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La (co)scienza dell'Universo sottratta all'umana violenza (9)
Prosegue in:
Il Sacrificio ovvero: sfidare la violenza (11)
Il problema del controllo della violenza emerge ora più che mai in
tutta la sua gravità: se ‘quella strana attività che chiamiamo ‘guerra’ poté
vedere la luce, evidentemente erano già stati sviluppati meccanismi che preservano
dai comportamenti aggressivi un’area ben delimitata, i cui confini non hanno
nulla di naturale:
La guerra si sviluppa in maniera evidente tra gruppi molto vicini,
ossia tra uomini che nulla obiettivamente distingue sul piano della razza, del
linguaggio, delle abitudini culturali. Tra l’esterno nemico e l’interno amico,
non c’è reale differenza e non si capisce come dei montaggi istintuali
potrebbero spiegare la differenza di comportamento.
Affermare che esiste un istinto naturale a preservare i propri
congiunti è evidentemente privo di senso, dal momento che, come è ben visibile,
tra gli umani l’assassinio intrafamigliare esiste, anche se non è la regola. Si
deve quindi supporre che, proprio quando l’aumento dell’aggressività mimetica
ha messo ha rischio la nascente specie umana, un meccanismo nuovo si sia
innescato; si tratta, secondo Girard, del fenomeno
della vittimizzazione del capro-espiatorio:
Oltre una certa soglia di potenza mimetica, le società ‘animali’
diventano impossibili. Questa soglia corrisponde dunque alla soglia di
apparizione del ‘meccanismo vittimario’; è la soglia dell’ominizzazione.
Tale meccanismo non è del tutto assente negli animali; Girard cita
a riguardo alcune notissime osservazioni
di Lorenz:
Quando due oche avvicinandosi mostrano segnali di ostilità, il più
delle volte convogliano la loro aggressività reci-proca contro un oggetto
terzo.
Questo comportamento cementa il legame tra gli individui dal punto di
vista che, scrive Lorenz, ‘l’aggressività discriminatoria verso gli
estranei e il vincolo fra i membri del gruppo si intensificano a vicenda’.
Tale fenomeno può essere considerato come il primo abbozzo del futuro
meccanismo vittimario proprio nel suo ruolo di forza ‘idraulica’ che tende a
scaricare l’aggressività interindividuale su terzi, ma l’insufficiente
potenza mimetica di cui sono dotati gli animali non-umani impedisce che al
processo partecipi l’intero gruppo.
Non scatta cioè, negli animali, quel meccanismo che sembra essere il
vero segreto dell’umanità, ossia l’omicidio collettivo; perché ciò accada, è
necessario che la crisi dovuta alla rivalità tra due individui sfoci in quella
lotta generalizzata di tutti contro tutti che, secondo l’intuizione hobbesiana,
costituisce la minaccia gravante in permanenza sui gruppi umani.
L’inizio dell’umano deve perciò essere posto nel momento di massima
crisi, al culmine di quell’implosione sociale che colpisce un gruppo ormai
incapace di conformarsi ai ‘dominance patterns’, così efficaci per animali
dotati di una potenza mimetica inferiore. Nulla, nella costituzione umana, mira
a quest’inizio: è altamente probabile che molti gruppi non abbiano una soluzione
né istintuale né culturale al problema e si sono semplicemente estinti. Ma
alcuni gruppi hanno trovato il mezzo per sopravvivere proprio nel momento più
difficile, ridirigendo la violenza di tutti contro tutti verso un unico
individuo. Proprio la potenza della mimesi ha convogliato su un’unica vittima
gli impulsi violenti: la violenza indiscriminata ha prodotto un fenomeno di
capro-espiatorio, ossia l’uccisione collettiva di un ‘unico’ individuo che si è
trovato a essere in condizione di estrema debolezza, non difeso da nessuno.
Si tratta della tesi girardiana del ‘linciaggio fondatore’, da lui
elaborata in relazione alla nascita di un ordine culturale dopo una crisi ma
applicabile anche alla nascita dell’umano in senso assoluto, a partire da crisi
remotissime intervenute nelle prime fasi dell’evoluzione, quando l’accresciuta
potenza imitativa appena conseguita con l’incremento delle facoltà cerebrali ha
infranto l’equilibrio sul quale si fondavano i gruppi pre-umani.
