giuliano

venerdì 27 settembre 2019

E' GIUNTA L'ORA... DI CANDIDARSI (7)









































Precedenti capitoli:

La danza degli spettri (6)

Prosegue nella...

Presentazione dei futuri ministri (8)  &  (9)













Sì, ho deciso di candidarmi alla presidenza.




Ciò di cui il paese ha bisogno è un candidato che non possa essere infangato da un’inchiesta sulla sua storia passata tale da permettere ai nemici del partito di rovesciargli addosso qualcosa di cui nessuno aveva mai sentito parlare.

Se conoscete il peggio d’un candidato fin dall’inizio, ogni tentativo di tirar fuori qualcosa su di lui finisce in uno scacco matto. E io voglio entrare nell’agone come un libro aperto.




Riconoscerò in anticipo tutte le malvagità di cui sono stato protagonista, e se una qualche commissione del Congresso vuol davvero frugare nella mia biografia nella speranza di scoprire che ho tenuto nascosto qualche atto nefando e letale, be’, che frughi pure.

Tanto per iniziare, riconosco di aver spinto a rifugiarsi su un albero un mio nonno affetto da reumatismi, nell’inverno del 1850. Era vecchio e inesperto nell’arrampicarsi sugli alberi ma, con la spietata brutalità che mi contraddistingue, fucile in mano lo cacciai fuori casa vestito solo della sua camicia da notte e lo costrinsi ad affannarsi su per un acero, dove rimase l’intera notte mentre io gli scaricavo il fucile nelle gambe.

L’ho fatto perché russava.

E lo rifarei se avessi un altro nonno: sono disumano oggi come lo ero nel 1850.




Ammetto anche, con molto candore, d’essermela data a gambe durante la battaglia di Gettysburg. I miei amici hanno cercato di minimizzare la cosa: sostengono che l’avevo fatto per imitare Washington che si nascose fra i boschi a Valley Forge con il proposito di dire le preghiere.

Miserabile sotterfugio!

In verità, sono schizzato via in linea retta verso il Tropico del Cancro perché avevo una fifa matta: certo, volevo che il mio paese si salvasse, ma preferivo che fosse qualcun altro a salvarlo.

Anche adesso la penso così.




Se ci si può guadagnare un’effimera reputazione solo mettendosi davanti alla bocca d’un cannone, sono anche disposto a farlo, ma a condizione che il cannone sia scarico; se invece è carico, mio obiettivo unico e irremovibile è scavalcare lo steccato e filarmela a casa.

È mia prassi costante, in guerra, riportare indietro da ogni battaglia due terzi di uomini in più rispetto a quanti ci sono entrati, e ciò, nella sua grandeur, mi pare affatto napoleonico.




Le mie opinioni in campo finanziario sono quanto di più deciso si possa immaginare, ma forse non tali da accrescere la mia popolarità presso i sostenitori dell’inflazione. Non insisto sull’assoluta supremazia della cartamoneta piuttosto che del metallo: il grande principio fondamentale della mia vita è prendere tutto quel che posso.

L’insinuazione che avrei sepolto nel mio vigneto una zia deceduta coglie nel segno.

La vite aveva bisogno di fertilizzanti, mia zia andava sepolta e così la destinai a quest’alta finalità.

Ciò mi rende forse inadatto alla presidenza?




La Costituzione del nostro paese non lo dice.

Nessun altro cittadino fu mai considerato indegno di questa carica per aver arricchito la terra della propria vigna con i parenti deceduti. Perché mai dovrei essere io il prescelto per dar inizio a quest’assurdo pregiudizio?

Ammetto anche di non essere amico del povero: considero il povero, nella sua situazione attuale, uno spreco di materie prime. Fatto a pezzi e inscatolato nella giusta maniera, potrebbe servire a ingrassare i cannibali delle isole e a migliorare il nostro export in quelle aree.




Nel mio primo messaggio alla nazione, intendo raccomandare che si legiferi in materia. Il mio slogan durante la campagna sarà:

“Essiccate il povero lavoratore; ficcatelo nelle salsicce”.

Queste sono le parti peggiori del mio curriculum.

E con esse mi pongo di fronte al paese.

Se il mio paese non mi vuole, mi ritirerò in buon ordine.

Ma raccomando me stesso come un uomo di cui ci si può fidare: un uomo che parte da una base di depravazione totale e che fino all’ultimo intende conservarsi malvagio.

