giuliano

mercoledì 4 settembre 2019

COSA E' LA PEDAGOGIA? (4)


















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Cosa è la pedagogia? (3/1)

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Punte di Frecce (pedagogiche) (5/8)













‘Non ci si associa per morire’, è stata l’acuta osservazione di Espinas; e Houzeau, che ha studiato la fauna di certe regioni dell’America quando questo Paese non era ancora stato modificato dall’uomo, ha scritto nel medesimo senso. La socialità si riscontra nel mondo animale in tutti i gradi dell’evoluzione essa è all’origine stessa dell’evoluzione. Ma via via che si sale nella scala evolutiva, possiamo notare come la socialità divenga sempre più cosciente: essa perde il suo carattere puramente fisico, cessa di essere semplicemente istintiva, e diventa razionale. Nei vertebrati superiori è periodica, ovvero gli animali vi ricorrono per la soddisfazione di un bisogno particolare: la continuazione della specie, le migrazioni, la caccia o la reciproca difesa. Si produce anche accidentalmente, ad esempio quando alcuni uccelli s’associano contro un predatore o quando alcuni mammiferi, sotto la pressione di circostanze eccezionali, si aggregano per migrare. In quest’ultimo caso è una vera e propria deroga volontaria ai costumi abituali. L’aggregazione appare qualche volta a due o più gradi: la famiglia dapprima, poi il gruppo, ed infine l’associazione di gruppi abitualmente sparpagliati, ma che si riuniscono in caso di necessità, come abbiamo visto presso i bisonti e presso altri ruminanti. Questa associazione può prendere anche forme più sofisticate, curando maggiore indipendenza all’individuo senza privarlo dei vantaggi della vita sociale. Presso quasi tutti i roditori, l’individuo ha una sua tana particolare nella quale può ritirarsi quando preferisce restare solo, ma queste tane sono disposte in villaggi e in città così da assicurare a tutti gli animali che vi abitano i vantaggi e le gioie della vita sociale. Infine, presso varie specie come i topi, le marmotte, le lepri, ecc., la vita sociale è mantenuta nonostante il carattere litigioso e alcune tendenze egoistiche del singolo individuo. Tuttavia, questa associazione non è imposta, come nel caso delle formiche e delle api, dalla struttura fisiologica degli individui, ma è coltivata per i benefici che derivano dal mutuo appoggio o per i piaceri che essa procura.




Questo, naturalmente, si realizza in tutti i gradi possibili e con la maggiore varietà di caratteri individuali e specifici, e la varietà stessa degli aspetti che assume la vita in società è una conseguenza, e per noi una prova in più, della sua generalità. Solo recentemente la socialità, vale a dire il bisogno dell’animale di associarsi con i suoi simili, l’amore della società per la sua stessa salvaguardia, combinato alla gioia di vivere, hanno cominciato a ricevere dagli zoologi l’attenzione che meritano.
Fortunatamente la competizione non è la regola né nel mondo animale né (dovrebbe) nel genere umano. Negli animali è ristretta a periodi eccezionali, mentre la selezione naturale trova occasioni decisamente migliori per operare. Condizioni migliori sono appunto create dalla eliminazione della competizione per mezzo del reciproco aiuto e del mutuo appoggio. Nella grande lotta per la vita per una vita di massima pienezza e intensità a fronte di un minimo dispendio di energia la selezione naturale cerca sempre i mezzi per evitare la competizione per quanto è possibile.  Questa la tendenza della natura, sempre presente pur se non sempre pienamente realizzata. Questa la parola d’ordine che ci viene dal cespuglio e dalla foresta, dal fiume e dall’oceano:

Unitevi! Praticate il mutuo appoggio! Esso è il mezzo più sicuro per dare a tutti e a ciascuno il massimo di sicurezza, è la migliore garanzia di esistenza e di progresso fisico, intellettuale e morale. Ecco ciò che la Natura ci insegna, e che quegli animali che hanno raggiunto la più elevata posizione nelle loro rispettive classi mettono in pratica. Ma è pure ciò che l’uomo, anche l’uomo più primitivo, ha fatto; ed è proprio per questo che l’uomo ha potuto raggiungere la posizione che occupa attualmente, (ed aggiungo io, se vuol mantenere il privilegio derivato dalla Natura donde evoluto...)
(Petr Kropotkin)




