giuliano

giovedì 23 gennaio 2014

BREVI RIFLESSIONI (2)














































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Brevi riflessioni &













Da ruolo a ruolo: uno svizzero...















Circa un anno fa’ la direzione della Conferenza studentesca cristiana di Aarau mi chiese se la gente che oggi si trova in difficoltà spirituali cerca piuttosto il medico che non il sacerdote, e perché.
Ecco una domanda molto diretta e molto pratica….
Fino allora mi ero reso conto soltanto del fatto che i miei pazienti avevano cercato il medico e non il sacerdote, ma che questo fosse un fatto generale mi sembrava molto problematico; in ogni modo, non sapevo niente di preciso in proposito. Perciò, con l’aiuto di terzi, istituii un’inchiesta in ambienti con i quali non ero in rapporti; mi risposero protestanti svizzeri, tedeschi e francesi.
Risposero anche un certo numero di cattolici….
Il risultato fu molto interessante e si può riassumere nelle grandi linee così: il 57% dei protestanti e soltanto il 25% dei cattolici si dichiarò per il medico; soltanto l’8% dei protestanti contro il 58% dei cattolici per il sacerdote. Questo quanto alle decisioni inequivocabili…
Il resto dei protestanti, il 35%, non seppe rispondere; ma i cattolici che non seppero rispondere furono soltanto il 17%.




Ecco i principali argomenti contro il sacerdote: per il 52%, mancanza di preparazione psicologica e quindi di comprensione; per il 28% il fatto che il sacerdote ha opinioni preformate ed è irretito nel dogma e nella tradizione. Come curiosità, ricorderò che perfino un sacerdote si pronunciò per il medico, mentre un altro mi rispose irritato: ‘La teologia non ha niente a che fare con la cura dell’essere umano’. Tutti i parenti dei teologi che hanno risposto alla mia inchiesta si sono pronunciati contro il clero…
Questa inchiesta, limitata naturalmente ad ambienti colti, non è che un sondaggio di valore ristretto. Sono convinto che strati popolari incolti avrebbero risposto in tutt’altro modo. Ritengo tuttavia che il sondaggio abbia certo valore, almeno per gli ambienti colti nei quali, com’è noto, l’indifferenza per la Chiesa e per la religione è in considerevole aumento. E non si dimentichi il fatto al quale ho appena accennato, dovuto alla psicologia di massa, che la problematica sulla visione del mondo impiega circa vent’anni per raggiungere gli strati popolari incolti.




Chi avrebbe potuto predire venti, anzi dieci anni fa’, l’inaudita trasformazione spirituale della Spagna, la più cattolica delle nazioni europee? Eppure essa è scoppiata all’improvviso con la violenza di una catastrofe naturale.
Mi sembra che le nevrosi siano considerevolmente aumentate parallelamente alla decadenza della vita religiosa, benché non esistano statistiche che possono dimostrarlo numericamente. Una cosa però so di sicuro, e cioè che lo stato generale spirituale dell’uomo europeo presenta quasi dovunque una grande mancanza di equilibrio. Non si può negare che viviamo in un’epoca estremamente irrequieta e confusa,  nervosa e disorientata nel modo di vedere la vita.
Nella mia clientela internazionale, proveniente senza eccezione da ambienti colti, non trascurabile è il numero di coloro che mi hanno consultato non perché soffrivano di nevrosi, ma perché non trovavano un significato alla loro vita, o perché si tormentavano con problemi ai quali la nostra filosofia o la nostra religione non danno risposta.




Alcuni pensavano forse che io conoscessi qualche formula magica; a questi dovetti presto spiegare che a quei problemi neppure io so rispondere.
Prendiamo ad esempio la più banale e la più frequente delle domande che mi vengono poste, quella sul significato della vita del singolo o della vita in generale. L’uomo moderno crede di saper bene quel che ne dice, anzi quel che ne deve dire, il sacerdote… Dei filosofi poi si ride; del medico in generale non si ha una grande opinione. Ma dallo psicologo che analizza l’inconscio si potrebbe, alla fin fine, imparare qualcosa; forse egli ha dissotterrato negli oscuri recessi della sua persona anche un qualche significato della vita, e, contro versamento di un onorario, lo si potrà acquistare….
Ogni persona seria si sente alleggerire la coscienza quando vede che neanche lo psicologo sa che cosa dire, e capisce che egli stesso non ha troppo sbagliato la mira. Spesso è così che si comincia ad avere fiducia nel medico.




