giuliano

martedì 30 aprile 2013

LA COMMEDIA DELLA VITA (4)




































Precedenti capitoli:

la commedia della vita (3) &

il corteo

della morte








'Sancio, ogni giorno', disse don Chisciotte, 'vai diventando
meno sciocco e più intelligente'.
'Certo, qualcosa mi si deve pure attaccare della saggezza
della signoria vostra', rispose Sancio; 'poiché anche i terre-
ni che per loro natura sono sterili e secchi, gettandovi ster-
co e coltivandoli finiscono col dare buoni frutti; voglio dire
che i discorsi della signoria vostra son stati lo sterco che è
caduto sullo sterile terreno del mio arido ingegno; e la col-
tivazione, tutto il tempo dacché la servo e parlo con lei; e
con ciò, spero di esprimere da me frutti che siano benedet-
ti, tali che non disdicano né tralignino dai sentieri della buo-
na creanza che la signoria vostra ha fatto della solleonata
intelligenza mia'.




Rise don Chisciotte dei manierati discorsi di Sancio, e gli
sembrò che era vero ciò che diceva del suo miglioramen-
to, perché da quando in quando parlava in maniera tale
che lo stupiva, sebbene poi ogni qualvolta, o quasi, San-
cio cercava di parlare cattedraticamente e alla maniera
cittadina, terminava la sua concione precipitandosi dalla
cima della sua ingenuità nell'abisso profondo della sua i-
gnoranza; e dov'è che si dimostrava più elegante e di
buona memoria era nel cavar fuori proverbi, c'entrasse-
ro o non c'entrassero con quello di cui stava parlando,
come si sarà potuto vedere e osservare nel corso di
questa storia.
In questi ed altri discorsi passarono gran parte della
notte, e venne voglia a Sancio di lasciar cadere le im-
poste del sonno, com'egli diceva quando voleva dormi-
re, e sguarnito l'asino, gli diede un copioso pasto a
volontà.




Non tolse la sella a Ronzinante perché era espresso
mandato del suo padrone che per tutto il tempo che
stavano alla campagna, o non dormivano sotto un tet-
to, Ronzinante non doveva essere sciolto: antica usan-
za stabilita e osservata dai cavalieri erranti, togliere il
freno e appenderlo all'arcione della sella, mai togliere
la sella al cavallo mai!; e così fece Sancio, e gli diede
ugual libertà che all'asino: quell'amicizia fra questo e Ron-
zinante fu così intima, e così singolare, che è fama, per
tradizione tramandata di padre in figlio, che l'autore di
questa veridica storia vi scrisse su dei capitoli, ma che
per serbare la dignità e il decoro che a così eroica sto-
ria si devono, non ve li incluse, sebbene poi alcune




volte si dimentica di questo proposito e scrive che non
appena i due animali si trovano assieme, cominciavano
a grattarsi l'un l'altro, finché, stanchi e soddisfatti, Ron-
  zinante passava il suo collo su quello dell'asino e in
quella posizione, guardando tutt'e due fissamente il
suolo, potevano starsene tre giorni di fila, o per lo me-
no tutto il tempo che li lasciavano, o che la fame non li
induceva a cercarsi alimento....
Dicono persino che l'autore abbia scritto di aver para-
gonato la loro amicizia a quella che ebbero Eurialo e
Niso, e Pilade e Oreste; dal che, se è vero, ci si pote-
va fare un'idea, per l'universale ammirazione, di quan-
to dovette esser salda l'amicizia di questi due pacifici
animali.....
(M. De Cervantes, Don Chisciotte della Mancia)












sabato 27 aprile 2013

STORIA UNIVERSALE DELL'INFAMIA: Gang e Teatri (18)







































Precedente capitolo:

storia universale dell'infamia: Gang & Teatri (17)

Prosegue in:

storia universale dell'infamia: A. E. Hicks (19)










