giuliano

sabato 28 aprile 2018

IL LABIRINTO (Terza Parte) (23)




















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Il Labirinto (22)

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Il Labirinto (Quarta Parte) (24)














…Se invece di un oggetto o di un essere particolare si considera ciò che potremmo chiamare un mondo, nel senso già da noi attribuito alla parola, ossia l’intero àmbito costituito da un dato insieme di compossibili che si realizzano nella manifestazione, tali compossibili dovranno essere tutti i possibili che soddisfano determinate condizioni, le quali caratterizzeranno e definiranno con precisione il mondo in questione, che viene a rappresentare uno dei gradi dell’ESISTENZA UNIVERSALE. Gli altri possibili, che non sono determinati dalle medesime condizioni e pertanto non possono far parte dello stesso mondo, evidentemente non sono per questo meno realizzabili, anche se, beninteso, ciascuno secondo il modo che conviene alla sua natura…

…In altri termini, ogni possibile ha in quanto tale un’esistenza propria, e i possibili la cui natura implica una realizzazione, nel senso usuale del termine, cioè un’esistenza in un modo qualunque di manifestazione, non possono perdere tale carattere che è loro essenzialmente inerente e divenire irrealizzabili per il fatto che altri possibili sono effettivamente realizzati. Si può dire inoltre che ogni possibilità che sia una possibilità di manifestazione deve appunto per questo necessariamente manifestarsi e che, inversamente, ogni possibilità che non deve manifestarsi è una possibilità di non-manifestazione; posta in questi termini, sembrerebbe una semplice questione definitoria, eppure l’affermazione precedente non implicava altro che questa verità assiomatica, la quale non può essere posta minimamente in discussione…

…Se però ci si domandasse perché non tutte le possibilità devono manifestarsi, cioè perché vi sono ad un tempo possibilità di manifestazione e possibilità di non-manifestazione, basterebbe rispondere che l’àmbito della manifestazione, il quale è limitato per il fatto stesso di essere un insieme di mondi o di stati condizionati, non può esaurire la Possibilità Universale nella sua totalità; esso lascia al di fuori di sé tutto l’incondizionato, cioè precisamente quello che, in termini metafisici, conta di più…

…Domandarsi poi perché mai una data possibilità non deve manifestarsi al pari di un’altra equivarrebbe semplicemente a chiedersi perché essa è quello che è e non altro da sé; è dunque esattamente come se ci domandasse perché un dato essere è se stesso e non un altro essere, un interrogativo del tutto privo di senso. Ciò che va bene compreso, invece, al riguardo, è che una possibilità di manifestazione non ha, come tale, alcuna superiorità rispetto ad una possibilità di non-manifestazione; essa non è oggetto di una sorta di ‘scelta’ o di ‘preferenza’, ha soltanto una natura diversa…

…Se poi si vuole obiettare, a proposito dei compossibili, che, secondo l’espressione di Leibniz, ‘esiste un solo mondo’, vi sono due possibilità: o tale affermazione è una pura tautologia, o è priva di senso. Infatti, se per ‘mondo’ si intende l’Universo totale, o piuttosto, limitandosi alle possibilità di manifestazione, l’intero àmbito di tutte queste possibilità, cioè l’Esistenza universale, l’enunciato è fin troppo evidente, sebbene il modo in cui è espresso sia forse improprio; ma se con tale termine si intende un dato insieme di compossibili, come si fa solitamente, e come noi stessi abbiamo fatto, sostenere che la sua esistenza impedisce la coesistenza di altri mondi è altrettanto assurdo quanto dire, per riprendere l’esempio precedente, che l’esistenza di una figura rotonda impedisce la coesistenza di una figura quadrata, o triangolare, o di qualunque altro genere…

…Si può solo dire che, come le caratteristiche di un determinato oggetto escludono da tale oggetto la presenza di altre caratteristiche con le quali esse sarebbero in contraddizione, così le condizioni da cui un determinato mondo è definito escludono da quel mondo i possibili la cui natura non implica una realizzazione soggetta a quelle stesse condizioni; tali possibili sono pertanto al di fuori dei limiti del mondo considerato, ma non per questo sono esclusi dalla Possibilità, dato che si tratta per ipotesi di possibili, e nemmeno in casi più particolari, dall’Esistenza in senso proprio, ossia intesa come ciò che comprende tutto l’àmbito della manifestazione universale.

…Nell’Universo esistono molteplici modi di esistenza, e ciascun possibile ha il modo che conviene alla sua natura; ma parlare, come talvolta si è fatto, e proprio riferendosi alla concezione di Leibniz, di una sorta di ‘lotta per l’esistenza’ tra i possibili, significa possedere una concezione che non ha certamente nulla di metafisico, e tale tentativo di trasporre quella che è solo una semplice ipotesi biologica appare anzi del tutto incomprensibile…

…La distinzione fra il possibile e il reale, sulla quale parecchi filosofi hanno tanto insistito, non ha dunque alcun valore metafisico: ogni possibile è reale a modo suo, e nel modo che la sua natura comporta, altrimenti avremmo dei possibili che sarebbero niente, e dire che un possibile è niente è una contraddizione pura e semplice; è l’impossibile, e solo l’impossibile, a essere, come già si è detto, un puro nulla. Negare che si diano possibilità di non-manifestazione significa voler limitare la Possibilità Universale; d’altra parte, negare che, tra le possibilità di manifestazione, ve ne siano di differenti ordini significa restringerla ancora di più.