(M. Twain)















lunedì 23 settembre 2019

VIAGGIATORI D'ALTRI TEMPI (5)



















Precedenti capitoli:

Mia amata ti scrivo (3)

....Da un Galeone con la Vela al vento (4)

Prosegue nella...

Danza degli Spettri (6)














Anche la dimensione economica contribuisce a creare una Geografia dell’osservazione e a tracciare le coordinate delle terre e dei popoli che s’incontrano. Le considerazioni in merito oscillano fra il concreto realismo e l’accettazione delle più fantasiose notizie, dando ragione a chi, come Leonardo Olschki cinquant’anni fa, sosteneva che tutto ciò che esiste al di là della dimensione conosciuta, anche in campo economico, rientra nel regno del potenzialmente favoloso, e che gli scambi di merci non implicano, necessariamente di per sé, un cambiamento delle forme di conoscenza del mondo.

La fertilità di una terra non viene quasi mai sottaciuta da chi osserva e racconta, ma pochi rinunciano ad affiancare alla ‘banale’ normalità di campi più o meno ricchi, la notizia di risorse (soprattutto nel sottosuolo) reperibili in modo fantasioso per non dire miracoloso. E nella trattazione di questa materia gli aspetti reali si mescolano, di norma, inesorabilmente con i retaggi di antiche leggende.




Antonio Piacentino assicura che, in un’isola del Mar Rosso, c’è una pietra viva da cui pendono i frutti molli come carne, a forma di datteri, i quali trasudano un unguento che si chiama ‘olio di pietra’ che viene usato come benedizione. Resta il dubbio, in chi legge, se l’autore abbia inteso rendere in maniera fantasiosa l’informazione, avuta di seconda mano, dell’esistenza del petrolio, o se si tratti semplicemente di invenzione.

Più facilmente, invece, si comprende ciò che scrive Benjamin de Tudela sull’esistenza a Pozzuoli di una sorgente dalla quale sgorga, dagli abissi marini, olio detto ‘petrolio’ che la gente raccoglie dalla superficie del mare per farne unguenti e farmaci. In questo caso il viaggiatore non ha fatto altro che recepire, pari pari, la lettera dalla cronaca ebraica del Sepher Yosephon (forse della metà del X secolo), dove si legge che, ai tempi di Romolo, primo re dei romani, ‘nella città di Sorrento (in realtà Pozzuoli) sgorgava una sorgente d’olio; in seguito da molti anni la città è sommersa ed è coperta dal mare […] ma ciò nonostante quella sorgente non si è esaurita e tuttora l’ottimo olio, che da essa rampolla sulla superficie delle acque, è raccolto dagli abitanti di Napoli’.




Marco Polo asserisce di aver visto, a Baku, la ‘fontana dell’olio’, sul confine fra la Grande Armenia e la Georgia, dalla quale ‘surge tanto olio in tanta abbondanza che cento navi se ne caricherebbero alla volta; ma egli non è buono da mangiare, ma sì da ardare: è buono da rogna e ad altre cose; e vengono gli uomini molto dalla lunga per questo olio, e per tutta quella contrada non s’arde altro olio’.

Anche Giosafat Barbaro, sul Mar Caspio, si imbatte in ‘una montagna che butta olio negro di gran puzza, il qual si adopera ad uso di lucerne, e ad unzione di cameli’ contro la scabbia.

L’inglese Geoffrey Ducker racconta che in Persia ‘si può ammirare il curioso fenomeno di una sorprendente quantità d’olio che sgorga dal suolo’. Questo olio nero, specifica il viaggiatore, si chiama ‘nefte’; lì vicino si trova anche un olio bianco, prosegue, che noi chiamiamo ‘petrolio’, mentre altrove c’è il bitume.




…Da questi altri futuri ‘viaggiatori’ (nonché bottegai), anima e spirito dell’Universo del loro tempo, in nome del dovuto innato commercio e nuova scoperta predata o quantunque da predare, nasceranno simmetricamente, oltre resoconti prodigiosi, anche affollati contesti da flora e fauna dalla scienza ispirati - con animali accompagnare le dovute ‘fiere’ motivo dei ‘favolosi’ esseri descritti animare un precedente scritto… Come abbiamo letto di ‘concerto’ presso una biblioteca presieduta da un noto ‘ricercatore’...