Non vi è ragione per pensare che la violenza sia in grado di dirigersi
da sé verso l’esterno: al contrario, la rabbia, quando ci si abbandoni a essa,
è centripeta. Più è esasperata, più tende a orientarsi verso gli esseri più
vicini e più cari, quelli che in tempi normali sono meglio protetti dalla
regola della non-violenza. E’ fondamentale comprendere come Girard non
riconduca il problema del sovrappiù di aggressività degli esseri umani a un
inspiegabile ‘istinto’, a una tendenza al male innata nell’essere umano: ‘esso
fa tutt’uno con il sovrappiù di mimetismo legato all’accrescimento del
cervello’.
Gli umani non sono né più buoni né più malvagi degli altri animali:
semplicemente, imitano più intensamente, portando così all’estremo sia gli
elementi positivi della facoltà di apprendere dai propri simili sia quelli
negativi consistenti nello scatenare conflitti privi di soluzione pacifica. Se
le rivalità umane hanno assai di frequente quale risultato finale l’assassinio,
come è largamente constatabile, le teorie che postulano un accordo con cui gli
umani avrebbero deciso di sospendere la violenza peccano di ingenuità:
nell’escalation della violenza la probabilità che i contendenti si siedano
intorno ad un tavolo per fissare regole e divieti è nulla.
Porre quindi l’origine delle società umane in un ‘patto sociale’, come
hanno fatto per secoli filosofi contrattualisti, è indulgere a una visione
eccessivamente razionalistica delle cose umane. La violenza può essere fermata
solo da un evento dal forte impatto emotivo, che doni la pace al gruppo quasi
senza che gli umani sappiano come e perché. Il carattere congetturale di questa
ricostruzione è potenzialmente rafforzato dall’esame dei miti fondatori dei popoli
dell’intero pianeta: all’inizio vi è, quasi sempre, un omicidio, dal quale sono
scaturite le istituzioni sociali e, in primo luogo, ‘la religione’ con i suoi
riti e i suoi divieti.
Per spiegare l’assoluta preminenza del religioso nelle società arcaiche
e, al suo interno, di riti di distruzione quali il sacrificio, è necessario
formulare l’ipotesi che l’atto fondativo del sacro abbia coinciso con l’origine
della società stessa e sia stato un atto violento. Possiamo cioè supporre che,
all’apparire di una prima crisi di violenza interna, il parossismo mimetico
abbia portato la collettività a far convergere l’aggressività verso un ‘unico individuo’,
ucciso unanimemente da tutti gli altri: la furia, oramai priva di un oggetto,
cessa improvvisamente, provocando un mutamento emotivo talmente brusco da far
concentrare tutta l’attenzione del gruppo sulla vittima. Essa viene vista come
responsabile dello straordinario passaggio dall’eccitazione alla calma, assumendo
così agli occhi dei suoi linciatori uno ‘status’ del tutto eccezionale,
preludio alla sua collocazione in una categoria differente da quella degli
individui comuni.
Davanti al cadavere della vittima si ha l’inizio del sacro, da
intendersi come la categoria dell’assolutamente eterogeneo. L’ambivalenza dei
sentimenti provati dalla vittima, prima accusata e fatta a pezzi, poi ritenuta
autrice della rinnovata concordia sociale, spiega la duplice natura del sacro,
al tempo stesso malefico e benefico. La calma ritrovata può, però, essere
nuovamente perduta con grande facilità; la vittimizzazione del capro-espiatorio
è insufficiente a spiegare la stabilità dei gruppi umani, a meno che non sia
possibile ricavarne un meccanismo capace di prolungare la durata dell’effetto
pacificatore. Tale pratica, attestata presso tutte le civiltà, è il sacrificio,
che può essere definito come la prima manifestazione della religione e, con
essa, dell’intera cultura.
La classificazione degli esseri dipende, nella prospettiva di Girard,
dalle pratiche sacrificali, prima scuola di pensiero dell’uomo e luogo in cui
si sono forgiati gli strumenti intellettuali che hanno caratterizzato la
successiva evoluzione. Sarà dunque qui che andrà ricercata la prima origine del
giudizio con cui l’uomo si attribuisce le prerogative divine, trasceglie e
separa se stesso dalla folla delle altre creature, fa le parti agli animali
suoi fratelli e compagni, e distribuisce loro quella porzione di facoltà e di
forze che gli piace.
(M. Calarco, di fronte al volto degli animali)
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