Ho trovato che l’uomo moderno ha una recisa avversione per le opinioni tradizionali e per le verità ereditate. E’ un bolscevico, per cui tutte le forme e norme giunte fino a noi hanno perso il loro valore; egli vuole fare esperimenti in campo spirituale come il  bolscevico in campo economico. Agli occhi della sua mente moderna qualunque sistema ecclesiastico, sia esso cattolico o protestante o buddhista o confuciano, è messo in crisi.  Certo, fra questi moderni esistono ancora nature negative, distruttrici, perverse, tipi originali degenerati, squilibrati, dovunque insoddisfatti, che perciò partecipano a tutte le iniziative e a tutti i movimenti arrecando loro grande nocumento, nella speranza, ogni volta, di avere finalmente trovato qualche cosa che rimedi con poca spesa alla loro inettitudine.
Naturalmente conosco per motivi professionali moltissimi uomini ‘moderni’, e naturalmente conosco anche i loro imitatori patologici. Ma lasciamo questi da parte. Gli altri invece non soltanto non sono dei tipi originali e squilibrati, ma sono molto spesso uomini particolarmente capaci, buoni e coraggiosi, che rifiutano le verità tradizionali non per cattiveria, ma per motivi onesti e rispettabili. Tutti indistintamente sentono che le nostre verità religiose si sono in qualche modo svuotate. O non riescono a trovare un accordo tra scienza e fede, o le verità cristiane hanno perduto la loro autorità e la loro giustificazione psicologica.




Essi non si sentono più redenti dalla morte di Cristo, non riescono a credere: beato chi ne è capace, ma la fede non si comanda. Il peccato è cosa del tutto relativa: quel che per uno è buono per un altro è cattivo. Perché Buddha non dovrebbe avere ragione anche lui?
…. Noi siamo attirati dall’esercizio di virtù visibili che illudono noi stessi e gli altri; il che ci permette, grazie a Dio, di liberarci da noi stessi. Gli uomini capaci di far ciò impunemente sono innumerevoli, ma non sono tutti; gli altri, confrontati con la propria via di Damasco, crollano sotto il peso della nevrosi.
Ma come posso aiutarli se faccio parte anch’io dei disertori, se anch’io sono eventualmente affetto dal ‘morbus sacer’ della nevrosi? Possiede la spregiudicatezza oggettiva soltanto chi ha accettato sé stesso; ma chi può gloriarsi di averlo fatto?
Guardiamo Cristo che ha sacrificato al Dio che era in lui ogni pregiudizio storico, vivendo la sua vita così com’era, fino alla sua amara fine, senza riguardo alcuno per la consuetudine o per gli apprezzamenti moralistici dei farisei.



 
Noi protestanti siamo sulla buona strada per arrivare a porci questo problema: dobbiamo comprendere che la ‘imitatio Christi’ significa copiare la sua vita e, se posso esprimermi così, scimmiottare le sue stigmate; o invece, in un senso più profondo, che dobbiamo vivere la nostra vita com’Egli ha vissuto la sua, nel suo modo di essere particolare a lui solo?
Imitare la vita di Cristo non è cosa facile, ma è indicibilmente più difficile vivere la propria vita come Cristo ha vissuto la sua. Chi lo facesse, mancherebbe alla propria realtà storica, pur tuttavia adempiendola; e sarebbe a suo modo misconosciuto, deriso, torturato e crocefisso. Sarebbe una specie di bolscevico pazzo che meriterebbe a buon diritto la croce. Perciò si preferisce l’‘imitatio Christi’, storicamente sanzionata e santificata.
Io non disturberei mai un monaco nell’esercizio di questa identificazione con Cristo, nella quale egli va rispettato; ma io non sono un monaco, e non lo sono i miei pazienti; inoltre su di me come medico pesa il compito di mostrare loro come possano vivere la loro vita senza diventare nevrotici….  