…Prima di proseguire faremo osservare che, invece di prendere in esame l’insieme delle condizioni che determinano un mondo, come abbiamo fatto in precedenza, si potrebbe anche, dallo stesso punto di vista, considerare singolarmente solo una di tali condizioni; per esempio fra le condizioni del mondo corporeo, lo spazio inteso come ciò che contiene le possibilità spaziali. E’ del tutto evidente che, per definizione, soltanto le possibilità spaziali possono realizzarsi nello spazio, ma non è meno evidente che questo non impedisce alle possibilità non-spaziali di realizzarsi anch’esse al di fuori di quella particolare condizione di esistenza rappresentata dallo spazio.

…Eppure, se lo spazio fosse infinito come taluni pretendono, nell’Universo non vi sarebbe posto per alcuna possibilità non-spaziale, per citare l’esempio più comune e noto a tutti, potrebbe allora venire ammesso all’esistenza solo a condizione di essere concepito come qualcosa di esteso, concezione di cui la stessa psicologia ‘profana’ riconosce senza alcuna esitazione la falsità; ma, lungi dall’essere infinito, lo spazio non è che uno dei possibili modi della manifestazione la quale poi a sua volta non è affatto infinita, nemmeno nell’interezza della sua estensione, con l’indefinità di modi che essa comporta, ciascuno dei quali è a sua volta indefinito…

…Analoghe osservazioni si potrebbero ugualmente applicare a qualunque altra particolare condizione di esistenza; e quel che è vero per ciascuna di tali condizioni presa singolarmente lo è anche per l’insieme di più condizioni, la cui unione o combinazione determina un mondo…

(R. Guénon)        














domenica 22 aprile 2018

...E SIAMO… STRAORDINARIAMENTE ... E ASSOLUTAMENTE… NOI… (19)



















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Da Castle Garden all'Impero (18/1)

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Breve Pensiero alla 'Parabola' offerto (20)













…Viaggeremo a bordo di un veicolo a motore elettrico di provenienza locale che abbiamo noleggiato…

Ancora nel viale di fronte a uno stupefatto Mr Beech, Brooks continuò a pontificare mentre lo chauffeur in uniforme aiutava i due Henry, Del e Caroline a salire sull’alta vettura a motore…

‘La guerra è una condizione naturale dell’uomo. Ma per quale scopo? Per l’energia…’…

‘Oh, per l’energia!’,

gridò contemporaneamente Henry Adams, mentre la sgraziata vettura elettrica, guidata dallo chauffeur in uniforme, avanzava lungo il parco, con ulteriore stupore di Mr Beech – e del cervo… Sui sedili posteriori Caroline e Adams si trovavano faccia a faccia con Del e Henry James.

‘Non ho mai sentito parlare Brooks parlare con un tono di voce tanto appassionato e, mi sia concesso, abbondante’

Henry James fece quel suo sorriso malizioso che Caroline aveva finito per trovare affascinante; per quanto lei poteva vedere James, sebbene non gli sfuggisse niente, non sembrava mai lanciare giudizi nei confronti di qualcuno…

‘Mi esaurisce’,

sospirò Adams.

‘E’ un genio, quello che lavora. Così lui finisce per … estrarmi, come oro o, per meglio dire, piombo da una miniera. Vedi dispongo di un gran quantità di teorie nebulose che lui fa diventare leggi ferree’…

‘Ma ci sono veramente leggi che governano il corso della Storia?’,

…chiese Del con curiosità improvvisa…




…E allora lor signori così come fu ed è nell’Eretico Viaggio con cui (con)divido cotal sofferto cammino in medesima macchina ‘incamminato’, mi sia concesso breve intervento lungo ugual passo accompagnato dalla vostra illustrissima artificiale artificiosa meccanica consistenza nutrita or ora da una scintilla mare nero donde ogni ricchezza di questa Terra così attraversata inseguita e corsa… Sicuramente non gradito l’intervento di chi non meglio e specificatamente Titolato al pari vostro, però rimembro ai cari signori assisi nel perenne viaggio fermo della Vita giacché meditate l’Impero, mentre  indistintamente operate sul singolo Elemento, perciò non abbiate paura sono uno di loro, una volta avevo un trono indistintamente diviso come un Giano Bifronte fra una grande Terra e medesima Speranza discesa in Terra… Ma qual Invisibile Elemento debbo prender atto della Parola mai recitata solo rinata… Dunque, essendo solo quello tratto nel vostro dispendioso e prezioso Tempo, urge il vento che lieve smuove le nobili vostre criniere… il finestrino è rimasto aperto, e quel che vedete o ammirate lungo il cammino solo la sostanza dell’Invisibile porre dubbio… Certo potete evitare codesto spiffero di vento, ma chi dopo di voi viaggerà per medesimo Sentiero il piffero diverrà trombone turbine e tempesta, non temete sono solo i rigori della velocità che così meditate dal trono di ogni dubbioso pensiero divenire, come dicevo, fastidioso Elemento penetrare nel piatto mare di codesto Oceano… Ecco! Qual Elemento vi narravo le Stagioni della vita mutate per ogni vostra teoria, mentre vi alternate compiaciuti alla carrozza e da questa sino all’elettrico movimento e poi ancora, tornare d’un sol colpo (a scoppio) al carbone dell’antica miniera forziere di cotal magnifico principio (fine di ogni èra), ma anche oggetto della disquisizione ragione del mio intervento…





