giuliano

venerdì 27 settembre 2019

E' GIUNTA L'ORA... DI CANDIDARSI (7)









































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La danza degli spettri (6)

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Presentazione dei futuri ministri (8)  &  (9)













Sì, ho deciso di candidarmi alla presidenza.




Ciò di cui il paese ha bisogno è un candidato che non possa essere infangato da un’inchiesta sulla sua storia passata tale da permettere ai nemici del partito di rovesciargli addosso qualcosa di cui nessuno aveva mai sentito parlare.

Se conoscete il peggio d’un candidato fin dall’inizio, ogni tentativo di tirar fuori qualcosa su di lui finisce in uno scacco matto. E io voglio entrare nell’agone come un libro aperto.




Riconoscerò in anticipo tutte le malvagità di cui sono stato protagonista, e se una qualche commissione del Congresso vuol davvero frugare nella mia biografia nella speranza di scoprire che ho tenuto nascosto qualche atto nefando e letale, be’, che frughi pure.

Tanto per iniziare, riconosco di aver spinto a rifugiarsi su un albero un mio nonno affetto da reumatismi, nell’inverno del 1850. Era vecchio e inesperto nell’arrampicarsi sugli alberi ma, con la spietata brutalità che mi contraddistingue, fucile in mano lo cacciai fuori casa vestito solo della sua camicia da notte e lo costrinsi ad affannarsi su per un acero, dove rimase l’intera notte mentre io gli scaricavo il fucile nelle gambe.

L’ho fatto perché russava.

E lo rifarei se avessi un altro nonno: sono disumano oggi come lo ero nel 1850.




Ammetto anche, con molto candore, d’essermela data a gambe durante la battaglia di Gettysburg. I miei amici hanno cercato di minimizzare la cosa: sostengono che l’avevo fatto per imitare Washington che si nascose fra i boschi a Valley Forge con il proposito di dire le preghiere.

Miserabile sotterfugio!

In verità, sono schizzato via in linea retta verso il Tropico del Cancro perché avevo una fifa matta: certo, volevo che il mio paese si salvasse, ma preferivo che fosse qualcun altro a salvarlo.

Anche adesso la penso così.




Se ci si può guadagnare un’effimera reputazione solo mettendosi davanti alla bocca d’un cannone, sono anche disposto a farlo, ma a condizione che il cannone sia scarico; se invece è carico, mio obiettivo unico e irremovibile è scavalcare lo steccato e filarmela a casa.

È mia prassi costante, in guerra, riportare indietro da ogni battaglia due terzi di uomini in più rispetto a quanti ci sono entrati, e ciò, nella sua grandeur, mi pare affatto napoleonico.




Le mie opinioni in campo finanziario sono quanto di più deciso si possa immaginare, ma forse non tali da accrescere la mia popolarità presso i sostenitori dell’inflazione. Non insisto sull’assoluta supremazia della cartamoneta piuttosto che del metallo: il grande principio fondamentale della mia vita è prendere tutto quel che posso.

L’insinuazione che avrei sepolto nel mio vigneto una zia deceduta coglie nel segno.

La vite aveva bisogno di fertilizzanti, mia zia andava sepolta e così la destinai a quest’alta finalità.

Ciò mi rende forse inadatto alla presidenza?




La Costituzione del nostro paese non lo dice.

Nessun altro cittadino fu mai considerato indegno di questa carica per aver arricchito la terra della propria vigna con i parenti deceduti. Perché mai dovrei essere io il prescelto per dar inizio a quest’assurdo pregiudizio?

Ammetto anche di non essere amico del povero: considero il povero, nella sua situazione attuale, uno spreco di materie prime. Fatto a pezzi e inscatolato nella giusta maniera, potrebbe servire a ingrassare i cannibali delle isole e a migliorare il nostro export in quelle aree.




Nel mio primo messaggio alla nazione, intendo raccomandare che si legiferi in materia. Il mio slogan durante la campagna sarà:

“Essiccate il povero lavoratore; ficcatelo nelle salsicce”.

Queste sono le parti peggiori del mio curriculum.

E con esse mi pongo di fronte al paese.

Se il mio paese non mi vuole, mi ritirerò in buon ordine.

Ma raccomando me stesso come un uomo di cui ci si può fidare: un uomo che parte da una base di depravazione totale e che fino all’ultimo intende conservarsi malvagio.

(M. Twain)















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