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Con Giuliana (Facciatonda) & Rinconetto
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Il male del nostro Secolo (9)
Costantinopoli, gennaio-maggio 362
Perché
esiterei a salutare il nobile Proeresio, uomo che riversa torrenti di
eloquenza, come i fiumi riversano le loro correnti nelle pianure, emulo di
Pericle nell’oratoria, escluso il fatto di turbare e ‘gettare lo scompiglio in
Grecia’?
Non bisogna
meravigliarsi se io imito verso di te la brevità laconica: infatti, a voi
sapienti conviene fare discorsi lunghi e di carattere elevato, a noi invece
sufficiente rivolgervi anche solo poche parole.
Sappi,
dunque, che numerosi impegni mi assalgono da ogni parte. Quanto ai motivi della
mia calata, se vuoi scrivere un’opera storica, ti farò conoscere ogni
particolare nel modo più esatto, dandoti le Lettere qui presenti e frammenti
delle stesse affinché meglio tu possa comprendere.
Se invece
hai deciso di perseverare fino alla vecchiaia ostinandoti, pur l’apparenza, a
non accettare, come del resto faccio io, talune sottigliezze eretiche conformi
alla comune tolleranza, ti informo e in qual tempo aggiorno, avendo cura di
accettare la Divinità di quanto preghiamo. La Divinità della Natura intera
specchio del comune Dio adorato come studiato non men che pregato; se invece
preferisci declamazioni oratorie, o ancor peggio, ‘bolle e proclami’, allora forse non mi criticherai per il dovuto
silenzio che in tal proposito ripongo.
Costantinopoli, tarda Primavera 362
Il
proverbio dice:
‘non è una
dichiarazione di guerra’;
io
aggiungerei una citazione della commedia:
‘o tu che annunci parole d’oro’.
Mi ricordo
infatti superata la primavera, in estate avanzata, fors’anche in età giovane se
pur avanzata, rimasi sventurato e perso lungo una spiaggia. Non un riparo,
neppure un amico, una spiaggia ed un ampio mare, mi ricordo che mi venni in
aiuto ed ebbi momentaneo alloggio prima di imbarcarmi verso la perduta patria.
L’amata Grecia.
Ed allora,
rimembrando tale episodio, su, dunque, affrettati a venire verso la terra donde
ti scrivo.
Tu
giungerai benvenuto amico presso un amico!
La comune e
continua costante occupazione negli affari pubblici sembra insopportabile a
coloro che vi si dedicano non occasionalmente. Ma coloro che condividono le mie
attività sono uomini abili quanto onesti, esperti e tutti idonei a qualsiasi
compito.
I nostri
reciproci rapporti devono intendersi privi della classica falsità
dell’ipocrisia cortigiana o ancor peggio ciarliera di altre commedie che mi
astengo di rinnovare, secondo cui quelli che ci lodano odiano di un odio così
grande, quanto non provano neppure per il peggiore dei nemici.
Noi invece,
che a qualcosa se pur un tempo divisi ma ora dalla comune Divinità uniti
conformi al Sacro celebrato e difeso, intendiamo e per questo crediamo e per
sempre crederemo ancora, se pur quando occorre rimproverandoci vicendevolmente
con giusta sincerità, ci rispettiamo ed amiamo, o almeno dovremmo, come Fratelli
non meno di grandi amici.
Forse ti ho
annoiato e stordito con la presente, forse pecco di eccesso di vanità, sappi
che non è vero, sono sempre austero come il Giuliano di un tempo, però sono
convenuto ad una più profonda Riforma che come ben vedo, anche te nell’ambito
della Diocesi stai maturando.
Ebbene che
i nostri reciproci comuni esempi come la presente Epistola siano di buon
esempio per gli stessi medesimi Principi per cui lottiamo in nome di quella
Divinità e Sacralità persa dimessa ed abdicata ad altro.
Sai bene
ciò che intendo e velatamente taccio!
I tempi mio
caro amico sono irrimediabilmente cambiati eppure uguali, e non sufficiente un
Tempio una Altare una Chiesa per rinsaldare il Tempo perso, tutto in rovina, mi
astengo dagli antichi inutili sacrifici giacché non oso nel rispetto della Vita
(e la Natura che al meglio la compone o dovrebbe), la quale sembrerebbe
rispondere nella dovuta Rima.