Il quartiere dei Five Points conobbe un graduale declino come centro
di divertimenti a mano a mano che gli empori si diffondevano e che
le gang cominciavano ad abusare dei loro privilegi come sovrani pro-
tetti nel Paradise Square, mentre la Bowery divenne sempre più im-
portante come zona ricreativa.
Già nel 1752, quando le acque del Collect coprivano ancora la sede
delle Tombs e scorrevano pigramente attraverso Canal Street, la Bo-
wery cominciò a pretendere di essere un luogo di svago grazie all'a-
pertura degli Sperry's Botanical Gardens, in seguito Voxhaul's Gar-
dens, nell'estremità settentrionale della via, accanto ad Astor Place.




Questa sua pretesa venne ampiamente consolidata, nel 1826, dalla
costruzione del Bowery Theater nell'antica sede della Bull's Head
Tavern, dove George Washington si era fermato a dissetarsi con la
birra scura della Bowery durante l'Evacaution Day del 1783.
Il nuovo teatro venne inaugurato con una commedia, 'The Road to
Ruin', ma la sua prima produzione importante debuttò nel novembre
1826, quando Edwin Forrest interpretò il ruolo di protagonista in
'Otello'.
Per diversi anni fu uno dei principali teatri del continente; le tavole
del suo palcoscenico scricchiolarono sotto i passi di alcuni dei più
grandi attori dell'epoca.




Era il più ampio della città, con 3000 posti a sedere, e fu il primo
a essere fornito di gas. L'edificio subì diversi incendi, ed infine ven-
ne ribattezzato Thalia e si leva tuttora all'ombra della sopraelevata
della Third Avenue, riservato a pellicole cinematografiche e reper-
torio, con saltuarie esibizioni di troupe cinesi itineranti.
Fu seguito ben presto da molti altri teatri, tra cui il Windsor, che di-
venne famoso per le sue rappresentazioni di 'Hands Across the Sea'
 e per la mirabile recitazione di Jhonny Thompson in 'On Hand'.




Per parecchi anni presentarono spettacoli di prima categoria e furono
frequentati dall'aristocrazia cittadina, ma con il passare del tempo,
mentre il carattere della strada cambiava e le bettole e i gangster
 la trasformarono in un simbolo noto da una costa all'altra, comincia-
rono a offrire thriller sensazionali e talmente peculiari che divennero
noti come 'Bowery plays' e non li si poteva vedere in nessun altro luo-
go.
Tra di essi ricordiamo 'The Boy Detective'.....
Da queste produzioni nacque un genere melodrammatico molto
famoso in tutti gli Stati Uniti finché non venne sostituito dalle pelli-
cole cinematografiche.




La prima galleria e le prime balconate dei più antichi teatri della
Bowery, dopo che i cittadini eminenti le abbandonarono preferendo
quelli più vicini ai quartieri residenziali e situati lungo la Broadway,
erano generalmente gremite da rispettabili famiglie tedesche prove-
nienti dal Seventh Ward che bevevano limonata rosa e gialla e divo-
ravano rumorosamente dei popolari cioccolatini.
...La platea e le balconate più alte brulicavano invece di straccioni
di ogni genere e di entrambi i sessi, compresi le famose gang, spes-
so fischiavano e urlavano: 'Issa quello straccio!' quando il sipario non
si alzava puntualmente.....
(H. Asbury, Le gang di New York)














giovedì 25 aprile 2013

STORIA UNIVERSALE DELL'INFAMIA (16)















Precedente capitolo:

storia universale dell'infamia: religione, morale, politica...(15)

Prosegue in:

storia universale dell'infamia: Gang & Teatri (17)








Da ciò viene anche la mancata denuncia, parendo questa più
immorale che non l'omicidio; sicché si sono veduti moribondi
dissimulare, fino all'ultimo momento, il nome del feritore o ta-
glieggiatore.
Non è l'omicidio che fa orrore, bensì la giustizia.
Onde è che anche quando il delitto, per raro caso, è denun-
ciato, non è punito: così, su 150 briganti del Napoletano, pre-
si coll'arme indosso, 107 furono prosciolti dal giurì, e solo 7
condannati.
Così, a Trapani si lamenta ancora la solenne assoluzione dei
40 malfattori messinesi; e nel 1874 si assolsero gli uccisori del-
l'ispettore finanziario Manfroni, malgrado le testimonianze ocu-
lari e le confessioni degli stessi rei.