(C. G. Jung, Psicologia e religione)


















domenica 19 gennaio 2014

GENTE DI PASSAGGIO: contro la politica di 'Giulio' (95)



















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Gente di passaggio: contro la politica di 'Giulio' (94)

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Il vecchio Bruegel... (96)














Sbuca dalla curva su un cavallo nero, al suo fianco Pfeiffer, che gli è andato incontro sulla strada. Due braccia d’acciaio mi stringono da dietro e mi sollevano a mezz’aria.
‘Elias!’.
‘Amico, ora che c’è lui, quelli del Consiglio si cagheranno addosso vedrai!’.
Una risata sguaiata, anche il rude minatore dell’Erz non riesce a contenere l’entusiasmo. Magister Thomas si avvicina, mentre la folla si richiude dietro di lui e lo segue. Scorge il segno di saluto di sua moglie e si abbassa sul cavallo. Un abbraccio forte e una parola sussurrata che non posso cogliere. Poi si rivolge a me: ‘Salute, amico mio, sono contento di trovarti sano e salvo in un giorno come questo’.




‘Non sarei mancato neanche se avessi perso le gambe, Magister. Il Signore è stato con noi’.
‘E con loro’, un gesto a indicare la folla.
Pfeiffer sorride: ‘Andiamo, devi parlare in chiesa adesso, loro vogliono sentire le tue parole’.
Un gesto: ‘Muoviti, non vorrai rimanere indietro!?’.
La navata è gremita, la gente si accalca fin sul piazzale antistante la chiesa. Dal pulpito, il Magister spazia con lo sguardo su quel mare di occhi, e ne trae la forza della parola. Il silenzio si diffonde rapidamente.
‘La benedizione di Dio scenda su di voi, fratelli e sorelle, e vi conceda di ascoltare queste parole con cuore saldo e aperto’.
Non un respiro!




‘Il digrignar di denti che oggi si alza, dai palazzi e dai conventi contro di voi, gli insulti e le bestemmie che i nobili scagliano contro questa città, non scuotano le vostre menti. Thomas Muntzer, saluto in voi, in questa folla qui riunita, la gloriosa, finalmente desta, Muhlhausen!’.
Un’ovazione si alza sulle teste, il saluto ricambiato del popolo…
‘Ascoltate. Ora sentite tutt’intorno a voi il vociare confuso, stizzito, rabbioso, di coloro che da sempre ci opprimono: i principi con i loro subordinati, i grassi abati, i vescovi, i notabili corrotti della città. Sentite il loro sbraitare, là fuori, sotto le mura!? E’ l’abbaiare dei cani il grugnito dei porci e dei cinghiali a cui sono state strappate le zanne, fratelli e sorelle. Sì, i cani che con le orde dei loro soldati, dei loro esattori, ci hanno insegnato cos’è la paura, ci hanno insegnato a ubbidire sempre, a chinare la testa in loro presenza, a ossequiarli come schiavi davanti ai padroni. Coloro che ci hanno regalato l’incertezza, la fame, le tasse, le corvée…'.  






Gennaio 1511…,


Con questo piccolo gioco spiritoso entra in scena la Follia in persona, e, come un professore, sale in cattedra per pronunciare un discorso dinanzi a una classe di studenti. Dichiara che parlerà improvvisando, senza rispetto di regole, e poi costruisce il discorso con tutte le suddivisioni dei retori.
Poiché Aristotele stabilisce che un elogio debba cominciare con una geologia, essa dà avvio all’elogio di se stessa annunziando come essa sia la figlia di Pluto e della dea Giovinezza, nate nelle Isole Fortunate e nutrita di ubriachezza e di ignoranza. Ma questa non è la genealogia vera della Stultitia erasmiana. Fra i suoi antenati c’è il buffone di corte, talvolta un imbecille che invece di essere posto in un istituto per pazzi veniva curato in casa del principe, mentre i cortigiani, metà con malizia, metà con compassione, traevano divertimento dal suo infantilismo.