Mi scusi signora; i capelli si sono un pochino smossi non vorrei rovinarle la nobile criniera taglio alla moda… Il popolo non l’acclamerebbe come la più bella… della Favola diletto di ogni fanciullo per ugual finestrino…

…Allora, come poco fa dicevo, mi sia concessa Invisibile Parola (anche se tutto pensate vedere scomporre e prevedere) in questo Dialogo cui traggo ispirazione circa il vero Principio della Vita, giacché intervengo anche se non certo gradito (come ogni soffio di vento poi bufera da medesima Rosa….), sono, come vi dicevo, un Invisibile Spirito entrato nella biblioteca dell’immenso sapere, ove se pur celebrata la nascita dell’Impero, ci deve esser consentito medesimo distinto Pensiero, il nostro si divise nel momento in cui il Sogno si infranse su dei barbari e ugual istinto di conquista, ed un Uomo sceso in Terra qual Profeta fondare nuova ed antica Regola… Fu, se non erro, ucciso in Primavera e nella stessa risorgere per ogni Secolo da quando, cioè, codesto fastidioso vento scompigliare la fiera capigliatura, qual Elemento lo rimembro al vostro immane ingegno mentre lo scorgiamo per ogni prato fiorito (divenuto nostro comune martirio) verde rinato da un sonno di ghiaccio; verde ove la Sua luce risplende trasformando in oro quanto il vostro impareggiabile argomento, e di cui, se pur vedete e disponete, ciechi di fronte alla vera ricchezza… Ebbene illustrissimi signori (non inforchi gli occhiali sembra ed appare più cieco di pria… è solo il Sole della Vita…) non visto medito quel valore che oscilla ondeggia indietreggia scende sale ed arrampica sino alla cima, che, né castello né grattacielo è ed era… Ogni tanto si riposa per ciò che nominate Arte donde derivata la Poesia della Vita…., ebbene, pur questa Prima Parola aver ornato con magnificenza la grande Economia…, avete frainteso il senso di tutto l’equilibrio ragione di medesima economica materia con cui condividete ogni guerra, così se pur ogni dimora gode i favori di codesta divina Parola…., le stagioni della Vita che andate così egregiamente apostrofando e sentenziando stanno mutando la fiera chioma ove cinta l’eterno elmo, le Stagioni della vita… Dicevo…, mutate indistintamente e con esse la vera e prima economia (giacché traete elemento dalla terra pur la saggezza dell’Universo disceso da un più alto e nobile Universo), principio su cui muovete l’arte dell’inutile parola…. 





Così, se prima erano Quattro Dee poi un Profeta, in nome e per conto dello stesso Universo rinato in Terra, ora ne possiamo dedurre e calcolare con ugual impareggiabile scienza economica… solo Due, il cui numero fu anche caro a Giamblico sia filosofo che passo da Poeta, non meno del Figlio e il suo Dio, e le rimanenti in opposta apparente guerra, rifondare la Parola da voi solo voi così magnificamente interpretata (se lo spartito non fosse del tutto diverso….): ossia applicando arguto economico monologo, se al principio fu Arte di un Dio ritrarre se stesso, ora insano paradossale conflitto di alterna èra: il freddo più cupo e l’infernale prometeico fuoco con cui qualche poeta ne trasse materia quando vagò per medesimo Sentiero giacché la via smarrita…. Inverno! Freddo senza clemenza alcuna come una steppa ferma nell’incuria privata del frutto del dovuto tempo…. Ed un fuoco qual caldo soffocante, donde, se pur, almeno così dicono, nascere la vita la parola e la ricchezza ragione dell’illuminato dialogo da cui l’inatteso intervento qual lieve spiffero di vento da un finestrino lasciato distrattamente aperto… Forse, solo per godere di un po’ di frescura che la velocità assicura per ogni nuova ed antica avventura… In verità e per il vero, dal fuoco opposto al gelo nascere diverso elemento che se pur da quello rimembrarne l’economico principio, in verità soffocato da solfurea nebbia che dallo stesso deriva… Gli elementi in principio furono quattro, anzi e fors’anche, ancor di più di quanto filosoficamente numerato cogitato in codesto sofferto ‘secondo’ opposti alternarsi nel sisma violento di cui l’attuale condizione così come interpreta la nuova vita…. E mi scusino loro illustrissimi signori giacché medito questo Eretico sofferto Pensiero a loro poco gradito, anch’io ho perso la retta via tutte le volte che vedo un Profeta inchiodato al legno della nuova Stagione del vostro nobile cammino… perdere d’improvviso l’oro della chioma all’inizio del Tempo come una Primavera lieve perire nel fuoco di uno strano Inferno…




…L’atmosfera, per tutto quell’episodio, si mescolò indissolubilmente all’insieme della mia impressione; senza dimenticare, ad esempio, il modo in cui ‘la condizione delle strade’ e l’aggressione dell’Aria intorbidita sembravano fare tutt’uno con l’aspetto, il trambusto, la qualità e la patina dell’insieme, la collaudata, abituale monotonia della folla e di tutto l’inutile rumore che da essa deriva sino a raggiungere il caos e non certo la vita…
(James & uno strano Invisibile Elemento)                

