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sabato 11 luglio 2020

GIULIANO L'ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA (brevi epistole) (8)





















Precedenti capitoli:

Con Giuliana (Facciatonda)  &  Rinconetto

Prosegue con...:

Il male del nostro Secolo (9)














Costantinopoli, gennaio-maggio 362

Perché esiterei a salutare il nobile Proeresio, uomo che riversa torrenti di eloquenza, come i fiumi riversano le loro correnti nelle pianure, emulo di Pericle nell’oratoria, escluso il fatto di turbare e ‘gettare lo scompiglio in Grecia’?

Non bisogna meravigliarsi se io imito verso di te la brevità laconica: infatti, a voi sapienti conviene fare discorsi lunghi e di carattere elevato, a noi invece sufficiente rivolgervi anche solo poche parole.

Sappi, dunque, che numerosi impegni mi assalgono da ogni parte. Quanto ai motivi della mia calata, se vuoi scrivere un’opera storica, ti farò conoscere ogni particolare nel modo più esatto, dandoti le Lettere qui presenti e frammenti delle stesse affinché meglio tu possa comprendere.




Se invece hai deciso di perseverare fino alla vecchiaia ostinandoti, pur l’apparenza, a non accettare, come del resto faccio io, talune sottigliezze eretiche conformi alla comune tolleranza, ti informo e in qual tempo aggiorno, avendo cura di accettare la Divinità di quanto preghiamo. La Divinità della Natura intera specchio del comune Dio adorato come studiato non men che pregato; se invece preferisci declamazioni oratorie, o ancor peggio, ‘bolle e proclami’, allora  forse non mi criticherai per il dovuto silenzio che in tal proposito ripongo.  




Costantinopoli, tarda Primavera 362


Il proverbio dice:

‘non è una dichiarazione di guerra’;

io aggiungerei una citazione della commedia:

‘o tu  che annunci parole d’oro’.

Mi ricordo infatti superata la primavera, in estate avanzata, fors’anche in età giovane se pur avanzata, rimasi sventurato e perso lungo una spiaggia. Non un riparo, neppure un amico, una spiaggia ed un ampio mare, mi ricordo che mi venni in aiuto ed ebbi momentaneo alloggio prima di imbarcarmi verso la perduta patria. L’amata Grecia.




Ed allora, rimembrando tale episodio, su, dunque, affrettati a venire verso la terra donde ti scrivo.

Tu giungerai benvenuto amico presso un amico!

La comune e continua costante occupazione negli affari pubblici sembra insopportabile a coloro che vi si dedicano non occasionalmente. Ma coloro che condividono le mie attività sono uomini abili quanto onesti, esperti e tutti idonei a qualsiasi compito.

I nostri reciproci rapporti devono intendersi privi della classica falsità dell’ipocrisia cortigiana o ancor peggio ciarliera di altre commedie che mi astengo di rinnovare, secondo cui quelli che ci lodano odiano di un odio così grande, quanto non provano neppure per il peggiore dei nemici.




Noi invece, che a qualcosa se pur un tempo divisi ma ora dalla comune Divinità uniti conformi al Sacro celebrato e difeso, intendiamo e per questo crediamo e per sempre crederemo ancora, se pur quando occorre rimproverandoci vicendevolmente con giusta sincerità, ci rispettiamo ed amiamo, o almeno dovremmo, come Fratelli non meno di grandi amici.

Forse ti ho annoiato e stordito con la presente, forse pecco di eccesso di vanità, sappi che non è vero, sono sempre austero come il Giuliano di un tempo, però sono convenuto ad una più profonda Riforma che come ben vedo, anche te nell’ambito della Diocesi stai maturando.

Ebbene che i nostri reciproci comuni esempi come la presente Epistola siano di buon esempio per gli stessi medesimi Principi per cui lottiamo in nome di quella Divinità e Sacralità persa dimessa ed abdicata ad altro.




Sai bene ciò che intendo e velatamente taccio!

I tempi mio caro amico sono irrimediabilmente cambiati eppure uguali, e non sufficiente un Tempio una Altare una Chiesa per rinsaldare il Tempo perso, tutto in rovina, mi astengo dagli antichi inutili sacrifici giacché non oso nel rispetto della Vita (e la Natura che al meglio la compone o dovrebbe), la quale sembrerebbe rispondere nella dovuta Rima.