Ma talvolta si trattava invece di un intelligente briccone che scagliava piumati dardi di spiritosa ironia, e impunemente, perché portava il berretto a sonagli. E ancora: i folli di Erasmo erano quelli messi alla berlina da predicatori e moralisti medioevali come Geiler di Kaisersberg e Sebastian Brant, che riempì la sua Nave dei folli di tutti coloro che egli intendeva rampognare.
La singolarità della Follia erasmiana è che essa tiene concione ai pazzi. Poi alla chiusa essa si trasforma nel folle in Cristo, che appare folle a tutti coloro che nella loro follia stimano se stessi saggi.
La nostra Follia è dama veramente sorprendente.




Essa rappresenta un po’ il genere umano che Erasmo, seguendo Luciano e anticipando Shakespeare, descrive come una compagnia di attori che sulla scena della vita indossano ora l’una ora l’altra maschera. Ma la Follia di Erasmo non va dietro le quinte a cambiare le sue maschere: effettua i suoi cambiamenti con rapidi giochi di prestigio e intriga il lettore che pensa si tratti sempre dello stesso ruolo… La considera personificazione di un alcolizzato, ed ecco di colpo essa diventa saggia e, quando egli dà credito alla sua sagacia, lei si tramuta in satiro o in beone. E il cambiamento si rinnova di continuo perché la Follia saltabecca da ruolo a ruolo…..


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Da ruolo a ruolo: un francese, un olandese (1) & (2)


















domenica 12 gennaio 2014

GENTE DI PASSAGGIO: il senso del 'viaggio' (93)







































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Gente di passaggio: il senso del 'viaggio' (92)

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Gente di passaggio: contro la politica di 'Giulio' (94)
















All’inizio di aprile, per mio divertimento personale, convocai i vescovi a palazzo. Sono pur sempre il pontefice massimo, e tutto quello che riguarda la religione è di mia competenza, anche se non avrei mai la sfacciataggine di dire a un sacerdote quello che Costanzo disse ai vescovi del sinodo di Milano nel 355: ‘La mia volontà vi sarà di guida’.
Ricevetti i galilei nel palazzo di Dafne. Sul capo portavo il diadema e in mano tenevo l’orbe. Fu un evento memorabile. Erano presenti quasi un migliaio di vescovi, compresi quelli che avevo richiamato dall’esilio. Come risultato, spesso c’erano due vescovi per una sola diocesi, il che provocava aspre contese. Questi sacerdoti del Nazzareno non sono certo gentili.
All’inizio i vescovi mi temevano, ma io seppi metterli a loro agio. Dissi loro che non ero un persecutore, anche se prima di me ce n’erano stati molti, e non erano tutti imperatori… La frecciata era rivolta a diversi vescovi militanti, che si erano liberati dei loro nemici con la violenza.




‘Nessuno’, dissi, ‘dovrà mai soffrire per mano mia, a causa della sua religione’.
Sentii che la tensione si allentava. Ma erano ancora diffidenti.
‘Naturalmente, mi piacerebbe convincervi che ho ragione. Ma dato che la verità è chiara come il sole, se non volete vederla, non la vedrete mai. In ogni modo, non vi concederò di far del male ad altri, come avete fatto per anni. Non starò a elencare i crimini che avete commesso, o che avete autorizzato: omicidi, ruberie, crudeltà, che si addicono più alle belve che ai sacerdoti, sia pure del dio sbagliato’.
Sollevai uno spesso fascicolo di documenti.
‘Ecco i vostri crimini più recenti. Omicidi e confische… oh, come vi piacciono le ricchezze di questo mondo! Eppure la vostra religione afferma che non dovreste reagire alle offese, né ricorrere al tribunale, e neppure possedere ricchezze, e tanto meno rubare! Vi è stato insegnato a pensare che nulla è vostro, salvo il posto che vi aspetta in un mondo migliore. Eppure indossate gioielli e ricche tuniche, e costruite immense basiliche: tutte cose che appartengono a questo mondo, non all’altro. Vi è stato insegnato a disprezzare il denaro, e invece lo accumulate. Vi hanno detto che non dovreste vendicarvi, quando subite un torto, vero o immaginario che sia; che è sbagliato rispondere al male con il male. E invece vi accanite gli uni contro gli altri, in bande scatenate, e torturate e uccidete quelli che non la pensano come voi. Avete messo in pericolo non solo la vera religione, ma la stessa sicurezza dello Stato – di cui sono il primo magistrato, per volontà del cielo. Non siete nemmeno degni del Nazzareno. Se non riuscite a vivere secondo quei precetti che siete disposti a difendere con le armi e con il veleno’.




