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Si è già detto, ed è idea ormai accettata, che una traduzione non riguarda solo un Passaggio tra due lingue, ma tra due culture, o due enciclopedie. Un traduttore non deve solo tenere conto di regole strettamente linguistiche, ma anche di elementi culturali, nel senso più ampio del termine.
In verità, lo stesso accade quando leggiamo un testo scritto secoli fa. Steiner (1975) nel primo capitolo mostra molto bene come alcuni testi di Shakespeare e di Jane Austen non siano pienamente comprensibili al lettore contemporaneo il quale non solo non conosca il lessico dell’epoca, ma anche il background culturale degli autori.
Partendo dal principio che la lingua italiana si sia trasformata, nel corso dei secoli, meno di altre lingue europee, ogni studente italiano è convinto di comprendere benissimo il senso di questo sonetto dantesco:
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
E infatti lo studente direbbe che Dante sta lodando quelli che gli sembrano la gentilezza o cortesia e i buoni costumi della propria donna, che sa come mostrarsi umile in modo benigno, eccetera...
Come invece ha spiegato bene Contini, a parte tante variazioni grammaticali e sintattiche rispetto all’italiano odierno, sul piano lessicale tutte le parole che ho posto in grassetto avevano, ai tempi di Dante, un significato diverso da quello che gli attribuiamo noi.
‘Gentile’ non voleva dire bene educata e di bei modi, ma era termine del linguaggio cortese e significava di nobili natali. ‘Onesta’ si riferiva al decoro esterno, pare non voleva dire sembra e neppure appare, bensì si manifesta nella sua evidenza (Beatrice è la manifestazione visibile della potenza divina).
‘Donna’ voleva dire Domina, nel senso feudale del termine (in questo contesto Beatrice è la Signora del cuore di Dante) e cosa significava piuttosto ‘essere’ (anche superiore).
Pertanto questo inizio del sonetto, teste Contini, andrebbe letto come:
Tale è l’evidenza della nobiltà e del decoro di colei ch’è mia signora, nel suo salutare, che ogni lingua trema tanto da ammutolirne, e gli occhi non osano guardarla [...]. Essa procede, mentre sente le parole di lode, esternamente atteggiata alla sua interna benevolenza, e si fa evidente la sua natura di essere venuto di cielo in terra per rappresentare in concreto la potenza divina.
L’esempio più vistoso di fraintendimento culturale, che produce una catena di fraintendimenti linguistici, è quello della Poetica e della Retorica di Aristotele, come fu tradotta la prima volta da Averroè, che non conosceva il greco, a mala pena conosceva il siriaco, e leggeva Aristotele in una traduzione araba del X secolo che proveniva a sua volta da una versione siriaca di qualche originale greco.
Per complicare le cose, il Commento di Averroè alla Poetica, che è del 1175, viene tradotto dall’arabo in latino da Ermanno il Tedesco, che non sapeva nulla di greco, nel 1256. Solo più tardi Guglielmo di Moerbeke traduce la Poetica dal greco, nel 1278.
Quanto alla Retorica, nel 1256 Ermanno il Tedesco ne aveva fatto una traduzione dall’arabo, ma mescolando il testo aristotelico con altri commenti arabi. Segue, in periodo posteriore, una translatio vetus dal greco, dovuta probabilmente a Bartolomeo da Messina. Finalmente verso il 1269 o 1270 appare una traduzione dal greco fatta da Guglielmo di Moerbeke.
Il testo aristotelico è pieno di riferimenti alla drammaturgia greca e di esempi poetici, che Averroè o i traduttori che lo avevano preceduto tentano di adattare alla tradizione letteraria araba. Immaginiamoci allora che cosa il traduttore latino potesse capire di Aristotele, e delle sue sottilissime analisi.
Ma c’è di più.
Molti ricorderanno quella novella di Borges, intitolata La ricerca di Averroè (L’Aleph) in cui lo scrittore argentino immagina Abulgualid Mohammed Ibn-Ahmed Ibn-Mohammed Ibn-Rusd (e cioè il nostro Averroè) mentre cerca di commentare la Poetica aristotelica.
Ciò che lo affanna è che egli non conosce il significato delle parole tragedia e commedia, perché si trattava di forme artistiche ignote alla tradizione araba. Mentre Averroè si tormenta sul significato di quei termini oscuri, sotto le sue finestre dei fanciulli giocano a impersonare un muezzin, un minareto e i fedeli, e dunque fanno teatro, ma né essi né Averroè lo sanno.
Più tardi qualcuno racconta al filosofo di una strana cerimonia vista in Cina, e dalla descrizione il lettore (ma non i personaggi della novella) comprende che si trattava di una azione teatrale. Alla fine di questa commedia degli equivoci, Averroè riprende a meditare su Aristotele e conclude che Aristù chiama tragedia i panegirici e commedia le satire e gli anatemi. Mirabili tragedie e commedie abbondano nelle pagine del Corano e nelle iscrizioni del santuario.
I lettori sono portati ad attribuire questa situazione paradossale alla fantasia di Borges, ma ciò che egli racconta è esattamente quello che era accaduto ad Averroè. Tutto quello che Aristotele riferisce alla tragedia, nel Commentario di Averroè viene riferito alla poesia, e a quella forma poetica che è la vituperatio o la laudatio.
Questa poesia epidittica si avvale di rappresentazioni, ma si tratta di rappresentazioni verbali. Tali rappresentazioni intendono instigare ad azioni virtuose, e perciò il loro intento è moralizzante. Naturalmente questa idea moralizzante della poesia impedisce ad Averroè di capire la concezione di Aristotele della fondamentale funzione catartica (non didascalica) dell’azione tragica.
Averroè deve commentare Poetica 1450a sgg., dove Aristotele elenca le componenti della tragedia: ‘mûthos, êthê, léxis, diánoia, ópsis e melopoiía’ (che oggi vengono tradotte in genere come ‘racconto, carattere, elocuzione, pensiero, spettacolo e musica’). Averroè intende il primo termine come ‘affermazione mitica’, il secondo come ‘carattere’, il terzo come ‘metro’, il quarto come ‘credenze’, il sesto come ‘melodià’ (ma evidentemente Averroè pensa a una melodia poetica, non alla presenza di musici in scena).
Il dramma avviene con la quinta componente, ópsis.
Averroè non può pensare che vi sia rappresentazione spettacolare di azioni, e traduce parlando di un tipo di argomentazione che dimostra la bontà delle credenze rappresentate (sempre a fini morali). A questa traduzione si atterrà anche Ermanno nella sua versione latina (traducendo consideratio, scilicet argumentatio seu probatio rectitudinis credulitatis aut operationis).
Non solo, ma – fraintendendo un fraintendimento di Averroè – Ermanno spiega ai lettori latini che quel carmen laudativum non usa l’arte della gesticolazione. Pertanto esclude l’unico aspetto veramente teatrale della tragedia.
Nella sua traduzione dal greco Guglielmo di Moerbeke parla di tragodia e di komodia e si rende conto che sono azioni teatrali.
È vero che per vari autori medievali la commedia era una storia che, malgrado contenesse passaggi elegiaci che parlano dei dolori degli amanti, si risolveva in lieto fine, e pertanto poteva essere definito come ‘commedia’ anche il poema dantesco, mentre nella Poetria Nova Giovanni di Garlandia definisce la tragedia come un carmen quod incipit a gaudio et terminat in luctu.
Ma in definitiva il Medioevo aveva presenti e i ludi di giullari e histriones, e il mistero sacro, e quindi aveva una idea del teatro. Pertanto, per Moerbeke, la ópsis aristotelica diventa giustamente visus, e si capisce che riguarda l’azione mimica dello ypocrita e cioè dell’istrione.
Ci si avvicina dunque a una giusta traduzione lessicale perché si è identificato un genere artistico che, malgrado molte diversità, era presente sia nella cultura greca classica che in quella latina del Medioevo.
(U. Eco)
E’ possibile, mi chiedo, rendere un ‘concetto’ esposto quindi tradotto nonché dedotto nel contesto ‘grammaticale’ della Storia nello scorrere proprio nella dimensione del tempo, Eterno e disgiunto rispetto alla condizione dove lo si è ubicato a prescindere l’‘esattezza’ che contiene dedotta da una diversa verità storica conforme ad una epoca, quindi una frazione data del Tempo scisso nella temporalità in cui l’Eterno si differenzia? (valido l’esempio dello Spirito e la materia).
Ed a questo punto nello scorrere della vita mi imbatto in un dilemma a cui bisogna porre condizione interpretativa la quale non certo contraddice l’Opera o una singola scelta nell’ortodossa via per sempre conseguita, e si badi bene per i viandanti incontrati in questo terreno e/o spirituale Sentiero: per ‘ortodossia’ si intende una scelta la quale esula da questo, come l’alpinista Lammer in un capitolo precedente il quale della solitaria via fece regola e via maestra.
Ponendo l’incertezza quale dubbio come un tremore della Terra e la conseguente ‘deriva’ che fanno della Geografia un più vasto e consono ambiente nella specificità di una più certa ed universale ‘verità’ anche se questa, per sua Eretica natura, prima della vita e quindi infinita rispetto ciò la qual specifica.
Ed elevare questa ipotesi qual esempio per una prospettiva interpretativa circa i fatti che essa compone nella sua ed altrui Storia, la quale come appena detto, esula dalla stessa perché si pone su un piano ed Universo molto più vasto da come fin ora interpretata e descritta o solo circoscritta…
Così siffatta cima ci possa illuminare della propria sublime vista riflessa nella pupilla di chi sazia l’Anima di questa quale analoga prospettiva per ogni viandante pellegrino alpinista ed esperto esploratore e ricercatore che sia, circa il Viaggio nella propria ed altrui geografia il quale conosce molte strade circa la via per la vetta…
E quando pensiamo la conquista nella conoscenza fin ora posta scoprire di essere all’inizio della creazione con tutte le incertezze da cui la vita deriva poggiare la fragile natura priva della parola, giacché ancora incapaci di questa visto l’universale ed infinita incertezza rispetto alla vista nata dallo stupore del nulla di cui motivo di questa…
Come il Nulla da cui il principio…
Entrambe le dimensioni nel conflitto cosmico delle loro similitudini possono dirsi uguali. Il problema che una tende a cancellare la storicità dell’altra. Scavando a fondo nelle due verità riducendole a condizioni microscopiche essenziali, mi accorgo che sono atemporali, ammettono medesime condizioni dell’essere di fronte alla condizione materiale. Ambedue ammettono la necessità per raggiungere una dimensione totale con il Dio che si prega, in cui si crede e in cui si ripone la volontà creatrice di questo mondo, una condizione di abbandono verso lo stato proprio della materia.
Ingrandendo al microscopio tale condizione dell’uomo di fronte al mondo creato si evidenzia l’ostacolo se non addirittura l’impossibilità di conseguire una probabile verità in questa prospettiva o dimensione. Come se le condizioni, eterne e immateriali dello spirito, imponessero nella genetica della sua essenza una dimensione psichica particolare, impercettibile, invisibile, ma oltremodo comprensibile in dimensioni a noi non totalmente note, ma semplicemente percepite, e dove gli aspetti che conosciamo le confinano in stati immateriali di percezione. Riducendo tale sensibilità in strati dell’inconscio o subconscio, fuori dalla comune logica. Soprattutto ragionando secondo termini propri di una uguale struttura mentale figlia di un sapere evoluto da ciò che era a quello che è, ma sempre legittimato da una determinata ‘cultura’ propria dell’intelletto; circoscritto ad un insieme ben definito entro il proprio perimetro teorico. Comune di una uguale ‘visione’ e di una possibile e conseguente ‘manipolazione’.
Il terrore costante di ogni probabile ‘comunità’, entro e fuori queste costruzioni logiche, risiede nel limite della ‘vista’ e con essa la convinzione di poter tutto vedere e possedere, ed in questo vasto panorama la paura che qualcuno riesca in ciò, vedendo più in là dove altri non possono scorgere, convinti la teoria circoscritta entro un definito perimetro teologico o scientifico, di vedere…, quindi sapere, poi possedere…, quindi dominare.
Arrivare più in là dove altri possono solo in senso fisico o puramente materiale, concedendo la vista non permessa ad un’anima incapace o forse non dotata, sprovvista di quel dono ‘superiore’ che la natura offre a quei pochi Dèi e Profeti di cui il mondo ha sempre rigettato una possibile esistenza perché né percepita né compresa e neppure decifrata.
Questo limite fra l’‘umano’ e il ‘superiore’, fra l’uomo e il concetto mal definito ed interpretato di ‘Dio’, è la perenne divisione; posta in quella terra di nessuno ove serpeggia una o l’altra definizione e conseguente realtà spaziare fra l’interpretazione teologica e scientifica.
Il destino dei fondatori delle grandi religioni è profondamente tragico; essi sono i grandi solitari. E’ vero che la solitudine è la sorte dell’uomo, chiuso in se medesimo come un fiore che non riesce a sbocciare, perché la parola definisce il visibile, ma, fuori di questo, esprime soltanto per illusioni o parziali bagliori il senso particolare e personale che noi le diamo, provocando in altri altre reazioni, o, in modo approssimativo, adombra il fondo dell’anima incomunicabile. Poi le consuetudini, i pregiudizi, gli universali consensi della vita associata soffocano quel senso occulto che mai o raramente fiorisce alla luce del sole (cercano di reprimerlo…). L’uomo allora si adegua a questa sua schiavitù, a questo livellamento, a questo suo morire eternamente: perché pensare come tutti pensano, inchinarsi agli stessi idoli, rispettare le strutture sociali vuol dire non pensare affatto, essere una cosa, non una creatura libera. E’ un fatto che l’uomo nulla tanto teme quanto la libertà; e senza dolersene la vende, per non trovarsi a faccia a faccia con la propria solitudine, dove soltanto è riposta la sua luce e il suo mistero, il suo tormento e la sua grandezza.
Le esperienze dei Maestri sono dunque incomunicabili, capaci di riflettersi soltanto, in apparizioni improvvise, negli eletti e nei puri (nei Perfetti) che hanno superato la trama della storia. La loro parola è allusiva; adoperano le parole che il mondo comprende, ma le caricano di un senso diverso ed unico. Se dunque è difficile conoscere la parola dei Maestri, altrettanto difficile è conoscere i particolari della loro vita. Anche quella del Buddha noi non la sapremo mai. Ma la cosa non conta. Perché la sua vita si riassume e si conclude in quell’istante irripetibile nel quale gli apparve, nella evidenza abbagliante, la verità ricercata. Tutto il resto non ha importanza. Le vite dei santi sono tutte uguali: seguono uno schema identico sia in Oriente sia in Occidente; la nascita immacolata, la consapevolezza immediata della propria missione, la precoce onniscienza che confonde i dotti chiamati ad istruirli, la rinuncia al mondo, la tentazione, la pietà, la resurrezione del morto, la guarigione dei malati, la redenzione delle donne perdute, le vane insidie del traditore, il trapasso fra oscuramenti del cielo, scatenamenti della terra od esaltazioni di luce. Così nasce la leggenda intessuta di questi archetipi e avvolge e nasconde le nudità di una vita sublime. Il Maestro diventa dio: anzi, secondo alcune scuole, egli è soltanto apparenza illusoria che non ha pronunciato neppure una parola, un riflesso del Vero, come un raggio di grazia che ha colpito la mente di quelli che sono spiritualmente maturi per intenderla, come l’eco di una voce transumana che questi hanno tradotto, per il proprio ed altrui beneficio in termini razionali.
L’uomo è tardo a seguire l’insegnamento sottile, a scendere nella solitudine del proprio io, a sciogliersi dal vincolo o dai simboli della vita associata. La singolarità di un insegnamento semplice e difficile a seguire, perché va contro la corrente, lo turba...
(Giuseppe Tucci)
Ora in questa specifica condizione poniamo e formuliamo una probabile per quanto Eretica ma non certo ‘verità’ storica accertata, solo supposta nel vasto universo delle ipotesi, in quanto come sappiamo, e più volte detto, la Memoria difetta nella gravità specifica del Tempo e della materia di cui innumerevoli inquisizioni regimi disquisizioni e controversie nati e di taluni postumi fatti accertati o solo dedotti fors’anche tradotti da atroci e pur palesi sospetti…
E della cui ‘vista’ abbisogniamo nella cronologia dei ‘documenti’ conservati per meglio illuminarli alla propria specificità cui la luce della vita (onda e particella) li ha condannati ‘colorati’ e destinati improrogabilmente al rogo.