Abbiamo altresì scoperto che l’uomo non può certo esulare dal ‘panorama’ conquistato e dipinto per ogni nuovo Viaggio o solo breve ‘quadro’ dell’Universo ritratto specchio della presunta Conoscenza, giacché ogni essere evoluto in nome e per conto della stessa, esporta, e in qual tempo compone ‘espropriando’, retta e sana Opera storica.

Almeno così vien tramandato.

Per essere appena ricordato scoperto e catalogato dal noto bibliotecario!




…Infatti se solo dovesse venir meno a cotal ‘araldo’ inciso nelle tinte sfumature contorni e ‘primi piani’ di delineati profili coniare moneta in cui ritratto e conservato nella magnifica edizione o tela ben custodita a tiratura limitata e numerata, non sarebbe di certo un artista o degno imperatore della cornice quanto dell’indice interpretato, impossibilitato sia al ‘quadro’ ispirato non meno del soggetto trattato e coniato, comunque sottratto al comune senso della civiltà ove ogni essere umano quantunque ‘eretico’ comporre l’avversata Storia mai nata, e di conseguenza, mai evoluta né dipinta.

E da cui, ne consegue, nascere tutti quegli esseri apparentemente ‘favolosi’ avversi ed in contrasto  moto ‘contrario’ al comune senso della Storia quanto della Natura, in cui ritratti in composte mostruose pose, e successivamente scoperti non men che catalogati e numerati così da non perderne il conto nel danno ottenuto... divenuta ricchezza di Uno!

E ben conservati nei dovuti forzieri di ciò che Stato…

…Ritratto della Storia!




Certo, ‘ritratto’, in quanto come possiamo ben ammirare in ogni museo o biblioteca di loro non rimarrebbe che il misero fosco annebbiato consumato ‘ritratto’.

Mai sia detto scheletro!

Paradossale rovesciamento degli opposti.

Ciò che, per propria superiore Natura infinito, costretto alla finitezza da chi limitato dalla materiale deriva ben ancorata ad una stiva. 

Come si può del resto pretendere che un artista sia degno del proprio ‘atto’ o intento, privato del principio dall’arte ispirato; così l’odierno statista incaricato, il quale si dimena all’altare della politica legiferando senza conoscerne l’intera Dottrina per la quale l’Opera, sia artistica che storica, comporre costantemente il panorama della sua quanto altrui Materia.

Sarebbe certamente un animale prodigioso degno della dovuta attenzione e non solo storica!

Al ‘pil’ dello zoo ove ogni dottrina deriva!




Verrebbe, di conseguenza, immediatamente retrocesso ma quantunque ‘elevato’ presso miglior curatore della biblioteca solo per essere oggetto catalogato nella particolare genetica ove nata e evoluta la Storia e non solo quella naturale, in quanto non apparterebbe all’odierno donde il mondo nato e divenuto, giacché l’‘essere favoloso’ di certo non comprende che il partecipare all’intero ‘commercio della bottega’ sottintende anche globale reciproca responsabilità e appartenenza, in quanto affollare e presidiare ‘rette e meridiani’ (donde altri favolosi esseri bituminosi nati) armato con l’unicità del proprio mirabile intento, comporta unanime coinvolgimento nelle responsabilità della dovuta genetica con lui evoluta e divenuta (e non solo commerciale natura), rilevata e rivelata con conseguente globale ricchezza, o al contrario, povertà per ognuno…

Per non un essere isolato in questa favolosa unicità ben custodita ai piani alti della Torre ove il ‘merlo’ del proprio castello avvista ben altro ‘panorama’ ed elemento.

Non sarebbe né un buon monarca né un buon artista né una specie degna della dovuta nota (scientifica quanto storica) eccetto l’attenzione per la prodigiosa unicità detta con cui si distingue e con cui classificato presso il favoloso regno animale non ancora specificato nella genetica d’ognuno, ma da cui altri prodigiosi esseri sicuramente evolveranno e muteranno per tutto ciò che di inconsueto ne de-riva nell’(in)finita politica tradotta, muti nella pur globale ‘unicità’ donde l’Opera Incompiuta.  




