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Paesaggi della paura: l'apocalisse (21/1)
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Al di sopra del bene e del male... ovvero: la cena segreta (23)
Allora il Profeta beato con gran
moltitudine di monaci si diresse verso il bosco di sala dei Malla, l’Upavattana
dei Malla, sull’altra sponda del fiume Hirannavati, e giuntovi al reverendo
Ananda queste parole rivolse:
“Per favore, Ananda, fra due alberi
di sala apprestami un giaciglio con la testa volta a nord. Io sono stanco,
Ananda, vorrei giacere”.
“Va bene, Signore”, così il reverendo
Ananda annuendo, al Profeta Beato, fra due alberi di sala il giaciglio
apprestò. E allora il beato si pose a giacere sul lato destro, al modo di
giacere della bestia come un leone, ponendo piede su piede, sciente e
consapevole.
Ed in quel momento, i due alberi di
sala divennero fioriti con fiori fuori stagione. E i fiori sul corpo del
Tathagata si sparsero, si sparpagliarono, lo cosparsero per rendere culto al
Tathagata; ed i fiori di mandarava celesti e celeste polvere di sandalo,
caddero dal cieolo e sul corpo del Tathagata si sparsero, si sparpagliarono,
come neve d’inverno. E strumenti celesti suonarono nel cieolo per rendere
omaggio al Tathagata. E musiche celesti si udirono nel cielo per rendere
omaggio al Tathagata…
Allora il Beato disse ai monaci:
“Guardate ora, fratelli, questo vi dico: le cose di cui siamo composti e le
forze che ci tengono insieme sono soggette a passare. Con zelo perseguite il
vostro compito:
Queste sono le ultime parole del
Tathagata”.
E appena il Beato entrò nel nirvana,
nel momento stesso del nirvana, ci fu un grande tremore di terra, terribile,
orripilante e scoppio di tuoni.
E quando il Beato fu entrato nel
nirvana, i monaci, dai quali non era del tutto scomparsa la passione, alcuni
levano le braccia, piangono, alcuni cadono lunghi per terra, vi si rotolano e
vi si rivoltano ed esclamano: “Troppo presto il Beato è entrato nel nirvana,
troppo presto il Sugata è entrato nel nirvana, troppo presto l’occhio del mondo
s’è spento”.
Ma quei monaci dai quali la passione
era scomparsa, scienti e consapevoli si rassegnano: “Non eterne sono le cose
composte. Come è possibile che così non accada?”.
Allora il Reverendo Anuruddha
rivolgendosi ai monaci disse: “Basta, fratelli, non affliggetevi, non
lamentatevi. Non ha forse il Beato già detto che tutte le cose a noi care e
gradevoli mutano Natura, scompaiono, diventano qualche cosa d’altro? Come
dunque, reverendi, sarebbe possibile che quello che nacque, divenne, si
compose, è soggetto a dissolversi, questo appunto non si dissolva? Tale stato
di cose certamente non esiste”.
E in quel tempo i Malla di Kusinara
erano raccolti nella sala del consiglio, proprio per il da farsi. Ed il
reverendo Ananda si diresse verso la sala del consiglio dei Malla di Kusinara,
e giuntovi dette loro la notizia: “Entrato nel nirvana, o Vasettha, è il Beato;
fate ora quello che si addice”.
Allora i Malla, e i figli dei Malla,
e le nuore dei Malla, e le mogli dei Malla furono tristi, infelici, nel cuore
addolorati; ed alcuni piangono, scompigliandosi i capelli, si lamentano levando
le braccia, cadono lunghi per terra, vi si rotolano, e vi si rivoltano.
“Troppo presto il Beato è entrato nel
nirvana. Troppo presto il Sugata è entrato nel nirvana, troppo presto l’occhio
del mondo s’è spento”.
(Il nirvana)
Il destino dei fondatori delle grandi religioni è profondamente tragico; essi
sono i grandi solitari. E’ vero che la solitudine è la sorte dell’uomo, chiuso
in se medesimo come un fiore che non riesce a sbocciare, perché la parola
definisce il visibile, ma, fuori di questo, esprime soltanto per illusioni o
parziali bagliori il senso particolare e personale che noi le diamo, provocando
in altri altre reazioni, o, in modo approssimativo, adombra il fondo dell’anima
incomunicabile. Poi le consuetudini, i pregiudizi, gli universali consensi
della vita associata soffocano quel senso occulto che mai o raramente fiorisce alla
luce del sole (cercano di reprimerlo…).
L’uomo allora si adegua a questa
sua schiavitù, a questo livellamento, a questo suo morire eternamente: perché
pensare come tutti pensano, inchinarsi agli stessi idoli, rispettare le
strutture sociali vuol dire non pensare affatto, essere una cosa, non una
creatura libera. E’ un fatto che l’uomo nulla tanto teme quanto la libertà; e
senza dolersene la vende, per non trovarsi a faccia a faccia con la propria solitudine,
dove soltanto è riposta la sua luce e il suo mistero, il suo tormento e la
sua grandezza.
Le esperienze dei Maestri sono dunque incomunicabili, capaci di riflettersi
soltanto, in apparizioni improvvise, negli eletti e nei puri (nei Perfetti) che
hanno superato la trama della storia. La loro parola è allusiva; adoperano le
parole che il mondo comprende, ma le caricano di un senso diverso ed unico. Se
dunque è difficile conoscere la parola dei Maestri, altrettanto difficile è
conoscere i particolari della loro vita. Anche quella del Buddha noi non la sapremo mai. Ma la
cosa non conta. Perché la sua vita si riassume e si conclude in quell’istante
irripetibile nel quale gli apparve, nella evidenza abbagliante, la verità
ricercata.
Tutto il resto non ha importanza.
Le vite dei santi sono tutte uguali: seguono uno schema identico sia in
Oriente sia in Occidente; la nascita immacolata, la consapevolezza immediata
della propria missione, la precoce onniscenza che confonde i dotti chiamati ad
istruirli, la rinuncia al mondo, la tentazione, la pietà, la resurrezione
del morto, la guarigione dei malati, la redenzione delle donne perdute, le vane
insidie del traditore, il trapasso fra oscuramenti del cielo, scatenamenti
della terra od esaltazioni di luce. Così nasce la leggenda intessuta di questi
archetipi e avvolge e nasconde le nudità di una vita sublime.
Il Maestro diventa dio: anzi, secondo alcune scuole, egli è soltanto apparenza
illusoria che non ha pronunciato neppure una parola, un riflesso del Vero, come
un raggio di grazia che ha colpito la mente di quelli che sono spiritualmente
maturi per intenderla, come l’eco di una voce transumana che questi hanno
tradotto, per il proprio ed altrui beneficio in termini razionali. L’uomo è tardo a seguire l’insegnamento
sottile, a scendere nella solitudine del proprio io, a sciogliersi dal vincolo
o dai simboli della vita associata. La singolarità di un insegnamento
semplice e difficile a seguire, perché va contro la corrente, lo turba…..
(Giuseppe Tucci)