Quindi la comprensione prestata alla ‘deduzione’ della vista - come il Cusano di cui diremo - necessitiamo per ‘indagare’ quel ‘Dio nascosto’ o ‘Straniero’ che per taluni potrebbe essere solo un gene della Memoria stratificata e dimenticata nella quale possiamo e sappiamo, per l’appunto, decifrare e parlare lingue e con esse intuizioni perse e smarrite, o ancor peggio, barattate per altre supposte verità all’altare di un nuovo Dio.
Quindi farsi Dio e capire per meglio decifrare il suo segreto intento, significa, ereticamente parlando, non scaldarsi al calore della materia nell’‘Albergo’ della vita o chiesa che sia, ma al contrario, esiliarsi al freddo della contemplazione di angeli e Spiriti mai morti i quali ci conferiscono quel calore proprio nel quale possiamo, come loro, resuscitare lo Spirito e con esso un più probabile Dio.
E come lui, non al caldo del calore donde dicono ed interpretano con la parola la vita nata, ma al contrario, al freddo di una ‘prima simmetria’, scorgere un intero Universo il quale attraverso l’Autunno conferisce l’illusione di smarrire la linfa principio di questa mentre il tronco e la radice riposano ad infinito ‘suo’ principio ed Elemento.
E questa di certo è pur sempre estensiva interpretazione di ciò che al medesimo confino fu enunciato dal vescovo Cusano nel lontano Quindicesimo secolo, ma per tale intento per medesima doppia vista i colori dobbiamo cronologicamente ricomporre alla stessa anche nella ‘casualità’ di cui la fisica specifica l’impossibilità del fotone della propria natura nel salto quantico di cui la materia…
E noi nell’eterna incertezza ed impossibilità di intuirne verità e conseguente certezza spaziare nella teoria conferendo alla memoria probabile e ‘duale’ verità storica nel momento in cui, come appena enunciato, con l’intuito dell’osservazione interferiamo nella specifica Natura di un più probabile Dio ‘Straniero’ [Straniero ‘dualmente’ interpretato dalla stessa Memoria il quale lo ha composto Primo principio del bene, e successivamente ridotto, nella cronologia dei fatti conservati, Secondo inferiore quale essenza del male] per taluni, ‘nascosto’ per altri [ancora e lo ripeto nel ‘duale’ senso ed aspetto che il singolo termine ci riserva nelle scritture eretiche e non… sicché il Cusano forse al meglio ha posto il termine detto non rischiando l’uno e l’altro aspetto, i quali, per paradosso, contraddicono le specifiche e proprie premesse e nature storiche circa l’Eretica consistenza di questo] manifesto in Infinito aspetto rilevato e rivelato, disquisendo sul probabile ‘paradosso’… nominato Dio al confino cui posto e costretto nella geografia divenuta ‘ragione’ ‘regione’ e ‘stato’ della Memoria… rilevata nel difetto della rivelata e corretta sua interpretazione.
Cui taluni per propria intuizione approdati nella vastità di quel ‘Nulla’ di cui per opposta circoscritta e disgiunta ortodossia fedeli alla propria dimensione conferiscono reciproca corrispondenza negli opposti interpretativi di cui, e lo ripeto, l’‘osservazione’ divenuta ingerenza modifica la stessa.
Quindi non possiamo che dar ragione a quell’Eckhart che forse fu l’eretico per eccellenza, perché, e son sicuro di questa teoria, intuì la verità ed il limite cui costretta… l’Eresia letta… nella ‘casualità’ degli eventi di cui accenneremo breve consistenza cronologica pur assenti dalla Memoria quale ‘prova accertata’ nasce l’atroce e conseguente dubbio di cui forniremo eretica deduzione logica.
Come la luce la qual compone la vista del singolo fotone nella ‘dualità’ della propria natura divisa, per l’appunto, fra un onda ed una particella… e noi simmetricamente divisi ed uniti nel dubbio della sua vera essenza e consistenza…
Sicché l’‘ortodosso’ diviene per opposto verso Eretico della propria scienza, e come abbiamo già espresso nel limite di ogni scienza vi è una metafisica condizione la quale disvela e rivela… rimuovendo e ponendo invisibile velo nella dimensione di cui la fisica impossibilitata, a differenza in questi opposti accertati, chi di eresia trattava ma in verità l’ortodosso verbo ripone nella propria ed altrui bisaccia spacciandolo per interpretazione avversa, giacché questa condizione la possiamo riconoscere nell’opposto così componiamo la vista ed i colori… dell’enunciato annunciato...
Veniamo alla ‘Formula’ alla ‘Equazione storica’ e diamo breve enunciato dei fatti evitando inutili commenti ma ponendo brevi asterischi ‘per gli addetti ai lavori’ nei quali evitiamo false disquisizioni o trappole, lasciando una parentesi aperta per una ipotesi la quale potrebbe essere una Verità celata… alla Memoria. La quale, come detto fin dal principio, vuole abbracciare molto più di quanto la Storia sconfessa o si confessa fino a quel ‘Nulla’ il quale è comune denominatore dal principio di tal Sentiero con la ‘parola’ nata, ma noi procediamo non per difetto o critica ma per motivo che travalica il ‘teologico’ nella ricerca di un più probabile termine per ciò che comunemente definito Dio, quindi l’intera probabile successione di tutti gli eventi nati… per Sua causa, o, al contrario, senza nesso di causa alcuna ma solo una condizione ‘unica’ nell’Universo accertato nel quale per successive ‘evoluzioni’ la vita… chiudendo ‘il cerchio’ su ciò per secoli e fin dall’inizio si è discusso…:
Leggo brevi premesse tratte dall’introduzione della ‘Cena segreta’ a cura di Francesco Zambon:
“Nel 1939 il padre Antoine Dondaine, frate Predicatore, pubblicava presso l’Istituto Storico Domenicano di Santa Sabina, a Roma, uno scritto ‘cataro’ fino a quel momento sconosciuto [1* ‘sconosciuto’: Primo fatto da accertare: cioè, anche se conservato siamo certi, a parte coloro i quali ne hanno presa consistenza storica, che davvero come si dice sia rimasto ‘sconosciuto’ o forse reso forzatamente tale soprattutto se inquisito quindi esaminato e attentamente consultato prima e dopo l’inquisitore divenuto poi ricercatore di una più probabile verità da consegnare all’altare della Storia], il ‘Libro dei due principi’ [2* come tale il termine può essere oggetto di un successivo ‘recupero’ teologico il quale, se pur archiviato per sua difetta ‘natura’, in verità e per il vero, come dedurremo successivamente con un intuito pari a quello di Umberto Eco, fu preso in considerazione maggiore di quanto possiamo ritenere nella forzatura archivistica conservata ed annullata alla Memoria collettiva. Forse e per il vero il suo contenuto, pur l’ortodossa interpretazione della scolastica medievale, deve aver motivato più di una mente eccelsa, la quale, pur non contraddicendo i canoni, a questo stesso scritto(i) si è soffermata ispirandosi ed approfondendo con altri autorevoli ‘fonti’, e quindi, rapportandolo traducendolo e adeguandolo per porlo in più vasto sermone teologico ancor più Eretico di come le premesse lo hanno fatto approdare ad una dovuta attenzione. Anzi, come vedremo, nel gioco degli specchi il nero diviene bianco ed il bianco nero. Come se in verità e per il vero, qualche dotto accademico accorgendosi dei limiti della natura in cui Dio costretto avesse dedotto, o addirittura in parte accettato, la ‘formula eretica’ per estenderla dedurla ed introdurla in un pensiero filosofico che se pur vasto ancor più eretico… E questa ‘parmi’ la vera essenza della formula… Come del resto il sottoscritto il quale scorge i limiti della ‘formula eretica’ e trova le condizioni necessarie e più che sufficienti per una deduzione esplicativa nei canoni opposti e comunemente definiti ‘ortodossi’ ed in questa ‘ortodossia’ scorgere la luce di una probabile verità anch’essa occultata e non certo manifesta in quanto ha subito medesimi patimenti della Storia e con questi della Memoria… Continuiamo… ].
La scoperta del ‘Libro’, che costituisce oggi la più ampia opera catara originale in nostro possesso, fu del tutto ‘fortuita’ [3* Zambon è un autore di vasta intuizione nonché preparazione storica ma suppongo che abbia volutamente sottovaluta la condizione ‘fortuita’ come da lui espressa, possiamo ipotizzare, al contrario, che il trattato pur apparentemente dimenticato possa essere stato oggetto di consultazione palese o segreta da quando redatto a quando evidenziato… anche se si è preferito non cancellarlo né rimuoverlo dagli ‘archivi’. E qui nasce non il sospetto, ma al contrario, il rispetto per la conseguente volontà di conservazione anche se con tale pratica ‘archivistica’ la quale non certo figlia solo dell’inquisizione ma affine rispetto ad altre simmetriche politiche divenute consuetudini sociali congeniali alla dittatura del pensiero unico e del libero arbitrio inquisito in cui ci siamo formati specchio della cultura storica ‘seminata e raccolta’, maturando nella diffidenza divenuta consapevolezza dell’esiliato torturato e bandito dalla società nella consuetudine di principi opposti ed avversi ad ogni dittatura i quali hanno ben visto e vissuto, pur l’apparenza nominata Tempo, medesime pratiche. Quindi ‘la formula o ipotesi’ ragguagliata dalla verità storica nella ripetuta prova cui ho destinato il mio intuito assommato all’esperienza con documentata prova. In questa volontà di ‘conservazione’ potrebbe nascere un principio di reciproco e segreto rispetto e non solo paura, questo debbo concedere quale superiorità morale ed intellettuale in onore allo Spirito il quale indago nelle vicissitudini cui la Verità soggetta costretta interpretata e falsata anche nelle visioni di dubbia origine e consistenza… E maturando si è soliti concedere ad un cesare quanto ad un valente polemista o teologo e di conseguenza ad un papa meriti che prima abbiamo trascurato…].
Come raccontò egli stesso a Yves Dossat, il padre Dondaine stava cercando alla Biblioteca Nazionale di Firenze manoscritti che potessero interessare gli ‘Scriptores’ O.P., quando vide menzionato nel catalogo un misterioso ‘Liber de Duobus principiis’. Benché il titolo non lasciasse presagire nulla di interessante per la sua ricerca - continua Zambon nella sua introduzione -, richiese ugualmente il ‘codice’, un volume pergamenaceo di sobria fattura, e non tardò ad accorgersi di aver messo mano su un documento eccezionale [4: L’‘Unicità’ e la ‘rarità’ rendono di per se il libro con il suo documento segreto un probabile approdo per i più misurati, per i più dotti, per i più introdotti, non nella sottomissione ma nella volontà della medesima ricerca (detta) la quale per sua Natura finalizza e ottimizza l’istinto senza nulla trasporre di quanto altri per propri limiti hanno ‘requisito’ sottratto’ ‘confuso’ e poi… dimenticato; anzi, potremmo dedurre, che taluni ambienti per spiriti elevati prestati allo studio, il clima teologico di quei ed odierni intenti deve essere stato restrittivo, ragion per cui, motivati dalla finalità, non del successo, ma dell’occhio che vuol avvicinarsi all’essenza stessa motivo dello studio possono aver avuto sicuro e certo spunto, una certa illuminazione riflessa nella propria esperienza, di cui però, medesimi limiti imposti non consentono una appropriata lettura riflettendola di conseguenza in un più giusto contesto, nel quale e per il vero, non solo leggiamo il genio incompreso ma anche una più consona ed Eretica Natura dell’immateriale che si vuol oggettivare…].
…Fino ad allora, infatti, l’Eresia catara era conosciuta quasi ‘esclusivamente’ attraverso testimonianze indirette emananti, per lo più, dai suoi oppositori [5*: definire il termine ‘oppositore’ [in questo specifico caso] è come dire servo eterno di una causa nella quale non si conosce un proprio pensiero escludendolo, se non addirittura alienandolo e sottraendolo dall’essere (giammai nella finalità o volontà di Dio parente ed affine ad un nirvana cosmico, ma al contrario, annullando con l’illusione di pensare, cioè il ‘non pensare’ al nulla di quanto non sia stato ‘creato’…), ma rifacendosi nei secoli ai canoni di una volontà altrui la quale tende ad ossequiare omaggiare e rendere legittimo nella illegittimità dei fatti arrecati.
Quindi ‘oppositore’ significa non tanto ‘servo di Dio’, ma al contrario, servo del proprio stato nella dittatura che in ogni sistema totalitario o meno si tende ad asservire e servire per essere meglio inseriti nelle aspettative che da questo ci si attende quale giusta nonché meritevole ‘retribuzione’ per ciò che per sempre si ‘oppone’ alla libertà nella sostanziale paura di questa (come evidenziato poco sopra da Tucci!).
Ciò di conseguenza comporta un dovere ‘eterno’ anche nell’Eterno della propria ed altrui ricerca ed obbedienza che travalica fin nella coscienza e parente della deficienza.
Infatti per mio motivo la legittima volontà della immateriale o metafisica ricerca non può conoscere ostacoli di sorta ma si forma con l’esperienza diretta e cresce in un contesto evolutivo ove la prova dell’Assoluto o Infinito fanno nascere le motivazioni della ricerca sottratta ai limiti ed obblighi, di chi, per supposta difesa o pretesa, difetta di ragione ed intelligenza e più simile ad una involuta natura non certo ‘elevata’ fino alla materia di cui la propria scelta. Solo pochi, come vedremo, possiamo dire e nominare degni di questa volontà ed in questa mia formula posso pensarli vicino all’Eresia detta, o se non altro, di averla in qualche modo esaminata e di averla ripensata con i dovuti, non paradossi, ma di certo ripensamenti morali figli dell’onestà cui Cristo insegna…].
Cronache, scritti dei polemisti cattolici, atti inquisitoriali. Nello stesso codice fiorentino, intanto, Dondaine aveva trovato anche un secondo testo cataro: una redazione latina del ‘rituale’, più ampia di quella occitanica anche se purtroppo ‘frammentata’. Inoltre, nello stesso 1939 egli aveva individuato qualche briciola di un ‘Trattato cataro’, citato in uno scritto polemico del XIII secolo conservato presso la Bibliothèque Nationale di Parigi, il ‘Liber contra Manicheos’ di Durando di Huesca. Successivamente, aveva rinvenuto a Praga un ‘frammento’ più completo della stessa opera in una copia dello scritto di Durando proveniente dalla Biblioteca Capitolare della Cattedrale. E qui ci fermiamo un attimo…[6*: Praga la incontreremo più volte…].
Chi è padre Dondaine?
Antoine Dondaine nasce nel 1898 da una famiglia di agricoltori Sennevoy-le-Bas, un villaggio nel dipartimento di Yonne. E’ il quinto figlio di una famiglia di undici e, come i suoi fratelli, è cresciuto in un contesto familiare in cui la religione cattolica è centrale: mentre il padre, Felix-Achille Dondaine, fondatore di una ‘comune agricola’, cerca di promuovere un ordine sociale cristiano contro il socialismo e la massoneria con i suoi impegni in Azione cattolica, la madre, Aurelie nata Montenot è una terziaria francescana. Al momento della beatificazione di Pio X, nel 1951, Antoine ricorderà il rispetto incondizionato del padre a questo Papa che gli era stato dato da vedere durante un viaggio a Roma.
Alla scuola di Pierre Mandonnet, acquista il sapore di dottrine medievali studiate con il metodo storico-critico e, al termine dei suoi studi, rimane accanto al suo ‘precettore’ nel quadro dell’Istituto di studi medievali Saulchoir. Il compito che dovrà assolvere mentre è coinvolto nello studio dei manoscritti latini medievali di Aristotele è quello di collaborare alla edizione critica delle opere latine di Meister Eckhart…
L’ingresso nella vita accademica non devia nulla della vita religiosa. I primi viaggi in Italia, nel 1933, destinati a colmare la scoperta delle ricchezze d’archivio dai luoghi dove sono venerati coloro che contano nella sua vocazione, e dei quali, ha fatto partecipe - nelle lettere indirizzate al fratello - dell’emozione raccolta nella cella di San Tommaso d’Aquino (*1), il convento di Napoli, o scoprire a Roma luoghi che sono a lui cari. L’anno successivo, nel 1934, ha esplicitato ai suoi genitori il frutto della sua meditazione: “Capisco sempre di più la forma della spiritualità domenicana: la contemplazione di Dio e il suo Cristo attraverso le verità della fede e non la contemplazione del nostro io a sradicare tutto ciò che è male, perché è riduttivo trovare sempre una terra così povera e marcia. La politica dell’esame particolare è bruciante e potrebbe atrofizzare la vita spirituale. Mentre un semplice sguardo alla fede con volontà di ricerca ci unisce a Dio e il suo Cristo”.