…L’avida ed egoistica irrequietezza della società moderna, con la propria ignoranza ed il disprezzo del bisogno di far riposare la mente, era condensata da Thoreau nella parola ‘affari’. E il saper cooperare in questi significa il saper anche adottare un migliore sistema educativo nel ‘villaggio globale’ abitato e affollato, ed ‘agire’ collettivamente - pur conservando il proprio individualismo - ma di concerto coniugato secondo un più elevato Spirito delle nostre istituzioni se solo gli uomini riuscissero (abbandonando i propri egoismi) ad abbinarle seriamente e pazientemente nonché armoniosamente ad un qualche nobile scopo che non sia appunto quello del limitato mondo degli 'affari propri'.

La ‘civilizzazione’ è un reale avanzamento delle condizioni del genere umano, e l’agricoltura subentra all’indiano perché fa fruttare i campi (oggigiorno l'altrui campo per nostro solo interesse negli ‘affari’ detti da cui deriva oltre l’energia anche la dovuta ‘nutrizione’…) rendendosi così più forte e per certi versi più naturale.

[…] Tuttavia, mentre fa questa ammissione, sottolinea una cosa su cui troppo spesso i rassicuranti statistici sorvolano, cioè che pure se in maggioranza gli uomini civilizzati vivono in condizioni migliori dei selvaggi, esiste una minoranza per cui ciò non si può dire. Infatti quando Thoreau inveisce contro le tante follie e i difetti della presunta civiltà, non lo fa perché mette in dubbio o nega la sua superiorità sullo stato selvaggio, ma perché (per usare le sue parole) desidera…

…mostrare a costo di quali ‘sacrifici’ si è ottenuto questo attuale vantaggio (come del resto presto leggeremo nell’odierna settimana circa la presunta ‘civiltà’ riunita per discuterne il globale Clima derivato), e suggerire che forse si può vivere assicurandosi tutti questi ‘vantaggi’ senza soffrire dei relativi ‘svantaggi’.




Per concludere, ecco uno dei tanti motivi nel citato maestro nonché primo ecologo nel senso proprio del termine, nella globalità culturale il qual termine intende implica e sottintende, ben considerato e partecipato seppur apparentemente ‘isolato’ dalla Storia e non solo naturale da tutti condivisa nell’etica che distingue o dovrebbe un più elevato Pensiero, motivo di miglior Governo e dovuto intendimento nella totalità della Natura derivato (ed ancor oggi ben conservato ed ispirato per non dire respirato da siffatta corteccia specchio d’una più estesa Selva).

E con lui conseguente Pensiero Storico nella civiltà coniugato ancor in buon uso didattico e non solo filosofico ma altresì principio economico adottato, in quanto ben partecipato e quindi rinato ai cicli della Natura e con lei dovuta Economia che ne deriva, o dovrebbe.

Se da questi non scoprissimo, nella nostra quanta altrui biblioteca, esseri alieni e non ancor ben partecipati al senso globale della Storia ivi conservata…   

(in corsivo D. Balestracci & H. Salt)












venerdì 20 settembre 2019

UNA GIACCA SUPERBA (per le grandi occasioni) (2)



















Precedenti capitoli:

Mia nonna Giuseppina (2)

E' giunta...

L'Hora che pur ti scriva questa mia (3)

...Da codesto mare in burrasca...(4)













Ricordo: era una bella giornata d’autunno e io passeggiavo nel giardino pubblico della mia città natale. Il luogo era deserto e io contento perché mi sentivo giovane e magro, perché il cielo era azzurro, perché avevo superato felicemente certi fastidiosi esami. Ma, più che altro, ero felice perché inauguravo, proprio quella mattina, una superba giacca color nocciola, di ottimo taglio, di eccellente stoffa e di singolare leggerezza.

Una sola panchina era occupata: ben disposta su di essa, una giovane donna stava leggendo. Mi sedetti chiedendo scusa e mi accorsi allora, con lieto stupore, che la giovane donna era la stessa giovane donna che io, da tanto tempo, salutavo almeno venti volte al giorno e che, da tantissimo tempo, avevo stabilito di informare di certo mio progetto sentimentale.




Cominciammo a parlare cordialmente: ci conoscevamo e non c’era quindi niente di male. La giovane donna si mostrò molto cordiale e ben disposta a convenire con me che la giornata era veramente bella, che alla sera non si sa mai cosa fare, che l’anno prima la stagione era stata molto peggiore.  A un tratto, però, la giovane donna tacque e cominciò a considerare severamente la mia meravigliosa giacca. Mi fece cenno di alzarmi e di voltarmi, onde accertarsi se la parte posteriore dell’indumento corrispondesse alle promesse della parte anteriore. Alla fine la giovane donna scosse il capo:

– No, no, esclamò convinta, questa giacca è veramente eccezionale e voi mi farete il favore di non mettervela più, per ora. Sarebbe un peccato sciuparla senza nessun costrutto. Serbatela: andrà benissimo per quando noi saremo fidanzati e avremmo modo per la ‘grandi occasioni’… e voi mi porterete a spasso sul corso.