 


















domenica 15 aprile 2018

LA SCENA AMERICANA ovvero: ritorno in Terra dal Far West dell’esistenza (James 15/04/1843) (17)













































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Prima Poesia (dedicata ai duellanti) (16)

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Da Castle Garden all'Impero (18)












L’impressione, o la visione particolare che, di per sé, rispondeva alla grandiosità dell’argomento si sarebbe rivelata – credo – quell’ora di ampia circumnavigazione che trovai prescritta, in piena primavera, quale coronamento pressoché immediato al mio ritorno da un viaggio nel Far West…




…Il non essere costretto a perdere contatto e l’espansione dell’effetto dell’intero processo, prodotta dall’immediato galleggiare degli enormi vagoni incatenati tra loro, non solo senza fermate né confusione, ma quasi come omaggio concreto e prodigale per l’ozioso viaggiatore, ebbero senza dubbio parecchia influenza sul mio stato mentale successivo, su quella felice eccitazione, quella visione divertita della grande faccia di New York…




…Qualcosa nell’aria di quella particolare occasione e nell’atmosfera del momento fece sì che l’intero quadro parlasse col più ampio potere di suggestione: una suggestione davvero irresistibile, se solo risuona in tutta la sua limpidezza. Tutto, nel modo più assoluto, è espressione di un qualcosa che è stato realizzato in tempi recenti e che continua a essere realizzato quotidianamente su un vasto palcoscenico impersonale e sulla base di profitti smodati – di nient’altro, decisamente, tutto questo è espressione; e tuttavia, il senso di quella scena era perentorio ed per gli spettatori del palcoscenico elettrizzante, e, da un certo punto di vista, pressoché incantevole…




…Nel volgere lo sguardo rapito da questo mazzo di fiori architettonici, si coglie la ‘bellezza americana’, la rosa dello stelo interminabile, diventa l’essenza di tutto quell’agglomerato – con una intensità tale che di sicuro è più che sufficiente a siglare l’impressione finale che uno se ne fa. Si ha la sensazione che quella vegetazione sia cresciuta, dichiaratamente, soltanto per esser ‘colta’, a suo tempo, con un paio di cesoie; tagliata a pelo d’erba da un fato paziente la ‘scienza’, applicata al guadagno, lascerà cadere sul tavolo, dall’alto della manica, un’altra carta ancor più vincente. Non solo incoronati dalla storia, ma privi perfino di una credibile disponibilità di tempo per la storia, e consacrati a nient’altro se non all’uso commerciale più vieto (esportato e adottato qual principio unico della propria ed altrui esistenza), quei grattacieli sono semplicemente le note più acute di quel concerto di dispendiosa provvisorietà in cui si decanta la sensazione ultima che ci fa di New York. Non provano mai a parlarti, secondo il costume degli edifici più maestosi al mondo, come si è fin qui appreso a conoscerlo – quello di torri e templi, di fortezze e palazzi – con l’autorità propria delle cose che restano, o almeno di ciò che durano a lungo. Una storia vale solo fintantoché non ne viene raccontata un’altra, e i grattacieli rappresentano l’ultima parola in fatto di ingegnosità mercantile, finché non ne verrà scritta un’altra…





                                                 UN’ALTRA SCENA DA LONTANO


…Quel che appare ora non è certamente una diversa Storia, ma lei che narra le gloriose gesta, una Scena da lontano ugualmente ammirata urlata condivisa e glorificata, se pur l’architettura sembra difettare di altezza, siate pur certi che la 'medesima' racchiusa entro e fuori una tenda entro e fuori le mura di una castello e l’urbe che questo sottintende, non fanno variare la materia della presunta statura decantata che vorrebbe porre differenza nella propria ed altrui sostanza (comunità e stati – uniti & divisi da medesimo progresso giostrato…), il difetto nasce da medesima e presunta 'altezza' cresciuta che sia anche umana ciò ci fa nascere paradossi circa la difettevole natura derivata…




…Se l’ideale cavalleresco doveva così cedere davanti agli interessi reali, pur tuttavia rimasero sufficienti occasioni per ornare la guerra ed i suoi preziosi e vasti possedimenti di belle nonché ingannevoli apparenze…

…Che ebbrezza d’orgoglio doveva provenire dai preparativi della battaglia così variopinti e tanto pieni di millanteria! Verso la fine del secolo decimo quinto compaiono i lanzichenecchi coi grandi tamburi, uso questo tolto dall’Oriente. Colla sua azione ipnotica e poco musicale, il tamburo simboleggia chiaramente la transizione dell’epoca cavalleresca a quella militare moderna; esso è uno degli elementi della meccanizzazione della… guerra!