Dai primi anni di attaccamento all’Istituto Storico di Santa Sabina la sua paziente indagine gli consente di beneficiare della fortuna archivistica della Memoria storica ivi conservata. Durante una visita alla Biblioteca Nazionale di Firenze, con il collega Gilles Meersseman, scopre uno scritto cataro del XIII secolo, che si salvò dalla distruzione. Percependo l’eccezionale interesse di questo documento ottiene il trasferimento a Roma per studiare e per preparare un’edizione critica del manoscritto rinvenuto. Secondo lo storico Yves Dossat, pubblicato nel 1939 con il patrocinio del domenicano dell’Istituto Storico, questo ‘Libro dei due principi’ (Liber de duobus principiis) apre un nuovo periodo nella storia dei Catari: per la prima volta la voce ‘eresia’ è stata ascoltata con la conseguente attenzione dell’intero mondo scientifico. La conoscenza delle eresie e la repressione da parte dell'Inquisizione…
(1*) Una duplice condizione domina lo sviluppo della filosofia tomista: la distinzione tra ragione e fede e la necessità del loro accordo. L’intero campo della filosofia dipende esclusivamente dalla ragione: significa che la filosofia non deve ammettere che ciò che è accessibile alla luce naturale è dimostrabile con le sue sole risorse. La teologia, invece, si fonda sulla rivelazione, cioè in fin dei conti sull’autorità di Dio. Gli articoli di fede sono delle conoscenze di ordine soprannaturale, contenute in formule il cui significato non ci è interamente penetrabile, ma che dobbiamo accettare come tali, benché non possiamo comprenderle. Un filosofo argomenta sempre cercando nella ragione i principi della sua argomentazione; un teologo argomenta cercando i suoi principi primi nella rivelazione. Delimitati così i due campi, si deve tuttavia constatare che essi dominano in comune un certo numero di posizioni. In primo luogo è cosa sicura l’accordo di diritto tra le loro ultime conclusioni, anche se questo accordo non comparisse di fatto. Né la ragione, quando ne usiamo correttamente, né la rivelazione, poiché ha Dio come origine, potrebbero ingannarci.
Ora, l’accordo della verità è necessario. E’ quindi certo che la verità della filosofia si collegherebbe con la verità della rivelazione con una catena ininterrotta di rapporti veri ed intellegibili, se il nostro spirito potesse capire pienamente i dati della fede. Da ciò deriva che, ogni volta che una conclusione filosofica contraddice il dogma, è segno sicuro che questa conclusione è falsa. Toccherà alla ragione, debitamente avvertita, di criticare poi se stessa e di trovare il punto in cui s’è verificato il suo errore. Ne deriva inoltre che l’impossibilità in cui noi ci troviamo di trattare filosofia e teologia con un unico metodo non ci impedisce di considerarle come idealmente costituenti una sola verità totale. Al contrario abbiamo il dovere di spingere il più lontano possibile l’interpretazione razionale dei dati della fede, di risalire con la ragione verso la rivelazione e di ridiscendere dalla rivelazione verso la ragione. Partire dal dogma come dato, definirlo, svilupparne il contenuto, sforzarsi anche con delle analogie ben scelte e ragioni convenienti di mostrare in che modo la nostra ragione ne può afferrare il contenuto, questa è l’opera della Scienza sacra. In quanto teologia essa quindi argomenta partendo dalla rivelazione e a questo titolo noi non abbiamo da preoccuparcene. Ma tutto è ben diverso per l’opera che compie la ragione partendo dai suoi principi. Essa può in primo luogo decidere la sorte delle filosofie che contraddicono i dati della fede; poiché il disaccordo in questione è indice d’errore e l’errore non può trovarsi nella rivelazione divina, bisogna che esso si trovi nella filosofia. Perciò, o dimostreremo che queste filosofie si sbagliano, oppure mostreremo che esse hanno creduto di fornire delle prove in una materia in cui la prova razionale è impossibile, e dove di conseguenza la decisione deve restare alla fede. In simili casi la rivelazione interviene soltanto per segnalare l’errore, ma non è in nome suo, è in nome della sola ragione che lo stabilisce.
Un secondo compito, questo costruttivo e positivo, spetta alla filosofia. Nell’insegnamento delle Scritture, c’è una parte di mistero e di cose indimostrabili, ma ci sono anche delle cose intellegibili e dimostrabili. Ora, è meglio capire che credere, quando ce n’è lasciata la scelta. Dio ha detto: ‘Ego sum qui sum’. Questa parola è sufficiente ad imporre all’ignorante la fede nell’esistenza di Dio, ma essa non dispensa il metafisico, il cui oggetto proprio è l’essere in quanto essere, dal cercare ciò che una simile parola ci insegna a proposito di ciò che Dio è. Ci sono dunque due teologie specificamente distinte che, se a rigore non sono continue per le nostre menti, possono almeno accordarsi e completarsi: la teologia rivelata che parte dal dogma, e la teologia naturale elaborata dalla ragione. La teologia naturale non è tutta la filosofia, essa non ne è che una parte, o meglio ancora che il coronamento; ma è la parte che la filosofia di san Tommaso ha elaborato più profondamente e nella quale egli si è manifestato come genio veramente originale.
Quando si tratta di fisica, di fisiologia, o delle meteore, san Tommaso non è che l’allievo di Aristotele, ma quando si tratta di Dio, della genesi delle cose e del loro ritorno verso Dio, san Tommaso è se stesso. Egli sa per fede verso quale fine si dirige, ma tuttavia progredisce soltanto grazie alle risorse della ragione. In quest’opera filosofica la riconosciuta influenza della teologia è dunque sicura, ed è ancora la teologia che ne fornirà il piano. Non che di ciò vi fosse un’intrinseca necessità, san Tommaso, se l’avesse voluto, avrebbe potuto scrivere una metafisica, una cosmologia, una morale concepite secondo un piano strettamente filosofico e che partisse da ciò che c’è di più evidente per la nostra ragione. Ma è un fatto, nulla più, che le sue opere sistematiche sono delle ‘summe’ di teologia e che, di conseguenza, la filosofia che esse espongono ci è presentata nell’ordine teologico. Le prime cose che noi conosciamo non sono altro che le cose sensibili, ma la prima cosa che Dio ci rivela è la sua esistenza; non si incomincerà dunque teologicamente da dove si arriverebbe filosoficamente dopo una lunga preparazione. Bisogna supporre lungo la strada che ci siano dei problemi risolti; ma il fatto è che essi lo sono effettivamente, e la ragione non perderà nulla per aver aspettato. Aggiungiamo che, anche dal punto di vista strettamente filosofico, questa soluzione presenta dei vantaggi. Supponendo risolto il problema totale, facendo come se ciò che è più sconosciuto per sé lo fosse anche alle nostre menti finite, noi diamo della filosofia un’esposizione sintetica il cui profondo accordo con la realtà non potrebbe essere messo in dubbio. Allo stesso modo è l’universo quale è, con Dio come principio e come fine, che la teologia naturale così intesa ci invita a contemplare. Allora, grazie a questo rovesciamento del problema noi abbozzeremo il sistema del mondo che avremmo rigorosamente il diritto di stabilire se i principi della nostra conoscenza fossero al tempo stesso i principi delle cose. Secondo l’ordine che abbiamo deciso di seguire, ci conviene partire da Dio. La dimostrazione della sua esistenza è necessaria e possibile. Essa è necessaria perché l’esistenza di Dio non è una cosa evidente; in una simile materia l’evidenza non sarebbe possibile che se noi avessimo una nozione adeguata dell’essenza divina; la sua esistenza apparirebbe allora come necessariamente inclusa nella sua essenza. Ma Dio è un essere infinito, e, dato che non ne ha il concetto, la nostra mente finita non può vedere la necessità di esistere che la sua stessa infinità implica; si deve quindi dedurre attraverso il ragionamento questa esistenza che non possiamo constatare. Così ci viene chiusa la via diretta che l’argomento ontologico di sant’Anselmo ci apriva; ma ci resta aperta quella che indica Aristotele. Cerchiamo quindi nelle cose sensibili, la cui natura è conforme alla nostra, un punto d’appoggio per elevarsi a Dio. Tutte le prove tomiste mettono in gioco due elementi distinti: la costatazione di una realtà sensibile che richiede una spiegazione, l’affermazione di una serie causale di cui questa realtà è la base e Dio il vertice. La via più evidente è quella che parte dal movimento.
Nell’Universo c’è del movimento; questo è il fatto da spiegare, e la superiorità di questa prova non dipende dal fatto che essa sia più rigorosa delle altre, ma dal fatto che il suo punto di partenza è il più facile da capire. Ogni movimento ha una causa e questa causa deve essere esterna all’essere stesso che è in movimento; infatti non si potrebbe essere, contemporaneamente e sotto lo stesso rapporto, il principio motore e la cosa mossa. Ma il motore stesso deve essere mosso da un altro, e quest’altro da un altro ancora. Bisognerà quindi ammettere che o la serie delle cause è infinita e non ha un primo termine, ma allora nulla spiegherebbe l’esistenza di un movimento, o la serie è finita e c’è un primo termine, e questo primo termine non è altro che Dio. Il sensibile non ci pone soltanto il problema del movimento. Infatti non solo le cose si muovono, ma prima di muoversi esse esistono, e nella misura in cui esse sono reali hanno un certo grado di perfezione. Ora, ciò che abbiamo detto delle cause del movimento, possiamo dirlo delle cause in generale. Niente può essere causa efficiente di se stesso, perché per prodursi dovrebbe essere, come causa, anteriore a se stesso come effetto. Ogni causa efficiente ne suppone dunque un’altra, la quale ne suppone a sua volta un’altra. Ora, queste cause non hanno tra loro un rapporto accidentale; anzi si condizionano secondo un certo ordine, ed è proprio per questo che ogni causa efficiente rende veramente conto della seguente. Se è così, la causa prima spiega quella che è nel mezzo della serie, e quella che è nel mezzo spiega l’ultima. Occorre dunque una causa prima della serie perché ce ne sia una di mezzo ed una ultima, e questa causa efficiente è Dio.
(Gilson, La filosofia nel Medioevo)
Da tutta questa premessa rileviamo delle evidenti ‘fratture’ con ciò che sarà la successiva ed intera disquisizione con l’Eresia e ancor meglio con lo Gnosticismo di cui valenti dottori di chiesa hanno confutato disquisito ed oltretutto elaborato quei limiti propri destinati al ‘libero arbitrio’ inserendo l’intero concetto del Dio da loro circoscritto nella giusta (giusta secondo il loro concetto di Dio) macchina inquisitoriale…
Da ciò deduciamo ancora inoltrandoci nel testo della ‘Cena segreta’ simmetricamente alle biografie di valenti uomini di fede filosofica e teologica più che validi motivi della frattura e relative ‘casualità’ storiche le quali hanno tracciato e formulato ‘elevate contraddittorie e talvolta discordanti tesi’ quali congiunture dottrinali molto più complesse della Natura del Dio studiato per avversare gli Eretici e porre di conseguenza un ortodosso vincolo terreno all’interpretazione secolare circa la sua Natura; quindi motivati da una serie di coincidenze ‘indimostrabili’ ai fini storici ma solo ‘deducibili’ come spesso furono gli scritti degli avversari dell’ortodossia tradotti e dedotti dai valenti ‘dottori’ di chiesa e a loro rispondiamo lungo medesimo Sentiero apparentemente cancellato nei secoli, però, del loro misfatto di nuovo tracciamo il percorso.
Così mi ripropongo il difficile compito di una più probabile Verità e di raccogliere le ceneri di coloro che perirono al ‘fuoco amico’ di un comune Dio pregato. Ed in questo difficile cammino la Verità è pur un obbligo non solo morale ma anche ‘divino’ oltre che scientifico, quella ‘scienza divina’ cui risiede l’ispirazione motore della verità, e se questa confusa e sminuita tutto ciò che ne consegue nelle successive ‘evoluzioni’ dal nucleo alla crosta conducono, non ad una Terra ove la Natura compone l’immagine di un Dio, ma al contrario, una specifica evoluzione impropria negata al vero Suo intento, quindi ciò che ne consegue è pari al sisma: un movimento tellurico quale certa sintomatologia di quanto costruito in nome Suo il qual merita castigo e dubbio concreto di come costruito l’intero edificio, e non certo l’evoluzione alla stratigrafica condizione posta quale stele della Memoria nella Genesi della Storia…
Tutto ciò in riferimento all’oggetto della nostra disquisizione in cui ‘legiferiamo’ al di sopra delle parti quasi in senso pagano per conferire quella verità cancellata o se non altro distorta con una stele di dubbia ed ‘oscurata’ Memoria… là dove, per l’appunto, sviluppano costruiscono ed ancor peggio ‘tutelano’ oltre la Memoria anche la Storia!
L’immagine della Storia così come quell’Odisseo nel suo periglioso Viaggio rileveremo: navigheremo e approderemo a delle tappe (come fra breve il Cusano per un dettaglio notevole che lo eleva anche a geografo il che non mi sembra un caso) nelle successive e brevi riflessioni le quali maturate da umil profano rivelano opposte logiche e principi per stabilire e rilevare ove pur nella scelta estrema di una Eresia abbiamo dedotto una verità molto vicina alla Fisica con cui coniugare la ‘geologia’ della vita quale immagine di un Principio non sottratto dall’Opera di un Dio in opposto verso e nesso, ma al contrario, confacente con una probabile ed Infinita Simmetria specchio della sua Natura e quindi di quella ‘Eresia’ cancellata dalla Memoria.
E con Spirito ‘scientifico’ navighiamo in questo vasto mare ove fra una ‘miniatura’ e l’altra evidenziamo tutti quei caratoggi che meglio ci fanno comprendere gli eventi del clima trascorso….
Giacché ‘carotaggio’ significa anche questo, comprendere tutte quelle condizioni climatiche certamente diverse evidenziando in questa diversità, pur con dei principi comuni come il ghiaccio il quale ci conferisce prima lettura; climi che vanno rilevati per interpretare ciò che va dedotto nel contesto della vita stratificata e nei secoli conservata.