Riuscendo la giustizia impotente, l'offeso ricorreva necessaria-
mente alla forza del proprio braccio o a quella dei compagni,
alla vendetta, quando era questione di onore; o ad una compo-
sizione propria, come nelle epoche medio-evali, quando si trat-
tava di oggetti rubati.
In Sicilia si paga un tanto, come si vede nel processo del Lom-
bardo, per riavere il cavallo o la pecora rubata; o viceversa, il
ladro paga un tanto alla vittima, perché si accontenti, o non si
vendichi, o non reclami il furto; il che dà proprio l'immagine del-
la giustizia primitiva.
Una causa principalissima che nei popoli civili favorisce le asso-
ciazioni malvagie, è lo straordinario prestigio che ispira ai debo-
li la forza brutale.




Chi ha veduto, una volta, un vero camorrista dai muscoli di ferro,
dal cipiglio più che marziale, dalla pronuncia con 'rr' raddoppiata,
in mezzo alle popolazioni dalle molli carni, dalla pronuncia vocaliz-
zata, dall'indole mite, comprende, subito, come se anche non fos-
se stato importato, qualche morbo simile alla camorra avrebbe do-
vuto sorgere dalla troppa sproporzione fra alcune individualità ener-
giche, e le moltitudini docili e molli.
Lo stesso camorrista, involontariamente, cede a questa legge; fi-
glio della forza e della prepotenza mascherata da astuzia che vor-
rebbe essere intelligenza, si inchina davanti ad una forza maggio-
re della sua.




Una prova curiosissima di questa influenza si ha in un fatto raccolto
dal Monnier: un prete calabrese cacciato in prigione per avventure
galanti, fu richiesto al suo ingresso della solita tassa dal camorrista;
rifiutò, ed alle minacce del settario rispose, che se avesse un'arme
in mano, niuno avrebbe avuto il coraggio di minacciarlo a quel mo-
do.
'Non c'è difficoltà', rispose il camorrista, e in un batter d'occhio gli
offerse due coltelli. Ma dopo pochi colpi egli era freddato. Alla se-
ra, il povero uccisore, che tremava della vendetta settaria, più as-
sai che della giustizia borbonica, con sua grande sorpresa si trovò
invece offerto il 'barattolo' della camorra.
Era, senza volerlo, stato ammesso fra i camorristi. E così accadde
ad un Calabrese, che si rifiutò di pagare la tassa, e minacciò di col-
tello il camorrista.




La camorra è dunque l'espressione della naturale prepotenza di chi
si sente forte in mezzo a moltissimi che si sentono deboli. Ma non
è solo la forza dei pochi che la mantiene, è soprattutto la paura dei
molti.
Monnier spiega la grande tenacità della camorra e del brigantaggio
nell'Italia meridionale pel predominio della paura; la religione, inspi-
rata dai preti, null'altro era che la paura del diavolo; la politica, null'-
altro che la paura del re, il quale teneva la borghesia oppressa colla
minaccia dei lazzaroni, e gli uni e gli altri, colla paura di una polizia
e di una soldataglia spietata.
La paura teneva il luogo della conoscenza e dell'amore al dovere;
si otteneva l'ordine, non rialzando l'uomo, ma deprimendolo.
Che ne avvenne?
La paura fu undustriosamente usata dai violenti e dai malfattori e
quindi dai mafiosi......
(C. Lambroso)










 

martedì 23 aprile 2013

STORIA UNIVERSALE DELL'INFAMIA (14)