Non proseguo per questo difficile Sentiero, peccherei di nuovo di profonda eretica riflessione filosofica…




Costantinopoli, maggio 362

Che la Scienza medica sia salvatrice per gli uomini, non meno di quella Sacra, anzi unite possano compiere opera e miracolo in merito alla Vita, l’una abbisogna dell’altra, senza, come sopra detto, annullarsi a vicenda, ma correre l’una in aiuto dell’altra in nome di ugual medesima Scienza.

Due Scienze se pur apparentemente ed in un remoto Tempo divise, ora unite, nel formare l’uomo nella Sacra Dottrina della Vita.

Ciò che scrivo in questa breve lettera lo attesta l’evidenza del bisogno, oltre i tristi fatti che ci circondano, e di cui, nessuno escluso, siamo testimoni della Storia, dacché i discepoli dei Filosofi giustamente proclamano che anch’essa è discesa dal cielo; per mezzo suo, infatti, sono riparate le debolezze della nostra natura e delle malattie, oltre della carne anche dello Spirito, che vi si aggiungono.

Quindi secondo il concetto di Giustizia terrena e Divina che mi è concesso, e legiferando in modo consono agli Imperatori precedenti, per la nostra clemenza disponiamo che voi viviate per il resto del tempo esenti dai gravami delle funzioni curiali.

Affinché la Salute possa prosperare sia nell’Anima quanto nello Spirito, quanto nelle carni ulcerate ed appestate.




Ancira, luglio 362 (Giuliano scrive a Giuliano)

Se io tengo in poco conto le tue Lettere, ‘allora veramente gli stessi dèi e Dio mi hanno tolto il senno’!

Quale pregio, infatti, non è presente in te?

L’affetto, la fedeltà, l’onestà, la sincerità, prima di tutto, la saggezza, e mai sia detta per calunnia di qualcuno, follia. Tutto ciò senza cui il resto non ha valore, la saggezza dimostrata in tutti i suoi aspetti che sono la perspicacia, l’intelligenza ed il buon esempio quanto il buon senso che lo accompagna.




Se non ti rispondo, anche ciò mi rimproverasti, è perché non ho tempo, sappi che a lungo ho dovuto corrispondere di nuovo con Fotino, e siamo convenuti ad un errore comune, e se tutto ciò ti parrà paradossale, ho anche ridotto le mie letture di filosofia, forse ho solo cercato al meglio di applicarla o adottarla come stile di vita. Purtroppo le amarezze in merito a questo vasto oceano di folla e materia, non certo la nostra disprezzata materia, sono uguali, non meno degli intrighi ed affanni. La regalità che mi induce a queste amare considerazioni mi pone al cospetto dell’esempio della Divinità il cui comune affanno della Vita è tramontato e poi risorto al Golgota.

Dall’Oceano di Platone, e prima di lui da quando partiti ed imbarcati nell’eterno Viaggio della Vita con chi al meglio comprende il corretto uso della parola: come nata ed evoluta, specchio e riflesso di un comune Dio pregato e adorato, frammentato in molti Dèi ed ora nell’Uno ricomposto qual Terra tormentata e sacrificata al Golgota della materia, approdiamo (così come fu per Odisseo) dalla deriva alla spiaggia del Continente del solo Dio difeso se pur quotidianamente vilipeso e martoriato.




Quali eterni Stranieri in Terra!

Riguardo all’affare di Giuliana ed altri suoi consimili, credo di non doverti scrivere nulla; solo ti esorto a questo qual precetto: abbandona ogni sdegno e affida ogni cosa alla giustizia, giacché quella da cui ogni Giudizio sull’uomo nominata Divina sembra stia compiendo l’invisibile Superiore percorso. Cerca nel credere nel Diritto violato. Non nego che le cose che ti ha scritto sono spiacevoli calunniose, e colme di ogni genere di arroganza e di superbia; ma bisogna sopportarle, non saremo né Filosofi né buoni credenti.

E’  proprio dell’uomo virtuoso e magnanimo lasciar parlare male di sé e non parlar male.



