giuliano

giovedì 3 novembre 2016

ALDIQUA' e ALDILA' del vetro OVVERO: Paesaggi della paura (18)












































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Paesaggi della paura (17/1)  &

Aldiquà e Aldilà dell'umana... (cosa è la metafisica?)

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Paesaggi della paura: speriamo sia femmina! (19)














Il fatalismo capriccioso delle divinità antiche era allora solo leggermente scalfito da un nuovo credo religioso che, d’altronde, stentava a farsi strada fra tanti, soprattutto fra i rustici i quali spesso limitati e chiusi nel destino virtualmente ‘evoluto’ specchio ieri come oggi della propria falsa cultura… Riporto un esempio analogo nel quale apparentemente il tempo numerato compie un circolo di un millennio ed approdo con il ricordo di un Frammento di una Rima composta in un solstizio di un Inverno porta di un Dio Infinito e caduta nel cerchio di cui abate Atala ed i suoi agnelli si raccontano ancor oggi medesimi e miseri tempi odierni… Nel monastero di Bobbio, un suo monaco incendiò un tempio pagano costruito sui tronchi d’albero sulla riva della Stàffora, vicino a Tortona. I contadini tutti, assieme ad i pastori comandati dal gesuita di turno, presero a bastonate il monaco e lo gettarono nel fiume, allora, oggi invece, fedeli ad un ‘parabola’ più consona alla pecunia con cui ugual gregge conta lo sterco della propria materia, ‘attentarono’ in nome di un falso Dio il monaco Atala elevandolo a santo nonché pastore del fiero monte ove l’Albero non certo gradito… L’episodio della prima metà del secolo settimo ‘evoluto’ al secondo millennio integro e regredito alla crosta con cui edificato, rivela in verità e per il vero, la lotta che gli uomini di chiesa condussero e conducono oggi come allora, in misura diversa, contro le pratiche pagane (per gli autori delle cronache - per i ciarlatani accompagnati ai pennivendoli ed agli scribi di antica Memoria: l’Albero pregato è ancora immutato nella sua Infinita bellezza - guarda un po’ disperato tanti rami crollati ai suoi piedi come edifici precipitati per mano dell’uomo… L’uomo che crea e fabbrica l’onesta pecunia nella Genesi della propria ed altrui venuta in nome e per conto di un dio… Io pregai l’Albero e l’Infinita sua Stagione specchio di un Universo né visto né immaginato… privato quantunque della pecunia e della verità con cui pregare la radice della Memoria… non vista forse solo Nascosta… E’ pur cosa gradita e saporita qual miglior condimento alla tavola della loro piccola dottrina…).




…E’ nello stesso tempo, testimonianza della resistenza delle medesime di fronte all’evangelizzazione delle montagne. Alberi sacri vengono abbattuti (ieri come oggi in nome di ugual ‘progresso’), uno dopo l’altro, nel corso del Medioevo, ma la sacralità della pianta, in cui forse si materializza più che in altri elementi (la medesima Natura dell’intero Universo…), per i villani ed i rustici… allora non venne meno (quando i tempi rivolgevano allo Spirito della Natura dovuta preghiera non certo una Chiesa…), oggi invece, in tempi che dicono maturi ove i frutti raramente crescono al ramo dei propri arbusti, viene meno ogni principio di cui la forza originaria di un Primo Pensiero sottratta alla volontà limite della materia raccolta e consumata ad una tavola imbandita ove trema paura giacché il legno con cui si era soliti costruirla e pregarla non più in uso al focolare della dimora ove il pasto sa d’agnello e il grasso che ne sgorga e trasuda per sua natura saporito come cemento… E’ pur sempre un buon condimento con cui allietare ed annunciare ogni Buona Novella satollo della vita… difficile da digerire al ventre ove posta l’Eresia… giacché più dura del cemento ed amara più d’ogni sconfitta barattata per vittoria nel conto della Storia…




La Natura per tutto il Medioevo, è al centro dell’attenzione dell’uomo, con un’intensità di interrogativi e osservazioni che a ‘voi’ può sembrare ossessionante. Non conosciamo se non imperfettamente tale rapporto, assai stretto, che nei ceti più bassi, soprattutto nelle campagne, assumeva caratteri di quasi esclusività. Sicuri di essere legati ineluttabilmente al mondo naturale (oggi i tempi sono irreversibilmente mutati…) e regolati dalle sue stesse leggi, sia le persone colte che l’uomo comune vivono la propria vita senza distogliere mai l’attenzione da esso, timorosi ogni qual volta segni eccezionali (come terremoti, eclissi, aurore boreali ed altro ancora…) sembrano rivelare un’impennata, uno scarto, un arrestarsi dell’evoluzione regolare delle cose. La paura che accada qualcosa di irreparabile diventa, allora, facilmente parossismo: dovunque, sulla terra e nel cielo, si osservano segnali di un mondo che ammonisce a non infrangere le regole (regole  equilibri e principi di un….)…
I documenti narrativi dell’alto Medioevo, letti, purtroppo, sino ad ora (come ora voi in codesto antico e Primo Evo….), prevalentemente come repertori della Storia politica, dei trattati, delle paci, delle guerre, se li osserviamo – come in realtà soprattutto sono – nelle loro caratteristiche di specchio dei rapporti dell’uomo con la Natura, ci si presentano come cronache attente e puntigliose di ciò che di naturale avveniva ed avviene sulla faccia della terra, nelle acque, nel cielo. Soprattutto nei primi secoli del Medioevo, i fenomeni naturali erano considerati e vissuti come segni. Questo linguaggio della Natura non è analogamente riscontrabile nelle cronache del pieno e tardo Medioevo, quando l’attenzione dello scrittore era attratta in maniera altrettanta forte dall’aspetto più schiettamente naturale dei fenomeni e delle loro conseguenze sulla vita materiale dell’uomo.