Non proseguo
per questo difficile Sentiero, peccherei di nuovo di profonda eretica
riflessione filosofica…
Costantinopoli, maggio 362
Che la
Scienza medica sia salvatrice per gli uomini, non meno di quella Sacra, anzi
unite possano compiere opera e miracolo in merito alla Vita, l’una abbisogna
dell’altra, senza, come sopra detto, annullarsi a vicenda, ma correre l’una in
aiuto dell’altra in nome di ugual medesima Scienza.
Due Scienze
se pur apparentemente ed in un remoto Tempo divise, ora unite, nel formare l’uomo
nella Sacra Dottrina della Vita.
Ciò che
scrivo in questa breve lettera lo attesta l’evidenza del bisogno, oltre i
tristi fatti che ci circondano, e di cui, nessuno escluso, siamo testimoni
della Storia, dacché i discepoli dei Filosofi giustamente proclamano che
anch’essa è discesa dal cielo; per mezzo suo, infatti, sono riparate le
debolezze della nostra natura e delle malattie, oltre della carne anche dello
Spirito, che vi si aggiungono.
Quindi
secondo il concetto di Giustizia terrena e Divina che mi è concesso, e
legiferando in modo consono agli Imperatori precedenti, per la nostra clemenza
disponiamo che voi viviate per il resto del tempo esenti dai gravami delle
funzioni curiali.
Affinché la
Salute possa prosperare sia nell’Anima quanto nello Spirito, quanto nelle carni
ulcerate ed appestate.
Ancira, luglio 362 (Giuliano scrive a Giuliano)
Se io tengo
in poco conto le tue Lettere, ‘allora veramente gli stessi dèi e Dio mi hanno
tolto il senno’!
Quale
pregio, infatti, non è presente in te?
L’affetto,
la fedeltà, l’onestà, la sincerità, prima di tutto, la saggezza, e mai sia
detta per calunnia di qualcuno, follia. Tutto ciò senza cui il resto non ha
valore, la saggezza dimostrata in tutti i suoi aspetti che sono la perspicacia,
l’intelligenza ed il buon esempio quanto il buon senso che lo accompagna.
Se non ti
rispondo, anche ciò mi rimproverasti, è perché non ho tempo, sappi che a lungo
ho dovuto corrispondere di nuovo con Fotino, e siamo convenuti ad un errore
comune, e se tutto ciò ti parrà paradossale, ho anche ridotto le mie letture di
filosofia, forse ho solo cercato al meglio di applicarla o adottarla come stile
di vita. Purtroppo le amarezze in merito a questo vasto oceano di folla e
materia, non certo la nostra disprezzata materia, sono uguali, non meno degli
intrighi ed affanni. La regalità che mi induce a queste amare considerazioni mi
pone al cospetto dell’esempio della Divinità il cui comune affanno della Vita è
tramontato e poi risorto al Golgota.
Dall’Oceano
di Platone, e prima di lui da quando partiti ed imbarcati nell’eterno Viaggio
della Vita con chi al meglio comprende il corretto uso della parola: come nata
ed evoluta, specchio e riflesso di un comune Dio pregato e adorato, frammentato
in molti Dèi ed ora nell’Uno ricomposto qual Terra tormentata e sacrificata al
Golgota della materia, approdiamo (così come fu per Odisseo) dalla deriva alla
spiaggia del Continente del solo Dio difeso se pur quotidianamente vilipeso e
martoriato.
Quali
eterni Stranieri in Terra!
Riguardo
all’affare di Giuliana ed altri suoi consimili, credo di non doverti scrivere
nulla; solo ti esorto a questo qual precetto: abbandona ogni sdegno e affida
ogni cosa alla giustizia, giacché quella da cui ogni Giudizio sull’uomo
nominata Divina sembra stia compiendo l’invisibile Superiore percorso. Cerca
nel credere nel Diritto violato. Non nego che le cose che ti ha scritto sono
spiacevoli calunniose, e colme di ogni genere di arroganza e di superbia; ma
bisogna sopportarle, non saremo né Filosofi né buoni credenti.
E’ proprio dell’uomo virtuoso e magnanimo
lasciar parlare male di sé e non parlar male.