…Intorno al 1400 è ancora in pieno vigore la bella e quasi giocosa suggestione della personale gara per la gloria e l’onore: i cimieri e i blasoni, le bandiere e le grida di guerra conservano ai combattimenti un carattere individuale e l’apparenza di uno sport… L’intero giorno precedente si odono le grida dei diversi signori rivaleggianti in una gara di orgoglio. Prima e dopo il combattimento c’è la sensazione delle collate e delle promozioni di rango: i cavalieri diventano alfieri mediante un taglio della punta del loro pennoncello. Il celebre campo di Carlo il Temerario davanti a Neuss somiglia col suo splendore, ad una corte: alcuni dei cavalieri hanno fatto erigere la loro tenda in forma di un castello, circondato da gallerie e giardini…




…Dappertutto trapela però la finzione, l’effetto scenico su cui costruire e modellare future imponenti civiltà…

…La realtà smentisce continuamente l’ideale; ed è perciò che l’ideale si ritira sempre nella sfera della letteratura…




…Del resto la realtà costringeva in tutte le maniere gli spiriti a rinnegare l’ideale cavalleresco: l’arte militare non si conformava più ormai da molto tempo, alle norme del torneo: la guerra dei secoli decimo quarto e decimo quinto operava con agguati e sorprese, era una guerra di scorrerie ed assalti briganteschi… La carriera delle armi aveva per i nobili un suo lato finanziario di cui si parla spesso con tutta franchezza: ogni pagina della storia militare del basso Medioevo ci fa intendere quanta importanza si annettesse al fatto di poter fare dei prigionieri ragguardevoli, in vista del riscatto. Nel ‘Combat des trente’ il miglior combattente di parte inglese era un certo Crokart, a suo tempo al servizio dei signori di Arkel. Si era acquistato in guerra una bella sostanza: almeno 60.000 corone e una scuderia di trenta cavalli; inoltre era venuto in gran fama di valoroso, sì che il re di Francia gli promise la nobiltà e un matrimonio con una nobildonna, se avesse voluto farsi francese. Questo Crokart tornò colla sua gloria e le sue ricchezze in Olanda, e visse da gran signore; ma i signori olandesi sapevano molto bene chi egli fosse, lo evitarono deliberatamente, di modo che tornò nel paese ove si sapeva meglio apprezzare le doti della giostra guerresca…




…Fintanto che non si approda in nuova colonica terra Far West dell’infinita scena…   

(James & J. Huizinga)






















giovedì 12 aprile 2018

REGRESSIONE MITOLOGICA ovvero: la morte del Sogno e della Parola (14)









































Precedenti capitoli:

Il Sogno di un Dio incompreso (13)

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...del Sogno e della Parola (Seconda Parte) (15)














Premetto, nel proseguo del precedente da cui il presente post posto, di non conoscere profondamente l’opera di Holderlin da cui la Poesia tratta ed introdotta, solo di provare in talune sue Parole (come in altri poeti….) affinità e spirituale appagamento, come udire e percepire cioè ugual mio Sogno e Parola dal ‘pazzo’ non meno del sottoscritto espressa, attenente e confacente alla vera e sana ‘normalità’ cui l’uomo dovrebbe o potrebbe aspirare…

…Da ciò per molti e non solo addetti ai lavori quale vero confine che unisce e divide nell’interpretare il vasto regno della pazzia confrontato con quello odierno della normalità, preferisco così come molti altri pazzi del remoto e presente similar Tempo la spirituale Parola profondo Sogno e motivazione di taluni ispirati ‘pazzi’ i quali riescono ad esprimere e risolvere la ‘normalità’ da cui il vero Principio della Vita deriva, così come ogni Profeta costretto alla croce nello strano crocevia di questa terrena vita…

…E la ‘pazzia’ confinare non la ‘normalità’ ma il Principio della Vita…

…Da ciò ne derivano una infinita armonica e disarmonica consistenza di Riflessioni (così come quelle espresse e in parte condivise dell’Omonimo circa il mito….), Studi Filosofie Dottrine e Teologiche medesime ed opposte scienze e premesse entro i termini, però, di ciò che la Ragione impone descrive accerta e risolve concretizza formalizza riduce e circoscrive da l’astratto apparente donde il tutto deriva e non ancora del tutto, nonostante la nuova fiera scienza della psicologia, vorrebbe risolvere quale nuova dottrina, riducendo l’immateriale donde proveniamo ad un circoscritto Tempio entro e non oltre i confini, o peggio, il recinto di un ristretto Albergo così come la vita ciclicamente tende risolvere l’‘equazione’ nel fattore fisico e materiale del Tempo…

…Riconosciamo per cui nel breve Frammento o ‘Tratto’ di pennello, similar capacità evocativa con la quale la Poesia esplicita e risolve molto di più; formalizza e sottintende molto più di quanto detto o velatamente espresso, negando a questa una presunta oracolare verità e non certo relegata nel vasto sogno di astratta fantasia o similar bugia…, introduciamo una più vasta e profonda ‘retorica’ che certo non dall’astratto deriva ma quanto l’Anima e lo Spirito abbisognano per placare istinti e intendimenti nella ‘pace e benessere’ (anche e soprattutto interiore) riflessi indicati ed auspicati così come da un fidato amico dell’Omonimo espresso…

…Anche se spesso di fronte ad astratti miti nei quali la stessa [retorica storia] si esplicita tendiamo a rimuovere con ‘iconoclastico’ distinguo ciò in cui anche la Storia si compone dissolvendo medesimo ‘geroglifico’ - Infinto al Tempo (risolto dallo scienziato antropologo così come dal Teologo) - numerando per molti secoli ciò in cui ‘ammesso e non concesso’ la soluzione rappresentativa dell’Icona qual immagine principio di adorazione e rappresentazione [evoluzione del mito detto], e così, medesimo Uno risolversi frammentarsi annullarsi e formalizzarsi nel proprio opposto… di quanto raffigurato principio del Santo pregato in ragione del contrario esorcizzato: la Guerra...