 Arrivarono  al  museo  controllarono  a che  piano  era  la  mostra  di  Munch  e  salirono. Ben  presto  si  trovarono  a  vagare  tra  quadri  e  incisioni.  Molta  gente  era  venuta  a  vedere  la  mostra,  compresa  una scolaresca; la voce acuta dell’insegnante attraversava tutte le stanze dedicate alla  mostra e Rick  pensò. Ecco come ci si aspetta che  un droide abbia la voce – e  forse  anche  l’ aspetto. Non come Rachael  Rosen e  Luba Luft.  E  non  come  il  tizio  che  gli  stava  a  fianco. O forse doveva dire il coso che  gli stava a fianco .
‘Hai mai sentito parlare di un droide che teneva un animaletto  qualsiasi?’,  gli chiese Phil Resch.
Per qualche oscuro motivo Rick sentì il bisogno di essere  brutalmente franco, forse aveva già cominciato a prepararsi per quello  che lo aspettava di lì a poco. In ben due casi di cui sono al corrente, degli  androidi possedevano animali e si prendevano cura di loro.
Ma è  raro.
Da quel che so, in genere non funziona; l’androide non riesce a tener viva una bestiola. Gli animali hanno bisogno di un ambiente pieno di calore per star bene.  Eccezion fatta per i rettili  e gli insetti.
‘E’ uno  scoiattolo? Anche lui ha bisogno di  un’atmosfera d’amore?  Perché guarda che Buffy sta benissimo, ha il pelo lucido come una lontra. Lo spazzolo e lo pettino un giorno si e uno no.
Phil Resch si fermò davanti a un quadro a olio e si mise a  guardarlo con attenzione. Il quadro mostrava una creatura calva e  angosciata, con la testa che pareva una pera rovesciata, le mani premute  sulle orecchie e la bocca aperta in un immenso urlo muto.
Onde contorte del tormento della creatura, echi del suo grido, fluttuavano nell’aria che la circondava; l’uomo, o la donna, qualunque cosa fosse, aveva finito per esser contenuta nel proprio urlo. Si era coperta le orecchie proprio  per non sentirlo. La creatura era in piedi sul ponte e non c’era nessun altro presente; urlava nell’ isolamento più totale. Tagliata fuori dal suo  sfogo,  oppure nonostante il suo sfogo.
‘Di questo ha fatto anche un’incisione’, disse Rick, leggendo il  cartellino affisso sotto  il quadro.
‘Secondo me’, disse Phil Resch ‘è così che deve sentirsi un droide’.
 Con un dito seguì nell’aria le volute del grido della creatura che si vedevano nel  quadro.
‘Io non mi sento così, perciò  forse non sono un…’. 
(P. K. Dick, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?)



  
Il io maestro Oskar Heinroth diceva, nel suo solito modo drastico ‘dopo  batter d’ali del fagiano argo’, il ritmo del lavoro dell’umanità moderna costituisce il più stupido prodotto della selezione intraspecifica.
Al tempo in cui fu pronunziata, questa affermazione era decisamente profetica, ma oggi è una chiara esagerazione per difetto.
Per l’argo, come per molti animali con sviluppo analogo, le influenze ambientali impediscono che la specie proceda, per effetto della selezione intraspecifica, su strade evolutive mostruose e infine la catastrofe.
Ma nessuna forza esercita un salutare effetto regolatore di questo tipo sullo sviluppo culturale dell'umanità; per sua sventura essa ha imparato a dominare tutte le potenze dell’ambiente estranee alla sua specie.
E tuttavia sa così poco di se stessa da trovarsi inerme in balìa delle conseguenze diaboliche della selezione intraspecifica. ‘Homo homini lupus’: anche questo detto, come la famosa frase di Heinroth, è ormai divenuto un ‘understatement’.
L’uomo, che è l’unico fattore selettivo a determinare l’ulteriore sviluppo della propria specie, è ahimè, di gran lunga più pericoloso del più feroce predatore.
La competizione fra l’uomo e uomo agisce, come nessun fattore biologico ha mai agito, in senso direttamente opposto a quella potenza eternamente attiva, beneficamente creatrice e così distrugge con fredda e diabolica brutalità tutti i valori che ha creato, mossa esclusivamente alle più cieche considerazioni utilitaristiche.