Io balbettai qualcosa mentre un certo putiferio accadeva nella parte della mia cassa toracica; poi salutai correttamente la giovane donna e tornai a casa saltellando. Dopo matura riflessione, favorita dalla notte fresca e profumata, io concludevo che, se avessi osato, forse i miei sogni si sarebbero avverati.

Due giorni dopo, incontrata la giovane donna in luogo poco frequentato, le balbettai qualcosa. Non ricordo cosa dissi, allora. Ricordo solo che mi fu risposto: ‘Anch’io’. Il primo convegno fu nel pomeriggio del giorno seguente, nello stesso giardino, e io indossai trionfalmente la mia superba giacca color nocciola.




Appena mi vide, la giovane donna disapprovò severamente il fatto:

– No, esclamò, Sarebbe un peccato sciupare questa magnifica giacca adesso. Mettila nell’armadio: andrà benissimo per quando saremo sposati e, d’estate, approfittando dei treni popolari, mi porterai a vedere Venezia oppure magari New York…

Io tralascio tutti gli altri mille fatti analoghi: voglio soltanto seguire la sorte di questa mia splendida giacca color nocciola.




Passarono parecchi anni da quel giorno e finalmente la giovane donna, con la scusa di tutelare il mio avvenire, mi indusse a confessare a un dignitoso signore in veste talare che io ero felice di condurla in matrimonio. Entrammo nella nostra casetta un pomeriggio d’estate: io aprii il mio vecchio baule, armeggiai attorno a un tessilsacco accuratamente chiuso e, di lì a poco, potevo cominciare ad infilare il braccio destro nella manica della mia antica, famosa e sempre stupenda giacca color nocciola.

La dolce signora che fu già la mia dolcissima signorina, la quale aveva seguito con interesse la mia azione di recupero, a questo punto ebbe uno scatto:




– No, no!!, esclamò severamente, sarebbe un peccato sciupare una giacca meravigliosa come questa. E poi ti è oramai maledettamente stretta. Rimettila pure nell’apposito alloggiamento e aggiungi naftalina. Andrà benissimo per il nostro bambino, il nostro futuro bambino. Ci caverò fuori un paltoncino delizioso.

Il fatto è che oggi come oggi, dopo tanti anni, la mia superba giacca è ancora nel tessilsacco. Adesso che c’è un Albertino avente diritto a un paltoncino color nocciola, la esimia signora di cui sopra ha scoperto che sarebbe un peccato sciupare una meravigliosa giacca per un marmocchietto alto venti centimetri. Quella giacca andrà benissimo per quando Albertino andrà alla Cresima.




Io ho citato il semplice fatto della giacca.

Ma tutto è come la giacca, nel mio quarto-piano.

Ho speso un patrimonio in tendaggi e tappeti: non c’è uno straccio alle finestre o per terra in casa mia.

 – Quelle tende e quei tappeti, ha detto la simpatica creatura che il Cielo sparse copiosamente sul mio cammino – andranno benissimo quando ci sarà una casa in ordine. Non esistono soprammobili, lampade da tavolo, posaterie, porcellane fini, coperte da letto, materassi di soffice lana, specchi, servizi da toletta.

O meglio: io l’ho comprati, ma essi sono chiusi, bene impacchettati, in grandi casse, nel guardaroba.




– Andranno benissimo quando ogni cosa sarà in ordine, ha stabilito la dolce conterranea. Adoperarli adesso sarebbe un delitto.

Io ho lavorato giorno e notte, per arredare la mia casetta. Ho comprato sedie, cassettoni, armadi, poltrone tavoli.

– Ma neanche per sogno, ha esclamato la delicata creatura dei miei sogni, appena ha visto le suppellettili.

– Andranno benissimo per quando…





E costruiti con le sue infernali manine di fata degli enormi sacchi con fettucce, ha coperto accuratamente tutti gli arnesi. Ma oggi, approfittando della giornata festiva, ho considerato con serenità la faccenda e ho concluso che la cosa aveva raggiunto i limiti.