…Si è portati ad escludere e rimuovere - così come l’Omonimo citato - motivati da principi e conflittuali sentimenti pagani e cristiani nel voler velatamente spiegare e risolvere la questione del mito richiamato ‘a forza’ quale soluzione convergente di uno Stato in cui in questo conosceva il proprio ed altrui fondamento quindi di unità, costretto per cui a ‘scrivere una cosa e pensarne un’altra’ (di similar teologica consistenza di quanto apparentemente avversato) l’Omonimo esplicitava il proprio sfogo e platonico dissenso di quanto ‘paradossalmente’ in verità riluceva (pochi hanno intuito nel Pagano un più profondo ed Eretico credente di quanto la Storia abbia tramandato) nell’opposto di quanto dalla folla reclamato nell’improvvisa dissoluzione di qualsivoglia stato principio e Dio… nei tanti Dèi pregati… (l’inversione Dio e Dèi non è certo casuale….)…

…Purtroppo il compito di taluni i quali come un tempo nell’Impero riflesso ricoprivano la ‘triplice’ carica a loro ‘offerta designata e/o riconsegnata’ medesima corona di spine che sempre dallo stesso popolo deriva, imponeva di ricoprire anche la regalità di cui ogni Re manifesta ed incarna Credo Giustizia e Difesa… in contrasto con il ‘nuovo’ cui la Storia evolve e trasforma quanto nell’equilibrio edificato, vedendo e scorgendo la minaccia (del ‘nuovo’ detto) in ciò cui ‘nominato e coronato’ rischia risolversi in globale rovina… (e qui risolviamo ed imponiamo anche nuova ‘antropologica’ ed inattesa  premessa: il ‘doppio sacrificio’ della e nella Storia posto, qualcuno ha risolto svelando medesimo amletico sofferto passo nella risoluzione e dissoluzione della ‘Religione impura’ riconducendo impropriamente ed in qual tempo ‘ellenizzato’ in giudaico accordo tradotto quanto ‘apparente’ medesimo diverbio…, peccato che tal testo dello Scrofani da una biblica condizione posta il quale Giuliano con fermezza dismetteva qual fonte di conoscenza…. Semmai possiamo tradurre e giammai interpretare ma solo leggere la ‘doppia premessa’ di un ‘doppio sacrificio’ cui due vittime innocenti motivati da ugual buoni principi risolversi e confrontarsi per il bene e la pace di ognuno in Terra predicato… ed altresì interpretato indistintamente da ugual ‘dissoluzione’ uno per ragion di Stato gli altri per concorde disfacimento ma unanime elevamento della stessa ‘dissoluzione’ da cui motivati e perseguitati ma lontani dall’originale primitivo messaggio reclamato…)…

…Anche oggi fermi in medesimo amletico dissolvimento: la folla unita divisa e protesa nella pace reclamata ed ostentata con scenari e spettacoli di massa nascondere diversa natura e sostanza non meno come qualcuno interpretò la scrittura dell’Omonimo detta…, nel clandestino difeso, però nella sostanza frammentata in ogni Stato e il principio rappresentativo che ne deriva in cui questo si riconosce quale diritto negato e/o sottratto oppur manifesto ed ostentato il quale sottintende ed esprime la corretta interpretazione dell’evoluzione raggiunta nello stesso, rappresentando poi in privato il proprio personale ed assoluto dissenso…

…Per cui ripeto e filosoficamente esplicito ed ereticamente risolvo nell’affermare che ancor oggi fermi allo stesso medesimo inciampo, mentre la Ragione impone una più ampia riflessione la quale dall’Omonimo ispirata può e deve evolvere e non certo convergere, in quanto per convergenza spesso si intende univoca e globale premessa… e catastrofica apocalittica paradossale ortodossa sentenza,  privata cioè di qualsivoglia soluzione di continuità per il miglioramento di ciò che ugual Fede impone senza però cadere nel profondo baratro della stessa (Stori(c)a (e) sentenza) con la Guerra per ogni confine posta quale unica e molteplice parola risolutiva anche se purtroppo questa deriva dalla pace pregata, così come il Paganesimo in difetto ed in contrasto con la nuova Fede posta anche in quella Antiochia dove il diverbio ampio e di vasto ragionato dibattito…

…Per cui torno - privato e disarmato - da qualsiasi sarcasmo e giammai incarnare o recitare qualsivoglia pazzia preferendola e abdicandola alla grande massa che prega si inchina e poi tacitamente si appresta, volontariamente o non, ad accettare la guerra ed ogni guerra vera ragion di collettiva pazzia. La guerra ogni guerra è un atto di esplicito regresso ed anche se l’uomo su questa verità antropologica ha costruito ogni valore e fondamento della storia, noi lo riconosciamo e traduciamo in maniera univoca come l’inutile prodotto della materia impropriamente evoluta sino all’assurdo di quanto ciclicamente manifesto…