‘Che cosa siete, se non degli ipocriti?’.
Durante tutta quella tirata, s’era levato qualche brontolio. Al termine, vi fu una tipica esplosione galilea. Tutti cominciarono a gridare e parlare a vanvera, scuotendo i pugni non solo verso di me – il che era alto tradimento – ma l’uno contro l’altro, e questa era follia bella e buona, perché invece avrebbero dovuto unirsi contro il nemico comune.
Cercai di dire qualcosa, ma non riuscivo a farmi sentire: e pensare che, all’aperto, la mia voce raggiunge un esercito intero! Il tribunale delle guardie scolari era già in allarme, ma gli feci cenno di non intervenire. Alla fine, come il toro di Mitra, tuonai: ‘I franchi e i germani stavano in silenzio, quando gli parlavo!’. Questo sortì l’effetto di acquietarli. Tutt’a un tratto, si ricordarono dov’erano. Allora divenni mellifluo. Mi scusai per aver parlato con durezza. Mi ero permesso di farlo, dissi, solo perché provavo grande rispetto per le parole del Nazzareno, oltre che per la severa legge degli ebrei che egli, in quanto ebreo, aveva solo cercato di onorare.




Questa frase provocò un leggero mormorio, che si spense nel giro di poco. Poi dissi che ero pronto a dare al Nazzareno un posto tra gli altri dèi, e non prima che ricominciassero a schiamazzare, dissi in fretta e a gran voce: ‘Tuttavia sono pronto a credere che egli sia una delle tante manifestazioni dell’Unico Dio: un guaritore, e come tale sono pronto ad onorarlo’.
Poi ripetei quello che avevo scritto nell’editto del 4 febbraio. Nell’impero doveva regnare la tolleranza universale.
I galilei potevano comportarsi come credevano nel loro ambiente, ma non dovevano perseguitarsi tra loro, né tanto meno perseguitare gli ellenisti. Consigliai loro di essere meno avidi di ricchezze. Ammisi di aver procurato loro molti fastidi, chiedendo la restituzione delle terre dei templi, ma sottolineai che anche loro ce ne avevano dati, rubandocele.




Suggerii che se avessero mostrato meno disprezzo verso i nostri antichi miti – ad esempio, quello di Cronos che divora i propri figli – forse saremmo stati meno scortesi verso il loro Dio uno e trino, nato da una vergine. Ora devo pregarvi di mantenere la pace nella città. Se non lo farete, come primo magistrato, dovrò punirvi. Ma in qualità di pontefice massimo, non dovete temermi in alcun modo, se vi comporterete in modo corretto, obbedendo alle leggi dello Stato e risolvendo le vostre controversie senza ricorrere, come avete fatto in passato, al ferro e al fuoco. Limitativi a predicare le parole del Nazzareno, e potremo convinvere in pace. Ma voi, naturalmente, non vi accontentate di quelle parole. Voi ne aggiungete di nuove tutti i giorni.
Assaggiate un po’ di ellenismo, vi appropriate delle nostre festività, delle nostre cerimonie, in nome di un ebreo che non le conosceva neppure. Ci derubate e ci respingete, citando l’arrogante Cipriano, che disse che al di fuori della vostra fede non ci può essere salvezza! Bisogna forse credere che mille generazioni di uomini, tra i quali Platone e Omero, siano dannate solo perché non hanno venerato un ebreo che dovrebbe essere un dio? Un uomo che non era nato quando il mondo ebbe inizio?