– Signora, ho comunicato gravemente alla dolce amministratrice dei miei mali,

– Signora: voi avete chiuso nelle vostre dannate casse dell’avvenire tutte le mie giacche perché andranno bene per Albertino, avete incamerato tutti i miei soprabiti perché andranno bene per Albertino, avete incamerato tutti i miei soprabiti perché andranno bene, eccetera eccetera. Mi avete privato delle mie più decenti camicie, dei miei fazzoletti, dei miei pullover, delle mie scarpe migliori. Mi avete vietato tutto insomma perché tutto andrà benissimo quando… eccetera eccetera. Signora: la situazione è diventata in questo momento gravissima. O voi cacciate fuori un paio di calzoni o io sarò costretto a uscire di casa in mutande!





Ecco così! La dolce segretaria dei miei dispiaceri d’ufficio ha considerato attentamente lo spettacolo del suo amministrato in mutande.

Poi ha lanciato un grido:

– Ma neanche per sogno! Quelle mutande andranno benissimo per quando indosserai il vestito sportivo coi calzoni alla zuava.

– Levatele e mettile nella seconda cassa!

(Guareschi)













lunedì 16 settembre 2019

PRIMO MOVIMENTO (adagio-andante): IL GRANDE MORTO



















Precedenti capitoli:

Sinfonia 'Kamp Km. 50' (15)

Prosegue nella...

Sinfonia incompiuta (17)  (18)  (19)  (20)













Le cosmogonie vediche, indù e persiane ci riferiscono che, già nei tempi mitici, dèi e demoni, conoscendo la potenza del sacrificio sonoro, si batterono con accanimento per il possesso di quella forza.

In certe occasioni non esitarono persino a farne cattivo uso.

La offuscarono con la menzogna.

Il ‘Tandya Maha Brahmana’ riferisce che, a causa di quella insostenibile situazione, la Parola un giorno sfuggì parzialmente agli dèi e andò a stabilirsi nelle acque e negli alberi, nelle cetre e nei tamburi.

La ‘Chandogya Upanisad’ espone gli stessi fatti in modo più filosofico.




Narra che il mondo fu generato dalla sillaba OM, che costituisce l’esssenza del ‘saman’ (canto) e del soffio. Elenca poi le differenti tappe che segnano la progressiva materializzazione del mondo: il ‘saman’ è l'essenza del metro poetico, il metro del linguaggio, il linguaggio è l’essenza dell’uomo, l’uomo è l’essenza delle piante, le piante sono l’essenza dell’acqua e l’acqua è l’essenza della terra.

Secondo il trattato ‘Il fruscio dell’ala di Gabriele’ di Shihaboddin Yahya Sohrawardi, Dio possiede alcune parole maggiori che fanno parte delle parole luminose emananti dal fulgore del suo volto. Dall’irraggiamento di quelle parole procede tutta la creazione. L’ultima di queste parole si manifesta nel fruscio delle ali di Gabriele: quella destra è la luce pura e assoluta, ed è in rapporto soltanto con Dio; dall’ala sinistra, sulla quale si stende una impronta tenebrosa, proviene il nostro mondo di miraggio e illusione.




Il mondo non è altro che un’eco o un’ombra di quest’ala.

Secondo i Dogon (Africa), il signore della parola ha preso una parte della propria parola e l’ha introdotta nella pietra, la materia più antica del mondo. Ciò significa che al momento della creazione del mondo fisico una parte della forza del sacrificio sonoro si rivestì di materia.

In quello stesso momento comincia la già parziale decadenza del mondo acustico, poiché le ‘immagini’ materiali (gli oggetti) elaborate durante questa seconda fase della creazione non sono più che riflessi delle antiche immagini acustiche.




Sebbene un gran numero di quelle immagini materializzate siano ormai prive di ogni sorta di voce, tutti gli esseri e tutti gli oggetti rivestiti di materia continuano tuttavia a racchiudere una certa quantità della propria sostanza acustica originale. Tale sostanza si manifesta nella loro voce, o nel suono che da loro si può trarre, o semplicemente nel nome che portano.

Si costituisce così, fra l’uomo e l’oggetto più inanimato e muto, tutta una gerarchia di valori, stabiliti secondo il grado o l’intensità con la quale ogni essere, o ogni oggetto, è capace di realizzare la sostanza della propria materia.