…Entro e non oltre il Tempo in cui questa si esplicita e formalizza si può e deve intervenire senza permettere alla ‘materia’ ogni ulteriore pretesa di conquista… il che vuol dire che quando questa si palesa intercorrono ‘lassi di tempo’ di ‘silenzio’ con le proprie apparenti ragioni di svolgimento - improprie espressioni dello stesso (e conseguente ‘visibile ed invisibile’ falso benessere innestato [ed in borsa quotato] inversamente proporzionale allo stesso [tempo] impiegato per ‘identica’ Ragione comprenderne e raccoglierne i frutti sempre seminati nel male arrecato e nella successiva guerra in nome e per conto di unanime ‘materia’ offerta; maggiormente ed impropriamente lunghi i tempi di ‘complice intesa’ inversamente proporzionati e brevi all’opposta divergente sorpresa per ogni guerra alla fine pretesa ed offerta…) ed infruttuosi frammenti dello stesso [minuti ore giorni ed anni] ove ognuno semina e raccoglie quanto questa infausta ‘espressione’ compare nel formare l’impropria matematica del tempo, sottintendendo altresì, oltre un linguaggio perennemente presente in ogni mitologica estrapolazione donde l’eroe che ne deriva sopprimere ciò che per lui il male della terra…, anche l’inutile violenza nutrire ed appagare il mito in cui l’humano evoluto ancora impropriamente (i)spirato…

…Il dispiegamento del male si risolve e compone nei tempi che intercorrono nella soluzione cui ognuno assente per materiale principio posto, come il dannoso problema delle armi in America. Gas ed Armi appartengono e traggono il proprio malefico principio da un presunto linguaggio derivato e composto di reciproca sussistenza non meno di un simmetrico ed uguale divergente principio tradotto in materiale ed economica deficienza posto che nella guerra prospera edifica… o ancor peggio… pone improvvisa risvegliata sollecitata coscienza premettendo, o peggio, sperando in una globale unanime demenza… e servile sudditanza…

…Per cui procedo a quanto detto circa la Poesia ed ogni Arte che da questa deriva con la Natura prima Musa, utopicamente sperando che l’uomo evoluto riconosca il mito sottratto da cui ogni Parola deriva, possa motivare più di quanto lo stesso codificato e impropriamente derivato dedotto e evoluto, gli odierni risultati parlano ed enunciano da soli senza che mi dilungo su tal premessa…

(Giuliano)   
























mercoledì 4 aprile 2018

IL SACRIFICIO (10)


















Precedenti capitoli:

La (co)scienza dell'Universo sottratta all'umana violenza (9)

Prosegue in:

Il Sacrificio ovvero: sfidare la violenza (11)














Il problema del controllo della violenza emerge ora più che mai in tutta la sua gravità: se ‘quella strana attività che chiamiamo ‘guerra’ poté vedere la luce, evidentemente erano già stati sviluppati meccanismi che preservano dai comportamenti aggressivi un’area ben delimitata, i cui confini non hanno nulla di naturale:  

La guerra si sviluppa in maniera evidente tra gruppi molto vicini, ossia tra uomini che nulla obiettivamente distingue sul piano della razza, del linguaggio, delle abitudini culturali. Tra l’esterno nemico e l’interno amico, non c’è reale differenza e non si capisce come dei montaggi istintuali potrebbero spiegare la differenza di comportamento.  




Affermare che esiste un istinto naturale a preservare i propri congiunti è evidentemente privo di senso, dal momento che, come è ben visibile, tra gli umani l’assassinio intrafamigliare esiste, anche se non è la regola. Si deve quindi supporre che, proprio quando l’aumento dell’aggressività mimetica ha messo ha rischio la nascente specie umana, un meccanismo nuovo si sia innescato; si tratta, secondo Girard, del fenomeno della vittimizzazione del capro-espiatorio:

Oltre una certa soglia di potenza mimetica, le società ‘animali’ diventano impossibili. Questa soglia corrisponde dunque alla soglia di apparizione del ‘meccanismo vittimario’; è la soglia dell’ominizzazione.




Tale meccanismo non è del tutto assente negli animali; Girard cita a riguardo alcune notissime osservazioni di Lorenz:

Quando due oche avvicinandosi mostrano segnali di ostilità, il più delle volte convogliano la loro aggressività reci-proca contro un oggetto terzo.

Questo comportamento cementa il legame tra gli individui dal punto di vista che,  scrive Lorenz, ‘l’aggressività discriminatoria verso gli estranei e il vincolo fra i membri del gruppo si intensificano a vicenda’.

Tale fenomeno può essere considerato come il primo abbozzo del futuro meccanismo vittimario proprio nel suo ruolo di forza ‘idraulica’ che tende a scaricare l’aggressività interindividuale su terzi, ma l’insufficiente potenza mimetica di cui sono dotati gli animali non-umani impedisce che al processo partecipi l’intero gruppo.




Non scatta cioè, negli animali, quel meccanismo che sembra essere il vero segreto dell’umanità, ossia l’omicidio collettivo; perché ciò accada, è necessario che la crisi dovuta alla rivalità tra due individui sfoci in quella lotta generalizzata di tutti contro tutti che, secondo l’intuizione hobbesiana, costituisce la minaccia gravante in permanenza sui gruppi umani.

