasti del mondo, estesi da ovest a est dal centro dell’Europa alle coste del Pacifico, e da nord a sud dall’Artide all’Asia centrale.

 

Benché la Russia fosse perlopiù un Paese di contadini e di nomadi, le classi medie e gli intellettuali si domandarono, all’inizio del XX secolo, come un impero governato da un autocrate potesse diventare più moderno e più giusto.

 

Ivan Il’in, nato in una famiglia nobile nel 1883, da giovane fu il tipico rappresentante della sua generazione. Nel primo decennio del Novecento, sognava che la Russia si trasformasse in uno Stato governato dalle leggi. Dopo la catastrofe della Prima guerra mondiale e l’esperienza della Rivoluzione bolscevica nel 1917, diventò un controrivoluzionario, un difensore dei metodi violenti contro la rivoluzione e, con il tempo, l’artefice di un fascismo cristiano volto a sconfiggere il bolscevismo. Nel 1922, qualche mese prima della fondazione dell’Unione Sovietica, fu esiliato dalla patria. Scrivendo a Berlino, propose un programma agli oppositori della nuova URSS, denominati Bianchi (sottointeso che in questa o altra sede non gratifichiamo i Rossi…). Erano uomini che avevano combattuto contro l’Armata Rossa dei bolscevichi durante la lunga e cruenta guerra civile russa e poi, come Il’in, erano dovuti emigrare in Europa per ragioni politiche.

 

In seguito, Il’in formulò i suoi scritti come guida per i leader russi che sarebbero saliti al potere dopo la fine dell’Unione Sovietica. Morì nel 1954. Dopo che una nuova Federazione russa era emersa dalla defunta URSS nel 1991, il suo breve libro I nostri compiti iniziò a circolare in nuove edizioni russe, la sua opera omnia fu data alle stampe e le sue idee conquistarono potenti sostenitori.

 

Il’in era morto nell’oblio in Svizzera; Putin organizzò una risepoltura a Mosca, nel 2005. I documenti personali del filosofo erano arrivati alla Michigan State University; Putzin mandò un emissario a recuperarli nel 2006. Ormai Putzin citava Il’in durante i discorsi presidenziali annuali all’assemblea generale del parlamento russo. Si trattava di interventi importanti, scritti di suo pugno. Negli anni Duemiladieci, Putzin ha fatto affidamento sull’autorevolezza di Il’in per spiegare perché la Russia dovesse indebolire l’Unione Europea e invadere l’Ucraina. Quando gli hanno chiesto di fare il nome di uno ha definito il filosofo la massima autorità sul passato. La classe politica russa ha seguito e nutrito foraggiandoli ovunque i sostenitori di tale finalità…

 

(T. Snyder, La paura e la ragione)

 

 


 

 

 



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