Vorreste farci credere che l’unico Dio non solo è geloso, come dicono gli ebrei, ma anche malvagio?
Temo che ci voglia una straordinaria capacità di autogestione, per credere a questo genere di cose. Ma io non sono qui per criticarvi, bensì per chiedervi di mantenere la pace e di non dimenticare mai che la grandezza del nostro mondo ci è stata donata da altri dèi, e da una filosofia diversa, ben più profonda, che rispecchia la varietà della natura’.
A questo punto un vescovo anziano si alzò in piedi.
Indossava l’umile tunica di un sant’uomo, e non le ricche vesti di un principe.
‘Esiste un solo Dio. Uno solo, dall’inizio dei tempi’.
‘Sono d’accordo. E può assumere tutte le forme che vuole, perché è onnipotente’.
‘L’unico Dio ha una sola forma’.
La voce del vecchio, per quanto esile, era ferma.
‘E quest’unico Dio non si è forse rivelato nel libro sacro degli ebrei?.
‘Sì, Augusto. Ed è sempre Dio’.
‘E Mosè non ha forse detto, nel libro che si chiama Deuteronomio: ‘Nulla aggiungerai alla mi parola, e nulla toglierai?’. E non ha maledetto chi trasgredisce la legge che Dio gli ha dato?’.




Ci fu una pausa.
I vescovi erano scaltri e capivano bene che gli stavo tendendo una trappola: ma erano costretti a seguire il libro sacro, perché non c’è nulla di ambiguo, in quel passo.
‘Tutto ciò che ha detto Mosè, come tu stesso affermi, non solo è vero, ma eterno’.
‘Allora’, dissi facendo scattare la trappola, ‘perché modificate la legge a vostro piacimento? Avete tradito in mille modi non solo Mosè, ma anche il Nazzareno, dal giorno in cui l’eretico Paolo di Tarso ha detto: ‘Cristo è la fine della legge!’. Voi non siete né ebrei, né galilei, ma semplici opportunisti’.
A questo punto scoppiò l’uragano.
I vescovi balzarono in piedi gridando frasi dei testi sacri, insulti, minacce. Per un momento pensai che avessero intenzione di aggredirmi lì sul trono, per quanto furibondi, si mantennero nei limiti. Mi alzai e mi diressi verso la porta in fondo alla scala, ignorato dai vescovi, che adesso si insultavano a vicenda, oltre a insultare me. Stavo per uscire dalla sala, quando l’anziano vescovo che mi aveva sfidato d’improvviso mi sbarrò il passo.
Era Maris di Calcedonia.
Non ho mai visto tanto rancore sul viso di un uomo.
‘Sei maledetto!’.
Per poco non mi sputò in faccia.
‘Forse da te, gesuita, ma non da Dio…’. Risposi in tono mansueto, quasi come uno di loro.
‘APOSTATA!’, mi gridò in faccia.
Sorrisi.
‘NON IO. TU. IO ADORO GLI STESSI DEI CHE GLI UOMINI HANNO ADORATO FIN DALL’INIZIO DEL MONDO, COMPRESO IL TUO NAZZARENO. SEI TU CHE HAI ABBANDONATO NON SOLO LA FILOSOFIA, MA DIO STESSO……

(G. Vidal, Giuliano)
















  

venerdì 3 gennaio 2014

L'IMPULSO DI COPIARE (2)















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L'impulso di copiare












Il re di Corea ricevette in dono la raccolta completa dall’imperatore della Cina, e quando un sacerdote buddista ne portò una in Giappone, la lingua giapponese si arricchì di un nuovo vocabolo, ‘suri-hon, che significava libro stampato. In seguito anche le altre comunità religiose provvidero a stampare i loro testi.
Il canone taoista, in 4000 volumi, apparve nel 1019. Dalla stampa dei propri testi sacri ottenne una sorta di legittimazione anche il manicheismo, religione importata dall’Occidente. A quanto sembra i  mussulmani, pur numerosi in Cina durante la dinastia Sung, non stamparono il Corano; ma per loro uso circolavano almanacchi e calendari, sempre stampati in modo xilografico.