Come
infatti i proiettili, lanciati contro muri solidi e forti, non vi aderiscono,
non li scalfiscono, né vi penetrano, ma rimbalzano con più veemenza su coloro
che li hanno lanciati e scagliati a piene mani come dardi infuocati, dagli
antichi roghi non nasce e nascerà che brace per chi intende parlare la dismessa
dottrina del Fuoco; noi che proveniamo da un Oceano di Saggezza molto più
antica, se accendiamo un fuoco per pregare il comune Dio, neppure sacrificare
l’inutile agnello nel Sacrificio in nome di un mito superato dal comune e
superiore intendimento della Storia.
E così ogni
maldicenza, ogni calunnia e ogni ingiusta insolenza, gettate contro l’uomo
virtuoso, non lo sfiorano, ma si ritorceranno contro chi le ha lanciate.
Io ti
faccio ed imploro questa raccomandazione, il resto sarà giudizio della Storia!
Riguardo
alle mie Lettere, che Giuliano sostiene di aver
ricevuto da me ed hai rese pubbliche, mi pare che sarebbe ridicolo portarle in
tribunale, giacché il superiore intento Divino in merito ha provveduto
legiferare in tal senso.
Gli Dèi e
Dio ci sono favorevoli, ed io chiamo a testimoni tutti gli Elementi in nome e
per conto degli dèi detti, non ho mai scritto né a te né ad alcun’altra persona
nulla che io voglia non sia resa pubblica davanti a tutti. Infatti quale
insolenza, quale oltraggio pensi abbia profanato nel comune senso ed in nome
della Filosofia che ci unisce come una sol Dottrina, quale ingiuria, quale
maldicenza, quale parola oscena ho mai scritto nelle mie lettere?
Giacché Giuliano con la presente Lettera, se pur in Ragione di asprezza verso
qualcuno, pur offrendosi l’occasione di lanciare come dal carro di Bacco
calunnie come quelle di Giuliana contro Giuliano, ho parlato in modo più
dignitoso e moderato che se si affrontasse un argomento Sacro.
E se la
Lettera rileva la riprova del nostro reciproco affetto, io avrei voluto tenerla
nascosta e dissimularla?
Perché mai?
Mi sono
testimoni tutti gli Dèi del Tempio comprese tutte le dee, Vescovi Cardinali e
tutte le monache d’ogni convento, che io non avrei provato risentimento neppure
se qualcuno avesse reso pubbliche le Lettere che io scrissi a mia moglie, tanto
erano piene di riservatezza.
Giuliana è
malvagia?
Allontanati
in modo netto da lei!
Se invece
in seguito si dimostrerà retta e moderata, anche se ha agito male nei nostri
confronti, sappi perdonarla. Infatti bisogna rispettare coloro che sono onesti
nella vita pubblica, anche se in privato nei nostri confronti sono scorretti.
Invece
bisogna tenere in pugno coloro che sono disonesti negli affari pubblici, anche
se sono ai più graditi talvolta o troppo spesso rappresentando la stessa Legge
immancabilmente violata e così impunemente corrotta da una presunta immunità in
tal merito.
Io ritengo
che non si debbano odiare né evitare, ma bisogna disporre di affidati superiori
presidi affinché non facciano del male, oltre che a se medesimi anche al
prossimo; digiuno delle apparenze con le quali questi soggetti spesso ingannano
gli altri, anche se con uguali medesime apparenze non ce ne accorgiamo o
facciamo finta di niente. Se fosse difficile controllarli, giacché il noto
proverbio: “chi controlla il controllore”, ed allora non ci si serva di loro in
nessun caso eccetto che monitorare il pregiudizio che all’intero Stato deriva
rapportato alle inevitabili disastrose conseguenze circa la socialità di cui
codesti personaggi ne incarnano un superiore ed inferiore aspetto di presunta prevenzione
arrecando medesimo o peggior pericolo della stessa tutela adottata, non
dissimile da chi presumibilmente li accomuna per quanto ed in merito di quanto
violato.
Da una
forte miopia passeremmo alla completa cecità!
Tutta la
Natura della Legge ne uscirebbe ferita e vilipesa, compreso il male agli altri
per ciò che ne deriva con una conseguente perdita, non più di potere e/o
reciproca stima dell’intera struttura dello Stato, ma con lui del Diritto nella
applicazione ed uguaglianza in cui l’intero edificio della Repubblica si
distingue o dovrebbe.
(Giuliano, Lettere da Costantinopoli)