Come infatti i proiettili, lanciati contro muri solidi e forti, non vi aderiscono, non li scalfiscono, né vi penetrano, ma rimbalzano con più veemenza su coloro che li hanno lanciati e scagliati a piene mani come dardi infuocati, dagli antichi roghi non nasce e nascerà che brace per chi intende parlare la dismessa dottrina del Fuoco; noi che proveniamo da un Oceano di Saggezza molto più antica, se accendiamo un fuoco per pregare il comune Dio, neppure sacrificare l’inutile agnello nel Sacrificio in nome di un mito superato dal comune e superiore intendimento della Storia.

E così ogni maldicenza, ogni calunnia e ogni ingiusta insolenza, gettate contro l’uomo virtuoso, non lo sfiorano, ma si ritorceranno contro chi le ha lanciate.

Io ti faccio ed imploro questa raccomandazione, il resto sarà giudizio della Storia!

Riguardo alle mie Lettere, che Giuliano sostiene di aver ricevuto da me ed hai rese pubbliche, mi pare che sarebbe ridicolo portarle in tribunale, giacché il superiore intento Divino in merito ha provveduto legiferare in tal senso.




Gli Dèi e Dio ci sono favorevoli, ed io chiamo a testimoni tutti gli Elementi in nome e per conto degli dèi detti, non ho mai scritto né a te né ad alcun’altra persona nulla che io voglia non sia resa pubblica davanti a tutti. Infatti quale insolenza, quale oltraggio pensi abbia profanato nel comune senso ed in nome della Filosofia che ci unisce come una sol Dottrina, quale ingiuria, quale maldicenza, quale parola oscena ho mai scritto nelle mie lettere?

Giacché Giuliano con la presente Lettera, se pur in Ragione di asprezza verso qualcuno, pur offrendosi l’occasione di lanciare come dal carro di Bacco calunnie come quelle di Giuliana contro Giuliano, ho parlato in modo più dignitoso e moderato che se si affrontasse un argomento Sacro.




E se la Lettera rileva la riprova del nostro reciproco affetto, io avrei voluto tenerla nascosta e dissimularla?

Perché mai?

Mi sono testimoni tutti gli Dèi del Tempio comprese tutte le dee, Vescovi Cardinali e tutte le monache d’ogni convento, che io non avrei provato risentimento neppure se qualcuno avesse reso pubbliche le Lettere che io scrissi a mia moglie, tanto erano piene di riservatezza.  

Giuliana è malvagia?

Allontanati in modo netto da lei!

Se invece in seguito si dimostrerà retta e moderata, anche se ha agito male nei nostri confronti, sappi perdonarla. Infatti bisogna rispettare coloro che sono onesti nella vita pubblica, anche se in privato nei nostri confronti sono scorretti.

Invece bisogna tenere in pugno coloro che sono disonesti negli affari pubblici, anche se sono ai più graditi talvolta o troppo spesso rappresentando la stessa Legge immancabilmente violata e così impunemente corrotta da una presunta immunità in tal merito.




Io ritengo che non si debbano odiare né evitare, ma bisogna disporre di affidati superiori presidi affinché non facciano del male, oltre che a se medesimi anche al prossimo; digiuno delle apparenze con le quali questi soggetti spesso ingannano gli altri, anche se con uguali medesime apparenze non ce ne accorgiamo o facciamo finta di niente. Se fosse difficile controllarli, giacché il noto proverbio: “chi controlla il controllore”, ed allora non ci si serva di loro in nessun caso eccetto che monitorare il pregiudizio che all’intero Stato deriva rapportato alle inevitabili disastrose conseguenze circa la socialità di cui codesti personaggi ne incarnano un superiore ed inferiore aspetto di presunta prevenzione arrecando medesimo o peggior pericolo della stessa tutela adottata, non dissimile da chi presumibilmente li accomuna per quanto ed in merito di quanto violato.

Da una forte miopia passeremmo alla completa cecità!

Tutta la Natura della Legge ne uscirebbe ferita e vilipesa, compreso il male agli altri per ciò che ne deriva con una conseguente perdita, non più di potere e/o reciproca stima dell’intera struttura dello Stato, ma con lui del Diritto nella applicazione ed uguaglianza in cui l’intero edificio della Repubblica si distingue o dovrebbe.

(Giuliano, Lettere da Costantinopoli)  









  

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