Sotto la pressione di questa furia competitiva si è dimenticato non solo ciò che è utile per l’umanità intera, ma anche ciò che è buono e vantaggioso per il singolo individuo. La stragrande maggioranza degli uomini contemporanei apprezza soltanto ciò che può assicurare il successo nella concorrenza spietata, ciò che permette loro di superare i propri consimili. Ogni mezzo che serve a questo fine viene considerato, a torto, un valore in sé.
 L’errore dell'utilitarismo, gravido di conseguenze deleterie, sta proprio in questo: nel confondere il fine con i mezzi. 
Il denaro era in origine un mezzo, e infatti nel linguaggio di tutti i giorni si dice ancora: E’ una persona con molti mezzi. Ma quanta gente è oggi ancora in grado di capirci quando cerchiamo di spiegare che il denaro in sé non ha valore alcuno?
Lo stesso si può dire per il Tempo: ‘Time is money’ significa per coloro i quali attribuiscono al denaro un valore assoluto, che essi apprezzano in egual misura ogni secondo risparmiato.
Se è possibile costruire un aereo in grado di sorvolare l’Atlantico in un tempo leggermente inferiore a quello attuale, nessuno si chiede quale sia la contropartita nel necessario prolungamento delle piste degli aeroporti, nella maggiore velocità di atterraggio e di decollare che comporta rischi maggiori, nell’aumento del rumore, ecc. La mezz’ora guadagnata rappresenta agli occhi di tutti un valore intrinseco per il quale nessun sacrificio è troppo grande.




Ogni fabbrica di automobili deve cercare di produrre un nuovo tipo di vettura che sia più veloce di quello precedente, tutte le strade vanno allargate, tutte le curve rettificate, col pretesto della maggiore sicurezza: in realtà soltanto per poter guidare un po’ più velocemente, e quindi più pericolosamente.
Sorge spontaneo il quesito  se all’anima dell’uomo odierno procuri maggiore danno l’accecante sete di denaro oppure la fretta logorante.
Qualunque sia la risposta, coloro che detengono il potere, indipendentemente dall'orientamento politico, hanno interesse a favorire entrambi questi fattori e a ingigantire le motivazioni che spingono l’individuo alla competizione. Non mi risulta che esista finora una analisi psicologica profonda di queste motivazioni; ritengo tuttavia molto probabile che, oltre alla brama del possesso e all’ambizione di ottenere una posizione di rango più elevato, un ruolo molto importante sia svolto in entrambe dalla paura: paura di essere superati dai concorrenti, paura di diventare poveri, paura di prendere decisioni sbagliate e di non essere, o non essere più, all’altezza di una situazione estenuante.
L’angoscia in tutte le sue forme è certamente il fattore determinante nel minare la salute dell’uomo moderno, ed è causa di ipertensioni arteriose, di nefrosclerosi, di infarti cardiaci precoci e di altri bei malanni del genere.
L’uomo che ha perpetuamente fretta non insegue solo il possesso, poiché la mèta più allettante non potrebbe indurlo a essere tanto autolesionista: egli è spinto da qualcosa, e ciò che lo spinge è solamente l'angoscia. La fretta e l’angoscia, inscindibili come sono l’una dall’altra, contribuiscono a privare l’uomo delle sue qualità essenziali.
Una di queste è la riflessione. 

(K. Lorenz, Gli otto peccati capitali della nostra civiltà) 















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