In Cina, come poi in Occidente, l’ascesa dell’arte della stampa segnò il declino delle arti della memoria. Un dotto cinese, Yen Meng-Te (1077-1148) scriveva intorno al 1130:
‘Prima della dinastia T’ang tutti i libri erano manoscritti, non esistendo ancora l’arte della stampa. Far collezione di libri era considerata cosa molto onorevole, e nessuno ne possedeva in grande quantità… e gli studiosi, in conseguenza del grande lavoro di trascrizione, acquistavano anche una grande abilità e precisione nel citarli a memoria. Al tempo delle Cinque Dinastie, Feng Tao per la prima volta inviò al suo sovrano un memoriale in cui chiedeva che fosse in funzione un laboratorio ufficiale di stampa. E ancora, negli anni della nostra dinastia regnante chiamata Shun-hua (990-994), fu dato incarico ad alcuni dignitari di stampare i documenti storici e gli annali della prima e della seconda dinastia Han. Da allora in poi i libri stampati divennero ancora più numerosi… e poiché gli studiosi  trovavano facile procurarsi i libri, la pratica di citarli a memoria cessò’.




Quando Marco Polo visitò la Cina di Kublai Khan (1216-1295), non ritenne valesse la pena di riferire il fatto che in quel paese si producevano molte copie dei sacri testi stampandone mediante blocchi di legno. Notò con stupore, tuttavia, che Kublai Khan, con una sorta di ‘alchimia’, imponeva l’uso della carta come moneta al posto dei metalli preziosi.
Nell’XI secolo la penuria di metalli e il maggior fabbisogno di moneta avevano indotto le autorità imperiali a varare un sistema basato sull’emissione di carta moneta stampata; in un solo anno ne furono messi in circolazione quattro milioni di pezzi. Nel XII secolo i Sung finanziarono la guerra difensiva contro i tartari stampando carta moneta, e dopo essere stati sconfitti continuarono a stampare per poter pagare il tributo ai vincitori…..




Noi pensiamo a Gutemberg come a ‘colui che inventò la stampa’, o almeno come all’inventore dei ‘caratteri mobili’. Ma quando comunemente lo identifichiamo con l’elegante Bibbia che fu la sua prima opera tipografica di grande importanza, e che è custodita come un tesoro nelle nostre biblioteche, lasciamo in ombra il suo ruolo fondamentale. Egli, infatti, non fu soltanto un pioniere e l’artefice, finché visse, di splendidi incunaboli. Fu il profeta del nuovo mondo in cui le macchine avrebbero fatto il lavoro degli scrivani, il torchio da stampa avrebbe spodestato lo ‘scriptorium’ e la conoscenza si sarebbe diffusa fra innumerevoli comunità di cui si ignorava perfino l’esistenza.
Fra gli eroi della storia moderna, pochi sono avvolti nel mistero più di Johann Gutemberg (ca. 1394-1468). Ma se è avvolta nel mistero la sua persona, non lo è la sua opera, che fu il coronamento di tentativi compiuti da molti altri. Egli mise insieme quello che gli altri non avevano saputo mettere insieme, e nell’impresa rischiò tutto. Gran parte di ciò che sappiamo di Gutemberg riguarda le sue interminabili liti giudiziarie sul finanziamento della sua officina di stampa e sui proventi della sua invenzione.




Naturalmente in Europa si stampava molto tempo prima di Gutemberg, se per stampa intendiamo la produzione di immagini mediante impressioni. Il verbo inglese ‘to print’ (stampare) indicava in origine l’impressione di un sigillo, come nel conio delle monete, il che rende comprensibile il fatto che Gutemberg iniziò la sua attività come orefice. La sua invenzione fondamentale, in realtà, non fu tanto un nuovo modo di ‘stampare’, nel senso di imprimere, quanto un nuovo modo di moltiplicare i tipi, cioè i caratteri metallici delle singole lettere dell’alfabeto.
Altri, prima di lui, avevano pensato a scolpire, o incidere a rilievo, un’immagine a rovescio sul legno o sul metallo, per poi pressare con questa matrice, inchiostrata con un colorante, un tessuto una pergamena o un foglio di carta. Ma in genere stampavano intere pagine, interi disegni.




Gutemberg frazionò il procedimento.
Per lui stampare un’intera pagina era un’operazione cumulativa, consistente nell’imprimere singole lettere frequentemente ripetute. E allora perché non fabbricare molti esemplari di ogni lettera, che si potessero usare nuovamente ogni volta che era necessario? 

(D.J. Boorstin, L'avventura della scoperta)