Precedente capitolo:

storia universale dell'infamia: brigantaggio, mafia, camorra (13)

Prosegue in:

storia universale dell'infamia: religione, morale, politica (15)









I camorristi, che alla lor volta si dividevano in semplici ed in
proprietarj, eleggevano, fra i più coraggiosi o più prepotenti,
un capo, Masto, Maestro, o Sì....
Questi non poteva prendere gravi provvedimenti senza consul-
tare gli elettori, riuniti in assemblea, che vi discutevano, colla
stessa gravità e correttezza, le più piccole minuzie, come la que-
stione di vita e di morte; assistito da un contabile, 'contarulo', e
da un tesoriere 'capo cariusello', e per ultimo da un segretario,
il meno illetterato de' suoi subordinati, egli doveva indicare i
contrabbandi, regolare le liti, e perciò teneva addosso o in qual-
che ripostiglio sempre tre armi, proporre alle assemblee le puni
zioni, o la grazia, 'alzata di mano', concessa generosamente nel-




le fauste occasioni; ma la parte più importante della sua missio-
ne era di distribuire, ogni domenica la 'camorra' o 'barattolo'.
Così chiamavasi il frutto delle regolari estorsioni sopra i gioca-
tori, sui postriboli, sui rivenditori di cocomeri, di giornali, sui
vetturali, sui mendicanti, e perfino sulle messe; ma più di tutto
sui carcerati, che furono il loro primitivo, e quindi il più usufrut-
tato provento.; appena entrato in prigione, ognun di questi in-
felici doveva pagare il così detto 'olio' per la 'madonna'; paga-
va poi un decimo di ogni suo avere; che più! doveva pagare per
bere, per mangiare, per giocare, per vendere, per comperare,
perfino, per dormire in men rude giaciglio; i più poveri, soprat-
tutto, erano rovinati da costoro; costretti a vendere metà della
loro...




minestra, o le poche vesti che avevano in dosso per poter fare
una fumata o per giocare, se non voleva giocare, vi venivano
obbligati, poiché il giuoco era la principale rendita del camorri-
sta, che guadagnava da ambe le parti.
Il loro codice non era formulato né scritto, ma non perciò era
meno minuziosamente seguito.
Il camorrista non poteva uccidere un collega senza il permes-
so dei capi; mentre, poi, poteva torre di mezzo qualunque al-
tro, in ispecie per vendetta, non solo, senza permesso, ma con




isperanza di avanzamento e di gloria.
Non doveva avere rapporti colla polizia; era condannato a
morte chi tradiva la società, o chi uccideva o rubava senza or-
dine dei capi; o chi violava la moglie di questi; o chi si rifiutava
di uccidere, quando ne avesse ricevuto il comando.
La sentenza era pronunciata, solennemente, previo un dibatti-
mento in famiglia, e si tirava a sorte il picciotto che doveva e-
seguirla.
Qualche volta i prescelti erano due: uno doveva commettere
l'omicidio, e l'altro assumersene la colpa, e quindi subirne le
conseguenze, col che si guadagnava una promozione nella
nobile carriera.




Il camorrista, poi, era il giudice naturale dei popolani, in ispe-
cie al giuoco o nelle risse; egli manteneva l'ordine nei postribo-
li e nelle carceri, proteggendo, ben inteso, chi aveva pagato la
tassa; era, a sua volta, una specie di cassa di risparmio, però
che sulle tasse estorte ai carcerati teneva da parte un fondo di
riserva, che serviva a mantenere in vita il poveretto, quando
era stato spogliato del tutto; non senza giovare, nello stesso
tempo a imbrogliarselo, in maggior soggezione.
Egli era, anche, il sensale del piccolo commercio; era, all'occa-
sione, il miglior poliziotto; dopo aver espilato il venditore all'-
ingrosso, sorvegliava, per suo conto, il rivendugliolo al minuto,
che per suo mezzo, fedelmente, rimetteva al padrone il ricava-
to.