Condizioni climatiche le quali non vanno disgiunte solo rimembrate per quel clima di temporale natura il quale si respirava e ancora si respira, giacché nella mia memoria conservo uguale arbitrio conteso e torturato, sicché, chi verrà dopo di me intuirà il clima se pur medesimo concedere qualcosa della comune natura, perché come dicevo, anch’io torturato e profugo dalla mia terra non meno di chi rimembro e studio…
Anch’io confuso e barattato per altro e nella Memoria cancellato, così il mio sforzo, il mio sentiero, con lo Spirito consono a Dio come taluni prima di me per la vetta, mi sprona e comanda a porre e fondare memoria…
E transitare con solo l’intuito di una ipotesi Sentieri percorsi per miglior vista, la quale e mi ripeto, non aveva ed ha nel limite dell’uomo facile pretesa ed espressione…
Ed allora lo sforzo mi pare necessario e non certo azzardato, come ed al pari all’alpinista domenicano nominato, incidere dovuta memoria congiunta e accertata per il carotaggio di un ‘doppio principio’ circa un medesimo simmetrico inizio come un Universo non visto e solo immaginato specchio di un Primo Dio: memoria rivenduta e barattata dall’inutile loro materia per eresia affine alla pazzia. Così da decifrare ipotesi aliene corrispondenti a climi inquinati da ben altri e materiali principi di un Secondo Dio il quale detta Natura e con questa ogni sua sventura in quanto determinati argomenti determinati sentieri determinate mulattiere e vie per il comune intento nemici del sapere e questo dai primordi della remota ‘gliaciazione’ tradotta…
Tutto questo nato dalla geografia dove di nuovo calati per l’intento del Viaggio ricomposto e delineato, con il quale non traccio ‘Dialogo’ così come fin ora rimato con altri viandanti, ma dedico loro scientifica consistenza e infinita memoria nello Spirito interpretato, nello Spirito con loro accompagnato talvolta appoggiandomi ad un tronco ad un ramo ad una foglia assopita dall’Autunno dell’apparente linfa persa, in verità il tronco in infinita pretesa, in verità la radice ben salda per quel nutrimento e respiro del quale ogni viandante e profeta pellegrino eretico e saggio uomo di chiesa respira. E così ricreare la vita fondare il regno di Dio che come narrava l’Eretico esiste pur in altro livello in altra dimensione fisicamente parlando e questa è pur intuizione vera… Come abbiamo già disquisito…
…Ed ora approdiamo ai motivi del remoto motivo da cui l’Eckhart letto e successivamente dal Cusano rimembrato. Motivi dell’ipotesi posta: andiamo alla breve introduzione del Cusano in onor di chi mai cancella né la biografia storica né la Memoria e poi concludiamo nell’intelligenza di tutti coloro che approfondiranno e si incammineranno per questo Sentiero nella geografia e cartina dallo stesso Cusano tracciata abdicando finalità e gnostico pensiero ad un saggio di chi come me intuì una più certa verità…
L’occhio suo illuminato di ugual principio ‘Maestro’ nel sermone della Storia in diverso modo esposta, uguali intuizioni conseguite nel paradosso di non poterle elevare alla concretezza di una più certa verità al ‘verbo’ posta e riporle nello giusto scaffale della memoria come del resto anche l’Eco della cultura ha sentenziato lungo una rosa di venti udita come clima e poi raccolta lungo medesimo cammino…
Nicola Cusano (1401 - 1464) é di origini tedesche, sebbene dal nome sembrerebbe essere italiano a tutti gli effetti: ricordiamoci che nel Rinascimento vi era la tendenza a latinizzare i nomi e il nome Cusano deriva dalla sua città natale (Kues). La precisazione geografica nel caso di Cusano é piuttosto importante perché lui, pur essendo influenzato dall’Umanesimo, pur viaggiando assiduamente per tutta l’Europa per via delle importanti cariche che ricopriva, risente assai del pensiero scolastico… Un episodio fondamentale della vita di Cusano fu il viaggio in Oriente; in questo periodo Costantinopoli sta vivendo da vicino la minaccia dei Turchi, tant’è che nel 1453 cadrà in loro potere. L’Oriente, nel momento in cui si accorse del pericolo della minaccia turca, cercò un accordo con la Chiesa d’Occidente per poter così godere di un aiuto politico e così per qualche anno si ebbe una unificazione della Chiesa orientale con quella occidentale. Cusano ebbe a che fare con queste vicende e della sua personalità emerse una grande tolleranza per tutte le fedi; in alcune sue note autobiografiche, poi, racconta che nel viaggio di ritorno ebbe l’intuizione del concetto della ‘dotta ignoranza’, che é la base della sua filosofia.
Cusano, quindi, nei confronti delle altre fedi mostra grande tolleranza e per spiegare ciò che intende immagina che Dio abbia convocato al suo cospetto saggi appartenenti a diverse culture e fedi per trovare ‘una pace della fede’. Cusano é pienamente consapevole che la divisione delle varie religioni ha provocato molti lutti e molte guerre religiose, pensiamo alle crociate; tuttavia egli non ha di fronte a sé il problema della Riforma, che si proporrà anni dopo. Al cospetto di Dio ci sono ebrei, cristiani e musulmani, ma il discorso può essere esteso anche alle guerre interne allo stesso mondo cristiano, che avverranno successivamente. Dio li invita perché possano trovare un accordo, ma come?
Un percorso può suggerirlo il concetto di fede: a parlare nel dialogo immaginario c’è anche san Paolo che rivendica il nucleo della salvezza proprio nella fede (‘Sola fide’ dirà Lutero). E poi secondo Cusano la pluralità delle religioni é positiva perché può creare uno spirito emulativo reciproco dove ciascuna religione cerca di superare le altre nell’adorare Dio : è come se l’esistenza di più religioni desse adito ad una gara a chi più adora Dio. Sullo sfondo di questa concezione c’è un’idea tipicamente di Cusano: per lui l’infinito, l’assoluto, in ultima istanza Dio, non è mai pienamente attingibile.
Il concetto di dotta ignoranza, che esamineremo meglio in seguito, vuol proprio sottolineare l’inattingibilità da parte dell’uomo dell’assoluto: il rapporto tra la nostra conoscenza e Dio (l’assoluto) è lo stesso che si instaura tra un poligono inscritto e la circonferenza alla quale è inscritto: il poligono e la circonferenza, per definizione, non saranno mai uguali tuttavia man mano che si moltiplicano i lati del poligono ci si avvicina sempre di più alla circonferenza; così l’uomo può avvicinarsi sempre di più a Dio senza mai raggiungerlo definitivamente.
Questo modo di pensare è già sotteso alla tolleranza di Cusano: pur convinto che il cristianesimo di tutte e tre sia la religione migliore, Cusano sostiene che nessun punto di vista potrà mai esaurire l’essenza di Dio e darne un’immagine giusta: la pluralità delle fedi aumenta la conoscibilità di Dio, quasi come se moltiplicasse i lati del poligono. Certo, se ci fosse una religione che da sola cogliesse l’intera essenza di Dio allora le altre sarebbero erronee e da scartare, ma visto che non è così allora la pluralità delle fedi, ossia i più punti di vista che si hanno di Dio, diventano una ricchezza: è come se si moltiplicassero i lati del poligono, ci si avvicina sempre di più a Dio. Di fatto, secondo Cusano, l’essenza di Dio, nella sua inesauribilità e ineffabilità (riprendendo Plotino) potrebbe essere colta solo se Dio fosse visto da un’infinità di punti di vista, cosa che però è inattuabile. Cusano non usa questa metafora, ma tuttavia è come se vedesse Dio sotto forma di sfera: da qualsiasi punto di vista la osserviamo abbiamo una corretta visuale, ma non completa; se siamo già in due e sommiamo le nostre visuali, che sono entrambe corrette, la visuale complessiva risulterà maggiore; se ipoteticamente potessimo moltiplicare all’infinito i punti di vista, come detto, avremmo una visuale completa di Dio: quindi, quante più religioni ci sono, tanti più punti di vista su Dio (tutti corretti) si hanno.
Cusano poi ragiona su cosa é la conoscenza: la conoscenza consiste nell’instaurare rapporti di proporzione tra quello che già conosciamo e quello che non conosciamo ancora; è come se nella nostra mente avessimo degli ‘attaccapanni’ dirà in seguito qualcuno: ogni nuova conoscenza va collegata, confrontata e proporzionata alle precedenti: in fin dei conti il paragone usato da Cusano per descrivere il processo conoscitivo è quello dell’equazione dove bisogna trovare la x; si deve stabilire un rapporto e cavare fuori la x: tutti i rapporti conoscitivi vanno così. Però è da notare che Cusano estende a rapporti qualitativi ciò che noi useremmo solo per quelli quantitativi: la x infatti è quantitativamente determinata, ma ciononostante Cusano fa valere il rapporto per ogni realtà; a rigore, più che di proporzione, si dovrebbe quindi parlare di confronto. Questo ridurre tutto a rapporti quantitativi porta Cusano a conclusioni ulteriori: se è vero che ogni conoscere è proporzionare, si arriva a concludere che l’assoluto, il ‘massimo’, come lo chiama Cusano, che poi in ultima istanza è Dio, non sarà mai pienamente conoscibile perché matematicamente non c’è rapporto tra il finito e l’infinito.
Il nostro intelletto e le nostre conoscenze sono indubbiamente finite, ma Dio, l’infinito, è assolutamente incommensurabile rispetto alle cose finite: se non posso fare la proporzione, evidentemente, ne risulta che Dio (l’infinito) non sarà mai pienamente conoscibile. Ma il discorso di Cusano si fa ancora più ‘scettico’ nel momento in cui arriva a dire che non solo non possiamo conoscere la natura di Dio (ossia dell’infinito), ma non possiamo neanche conoscere le cose finite perché in fin dei conti anche il rapporto tra cose finite tenderà sempre ad essere infinito: il rapporto con le cose da conoscere, tramite le proporzioni, sarà sempre più preciso, ma non potrò mai arrivare a una conoscenza assoluta: istituirò rapporti con le cose da conoscere sempre più precisi all’infinito, ma che non saranno mai conoscitivi fino alla fine: è come con il poligono inscritto alla circonferenza e la circonferenza stessa: il poligono (ossia la nostra conoscenza) e la circonferenza (gli oggetti della conoscenza) potranno essere sempre più ‘vicini’ man mano che moltiplico i lati del poligono, ma non arriveranno mai a coincidere totalmente perché, se prestiamo attenzione, il poligono i lati li ha finiti, ma la circonferenza li ha infiniti: mi posso avvicinare sempre di più nella conoscenza di una cosa senza però mai conoscerla effettivamente. Per capire meglio questo concetto occorre prendere in considerazione il ‘De coniecturis’ di Cusano, ossia ‘Le congetture’: la conoscenza secondo Cusano consisterebbe nell’elaborare una serie di congetture, ossia nell’avanzare ipotesi che si avvicino il più possibile alla realtà presa in esame; ma le congetture non saranno mai effettivamente adeguate alla realtà: la parola congettura, non a caso, deriva dal verbo latino ‘icio’, lancio , e quindi significa ‘lanciare’ ipotesi nel tentativo di raggiungere, di colpire l’oggetto. Potrò fare sempre nuove congetture che si avvicineranno sempre di più all’oggetto in questione, senza però mai raggiungerlo: quindi anche per una realtà finita il processo conoscitivo finisce per essere infinito. Farò sempre nuove congetture, sempre più vicine all’oggetto, ma che tuttavia mai lo ‘colpiranno’. I lati del poligono inscritto possono identificarsi con le congetture: infatti, proprio come i lati, io posso moltiplicarle all’infinito senza mai raggiungere ciò che mi ero proposto di raggiungere.
Quindi Cusano in un primo tempo nega la conoscenza dell’infinito, ma ammette quella del finito, poi le nega ambedue: ne deriva la dotta ignoranza: è un’ignoranza, perché la conoscenza resta sempre un poligono che mai coinciderà con la circonferenza, ma è dotta perché so di non sapere e in più quest’ignoranza in quanto dotta non è il punto di arrivo, ma di partenza, come testimonia il ‘De coniecturis’, che fa vedere più che ‘La dotta ignoranza’, il lato positivo: potrò fare sempre nuove congetture e avvicinarmi alla conoscenza, senza mai raggiungerla: quindi i due presupposti, aristotelico e platonico sono compatibili.
In ultima istanza potremmo paragonare la dotta ignoranza all’eros di Platone: è un qualcosa che sta a metà strada tra il non sapere e il sapere, e che quindi diventa stimolo per una ricerca continua. ‘La caccia della sapienza’ è uno degli ultimi scritti di Cusano e in esso l’autore paragona l’attività del filosofo a una caccia le cui prede sono rappresentate dalle varie forme del sapere. Una preda che però sfugge sempre è la conoscenza di Dio, al quale ci si può accostare solo per via negativa. Si tratta di un concetto analogo a quello della dotta ignoranza: in sostanza Cusano riprende la ‘teologia negativa’ di Plotino: l’uomo non sa come Dio sia e quindi l’unico modo che ha per definirlo consiste nel dire non cosa è, ma cosa non è: è infatti impossibile conoscere un Dio talmente grande che non c’è alcun limite alla sua grandezza.
Ma attraverso l’esperienza della dotta ignoranza a quale obiettivo mira Cusano?
E’ uomo di Chiesa e quindi la sua è senz’altro una riflessione teologica e quindi l’obiettivo sarà Dio, che in termini filosofici lui chiama l’ ‘assoluto’, o meglio ancora il ‘massimo’, inteso come ciò di cui nulla si può pensare di maggiore, il massimo.
In che senso la dotta ignoranza può aiutare a cogliere il massimo?
Può farci cogliere la cosiddetta ‘coincidentia oppositorum’, ossia la coincidenza degli opposti: in altre parole è convinto, in base a considerazioni neoplatoniche, che nella realtà assoluta cose che nella realtà finita sono opposte possano convivere insieme e coincidere; già Plotino stesso parlando dell’Uno, dove coincide tutta la realtà, ammette la coincidenza degli opposti. La dotta ignoranza può arrivare a far cogliere questo aspetto e Cusano per spiegare ciò si serve di metafore matematiche - geometriche: prendiamo il poligono e il cerchio, con il quale Cusano ha già dimostrato la teoria della dotta ignoranza: li usa per dimostrare che dei concetti di per sé contradditori, portati alle estreme conseguenze non sono più contradditori, ossia che cose contraddittorie nel finito non lo sono più nell’infinito. Esempio tipico è quello del cerchio e del poligono, due realtà che si escludono a vicenda perché uno ha a che fare con la linea retta, l’altro con la curva: curva e retta sono concetti inconciliabili e contradditori; ma se portiamo all’infinito i lati del poligono otteniamo esattamente una linea curva; fin quando rimaniamo nell’ambito del finito sarà sempre un poligono, ma quando entriamo nell’ambito dell’infinito, ecco che allora diventa una circonferenza.
Molti e importanti furono i contributi di Niccolò Cusano alla cultura Occidentale: come antichista, scoprì un manoscritto - oggi conservato alla Biblioteca Vaticana - con dodici commedie di Plauto sino a quel momento ignote; come astronomo intuì, contro le teorie geocentriche di Tolomeo e Aristotele, e ben prima di Copernico e Galileo, che l’universo è infinito, e la Terra non è immobile, ma ruota attorno al proprio asse.
A Cusano dobbiamo una carta geografica dell’Europa centro-orientale molto accurata, riprodotta per la prima volta nel 1491 da un originale perduto (è, pertanto, tra le prime carte geografiche d’Europa dall’invenzione della stampa).
Ragion per cui abbiamo evidenziato un domenicano dedito alla ricerca, ma prima di lui altri ortodossi per la stessa hanno evidenziato non casuali nessi e Frammenti tradotti e trasposti nella propria opera, ecco perché rendere dovuta memoria anche a chi devoto nella propria finalità e ortodossa natura. Non saremmo onesti né tantomeno potremmo suscitare il dovuto interesse che lasciamo affiorare come un iceberg posto in evidenza in ciò che si vede, ed anche, in ciò su cui galleggia quale apparente miraggio del genio nonché nel dubbio abdicato ad un più onesto carotaggio lasciando intuire ciò di cui non si scorge e nell’acqua si inabissa come una profonda radice, rischiando per coloro i quali si avventurano su codesto immenso scriptorium di inabissare l’intero sapere precedente al miraggio di ‘cotal miracolo’, e altresì lasciando naufragare l’intera verità in ciò che compone il rovescio che all’occhio non si scorge ma paradossalmente la vista compone (come del resto il Cusano ci apostrofa), finché non si rischia una collisione. Infatti allora come oggi, rimembriamo mari e visioni ghiacci e carotaggi Frammenti e naufragi climi e roghi… nella verità della geografia e questa della Terra in ciò che compone per inteso la geologia nascosta…
Innanzitutto per non smarrirci nel modesto e similare intento e sentiero - giacché l’onestà della ‘guida’ si misura nel conferire al religioso quanto al suo compito raccolto ed interpretato in ragione degli studi conseguiti (e di cui io umilmente non posso che rendere il doveroso ed onesto omaggio alla coraggiosa memoria ed intuito il quale se così non fosse non potrebbe condurmi verso medesima e difficile salita) merito e ‘fede’ in seno a cotal ‘verbo’ posto, sempre però, nel dubbio costante di questo e per conto di questo ‘esposto’, quindi ed anche, nel relativo senso morale in cui espresso; giacché il domenicano quanto gli ortodossi ‘teologi’ enunciati patirono in nome del ‘verbo’ - detto divino - minor pene degli Eretici narrati da cui ispirati nei brevi Frammenti cui si vuol porre diverso giudizio ed arbitrio, affinché la sofferta cima medesima del domenicano quanto mia in siffatto Sentiero e difficile ‘passo’, verso la parete specchio di un intero Universo (visto che anch’io come il padre domenicano - ricercatore - condivido l’amore per la montagna e da lì l’ispirazione della verità e Dio) possa non solo essere scalata ma anche annunciata… Ed evitare incomprensibili ‘labirinti’ nella volontà della stessa quali ‘palestre’ di roccia ove teologica e filosofica quanto mitica lingua misurarsi per l’abilità della stessa scordando la bellezza (e con questa medesima Natura di un più probabile Dio) di cui motivo, e dimenticando la semplicità di una diversa forma nella comune salita abdicando l’abilità della ‘parola’ un ‘silenzio’ affine all’elemento respirato ma non del tutto capito né intuito (del resto come il Pensiero di un più probabile Dio).