L’inizio dell’umano deve perciò essere posto nel momento di massima crisi, al culmine di quell’implosione sociale che colpisce un gruppo ormai incapace di conformarsi ai ‘dominance patterns’, così efficaci per animali dotati di una potenza mimetica inferiore. Nulla, nella costituzione umana, mira a quest’inizio: è altamente probabile che molti gruppi non abbiano una soluzione né istintuale né culturale al problema e si sono semplicemente estinti. Ma alcuni gruppi hanno trovato il mezzo per sopravvivere proprio nel momento più difficile, ridirigendo la violenza di tutti contro tutti verso un unico individuo. Proprio la potenza della mimesi ha convogliato su un’unica vittima gli impulsi violenti: la violenza indiscriminata ha prodotto un fenomeno di capro-espiatorio, ossia l’uccisione collettiva di un ‘unico’ individuo che si è trovato a essere in condizione di estrema debolezza, non difeso da nessuno.




Si tratta della tesi girardiana del ‘linciaggio fondatore’, da lui elaborata in relazione alla nascita di un ordine culturale dopo una crisi ma applicabile anche alla nascita dell’umano in senso assoluto, a partire da crisi remotissime intervenute nelle prime fasi dell’evoluzione, quando l’accresciuta potenza imitativa appena conseguita con l’incremento delle facoltà cerebrali ha infranto l’equilibrio sul quale si fondavano i gruppi pre-umani.

Non vi è ragione per pensare che la violenza sia in grado di dirigersi da sé verso l’esterno: al contrario, la rabbia, quando ci si abbandoni a essa, è centripeta. Più è esasperata, più tende a orientarsi verso gli esseri più vicini e più cari, quelli che in tempi normali sono meglio protetti dalla regola della non-violenza. E’ fondamentale comprendere come Girard non riconduca il problema del sovrappiù di aggressività degli esseri umani a un inspiegabile ‘istinto’, a una tendenza al male innata nell’essere umano: ‘esso fa tutt’uno con il sovrappiù di mimetismo legato all’accrescimento del cervello’.




Gli umani non sono né più buoni né più malvagi degli altri animali: semplicemente, imitano più intensamente, portando così all’estremo sia gli elementi positivi della facoltà di apprendere dai propri simili sia quelli negativi consistenti nello scatenare conflitti privi di soluzione pacifica. Se le rivalità umane hanno assai di frequente quale risultato finale l’assassinio, come è largamente constatabile, le teorie che postulano un accordo con cui gli umani avrebbero deciso di sospendere la violenza peccano di ingenuità: nell’escalation della violenza la probabilità che i contendenti si siedano intorno ad un tavolo per fissare regole e divieti è nulla.

Porre quindi l’origine delle società umane in un ‘patto sociale’, come hanno fatto per secoli filosofi contrattualisti, è indulgere a una visione eccessivamente razionalistica delle cose umane. La violenza può essere fermata solo da un evento dal forte impatto emotivo, che doni la pace al gruppo quasi senza che gli umani sappiano come e perché. Il carattere congetturale di questa ricostruzione è potenzialmente rafforzato dall’esame dei miti fondatori dei popoli dell’intero pianeta: all’inizio vi è, quasi sempre, un omicidio, dal quale sono scaturite le istituzioni sociali e, in primo luogo, ‘la religione’ con i suoi riti e i suoi divieti.




Per spiegare l’assoluta preminenza del religioso nelle società arcaiche e, al suo interno, di riti di distruzione quali il sacrificio, è necessario formulare l’ipotesi che l’atto fondativo del sacro abbia coinciso con l’origine della società stessa e sia stato un atto violento. Possiamo cioè supporre che, all’apparire di una prima crisi di violenza interna, il parossismo mimetico abbia portato la collettività a far convergere l’aggressività verso un ‘unico individuo’, ucciso unanimemente da tutti gli altri: la furia, oramai priva di un oggetto, cessa improvvisamente, provocando un mutamento emotivo talmente brusco da far concentrare tutta l’attenzione del gruppo sulla vittima. Essa viene vista come responsabile dello straordinario passaggio dall’eccitazione alla calma, assumendo così agli occhi dei suoi linciatori uno ‘status’ del tutto eccezionale, preludio alla sua collocazione in una categoria differente da quella degli individui comuni.




Davanti al cadavere della vittima si ha l’inizio del sacro, da intendersi come la categoria dell’assolutamente eterogeneo. L’ambivalenza dei sentimenti provati dalla vittima, prima accusata e fatta a pezzi, poi ritenuta autrice della rinnovata concordia sociale, spiega la duplice natura del sacro, al tempo stesso malefico e benefico. La calma ritrovata può, però, essere nuovamente perduta con grande facilità; la vittimizzazione del capro-espiatorio è insufficiente a spiegare la stabilità dei gruppi umani, a meno che non sia possibile ricavarne un meccanismo capace di prolungare la durata dell’effetto pacificatore. Tale pratica, attestata presso tutte le civiltà, è il sacrificio, che può essere definito come la prima manifestazione della religione e, con essa, dell’intera cultura.

La classificazione degli esseri dipende, nella prospettiva di Girard, dalle pratiche sacrificali, prima scuola di pensiero dell’uomo e luogo in cui si sono forgiati gli strumenti intellettuali che hanno caratterizzato la successiva evoluzione. Sarà dunque qui che andrà ricercata la prima origine del giudizio con cui l’uomo si attribuisce le prerogative divine, trasceglie e separa se stesso dalla folla delle altre creature, fa le parti agli animali suoi fratelli e compagni, e distribuisce loro quella porzione di facoltà e di forze che gli piace.

 (M. Calarco, di fronte al volto degli animali)