I vecchi camorristi, le vedove loro, ricevevano una pensione
regolare; e così l'ammalato, come il prigioniero, toccavano
la solita quota di bottino, benché non avessero parte nelle
decisioni sociali.
(C. Lombroso)














domenica 21 aprile 2013

STORIA UNIVERSALE DELL'INFAMIA: la 'maffia' (8)












Precedente capitolo:

storia universale dell'infamia: la 'maffia' (7)

Prosegue in:

storia universale dell'infamia: un business che spara









L'intenzione politica che sta alla base della relazione
'Gualtiero' caratterizza la 'maffia' per il legame con i
partiti estremi - repubblicani e borbonici - e ne indi-
ca i personaggi chiave nel generale Giovanni Corrao,
capo del gruppo radicale garibaldino, e, dopo che
questi viene assassinato (1863), nel suo successore,




Giuseppe Badia: i prefetti fanno la loro 'scoperta'
per incidens, per quanto serve a spiegare la loro im-
potenza nel crearsi un consenso e a demonizzare l'-
opposizione.
Passa solo un ventennio e la parola 'maffia' compare
 anche sulla sponda statunitense, a definire una mi-




steriosa organizzazione, fatta risalire a periodi antichis-
simi, che conserverebbe la sua testa pensante nell'isola
e spargerebbe ovunque i suoi gregari; a stigmatizzare
un''alien cospiracy', un complotto straniero portato avan-
ti da 'socialisti, nazionalisti o quant'altro'.
Non manca il sospetto di una complicità del governo




italiano, come in quella vignetta satirica di fine Otto-
cento dove un pifferaio magico attrae oltre l'oceano
gli immondi ratti del vecchio mondo, compreso quello
mafioso, tra l'esultanza dei regnanti europei e la dispe-
razione dello zio Sam.
Si tratta di una delle forme con cui l'America Wasp
esprime la paura del diverso, l'irrigidimento etnocen-




trico di fronte alla 'seconda ondata' dell'emigrazione,
e in pratica di un argomento che porta a reclamare la
limitazione dei permessi di ingresso negli Stati Uniti per
gli italiani che vengono accusati di riprodurre nel Nuovo
Mondo il peggio della società di partenza: malattie, igno-
ranza, superstizione e naturalmente criminalità, tanto
più  temuta quanto più esotica e misteriosa.




Tra il primo uso italiano e il primo americano del termi-
ne ci sono dunque dei punti in comune: la 'maffia' è me-
tafora di un che di irriconducibile ai valori affermati dal-
lo Stato ottocentesco, appare in quanto tale oscuramen-
te intrecciata al sovversivismo politico (spesso appoggia-
to dagli stessi governi esportatori..), e soprattutto riflet-
te il timore della permanenza di un oscuro passato, di un
codice culturale ostile alla civiltà e alla cultura....
(Salvatore Lupo, Storia della mafia)

















venerdì 19 aprile 2013

STORIA UNIVERSALE DELL'INFAMIA (6)









































Precedente capitolo:

storia universale dell'infamia (5)

Prosegue in:

storia universale dell'infamia: la 'maffia' (7)









Protetti da alti pilastri, uomini dal mento ben rasato sparavano
silenziosi, ed erano il centro di un atterrito orizzonte di vetture
a nolo cariche di impazienti rinforzi, con l'artiglieria Colt in pu-
gno.
Cosa provarono i protagonisti di quella battaglia?
In primo luogo (credo) la brutale convinzione che il frastuono
insensato di cento revolver li avrebbe subito annientati; in se-
condo luogo (credo) la non meno erronea certezza di essere
invulnerabili, visto che la scarica iniziale li aveva atterrati.
Sta di fatto che si batterono con fervore, trincerati dietro il
ferro e la notte.....