Esplicitata questa nuova premessa in quanto non certo io l’inquisitore, al contrario del valente uomo di chiesa e neppure, se per questo, di quel Durando di Huesca il quale aveva polemizzato nel lontano XIII secolo nel suo Liber contra Manicheos contro i dualisti catari, prendo nota, semmai, di questi eventi i quali focalizzati in tre distinte capitali: Praga, Parigi e Roma, per ciò che sembra essere una comune via - una mulattiera (qualifichiamola in questi termini) non ben evidenziata solo cancellata dalla storia stratificata per un più modero Sentiero e (teologico) passo. Ma chi amante della natura della montagna della vetta e con essa della sua geologia, non può dimenticare, nell’ascesa verso questa, i luoghi albergati dalle genti delle valli, i quali sappiamo di per se ‘geneticamente’ propensi alla tutela del proprio credo nel medesimo Sentiero (detto e ‘transumato’ ed avverso al moderno peccato del turismo di un nuovo Dio caduto nel peccato) conservato ‘maniacalmente’ quale patrimonio comune di una superiore Verità difesa sofferta e nello stesso tempo, come ogni villaggio alpino e non percorso dalla nostra volontà di ricerca e pretesa per miglior Spirito…, gelosamente custodita, ed ogni indizio ogni pietra ogni reperto o Frammento antico lungo il nostro ed altrui cammino, dal remoto evo fin agli odierni ‘passi’, motivo di ‘archeologico e scientifico scavo’ in quella Memoria persa, la quale però come vedremo, velata e celata all’altrui Storia così da poter confermare gli accenti di una lingua tradotta e adeguata (alla Storia) si sono ‘ostinatamente’ conservati, anche se poi su tali luoghi ove regna diversa parola e turistica pretesa si medita e parla una ben diversa lingua e credo…
E con questo esempio penso aver svelato non l’arcano ma una più certa Verità in quanto è pur indole umana ed anche cristiana dedotta dalla Memoria (difesa per l’appunto da una più certa e abdicata verità) cancellare l’altrui mulattiera per una miglior Sentiero della Storia, ed in ciò per conto del mio nome diffido di cotal Memoria rilevata e rivelata, quindi procedere sicuri ed affidarci alla Metafisica di una certezza velata… (e come vedremo conservata - comuni ‘geni’ di una Natura sottratta). Del resto anche lo Gnosticismo si distinse e distingue per ugual pretesa non certo albergata ma antropologicamente proseguita e tracciata (quale memoria collettiva) così come si conviene alla ‘spirale’ della vita, ‘spirale’ e non certo odio con cui la stessa si esprime nel concetto dell’opposto cui il cristiano vuole e voleva risolvere le rimembranze storiche (di un Verbo rivelato con cui fondata la propria ed altrui Storia), in tal senso per queste stesse genti di certo non mancano… (in questa) tristi accadimenti. Giacché accostandomi presso taluni ruderi tomi antichi brevi Frammenti i quali sporgono lungo un comune Sentiero non posso che prendere coscienza, non più di una casualità negli eventi storici posta, ma ‘ceneri’ e ‘resti’ di un passato conservato nel quale il Sentiero ha mutato corso verso ugual cima verso medesimo intento, e con questo specifico asterisco posto credo che bisogna fare un serio distinguo fra il viandante non certo esperto di alpinismo vittima delle proprie soggezioni accumulate nei secoli, e colui invece, il quale pur in apparente teologico motivo in realtà non esclude geologici contesti albergati per la ricerca della vetta, così da immaginare una più consona guida una più consona lettura per la mulattiera detta ed altresì persa in quanto non visibile al di sotto dell’ampio Sentiero tracciato.
Tutto ciò per dire e tradurre in poetica e metafisica scrittura che forse coloro che sono uniti dalla cima e Dio hanno travalicato determinati confini posti in ogni vallata attraversata per questa ‘ragione’ incamminata e sempre costretta, ed in ciò aver perseguito uguali e medesimi intenti, anche se, un ‘Frammento assunto’ in evidenza come un lascito archeologico quale comune parola, risulta posto quale araldo e codice di una medesima lingua ritrovata lungo la via; e ancor meglio: nella probabile geografia donde disquisiamo ‘sapendo di non sapere’ quindi con l’arbitro della conoscenza una apparente lingua con il ‘nativo’, ci accorgiamo distintamente come taluni Frammenti ricorrono qual filo conduttore (fra alterne dispute), che dal Sentiero maestro ci motivano verso l’antica mulattiera persa, e da questa, fin alla radice di una comune lingua cancellata, o forse, solo concessa come un dialetto per taluni incomprensibile (ed è pur vero che nella odierna cultura taluni termini come ‘neoplatonismo’ o ‘pagano’ ed altro ancora risultano incomprensibili alla materia che tutto fagocita e per l’appunto trasforma cancella e divora) del quale dobbiamo ricavare l’intera struttura della ‘parola nata e rivelata’.
Da qui l’ipotesi non certo azzardata che sicuramente tal mulattiera è stata indistintamente percorsa da Eretici quanto Ortodossi, e che, nelle alterne vicende le quali hanno privilegiato (oppure perseguitato) prima gli uni e successivamente gli altri, taluni Frammenti di una comune lingua appaiono evidenti e rivelano come qualcuno in ‘apparente ortodosso principio’ sia riuscito per medesima vetta a cui altri non è stato né permesso né concesso (pur rimanendo nel paradossale e contraddittorio intento), o per proprio limite e angosciata (perseguitata) condizione quale esiliato lupo della Memoria verso gli ‘elevati’ pascoli della Storia come ogni montagna conserva entro la visione incarnata di un medesimo Dio, e quindi, per una diversa interpretazione circa l’ascesa verso questa. O per quella gelosa ed ostinata e sicuramente perseguitata lingua parlata nella quale ogni ‘indigeno’ riconosce il proprio esclusivo veritiero credo quale autentico ed originario patrimonio genetico, ed in onor della sopravvivenza di questo talune volte, o si è preferito abdicarlo all’altrui volontà e sottomessa mancata pretesa e ascesa, oppure, ‘doppio principio’ in cui conservata velata e più elevata (nonché ostinata) Verità divenuta Eresia… o dialetto che sia… (del resto tutto ciò tradotto e rapportato ai tempi odierni significa vedere e scorgere medesime costanti nella globalizzata lingua del progresso e la conservazione del Sacro all’opposto di questo)…
Di certo in tal perseguitato componimento ed intento sono più congeniale a quanto dalla spirale della Natura dedotto e creato nelle proprie finalità di cui la ‘mulattiera’ come descritta in cotal apparente e velato ‘mito’ nata; pur non scadendo nel paradosso di uno Gnosticismo o simmetrica Eresia la quale in apparenza proprio quella (natura) aborriva, ma conferire giusto Universo a chi evidenziando tal ‘disperato accento’ cui la vita [apparentemente fuggita] ha destinato impedimento sociale e psicologico conformando la ragione di ognuno - non ad un diverso destino - il quale, in verità e per il vero, in ugual Eresia [e non certo minore della loro] posso raccoglierne distintamente gli Spiriti per ogni bosco foglia ed elemento di cui ravvivo la memoria persa; concedendo e destinando in tal ‘diagnosi’ e non certo ‘malattia’ l’armonia cancellata alla rogo della Storia, cui qualcuno o troppi, hanno strappato la vita al fuoco di una più atroce ortodossia, e quindi, averli condotti non certo al precipizio o confino divenuto peccato e presunto ‘male’ isolato [ in quanto il Primo sicuramente misericordioso come l’‘accento’ dedotto, a dispetto del Secondo per sempre narrato conseguente deriva con cui siamo soliti riconoscere l’Uno della vita e questa alla Terra], ma resuscitati alla linfa da cui nascerà nuova vita e con questa miglior vista).
Credo aver svelato l’intento e le sue molteplici finalità le quali abdico alla ragione di chi nella sua opera intuì quanto qui affermo non scordando però che la patria da cui esule ed anche torturato e perseguitato non lascia grande spazio, eccetto che, nel ‘velato’ e concreto senso di quanto fin qui enunciato [giacché sappiamo chi padrone del ‘verbo’, o ancor meglio, ‘chi si pensa’ concorde nell’esprimerlo quale parola del solo Dio nel ‘verbo’ annunciato; avverso nella finalità qui eretta quale nuova stele di una più profonda Verità la qual non sarà meno perseguitata. Perché quel Dio nel ‘verbo’ dedotto difetta dubbia natura rivelata e rilevata così mal interpretata e trattenuta nella materia fagocitata, padrone altresì, del ‘libero arbitrio’ il quale in nome di un Dio a loro disgiunto limitare lo stesso (‘verbo’) da Lui posto nello Spirito e nell’Anima infinita, ove torna ad albergare nella Genesi della propria memoria tutte le volte che il pellegrino contempla la (sua) Natura dalla radice fino alla foglia, e poi ancora, per ogni ramo di questa. E in cotal paradosso il ‘falso Dio’ intuendo siffatta verità perseguita al medesimo Golgota ogni superiore Natura e Parola da conferire, così e per sempre, solo quale vero enunciato inesprimibile nella limitata deficienza nominata corrotta materia e da quel falso Dio padrone del verbo annunciato abdicata al peccato… Questo il vero Universo narrato sottratto alla materia fin qui conservata qual limite ed eterno perimetro della loro parola giacché quale Esule perseguitato taccio la verità in questa patria maledetta…] e se il Cusano di cui leggerete fra qualche rigo fu anche valente geografo forse perché aveva intuito un Sentiero una mulattiere un primitivo principio qual filo conduttore, il quale però, sempre le dismesse incurie della verità ne hanno ostruito ed impedito il cammino…
E certo in questa terra dove scrivo e in cui esprimere verità non mi è concesso ho solo imparato nel comune martirio condiviso ugual sorte nell’inverno della stagione con cui sono soliti ancora, in questa terra maledetta, perseguitare e torturare nel vero dell’apparente loro falsa condizione ed evoluzione ogni più certa verità detta, medesima degli eretici difesi di cui percorro simmetrico motivo accompagnare l’autunno di ugual sorte nel fuoco di una ignoranza coltivata al cammino di una morte prematura… Ma come quelle anime ispirano l’eterna verità enunciata difendo il loro Spirito il quale con loro condivido e vedo… e quando proseguo il detto Sentiero in questa terra ove non è concesso il libero arbitrio so di aver detto il vero tutte le volte che l’inquisitore mascherato negli elementi della propria ed altrui calunnia tortura e perseguita la verità della storia.
Così comprendo altresì la Parola del Dio nascosto il quale in questo cammino annuncia la sua dimora mentre tutt’attorno il sisma della perenne calunnia crolla ai piedi di chi eretico per sua natura…
Un umile autodidatta che cerca nel libero arbitrio ugualmente inquisito quanto non fu allora concesso né permesso, ripetendo a me quanto agli altri viandanti la mulattiera il Sentiero così come la vetta vanno celebrate per dovere della Memoria, e con questa, di una più limpida verità immune da qualsiasi affrettato e limitato giudizio che ogni società impone ad interesse e tutela del proprio potere riflesso nella ricchezza della materia sinonimo di un falso Dio privata del vero Spirito.
Roma di certo nemica di ogni ‘divino principio’ fin dal tempo antico ed anche qui non mi contraddico in nome mio giacché in ciò concordo dal primo (pagano) all’ultimo eretico (cristiano ed in nome e per conto di Dio) con cui condivido medesimo martirio, riconoscendo però all’Anima pura la volontà della Memoria - non specificare formulare o solo dedurre talune eretiche ipotesi - le quali possono aprire condizioni favorevoli, non per una disputa o l’eterno conflitto cui ogni Storia costretta abdicata al potere, ma al contrario ‘perfezionare’ e ‘progredire’ l’antico dire nell’unire razionalmente un continente alla deriva per la finalità sperata. Quella vita troppo spesso perseguitata e sacrificata nel nome di un ‘doppio principio’, affinché ogni Anima Eretica possa godere di quella pace eterna cui spesso ho udito i lamenti per ogni bosco ammirato lungo la vetta.
Di certo anch’io, e di nuovo lo ripeto ed affermo, sono un visionario ed anche un Eretico dichiarato tutte le volte che vedo ed ascolto le loro Anime lungo il sentiero che oggi mi rende il passo più sofferto in quanto l’autunno rimembra pace ed Infinito principio nel quale l’aspirazione muove la ragione in un apparente vuoto di coscienza così come l’eretico Eckhart insegna e non posso dare a lui torto. Affinché un più elevato Spirito possa prendere parola e condurmi fin là ove la vetta… agli occhi ed i colori dell’infinito suo splendore… La pace prima di quella rispecchia il Cusano motivo e l’emozione coglie ogni pellegrino per la felice scoperta all’alba di una medesima mattina quando Dio illumina gli occhi della ragione per una più certa verità transitata e non detta…
Questa nuova introduzione ‘era’… allora ed ora più che dovuta… giacché alcune notti di tormento albergato in luoghi difficili come resti raccolti di remoti rifugi donde la vista per antichi monasteri suscitano difficoltà e conseguente paura dell’intento, medesimo esempio del pellegrino il quale percorrendo passi e sentieri di una più antica religione che appartiene, come l’Eretico Eckhart ha giustamente intuito, qual Uno scisso da innumerevoli Dèi nel successivo continente formato… Una ragione e regione talmente vasta ad una elevata altitudine esposta la quale rende il passo non certo malfermo ma accompagnato dalla paura di poter mal interpretare o addirittura decifrare non del tutto correttamente quanto all’improvviso appare alla vista, ragion per cui, il sapere impone una umiltà quale denominatore comune per medesime finalità senza violare monastero o eretica dimora, ma rendere il tutto consono alla vetta e senza far di questa sportivo o turistico motivo per chi ‘nulla’ ha da condividere con il Primo o Secondo Dio e di conseguenza ridurre le proporzioni ad un continente il quale deve abdicare il proprio ed altrui destino ad una frammentato martirio senza vita… e principio…
Così riprendiamo la via, abbiamo evidenziato con Zambon, il quale è pur valido ricercatore circa il frate domenicano e questo non certo puro esercizio accademico ma solo per dire che Dio unisce e giammai divide, dunque siamo evoluti ad una successiva stratigrafia donde la teologica natura unita alla filosofia possono evolvere nella loro veste e conformarsi verso quel cammino ove pur ragguardevole parola, in verità e per il vero, si ‘scimmiottava’ una ‘dotta’ e comune lingua. Forse l’esempio ‘volgarmente espresso’ non certo rende l’idea in quanto si ‘era’ nella condizione, se pur ben ‘posta ed arroccata’ nei suoi principi formali cui ogni Stato ed Impero si riconosce, il non poter spaziare con la dovuta sufficienza e libertà simmetrici principi e motivi dedotti e successivamente tradotti per ciò che ancor oggi viene riconosciuta la lingua ‘universale’ della ‘cultura’, o ancor peggio, del ‘sapere’ e questo viziato e alterato nei principi e cardini con cui si dovrebbe confermare la verità, e quindi (ed ancora oggi lo ripeto e sottoscrivo si ‘è’), condizionati e soggetti a più ‘lingue maestre’ dalle quali il tutto ‘conservato’; e pensare i tomi tradotti e consultati, i quali, dalla fonte o comune fonte ‘ispirata’ potevano assumere modifiche cancellazioni o libere interpretazioni e tutto ciò abbiamo premesso e più volte esplicitato e spiegato…. e fors’anche dedotto…
Quindi…, dobbiamo adottare un criterio scientifico riflesso nella ‘Storia’ che travalica lo sforzo del semplice ‘enunciato’ quale araldo del tutto compreso ed accettato in quanto non v’è ‘Nulla’ di ciò che diamo per sottointeso in quanto questa conservata e disciplinata da resti archeologici appartenenti a documenti a scritti e molto altro ancora, quali ‘fossili’ di una comune Memoria ‘innestata’ (e qui specifichiamo quanto ripeteremo di seguito: quanto ‘innestato’ non conforme alla Natura delle cose giacché a questa ‘finalità’ nel lento suo Tempo si rivela la presunta intelligenza, un equilibrio nella Terra riflesso nella costante evoluzione dello stesso, in quanto l’Infinito probabile specchio di quanto cercato è pur simmetrico alla propria Natura di cui noi riflessi nelle mutevoli condizioni cui ogni sisma e successiva deriva frammentano ricomporre all’Infinito l’Uno sottratto alla dimensione ed in cui in verità non scorgiamo Forma e Pensiero solo nella mutevole sua Opera…), ma non coglie talvolta o troppo spesso il semplice Pensiero di chi come il sottoscritto, e non certo il solo, quando compiva e compie il gesto ‘di questa (Memoria detta) e in questa’ riconosce distintamente i pericoli innescati nel sisma ‘operato’ quale intero nesso del Creato….