…Nei primi secoli del Medioevo, tutto ciò che esorbitava dai limiti del normale si pensava generato, per così dire, dalla Natura; si trattava di esseri materiali, seppure spesso mostruosi, legati al mondo vegetale, animale, umano. Più tardi, invece, acquistarono un contenuto ed una fisionomia sovrannaturale, in concomitanza con il progressivo allontanarsi dell’uomo dalla Natura, della distruzione di molte sue componenti, tra le quali boschi e foreste, che vennero ridotte a coltura. Le selve che restarono dopo il lungo intervento colonizzatore divennero via via realtà estranee all’uomo spesso paurose. E’ significativo che le apparizioni dei morti iniziassero allora ad ever luogo soprattutto in esse. Ma nell’alto Medioevo tutto, pur con diverse sfumature, era assimilato alla Natura, magari deformata o abbellita: lo stesso Paradiso veniva immaginato come sublimazione della terra coltivata dall’uomo, un giardino bellissimo, con acque, fiori, alberi. Si credeva che l’uomo si muovesse con facilità da questo all’altro mondo: prima di morire la visione del Paradiso si schiudeva sul capezzale, si sentivano profumi intensi, si udivano musiche inebrianti. I morti non di rado tornavano in vita per raccontare dell’altro mondo, i santi scendevano su questo a compiere un pellegrinaggio al sepolcro di un martire famoso, a pregare per la propria anima sulla propria tomba. Insomma, il mondo naturale e quello ‘soprannaturale’ non erano ancora divisi dalla linea che si andrà allargando e irrigidendo ad iniziare dal pieno Medioevo; l’uno e l’altro erano fatti della stessa materia, seppur sublimata per quanto concerne il secondo.




…Il grande e delicato Alcuino, monaco poeta, vedeva lo svanire rapido delle cose, il cambiare delle forme, il loro cammino verso l’annullamento di tutto. Non è certo solo il desiderio di comporre belle parole – che pure gli sono care – a spingere il dotto uomo di chiesa a gettare lo sguardo sull’orizzonte della fine. Una vita precaria, una morte che allora scandiva le vicende degli uomini con colpi più fitti delle nascite, lo portano spesso a tristi considerazioni. La morte sul campo di battaglia, la mortalità infantile, le pestilenze, la nutrizione legata ai capricci delle stagioni (e quindi spesso scarsa) mantenevano bassa la media della vita. Basta leggere i documenti del tempo, dove l’uomo fa capolino per vendere un campo, averne uno in affitto, operare uno scambio di terre per constatare che gran parte delle persone non ha il padre: il nome personale, che veniva precisato con quello del padre, ci prospetta una folla innumere di ‘figli del fu’: Pietro del fu Andrea, Paolo di Antonio di buona memoria… Le cronache poi sono segnate a scadenza ravvicinata dalla segnalazione di nobili caduti in battaglia, di figli di grandi personaggi deceduti per malattia in età giovane, di carestie e pestilenze micidiali. Siamo ben lontani dal possedere una nozione dell’incidenza di questo sulla coscienza degli uomini; gli occhi di coloro che morivano e di quanti li vedevano morire non ci sono noti affatto: quali sofferenze, quali rimorsi, paure? Possiamo soltanto dire che la morte era rispettata, come fatto davanti al quale bisognava fermarsi e riflettere, qualcosa che anche allora era difficile accettare.
Gli uomini, dunque, erano pochi, almeno i vivi; mentre con il trascorrere del tempo, le aree cimiteriali acquistavano una dimensione ed un’importanza che noi forse non riusciremo mai ad immaginare. Era un mondo di morti, e così comprendiamo il pessimismo dei chierici, il loro assistere impotenti e scettici allo svanire della vita; come capiamo gli innumerevoli donativi alle chiese, dettati dalla paura di morire e dalla volontà di procurare preghiere a quell’altra massa di persone, ben più consistente, che dormiva dentro e attorno alle chiese, attendendo il giorno in cui sarebbero state svegliate per il giudizio finale.

(V. Fumagalli, Paesaggi della paura)   















        

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