Per due volte la polizia intervenne e per due volte fu respinta.
Alle prime luci dell'alba il combattimento, quasi fosse osceno
o spettrale, cessò.
Sotto le grandi arcate metalliche rimasero sette feriti gravi,
quattro cadaveri e una colomba morta....
I politici del quartiere per cui lavorava Monk Eastman aveva-
no sempre negato pubblicamente l'esistenza di simili bande,
o sostenuto che si trattasse di innocenti circoli ricreativi.
Ma l'indiscreta battaglia di Rivington li allarmò.
Convocarono i due capi per convincerli della necessità di una
 tregua.




Kelly accettò subito; Eastman esigeva altri spari e altri taf-
ferugli. Inizialmente rifiutò e dovettero prospettargli la pri-
gione.
Alla fine i due illustri malviventi tennero consiglio in un bar,
ognuno con un sigaro in bocca, la destra sulla pistola e un
vigilante nugolo di scagnozzi intorno. Giunsero a una deci-
sione molto americana: affidare la disputa a un incontro di
pugilato.
Kelly era un pugile abilissimo.




Il duello si svolse in un capannone e fu stravagante.
Vi assistettero 140 spettatori, fra guappi col cilindro di
sghimbescio e donne dalla fragile acconciatura monumen-
tale.
Durò due ore e finì per completo sfinimento.
Da lì a una settimana ripresero a crepitare le pallottole.
Monk fu arrestato per l'ennesima volta. I suoi protettori
si disinteressarono di lui con sollievo; il giudice gli vatici-
nò, ed era nel giusto, dieci anni di carcere...




Quando l'ancora perplesso Monk uscì da Sing-Sing, i
1200 malviventi ai suoi ordini erano allo sbando....
Incapace di riunirli, si rassegnò a lavorare in proprio.
L'8 settembre del 917 era di nuovo e come sempre in
strada...ora l'esercito e qualche politico locale erano i
suoi sponsor....
Conosciamo diversi aspetti della sua campagna...
Sappiamo che dalla felice e prospera delinquenza pas-
sò ad atteggiarsi ad eroe di guerra...
Sappiamo, quello che sempre sappiamo, che fu un one-
sto e ben-voluto .....
(J. L. Borges)













domenica 14 aprile 2013

14 APRILE (una esecuzione....)











Precedenti capitoli:

14 aprile (una esecuzione) (prima parte)

gente sconosciuta....








Mentre si aspettava la seconda esecuzione, un cronista e una
guardia chiacchieravano.
Il cronista chiese:
- La vostra prima impiccaggione?
- Ho visto Lee Andrews.
- Questa è la prima per me.
- Ah. Che ve ne pare?
Il reporter sporse le labbra.
- Nel nostro ufficio nessuno voleva l'incarico. E neanche io.
Ma non è stato brutto come avevano pensato. E' come sal-
tare da un trampolino. Solo con una corda attorno al collo.




- Non sentono niente. Cadono, trac, ed è fatta. Non sentono
niente.
Vanno giù e....
- Siete sicuro? Io ero proprio lì. Lo sentivo rantolare.
- Uh-uhu. Ma non sente niente. Non sarebbe umano altrimenti.
- Già. E immagino che gli diano un mucchio di pillole. Sedativi.
- No, accidenti. Contro i regolamenti. Ecco qui Smith.....
- Caspita, non sapevo che fosse un tale nanerottolo.
- Sì, è piccolo. Ma anche la tarantola lo è.




Mentre veniva condotto nel magazzino, Smith riconobbe il suo
vecchio avversario, Dewey; smise di masticare la stecca di gom-
ma alla doppia menta che aveva in bocca, poi sorrise a Dewey
strizzandogli l'occhio, disinvolto e malizioso. Ma quando il diret-
tore gli chiese se aveva qualcosa da dire, la sua espressione era
seria.
I suoi occhi sensibili contemplarono gravemente i visi che lo cir-
condavano, si alzarono verso il boia, in ombra, quindi si abbas-
sarono sulle proprie mani legate.