Gli esempi in tal senso non ci mancano posso anche evitare di elencarli, guardiamo al grande Galileo e prima di lui Leonardo così come tutti coloro che furono perseguitati nell’impervio loro cammino e non solo il Cristo pregato: perseguitati per i limitati intenti e pensieri dell’altrui realtà cui loro malgrado erano costretti a vivere, o perché geroglifico di una superiore Natura, o perché nella propria genetica ugual simmetrica Natura compiuta…. E con ciò abdicare il proprio credo la propria statura il proprio talento la propria intuizione la scoperta la formula l’umile preghiera al velato ‘crittogramma’: Frammento specchio nell’apparente deriva di ciò in cui riconosciamo una diversa scomposta forma nel composto della piatta o ordinata vita [quindi sottointeso nell’apparente scomposto ‘sisma’ di siffatta natura corre l’evoluzione cui siamo soliti riconoscere la vita… cui spesso valenti ‘dottori’ di chiesa e di scienza si alternano e confondono affinché, almeno così dicono, ‘retta parola’ ‘retta dottrina’ retta disciplina’ sia coniugata alla psicologia della vita alla ‘grammatica della vita’ di cui parrà incredibile ma come pria in questo secolo ancora perseguitano e controllano proprio mentre medito e scrivo Rima Pensiero e finalità non conformi alla Natura… a loro e per sempre disconosciuta…
Ma questa si sa bene qual teoria intende chi la libertà vede e scruta nella pupilla altrui ed è solito riporla alla tortura di chi pur vedendo è pur cieco per misera sua natura…
Così o mia patria ti vedo e svelo non meno di tutti gli esuli i quali silenziosi mi accompagnano lungo questo Sentiero divenuto confino… della ragione nella pur misera regione nominata progresso…, non meno della Poesia il Versetto coniugano uguale intento, né l’uno né l’altro superiore motivo ma già di per sé chi tanto ha già svelato Dio…
E chi, invece, al contrario, sopprime nasconde confonde e reprime e non di per sé discute ma ‘uccide’ cotal intento in medesimo Golgota cercando di interpretare e successivamente circoscrivere opponendosi per propria ed altrui misera natura all’opposto di cui si nutre difende prega o calcola…
Di certo questa la peggiore falsità e meschina natura rilevata ed ora come ieri rivelata!
Giacché l’intento di uccidere e confonderne il senso e la vita sempre con la pretesa di spiegarne, o peggio, conservarne l’esclusiva della Rima, è destinato in verità e per il vero a limitarne qual si voglia evoluzione o pretesa divina statura perché anche quella fu arsa al rogo della Storia se pur nominato sacrificio o agnello di un identico mito…
Ed io non certo penso o mi penso superiore quanto fin ora espresso studiato e conservato né tantomeno il mio sforzo si coniuga nel limitare l’altrui natura: codesto comune intento lo abdico, come già espresso, alla Storia in cui come molti altri sto pagando il tributo per una più onesta verità fin qui confusa… Ma v’è nella Fisica propria della nostra ed altrui natura ciò che non può essere ben definito….
...Uno Spirito infinito e ciò tutto quello che questo riesce a cogliere conseguente alla vita… Sicché molte volte o troppo spesso (se non sempre conformandosi all’unicità della lingua) gli storici hanno deriso, assommati ad altri stimati loro colleghi, talune affermazioni non apportate contemplate ed interpretate secondo il giusto criterio con cui si è soliti considerare e prevedere la stagione della vita, ma lo Spirito la luce che in questa (singola o infinita) esistenza regna nella propria svelata natura appare un mistero compresa l’espressione il giudizio se non addirittura il merito di quel Dio cercato studiato interpretato dedotto e per sempre convogliato e circoscritto secondo, come già espresso, taluni climi della storia, sempre se pur nella virtuale apparenza, la stessa…
E per questo affermo che chi troppo spesso, compreso il sottoscritto, abituato a giudicare precipitosamente condizionato da taluni ‘climi’ si conforma ai frutti ingordi della vita non svelando nulla dell’albero maestro ove naviga al vento di una fame quale terra nuova che non sia la solita ed antica ‘Promessa’ stagione della vita…
Dobbiamo sforzarci invece di rimanere entro il terreno dedotto della storia questa la via maestra dell’evoluzione detta sottratta ai rigori di qual si voglia clima sociale, il quale, in verità e per il vero, potrebbe condannare ed esiliare la verità circa la forma e vera natura: spirale e immagine dell’intero Universo riflessa la quale cresce e matura la propria ed altrui vita al sole principio della materia dando per sottointeso che cerchiamo l’essenza di quanto fin qui inespresso o solo intuito e dedotto alla luce di quanto il mito ha in sé maturato… nella forma, appunto, di ugual Tempo narrato… Dio o Profeta il quale ci accompagna per una verità più evoluta e serena in seno ad una Storia di per sé violenta, giacché non dobbiamo o possiamo dimenticare che la violenza è una costante della materia corrotta sinonimo ed affine al potere cui ognuno aspira anche nella volontà o finalità di ugual e medesimo Dio pregato dall’infanzia della forma, in cui, se pur ancora privi della parola o del verbo specchiandoci nell’occhio del grande Universo, come già espresso, abbiamo formulato Pensiero, e questo, sappiamo di certo appartiene alla genetica di un motivo studiato in diversa pretesa ricerca e forma…
Quindi per essere ancora più chiari aspirare alla verità significa innanzitutto prescindere i rigori dei ‘climi’ i quali sappiamo molto bene e per sempre, come PER L’APPUNTO IN QUESTO MOMENTO, ostacolati da tutti coloro che non perseguono siffatto intendimento e per sempre asservono e servono logiche le quali affini al potere, e questo, sappiamo di certo, passa da una mano all’altra di un regno terreno (giammai nei cieli posto) e di un secolo senza mutare il Tempo apparentemente trascorso solo ciclico ed immutato nell’arbitrio corrotto della materia che numerando se stessa è giostra contesa fra un Re o un Papa ed una nuova ed astuta pretesa nominata ricchezza…
Oppure per conto… da secolo a secolo trascorso… della filosofia o della nuova teologia… in nome di un Dio o in nome di un Redentore, giacché la finalità propria della forma dal pensiero si diparte immagine dell’Universo, se pur frammentata e divisa come ogni asimmetria per innestare la vita, persegue nella propria chiralità ugual intento e motivo.
Così possiamo ipotizzare talune affermazioni di per sé eretiche le quali però conservano tutte quelle costanti e velati presagi i quali non certo offuscano la vista ma danno concreta aspirazione nel limite di questa all’occhio posta di ciò che si vede ma non intende e comprende, se pur per l’appunto, la vista qual dono illuminato della Natura la quale se pur si mostra, in verità e per il vero, poco rivela nell’apparente verità della forma più affine all’opposto di quanto mirato e quindi colto nel vasto mondo… Creato…
Ed ancora, di ciò che pensiamo Creato nel Nulla scorto e numerato Nulla più di quanto ciclicamente numerato sicché il termine appare appropriato giacché con la conoscenza di questa e nominati dotti comportamenti cui la stessa costringe taluni possiamo avviarci a delle finalità sin ora inespresse le quali potrebbero condizionare l’intero giudizio della stessa nel corso non solo di una evidente asimmetria, ma anche ciò che potrebbe essere stata l’evoluzione in seno, non solo ai bisogni di una umanità eternamente corrotta, ma anche, una più vera interpretazione la quale pur apparendo nell’araldo dell’opposto, cela e mantiene in sé quel velo qual Spirito inespresso, e l’enunciato ancora non formulato appare al momento di questo aggiornamento molto chiaro nei punti chiave della sua velata dicitura…
Infatti ‘conoscere’ di per sé anche con quella formula oracolare o profetica che sia (dell’‘intuire’ come già detto), santa o demoniaca apostrofata nell’alterna vicenda di medesima ‘visione’ lungo la via, travalica la stessa conoscenza appresa regnare nel vasto universo della metafisica, quanto dotti scienziati nella vastità del perfetto regno calcolato hanno pur in segreto ‘intuito’ ciò che solo dopo rivelato, giacché sappiamo bene che vi è un Tempo improprio nel vasto ‘impero’ della verità umana specchio di un Dio nello Spirito riflesso e nella natura contemplato ma talvolta non del tutto specificato; un Tempo, dicevo, senza Freccia del reale corso dallo zero assommato ed al numero dedotto, giacché l’Universo di codesto (Tempo) Infinito appartiene, come il Dio che tentiamo di decifrare, alla similare immateriale Sua Natura, ove verbo pensiero intuizione desidero hanno generato, per l’appunto, questa (Prima Natura) nel limite improprio ed immateriale confine riflessa (giacché intuita), Spazio e Tempo privato della forma… (e con essa di una dimensione accertata)… Ed in cui, la verità come a tanti già accaduto, può risultare improprio elemento… ‘intuito’ (quale pre-conoscenza) nel vasto mondo della metafisica dedotta dal Tempo nell’Infinito suo principio, non certo dissimile dalla profetica e teologica Natura pregata giacché rivelata. Ma questa lo era fin dall’inizio dei tempi, fin quando l’uomo pensa sé stesso, e tutti coloro che partecipano a siffatta intuizione di certo sappiamo anche solo concreta deduzione, rivelata sempre nella forma di un Universo privato della reale ‘direzionalità del Tempo’, e questo, lo spiegheremo ancor meglio fin quanto ora espresso: quello stesso Universo (ed ancora lo ripeto) il quale nella sua Fisica (e) Natura ed anche in ciò che propriamente non si distingue anche all’occhio evoluto di un moderno telescopio scrutare il principio di questo, presenta tutte quelle caratteristiche di un mancanza di reale direzionalità della freccia del Tempo detto ed anche osservato, ed anzi un’inversione dello stesso… Ne consegue immateriale alla dimensione dedotta dallo Spazio e Tempo accertato…
La vita infatti si manifesta con taluni costanti e si sviluppa secondo direttive che appaiono il riflesso di quanto fin qui colto non dissimile dalla Natura studiata, l’Uno pregato e scisso dall’inizio dei tempi appartiene null’altro che all’unicità della Terra riflessa nell’Universo specchio di un Dio, immagine di una cellula e di una singolarità ripetuta all’Infinito sino al Nulla in cui procede il nostro Pensiero conferendo però al nostro Nulla non certo il senso di cui Eckhart maestro, e di cui il Frammento ha pur dedotto sviluppato e teorizzato nell’Eretica ed altrui intuizione, introducendolo però, nella supposta e giusta direzione come si pensa un più probabile Dio…
Ma conferendo all’Eretico, e ancor prima di lui, come presto vedremo in una ancor più Eretica deduzione, ed attribuendo al Nulla conteso una propria genetica la quale è pur sempre manifesta nell’apparente negazione di un Primo Dio assente al proprio disegno riflesso e colto nella direzione propria della materia e con questa del Tempo (e di nuovo nel circolo al Nulla sottoposta ed interpretata oppure spiegata e rivelata), giacché l’immateriale dedotto - genetica dello Spirito - appartiene alla probabile similare Sua Natura colta intuita annunciata oppure velata come del resto un più probabile sua interpretazione nel ‘duale principio’ di cui la vita alla luce riflessa.
Un Nulla rilevato nello stupore del verso non ancora parola come all’inizio del Viaggio regredito fin dentro l’incisione di una grotta, ed un Nulla cui il domenicano Eckhart accumunato ad un indiano nel fine della sua ortodossa eresia, ma sempre un Nulla con una propria genetica, un apparente Nulla cui vorremmo approdare l’intero Spirito incompreso, e non certo Eckhart di cui maestro, ma quel Dio che ci sforziamo anche in questa sede di attribuirne merito parola e pensiero impossibile in questo materiale Universo esplicitato, giacché questo imperfetto e contrario al moto originario e provenire, infatti, da direzione e/o Freccia all’opposta dimensione nel Tempo accertata. Sicché simmetrie eresie gnosticismi e molto altro ancora approdano similmente ad ugual mistero, mistero però che i climi della Storia vorrebbero far proprio, in verità quel Dio Straniero prima eretico poi conteso, quel Dio nascosto può e si rivela in moto non del tutto calcolato giacché con la sola nostra osservazione condizionata dal clima della materia (e questa connessa e riflessa nella Storia) non possiamo scorgerne la regolare evoluzione specchio dell’Universo.
Ed allora ci avviamo in questo momento oggi come allora e come sempre sarà, per chi nemico di qual si voglia verità, non tanto ad una manifesta conclusione ma ad una più logica prosecuzione e riflessione fors’anche più matura, cercando di coniugare ciò che la materia nello sforzo dell’opposto ha condannato ed apostrofato non solo come eretico ma come nemico di Dio, non meno di tutte le Eresie che ne sono conseguite, così il Nascosto è pur manifesto nel contrario di quanto resuscitato anche in ciò da e di cui contrastato nell’apparente bestemmia di chi non ha certo compreso la vera sua forma e dimensione…
Forse qualcuno aveva intuito… forse qualcuno e Nessuno aveva capito… forse qualcuno o Nessuno aveva svelato l’arcano nell’apparente peccato nell’Odissea di un mare troppo agitato per essere esplicitato più di quanto fatto se pur il cristianesimo (a chi subordinare tal termine da un comune senso divino pregato protetto e venerato contenere la radice della spirale da cui nata la vita e fors’anche il dilemma e l’enigma narrato e conteso? senza per questo affogare nella calunnia della Storia e con questa della materia? forse dramma maggiore da esplicitare solo nel vasto cielo della metafisica ove il vero regno si incontra) appena nato presenta tutti quei vizi di ‘forma e verbo’ di cui evidenziato come già è stato enunciato nel reale nesso di cui più vero e primitivo principio.
Su questo per l’appunto abbiamo già scritto e detto contrari a quel Verbo nel Vecchio ma non Nuovo Testamento più affini a quanto accertato nello specchio del Creato, sicché è comprensibile che chi vuol mantenere integra la propria Divina Natura e in questa darle una forma propria dell’evoluzione è pur scettico o contrario quanto per sempre affermato…
In ciò quel ‘dualismo’ che fin questo periglioso cammino e principio ci ha condotto, ha rivelato Frammenti di Verità disgiunte da un Verbo detto divino le quali si rivelano ed evolvono sino a tutte quelle interpretazioni per sempre pregate e non certo condivise solo inserite in ciò che si immagina giusto Tempo e con questo retto pensiero consono ad un Dio dedotto ed affine alla natura dell’uomo, il quale uomo ha pensato di rimuovere ogni traccia di un più probabile Dio e consegnarlo alla materia partecipata privata del Nulla cui l’opera Sua riscritta; ma tutto ciò se esaminato nell’ottica di un diverso contesto nella Natura propria di come è la vita, è stato più volte espresso grazie all’Universo se pur fuggito o solo negato quale specchio della materia corrotta, nel corso di ugual Storia; sicché come già espresso la vita e il suo pensiero esaminato da una diversa prospettiva si coniuga con ugual principi con ugual forma con ugual spirale con ugual simmetria asimmetria e successiva chiralità e ciò in ogni sua reale prospettiva riflessa colta ed interpretata nel Tempo.
Il Tempo, però, è una espressione della vita della materia, e chi cerca la verità il Nulla o solo il teologico Dio o scientifica assenza sa per sua natura che non può risolverlo nella materia… giacché…, come Godel, e non solo, afferma, tutto è detto ‘in’ e ‘con’ quella! Ne consegue allora quel ‘dualismo’ sottratto alla storia ha una notevole e superiore nesso di certificata certezza non meno di una ‘fisica consistenza’, giacché nell’apparenza del negare la vita o i più semplici elementi di questa, in realtà cerca di approdare o al Nulla o al Dio di cui vuol unirsi in eterna Infinita consistenza… Cosicché quei Frammenti di un intero Universo sottratti e divenuti ‘buchi neri’ della Storia e con questa della Memoria ci dicono molto di più di quanto dotti e accreditati ricercatori fin qui calcolato affermato e studiato, e con poche velate parole vi è un sottile nesso una via nascosta ed oscurata più affine alla verità fin qui rivelata; giacché sappiamo come più volte espresso, che fin tanto in questa dimensione può esser compresa solo con quella capacità affine tanto al Divino studiato quanto a tutti coloro che con ugual divina intuizione hanno manifestato simmetrico intento.