A seguito di questa evoluzione provocata dal demiurgo gli uomini persero i loro corpi sonori, luminosi e trasparenti, e cessarono di librarsi nell’aria. Divennero pesanti e opachi e, allorché cominciarono a mangiare i prodotti della terra, la loro natura acustica si attutì a tal punto che rimase soltanto la voce.

Anche la tradizione brahmanica riferisce che, ormai persino il loro linguaggio non racchiudeva più che un quarto della parlata originale, avendo gli animali ereditato ciò che restava. Per attuare questa materializzazione del mondo acustico, fu necessaria la collaborazione di tutta una gerarchia di dèi, di demiurghi e di spiriti, i quali si trasmisero di bocca e di grado in grado le loro forze sonore, al fine di tessere il velo di ‘maya’ offuscando il suono-sostanza con la materia.




All’inizio della creazione, il grande Morto enunciò un dio cui diede l’incarico di creare (per mezzo di un grido, del vento o del tuono) un mondo di suoni e di luce. Questo dio agiva dunque senza entrare in contatto con oggetti materiali. Per dare origine alla materia, egli si associò con il ‘transformer’, signore della materia.

Secondo alcune tradizioni dell’Asia settentrionale, fu la voce rauca di questo demiurgo a formare le montagne, i baratri e le valli. Ma il suo aiuto non era certo disinteressato. Il demiurgo è un dio ingordo e antropofago, che cerca di possedere gli uomini...




Numerosi miti riferiscono che la ‘morte che canta’  voleva creare degli uomini immortali. Ma il suo rivale, il dio vivente che ‘canta la morte’ (transformer), riuscì a far fallire il progetto.

Così mentre il camaleonte molto lento e pigro che stava andando a dare agli uomini l’annunzio divino della loro immortalità, Coyote lo fece precedere di nascosto da una bestia più veloce che disse il contrario. Quando questa notizia, benché falsa, arrivò alle orecchie degli uomini, la loro mortalità divenne irrevocabile.




Per addolcire questa triste sorte, comparve sulla Terra un altro semidio che, su ordine del creatore, portò agli uomini la musica. Al pari di tutti quegli esseri mistici, questo ‘eroe civilizzatore’ possiede una natura duplice oppure si associa con altro transformer per formare una coppia di gemelli.  

Questo secondo transformer è il dio della guerra che cerca di nuocere agli uomini e di togliere loro i figli per portarli al dio ingordo, mentre ‘l’eroe della cultura’ difende la pace, la vita e con esse la cultura umana, e trasmette i ‘canti’ e le ‘preghiere’ degli uomini al Creatore.




Il transformer si sente a proprio agio nel mondo grezzo; crea le grida di odio, il rumore amorfo, la falsa musica, la calunnia, la falsità, la menzogna, sostituisce il bene con il male; il suo rivale modifica la Terra per renderla più abitabile e inventa la musica propriamente detta utilizzando le migliori sonorità musicali della Natura…

Il Primo porta la malattia; il Secondo l’arte della conoscenza.

Questi gemelli, che generalmente scendono sulla Terra per mezzo di un Albero, hanno spesso nomi molto simili.

La Terra, che l’‘eroe della cultura’ e il dio della guerra devono sistemare e amministrare, è in genere presentata come un’isola dominata da una grande montagna. Sulla vetta (l’ombelico del mondo) di questa montagna si trova un Albero parlante – o due alberi intrecciati (la Vita e la Morte) – la cui punta tocca la stella polare.




I Rami reggono il sole, la luna e la Via Lattea. Intorno alla cima dell’Albero gira il drago, e ruotano i carri (l’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore) del dio del tuono (creatore) e alcuni demiurghi che imitano o ripetono il rumore del tuono.

Il tronco dell’Albero, che è cavo (morto) come quello di un tamburo-albero, passa attraverso un lago situato all’interno di una caverna. Tale centro di risonanza si trova nel cuore della montagna. Il lago è formato da una mescolanza di fuoco e di acqua che fa risuonare la caverna come una nube durante la tempesta. Esso costituisce la sorgente della vita e invia le sue forze miracolose verso una fonte situata ai piedi dell’Albero, le cui radici toccano il polo opposto alla stella polare.

Sul mare interno di questa caverna il dio del tuono si incontra con il transformer oppure con una dea della terra per chiamare in Vita i primi uomini.

Anche gli…

(M. Schneider)