Si guardò le dita, sporche di inchiostro e di colore perché negli
ultimi tre anni nella Cella della Morte aveva continuato a dipin-
gere autoritratti e immagini di bambini per lo più figli di dete-
nuti che gli offrivano le fotografie della loro progenie che vede-
vano tanto raramente.
- Penso,
disse,
- che sia una cosa bestiale togliere una vita in questo modo.
Non credo nella condanna capitale, né moralmente né legal-
mente. Forse avevo qualcosa da dire, qualcosa....




La sua sicurezza venne meno; la timidezza gli smorzò la voce
riducendola a un volume appena udibile.
- Sarebbe senza senso chiedere perdono di quel che ho fatto.
E' fuori luogo. Ma lo faccio. Chiedo perdono....
Gradini, cappio, benda; ma prima che la benda venisse legata,
il prigioniero sputò la gomma da masticare nella mano tesa del
cappellano.
Dewey chiuse gli occhi e li tenne chiusi fino a quando sentì il
colpo secco che indica un collo spezzato dalla corda. Come
la maggior parte degli ufficiali della legge americani, Dewey
è certo che la pena capitale costituisca un freno alla crimina-
lità organizzata, e sentiva che se mai tale condanna era stata
meritata, era proprio in questo caso.




La precedente esecuzione non l'aveva turbato, aveva sem-
pre avuto una bassa opinione di Hickock che giudicava 'un
piccolo truffatore che aveva sconfinato dal suo campo d'a-
zione, un essere vuoto e senza il minimo valore'.
Ma Smith, sebbene fosse il vero assassino, provocava una
diversa reazione, perché aveva qualcosa in sé, un'aura di a-
nimale scacciato, di creatura ferita, che l'investigatore non
poteva trascurare.......
(T. Capote, A sangue freddo)












sabato 13 aprile 2013

BILLY THE KID (84)






























Precedente capitolo:

Billy the Kid (il ragazzo nato nella metropoli) (83)











Sulla terra, il teschio di una vacca, latrati di cani e di coyote
nell'ombra, cavalli affilati e la luce allungata della taverna.
Dentro, appoggiati all'unico bancone, uomini stanchi e corpu-
lenti bevono un alcol rissoso e ostentano grandi monete d'ar-
gento, con l'aquila e il serpente.
Un ubriaco canta imperturbabile.
Quancuno parla una lingua con molte 's', che dev'essere spa-
gnola, visto che chi la parla è trattato con disprezzo misto
ad odio....
Bill Harrigan, rossiccio topo di tugurio, è tra i bevitori. Si è
scolato nell'attesa un paio di bicchieri, nell'attesa, nella costan-
te lunga attesa di qualcosa o qualcuno.., due bicchieri d'aqua-
vite e pensa di chiederne un altro, forse perché non gli resta
un cent....




Gli uomini di quel deserto lo annichiliscono.
Gli sembrano terribili, turbolenti, felici, odiosamente abili nel
governare mandrie selvagge e altri cavalli.
D'improvviso cala un silenzio di tomba, ignorato soltanto dal-
la dissennata voce dell'ubriaco (urla: l'ho trovato..). E' entra-
to un messicano enorme, con una faccia da vecchia indiana.
Straripa in uno smisurato cappello e in due pistole ai fianchi.
In un rude inglese augura la buonasera a tutti i gringos figli di
cagna che stanno bevendo.




Nessuno raccoglie, però, la sfida.
Bill domanda chi è, e gli sussurrano timorosi che il Dago - il
Diego - è Belisario Villa-gràn, di Chilhuahua.
Subito risuona uno sparo!
Protetto da quella barriera di uomini che lo sovrastano, Bill
ha sparato sull'intruso.
Il bicchiere cade dalla mano di Villa-gràn; poi cade l'uomo
intero.