E la casualità non di certo può far sorridere il dotto giacché il Frammento il singolo Frammento di vita sottratta circoscritta, nell’apparente casualità affine o nemica del divino espresso, può degnamente esprimere la propria formula…
…Tutta questa difficile (fors’anche ‘ermetica’ per mantenerci nella ‘tradizione’) introduzione per approdare, per l’appunto, a questi Frammenti in poche ed apparenti congiunzioni le quali lasciano traspirare gli stessi sottratti e conformati in una diversa prospettiva fors’anche inadeguata (o limitata come anche il fisico non meno del Giamblico…) natura non dissimile dalla Fisica con cui si è soliti spiegare la vita: ciò in cui l’intera natura rilevata e rivelata ma certamente non del tutto compresa nella finalità accertata cui appunto la vita, eccetto che con diversa pretesa, cioè privati della vera loro Natura da cui negata la linfa per innestarli in un contesto non certo alieno ma dissociato dalla Spirale di una comune forma evoluta di cui il Frammento per l’appunto è parte di questa nella volontà espressa di proseguire la spirale della forma da cui apparentemente dissociato ma complementare a questa nella volontà manifesta di sopravvivenza, ed in cui riconosciamo un più probabile Dio, è negarli alla verità di questo, peccato maggiore di chi in tutta la compiuta sua statura ed evoluta conoscenza, sottrae appunto questa alla Memoria di cui mi sforzo di regolare e conformare l’intera Natura nella spirale dedotta in quanto fedeli a questa e oltre… fino all’Infinito divenuto Nulla…
Frammenti come dicevo i quali appaiono in taluni luoghi costanti di un mondo più affine al moto dell’Universo (anche se apparentemente avverso a questo giacché il principio si riconosce nell’opposto) ma che trasposti e convogliati ai climi della Storia (la quale ancor oggi ha difficoltà a conformarsi agli Infiniti principi per sempre confusi fraintesi e sottratti alle universali e vitali finalità e verità creandone diverse a seconda per l’appunto come l’uomo, pensandosi superiore interpreta e coniuga i suoi climi fino a modificarne la vera Natura), instaurano e principiano tutte quelle ‘alte e basse’ pressioni cui gli elementi soggetti quindi venti e climi a cui si preferisce l’ortodossa stabilità e tirannia dell’Uno e monolitico Dio nell’immutabilità dell’improprio universo e di ciò nel paradosso detto di cui accusato ogni Eretico mal trasposto in questo Tempo…
Giacché chi interpreta corregge e perseguita lo fa in nome di una Legge quale principio della giustizia nominata impropriamente divina nella errata Genesi della Storia… di cui abbiamo detto il Dio dell’Opera non certo affine al Divino cui si compone più manifesto e retto ingegno nella dissociata ed eretica realtà frammentata e poi cancellata… Ciò di cui fu accusato l’Apostata, ciò di cui è accusata e destinata ogni verità, Frammenti i quali per il vero possono apparire disgiunti dal comune credo opposti ed in opposto moto e direzione alla materia pregata e poi univocamente intrapresa quale vera e sola monolitica certezza…
…E se apparente bestemmia avversa a ciò che per sempre interpretato per Divina Natura la quale pur nella morte nel senso opposto della propria finalità i molti si sono apprestati a scriverne l’oscura Memoria, un più probabile Dio si compone nel bilancio della Materia nell’uomo di immateriale spirito straniero a questa, nel contrario di quanto offuscato con tutta la violenza di un verbo corrotto affine ad un Vecchio Testamento, e certamente in questa Eresia riconosco la via maestra giacché chi in nome del Secondo nato (tacendo il Primo sconosciuto istante prima del grande ‘boato’ e nel Tempo e materia narrato e scrutato): morte vergogna umiliazione discordia e guerra ha seminato con la pretesa del Verbo divenuto parola…
Ed allora non può essere il vero il Dio pregato e così fu contrastato nel paradosso di questo Creato ove Nulla fu edificato…
Quindi abbiamo enunciato questo Nulla essere stato dedotto letto interpretato e ri-codificato non solo dal francescano o domenicano che sia nel Libro dei ‘Due principi’ cui riconosciamo un percorso ben scrutato forse perché affine al primitivo di quanto sottratto, ma anche dall’Apostata cui si è tentato confonderne memoria giacché si è pensato nemico di un Dio ma questo non può che essere falso, in quanto medesima Natura la quale partecipa alla simmetrica e velata forma non meno del Cristo che in sola apparenza nega… E rileviamo Frammento e con questo la lenta sua dipartita fino nei meandri e confini contesi sottratti condizionati perseguitati confusi in roghi di atroce memoria…
Ed allora prima del Giovanni simmetricamente transitato di cui l’interpretazione può e deve essere ricondotta ad un senso molto diverso di quanto pronunciato perché ancor più vero che con ‘Lui è stato il Nulla creato’ in questo Universo privo della forma ed eternamente riflesso nella limitata dimensione della materia… Giacché ancor prima di Giovanni il quale taluni riconoscono il crittogramma velato dello stesso Dio disceso in Terra è fatto uomo (senza qui discutere le lunghe disquisizioni materia della Storia con tutti i suoi conflitti), vi era un credo il quale non disgiunto da ugual fine e sentimento, e se pur fra la Gnosi e la Filosofia corre una grande e profonda trincea vi è una linea che dal neoplatonismo si ricongiunge sotterranea ed ermetica (come un Sentiero cancellato che persegue però la Spirale dell’intero creato dalla conchiglia di un antico antenato fino alla cima di un Tempio qual fossile di ogni elemento in Lui e per Lui pregato anche nell’Eretico paradosso che certo non è contraddizione negando ciò cui si prega nella corrotta materia: Platone certo non fu il primo la Rosa d’Oriente ci insegna molti ed altri simmetrici climi in questo Tempo narrato dall’inizio del Creato…) e coniuga quanto apparentemente diviso, sicché tutte le interpretazioni e successive e presunte gnostiche eresie non sono dei falsi ma dei seri e più che giusti tentativi per perseguire nell’Uno ciò di cui composto il Principio in Terra successivamente evoluto alla deriva di più continenti i quali nel ‘negare’ il Vecchio - o la vecchia terra così stratificata - si sono evoluti al ‘sisma’ di una realtà compiuta anche con un (nuovo) mito accresciuta, giacché quella la lingua con cui specificare ciò che di immateriale non si vede ma la ragione con la conoscenza intende perché così, in verità e per il vero, si manifesta la ‘volontà’ del principio nominato Spirito nella differenza della vita…, l’atto cioè, del Pensiero (e Dio) che la precede diviso nella manifestazione di questa nel limite di ciò che nel ‘Nulla’ può esser espresso senza l’immateriale Spirito a cui tutto è riconducibile frammentato e diviso fra volontà ed opera, sicché la possibile soluzione è la manifesta volontà di comprendere che Nulla può esserlo con il Tempo della materia nell’Universo riflessa e chi in cotal Genesi prega siffatto ed improprio nonché limitato ‘verbo’ dopo il Tempo narrato ha per destino il limite della comprensione la qual si frappone e divide al sisma della vita giacché è pur sempre lo Spirito che la compone e la materia distrugge…
Quindi colui e coloro i quali hanno adoperato il versetto e Frammento (di Giovanni premetto intendo e mi avvio alla conclusione così dicendo…) hanno velatamente nutrito ed interpretato l’intento di chi pur credendo è portato a diffidare e nutrire un diverso ed eretico o fors’anche antico e comune credo…
…E più non dico ma abdico ai brevi Frammenti senza ulteriori commenti la comprensione quale ipotesi di una più probabile e velata via maestra…
E quel detto di Giovanni:
“Tutto fu fatto per mezzo di lui, e niente senza di lui” [IOHANN. I 3], può qualcuno mostrarmelo nelle espressioni dei Profeti?
Ciò che invece vi mostro io, uditelo qui appresso dalla loro bocca stessa:
“Signore Iddio nostro, prendici: altro dio non conosciamo fuori di te!” [ISAI. XXVI 13].
Anche il re Ezechia così da essi è fatto pregare:
“Signore, Dio d’Israele, che siedi sui Cherubini, tu sei il Dio solo!” [ISAI. XXVII 16].
Lascia egli il posto per un secondo?
Ma se, secondo voi, il Verbo è Dio disceso da Dio e fu prodotto dalla sostanza del Padre, perché chiamate voi la vergine madre di Dio? Come poté ella partorire un Dio essendo creatura umana come noi?
E, oltre a ciò, se Dio dice espressamente:
“Sono io e non è nessun altro salvatore, fuori di me” [Deuter. XXXII 39]…
(Giuliano Imperatore, Contra Galileos)
…Un certo Arnaldo Tesseyre riferì agli inquisitori che, in occasione di un loro incontro, Pietro glielo recitò per intero….
E prosegue: “Mi chiese: - Sapete che cosa significa ‘tutto è stato fatto da lui e senza di lui nulla è stato fatto? -”.
Risposi che queste parole volevano dire che tutte le cose create lo sono da Dio e che Nulla è stato fatto o creato senza di Lui.
Egli mi disse che queste parole non significavano ciò che avevo detto ma significavano che tutto è stato fatto da lui e anche che tutto è stato fatto senza di lui.
Risposi:
“Come potete dir questo? Non capite il latino? Il senso che date è in contrasto con le parole del Vangelo; inoltre si legge altrove nella Scrittura che Dio ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che si trova in essi”.
Pietro mi rispose che il senso del passo è ‘senza di Lui è stato fatto il Nulla, cioè tutte le cose sono state fatte senza di Lui’.
(F. Zambon, La cena segreta)
…Rovistando tra le macerie trovavo a tratti brandelli di pergamena, precipitati dallo scriptorium e dalla biblioteca e sopravvissuti come tesori sepolti nella terra; e incominciai a raccoglierli, come se dovessi ricomporre i fogli di un libro….
…Poi mi avvidi che da uno dei torrioni saliva ancora, pericolante e quasi intatta, una scala a chiocciola allo scriptorium, e di lì, inerpicandosi per un pendio di macerie, si poteva arrivare all’altezza della biblioteca: la quale era però soltanto una sorta di galleria rasente le mura esterne, che dava in ogni punto sul vuoto o fors’anche sul Nulla…
Lungo un tratto di muro trovai un armadio, ancora miracolosamente ritto lungo la parete, non so come sopravvissuto al fuoco, marcio d’acqua e di insetti.
…Dentro vi stava ancora qualche foglio…
Altri lacerti trovai frugando le rovine da basso…
Povera messe fu la mia, ma passai una intera giornata a raccoglierla, come se da quelle dissecate membra della biblioteca dovesse pervenirmi un messaggio. Alcuni brandelli di pergamena erano scoloriti, altri lasciavano intravvedere l’ombra di una immagine, a tratti il fantasma di una o più parole…
…Talora trovai fogli su cui erano leggibili intere frasi, più facilmente rilegature ancora intatte, difese da quelle che erano state borchie di metallo…
Larve di libri, apparentemente ancora sani di fuori ma divorate all’interno: eppure qualche volta si era salvato un mezzo foglio, traspariva un incipit, un titolo (un similar concetto ripetuto…)… Raccolsi ogni reliquia che potei trovare, e ne empii due sacche da Viaggio, abbandonando cose che mi erano utili pur di salvare quel misero tesoro….
…Lungo il Viaggio di ritorno (in quei luoghi che sto narrando…) passai molte e molte ore a tentar di decifrare quelle vesitigia… Spesso riconobbi da una Parola o da una immagine residua di quale opera si trattasse. Quando ritrovai nel tempo altre copie di quei libri, li studiai con amore, come se il fato mi avesse lasciato quel legato, come se l’averne individuato la copia distrutta fosse stato un segno chiaro del cielo che diceva tolle et lege…Alla fine della mia paziente ricomposizione mi si disegnò come una biblioteca minore, segno di quella maggiore scomparsa, una biblioteca fatta di brani, citazioni, periodi incompiuti, moncherini di libri…
…Frammenti…
(U. Eco, Il nome della rosa)
(Da G. Lazzari, L’Eretico Viaggio)
Ed hora approdiamo di nuovo all’interpretazione:
Non mancarono tuttavia nemmeno in Italia i roghi, soprattutto dopo la metà del secolo. Il più sensazionale fu senza dubbio quello del 13 febbraio 1278, quando furono bruciati nell’arena di Verona circa duecento eretici: gran parte di essi erano stati catturati due anni prima a Sirmione (dove erano ormai riunite le gerarchie di diverse obbedienze italiane e francesi) nel corso di una spedizione voluta dagli inquisitori veronesi e comandata da Alberto e Mastino della Scala.
Ancor più massiccia, e certamente più efficace, fu però in Italia la mobilitazione sul piano teologico e dottrinario: fin dai primi anni del XIII secolo, accanto alle abiure degli eretici convertiti, incominciarono a circolare esposizioni e confutazioni più o meno ampie e accurate delle dottrine catare. Fra queste non mancano opere di alto livello come l'imponente trattato Adversus Catharos et Valdenses (posteriore al 1241) del francescano Moneta da Cremona.
I Catari dovettero in qualche modo far fronte a questa controffensiva della Chiesa, precisando i fondamenti teologici e filosofici della loro fede: a una esigenza di questo genere sembrano rispondere le svolte dottrinali che operarono verso la metà del secolo, seppure in direzioni diverse, Desiderio in seno alla Chiesa di Concorezzo e Giovanni di Lugio (del cui insegnamento offre un'ampia esposizione il Libro dei due princìpi) in seno a quella di Desenzano. Il loro pensiero rappresenta appunto la risposta catara ai polemisti cattolici: una risposta, ha osservato Raoul Manselli, ‘diretta a salvare del mito quanto poteva essere mantenuto, senza venire meno alle esigenze della ragione, e rivolta a mantenere quelle fondamentali esigenze religiose spirituali che davano un senso ed un significato alla presenza del catarismo in seno al cristianesimo occidentale’.
Ma i tentativi di Desiderio e di Giovanni di Lugio, che del resto ebbero scarso seguito, non bastarono ad arrestare un inesorabile declino. Senza dimenticare i roghi - perché, come ha scritto Simone Weil, ‘nulla è più crudele nei riguardi del passato che il luogo comune secondo cui la forza è impotente a distruggere i valori spirituali’ - è certo che il rinnovamento spirituale della Chiesa (nel quale un ruolo di primo piano, anche in funzione anticatara, fu svolto dal movimento francescano) e le mutate condizioni politiche e sociali sottrassero al catarismo l’humus in cui aveva potuto nascere e svilupparsi: nei primi decenni del XIV secolo non restava più in Italia, come negli altri paesi occidentali, quasi alcuna traccia dell’eresia che nei due secoli precedenti aveva così profondamente segnato la vita religiosa e politica dell’Europa cristiana.
La setta, l’eresia e gli smarriti seguaci dei [moderni] Manichei riconoscono e confessano due dèi o due signori, un Dio buono e un Dio malvagio. Affermano che la creazione di tutte le cose visibili e materiali non è opera di Dio, il Padre celeste - quello che chiamano Dio buono -, ma è opera del diavolo e di Satana, il Dio malvagio: lo chiamano infatti Dio maligno, Dio di questo secolo e Principe di questo mondo. Distinguono perciò due creatori, Dio e il diavolo, e due creazioni, una delle realtà invisibili e incorporee, l'altra delle realtà visibili e corporee.
Così introduce la sua esposizione della dottrina catara Bernard Gui (1261-1331) nel suo Manuale dell’inquisitore.
Sono i fondamenti del dualismo assoluto, professato dalla grande maggioranza dei Catari sia occitani sia italiani. Più esattamente essi parlavano di due princìpi increati e in permanente conflitto fra loro. In apertura del suo Adversus Catharos, Moneta distingue appunto coloro che pongono due princìpi e coloro che ne pongono uno solo:
I primi affermano due princìpi senza inizio e senza fine. Dicono che uno è il Padre di Cristo e di tutti i giusti, e il Dio di luce. L’altro Dio credono sia colui del quale Cristo ha detto: ‘Viene infatti il Principe di questo mondo’ [Cv, 14, 30] ecc’...
Credono che questo sia il Dio che acceca le menti degli infedeli e il Dio delle tenebre. Credono che abbia creato i quattro elementi che vediamo, cioè la terra, l’aria, l’acqua e il fuoco e tutto ciò che si trova in questa terra, in quest’acqua e in quest’aria. Inoltre che abbia creato questo cielo visibile e tutti i suoi ornamenti, ossia il sole, la luna e le stelle ... Credono che le realtà visibili e transitorie di questo mondo siano state create da lui.