Non c'è bisogno di un'altra pallottola.
Senza degnare di uno sguardo quel morto di lusso, Bill ripren-
de la conversazione.
La stecchito...
- Veramente?
dice.
- Be', io sono Bill Harrigan...di New York!
L'ubriaco continua a cantare, insignificante.




Già intuisce l'apoteosi.
Bill concede strette di mano e accetta lusinghe, urrà e whisky.
Un tale osserva che sulla pistola non ci sono tacche e gli pro-
pone di inciderne una per ricordare la morte di Villa-gràn.
Billy the Kid prende il coltello di quel tale, ma dice che 'non
vale la pena tenere il conto dei messicani'.
Tutto ciò, forse, non basta.
Quella notte Bill stende la sua coperta accanto al cadavere
e dorme all'aurora - con ostentazione.




Da quella fausta detonazione (aveva solo quattordici anni)
nacque Billy the Kid l'Eroe e morì il furtivo Bill Harrigan.
Il ragazzetto delle fogne e delle randellate, della calunnia, del
vizio, della scomemessa, del bicchiere facile....della ....
Si fece cavaliere e paladino per ogni causa disonesta..., poi
imparò a star dritto in sella alla maniera del Wyoming e del
Texas, e non con il corpo all'indietro, alla maniera dell'Ore-
gon e della California; il suo stare in sella era particolare era
...da onesto e ben voluto ... delinquente....




Non assomigliò mai del tutto alla sua leggenda, ma ci an-
dò vicino.
Qualcosa del guappo di New York rimase nel cow-boy;
riversò sui messicani l'odio che un tempo gli ispiravano i
negri, ma le ultime parole che disse furono (brutte) parole
in spagnolo...
Imparò l'arte vagabonda del mandriano.
Imparò anche quella, più difficile, di comandare uomini;
entrambe lo aiutarono a diventare un onesto ...ladro...




A volte si lasciava attirare dalle chitarre e dai bordelli...
Con atroce lucidità dell'insonne, organizzava affollate or-
ge che duravano quattro giorni e quattro notti....
Alla fine nauseato, pagava il conto a colpi di pistola.....
Finché il dito sul grilletto non lo tradì fu l'uomo più temu-
to di quella frontiera color acciaio...
Il suo amico Garrett, lo sceriffo che poi (non potendo-
ne più..) l'ammazzò, gli disse una volta:
- Ho esercitato molto la mira ammazzando bisonti..
- Io l'ho esercitata ancora di più ammazzando uomini,
gli rispose soavemente.




I dettagli sono irrecuperabili, ma sappiamo che fu debi-
tore di ventun morti - senza contare gli indiani e i messi-
cani.
Durante sette rischiosissimi anni si concesse quel lusso
che lui e solo lui ...chiamava .., coraggio...
La sera del 25 luglio del 1880, Billy the Kid attraversò
a galoppo, sul suo pezzato, la via principale, ovvero l'u-
nica del suo Eterno Forte, Fort Summer.
Il caldo era soffocante e le lampade non erano ancora
accese.




Lo sceriffo Garrett, seduto su una sedia a dondolo in
una verenda, estrasse la pistola e gli piantò un proietti-
le in ventre.
Il pezzato proseguì la sua corsa; il cavaliere stramazzò
a terra sulla strada di terra battuta ... quasi asfaltata...
Garrett  gli sparò una seconda volta e un secondo proiet-
tile.
La gente sprangò con cura le finestre.
L'agonia fu lunga e blasfema.
Quando il sole era ormai alto, gli si avvicinarono; era
morto.




Notarono che aveva quell'aria da rottame che hanno i
defunti.
Lo rasarono, gli infilarono un abito confezionato e lo
esposero all'orrore e alle beffe nella vetrina del miglior
emporio.
Uomini a cavallo e in calasse arrivavano da molte leghe
tutt'intorno. Il terzo giorno dovettero truccarlo. Il quarto
giorno lo seppellirono esultanti....
(J. L. Borges....Storia Universale dell'Infamia...)