Viceversa, credono che Dio, il Padre di Cristo e dei giusti, sia il creatore delle realtà eterne e permanenti e che abbia creato altri quattro elementi propri e tutto ciò che si trova in essi, e cieli propri, e che li abbia ornati con un altro sole, diverso da quello visibile, con un’altra luna e con altre stelle.
E anche la tesi di Giovanni di Lugio e del Libro dei due princìpi, che parla di principia principalia, ‘princìpi principiati’; una tesi che sarà ripetuta fino agli ultimi tempi del catarismo linguadociano, nella predicazione degli Autier e di Guglielmo Belibasta. Questa opposizione fra due creatori e due creazioni presuppone una risposta radicale all’interrogazione sull’origine del male che domina nel mondo, con il rifiuto di attribuirne la diretta responsabilità al Dio supremo che abita nei cieli.
I principali argomenti che i Catari adducevano per provare l’esistenza di due princìpi sono riassunti da Alano di Lilla nel suo De fide catholica:
Se Dio ha fatto le realtà visibili di questo mondo, poteva farle incorruttibili o no: se non ha potuto, era impotente; se poteva e non ha voluto, è stato malevolo. Se una causa è immutabile, anche l’effetto è immutabile; ma consta che le realtà corporee di quaggiù siano mutevoli: quindi la loro causa è mutevole.
Poiché molte cose nel mondo avvengono per caso, non sembrano avvenire secondo il divino ordinamento. Poiché la carne umana è generata nel peccato e per mezzo del peccato, non sembra venire dal principio buono. Ci sono creature prive di qualsiasi utilità, e anzi sommamente perniciose, come i serpenti, le mosche o i ragni: pertanto, essendo predisposte al male e non al bene, provengono dal male e non dal bene.
A sostegno di questa tesi essi citavano anche vari passi biblici, fra cui la similitudine di Mt, 7, 1 7-18:
Un albero buono produce frutti buoni e un albero cattivo produce frutti cattivi; non può un albero buono produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.
Al principio buono erano riferiti tutti gli attributi e le definizioni del Dio cristiano: è il Dio santo, giusto sapiente la perfetta Bontà ‘pura bonitas’, il Dio legittimo ‘dieu dreyturier’, il Dio vivo e vero deus ‘vivens et verus’, il Dio di verità e di giustizia, il Dio di luce il Padre santo ‘payre sant’ o il Padre dei giusti ‘payre dels justz’.
Il Dio malvagio era invece Identificato a Satana e al Dio creatore del Genesi: è un Dio usurpatore, falso, crudele, è il Dio di questo secolo, il Principe delle tenebre, il Nemico ‘eternoil’ Dio straniero ‘deus alienus’, ‘dieu estranh’ che regna in una terra straniera, in terra aliena.
Allo stesso modo dei Pauliciani e dei Bogomili, i Catari ritenevano che da lui fosse stato scritto o ispirato il Vecchio Testamento, che di conseguenza escludevano dal loro canone: consideravano perciò Abramo, Isacco, Giacobbe e Mosè come figure diaboliche, emissari del deus iniquus.
I dualisti radicali facevano tuttavia eccezione per i libri profetici e sapienziali, i Salmi e Giobbe (di cui riferivano molti passi al mondo celeste). Secondo le fonti più autorevoli, questo Dio non è il principio del male ma discende da tale principio, che Giovanni di Lugio definisce come pater diaboli, ‘Padre del diavolo’. Di lui si legge nel Libro dei due princìpi:
Si deve credere fermamente che vi è un altro principio, quello del male, che è potente nell’iniquità e dal quale derivano propriamente e principialmente la potenza di Satana e delle tenebre, insieme a tutte le altre potenze contrarie al Signore vero Dio.
Gli appellativi con i quali è designato nella sacra Scrittura, secondo lo stesso Giovanni, sono malvagità, iniquità, cupidigia, empietà, peccato, superbia, morte, inferno, calunnia, vanità, ingiustizia, perdizione, confusione, corruzione e fornicazione. A lui erano frequentemente riferiti anche altri nomi biblici : Assur, Behemoth, Nabucodonosor, Mammona, il Monte Seir, ecc.
Le due creazioni, quella del Dio buono e quella del Dio malvagio, erano considerate come due totalità opposte (omnia bona e omnia mala, secondo la terminologia catara). Quando le sacre Scritture usano termini come ‘omnia, universa o cuncta’ (quelli che il Libro dei due princìpi chiama i ‘signa universalia’, i termini universali), non designano indistintamente tutte le realtà ma, a seconda del contesto, ora le realtà eterne ora quelle temporali. Spiega il Libro dei due princìpi:
Vi sono infatti alcuni segni universali che designano le cose buone, pure, fatte nella sapienza, grandemente desiderabili e permanenti in eterno, cose che obbediscono al Signore Dio nostro in ogni necessità. Vi sono poi altri segni universali che designano le cose malvagie, vane, transitorie e da rifiutare, cose che i fedeli di Gesù Cristo devono considerare come lordura, se vogliono guadagnare il Signore nostro Gesù Cristo.
La stessa distinzione veniva introdotta a proposito dei termini cielo e terra, con i quali si devono intendere le creature intelligibili del vero Dio, che possono capire e sentire, e non soltanto gli elementi mutevoli e irrazionali di questo mondo.
Secondo Giovanni di Lugio, entrambe le creazioni esistono ab aeterno come emanazioni dei rispettivi princìpi:
Egli afferma che i creatori non precedono le creature per eternità ma per causalità (non precedunt creaturas eternitate sed causa) e che le creature emanano da Dio ab aeterno come la luce o i raggi nel sole, il quale non precede i suoi raggi nel tempo, ma solo in quanto causa o per natura (causa uel natura).
La bona creatio, opera del vero Dio, è il regno formato dai nuovi cieli e dalla nuova terra, la Gerusalemme celeste in cui risiede l’Eterno, circondato dalla corte angelica che canta incessantemente le sue lodi: in questo ‘aliud seculum’, afferma il Trattato cataro, stanno la nostra fede e la nostra speranza. I Catari lo descrivevano spesso come un doppio speculare - ma incorruttibile ed eterno - del nostro mondo sensibile, quasi un platonico ‘mundus archetypus’.
In questa ‘terra viventium’, attesta un prezioso scritto che riassume i miti degli eretici occitani, la Manifestatio heresis Albigensium et Lugdunensium (che tuttavia la distingue dalla terra nuova, considerata come un mondo intermedio dove gli eletti attendono il giorno del Giudizio), credono che ci siano città e castelli nelle loro vicinanze, ville e boschi, prati, giardini, acque dolci e salate, animali selvaggi e domestici, cani e uccelli da cacciare, oro e argento, vasi e suppellettili di vario genere.
Affermano inoltre che ciascuno vi possiederà una moglie e talvolta un’amante; tutti mangeranno e berranno, giocheranno e dormiranno e faranno ogni cosa che fanno presentemente. Anche per Giovanni di Lugio, nel mondo superiore ci sono uomini e animali e ogni altra cosa simile alle creature visibili e corruttibili di quaggiù. In questo ‘alter mundus’ sarebbe stata scritta la Bibbia e in esso avrebbero realmente avuto luogo gli eventi che vi sono narrati: Mosè e gli altri patriarchi non sarebbero perciò i rappresentanti del creatore malvagio, come sostenevano i dualisti moderati, ma uomini che piacquero al vero Dio e obbedirono alla sua Legge. Tutta l’esegesi delle sacre Scritture (come quella del Libro dei due princìpi) si fonda su questa stratificazione di due mondi gemelli e antitetici: Tutto ciò che nella Bibbia si legge essere avvenuto in questo mondo osserva Sacconi egli lo trasferisce letteralmente in un qualche altro mondo.
La terra aliena che appartiene al creatore o al principio malvagio, come dice il Trattato cataro, abbraccia tutte le cose, vane e corruttibili, che si vedono in questo mondo perverso e e certamente ritorneranno nel nulla come dal nulla sono venute.
È un mondo interamente posto nella malvagità: totus positus in maligno. Esso è dunque vano e transitorio, destinato a perire allo stesso modo dell’albero cattivo che ‘viene tagliato e gettato nel fuoco’ [M t, 7, 1 9]. Gli si addicono tutte le immagini di desolazione e di esilio che si leggono nella Bibbia: è una ‘terra di sventura e di tenebre’ dove ‘regna il peccato più che il bene’ e tutto è ‘lordura’ [Fil, 3, 8], ‘vanità e afflizione dello spirito’ [Qo, l, 14], essa ‘produce spine e triboli’, è ‘prossima a essere maledetta, e finirà arsa nel fuoco’ [Eb, 6, 8], i suoi abissi tenebrosi risuonano di ‘pianto e stridor di denti’ [Mt, 8, 12]. Poiché gli uomini vi dimenticano la loro origine celeste, essa è anche chiamata terra oblivionis, ‘terra dell’oblio’.
La Manifestatio heresis riferisce che i Catari la definivano inoltre ‘palude estrema’, ‘terra ultima’, ‘inferno profondo’, ‘novissimum lacum et ultimam terram et infernum inferiorem’.
La sua identificazione con l’inferno è un tema ricorrente nelle testimonianze catare. Secondo Raniero Sacconi, gli Albanisti affermavano ‘che l’inferno e il fuoco eterno o le pene eterne sono in questo mondo soltanto e non altrove’, e Giovanni di Lugio insegnava che, dopo essere precipitate dal cielo, ‘le anime furono costrette a discendere in inferno, cioè in questo mondo, e questo è l’inferno in cui discese Cristo per salvarle’. Creato da un Dio falso e menzognero a partire dalle ‘tenebre’, questo mondo non detiene lo stesso grado di realtà proprio del mondo luminoso. Soltanto il mondo luminoso possiede una pienezza d’essere; quello materiale, invece, è per così dire antologicamente degradato, depauperato, intriso d’inesistenza. In un capitolo cruciale del Trattato cataro, l’autore lo identifica addirittura al nihil, al nulla, contrapponendolo a ciò che costituisce il nocciolo più intimo del mondo spirituale e divino, la caritas. A tale proposito riunisce un dossier di auctoritates bibliche sul nulla, fondandosi in particolare su un’interpretazione tendenziosa del versetto di Giovanni: ‘Sine ipso factum est nihil’, che intende: ‘Senza di lui è stato fatto il nulla’ (nella versione occitanica del Nuovo Testamento: ‘E sens lui es fait nient’). E argomenta: ‘Che poi ciò che è nel mondo, ossia che viene dal mondo, sia chiamato nulla, lo afferma l’Apostolo quando dice: ‘Sappiamo che un idolo nel mondo è nulla’ [J Cor, 8, 4]. E ancora: ‘Se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri, e se avessi tutta la fede al punto da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, nulla io sarei’ [J Cor, 13, 2]. Donde risulta chiaro che, se l’Apostolo nulla sarebbe senza la carità, tutto ciò che è senza carità è nulla ... Se tutti gli spiriti malvagi e gli uomini malvagi e tutte le cose visibili in questo mondo non sono nulla perché sono senza carità, allora sono stati fatti senza Dio. Perciò non è stato Dio a farli, perché ‘senza di lui è stato fatto il nulla’ [Cv, l , 3].
Questa interpretazione del versetto giovanneo è chiaramente illustrata da uno degli ultimi predicatori catari della Linguadoca, Pietro Autier. Un certo Arnaldo Tesseyre riferì agli inquisitori che, in occasione di un loro incontro, Pietro glielo recitò per intero. E prosegue:
Mi chiese:
“Sapete che cosa significa ‘tutto è stato fatto da lui e senza di lui nulla è stato fatto’?”.
Risposi che queste parole volevano dire che tutte le cose create lo sono da Dio e che nulla è stato creato senza di lui.
Egli mi disse che queste parole non significavano ciò che avevo detto, ma significavano che tutto è stato fatto da lui e anche che tutto è stato fatto senza di lui.
Risposi: “Come potete dire questo? Non capite il latino? Il senso che date è in contrasto con le parole del Vangelo; inoltre si legge altrove nella Scrittura che Dio ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che si trova in essi”.
Pietro mi rispose che il senso del passo è ‘senza di lui è stato fatto il nulla’, cioè ‘tutte le cose sono state fatte senza di lui’ (omnia [acta sunt sine Ipso), senso che appunto egli dava.
Il termine nihil è qui inteso con valore di sostantivo e designa non tanto il nulla assoluto, quanto invece una realtà sospesa fra essere e non essere, corrosa ab origine nel suo midollo ontico: designa cioè la sostanza di tutte le creature visibili, del mondo e del corpo. In tal modo nihil diventa un sinonimo degli omnia mala, della totalità malvagia, che è opera di Satana e si contrappone agli omnia bona creati da Dio e la cui essenza è caritas, amore: come ha osservato Nelli, per i Catari ‘il nulla non era soltanto assenza o diminuzione di valore morale o pratico, ma assenza o diminuzione di essere. Pensavano naturalmente, come tutti i Cristiani ... che il mondo del male non valesse nulla, ma affermavano anche e soprattutto che, se non valeva nulla, era perché ha meno essere che il mondo del Bene’.
Partecipe di entrambi questi mondi, l’uomo non ha, in quanto individuo, alcuna dignità ontologica: è soltanto il teatro di una lotta eterna fra le due nature o sostanze che lo formano. Creato in parte da Dio, in parte da Satana, miscuglio di bontà e di malignità, di verità e di falsità, di essere e di nulla, egli è destinato a restare, finché esiste come tale, un tragico nodo di contraddizione e di sofferenza. Per sfuggire a questa condizione, cui lo condanna la dimora in un corpo materiale, egli dovrà perciò distruggersi, troncare il nodo perverso di spirito e di carne che lo costituisce.
Nel Rituale di Lione così è pregato Dio: ‘Non aver pietà della carne nata dalla corruzione, ma abbi pietà dello spirito rinchiuso in prigione’. Quelli che la religione catara promette ai suoi fedeli sono i mezzi per evadere da questa tenebrosa prigione. Ma il cammino che si deve percorrere per risalire verso il regno di Dio, come in tutte le iniziazioni tradizionali, non è altro che quello percorso in senso inverso, illo tempore, durante la rovinosa caduta nel mondo e nel corpo.
Le fonti catare concordano infatti nell’affermare che le anime umane sono gli angeli ribelli precipitati dal dei cieli: ‘Dicebant enim animas humana.s non esse, nisi illos apostatas spiritus, qui in principio de regno coelorum ejecti sunt’ attesta fra i primi Ecberto di Schonau. Il termine spiritus designa appunto gli angeli, come documenta Moneta: ‘ ... per spiritum intelligunt isti H eretici Angelos’ (... per spirito questi eretici intendono gli angeli).
Lo spiritus o angelus è dunque la parte più alta del composto umano, la sua componente transcosmica e propriamente divina: quella che, condannata all’esilio in una ‘terra straniera’, dovrà infine ritornare alla sua patria celeste. Più esattamente, di questo angelo o spirito, una parte è caduta nel mondo ed è stata incarcerata nella carne, una parte è rimasta in cielo dove attende di ricongiungersi con quella.
I Catari distinguono infatti nell’uomo, secondo una dottrina corrente nel cristianesimo dei primi secoli (ed esposta in particolare da Origene), tre componenti: corpus, anima e spiritus.
Il corpo è di origine diabolica, è stato creato o plasmato dal Dio malvagio; l’anima e lo spirito sono invece di origine divina, sono il semen angelicum che è racchiuso in noi. Anche se i termini anima e spiritus si trovano usati spesso indifferentemente, la loro distinzione è esplicitamente attestata da diverse fonti, fra cui lo stesso Moneta: ‘' . . . dicunt aliud esse animam et aliud spiritum’. E altrove precisa: ‘L’anima si trova dentro il corpo, mentre lo spirito, che è custode dell’anima e suo reggitore, non si trova nel corpo; ciascuna anima creata dal Dio buono ha un proprio spirito a sua custodia’.
L’anima è dunque la metà dell’angelo che è discesa ed è stata rinchiusa nel corpo, mentre lo spiritus è l’altra metà rimasta firma nei cieli, quella che funge da custode e guida dell’anima, in attesa di ricongiungersi a lei dopo il suo esilio terreno.
I due termini potevano essere usati come sinonimi proprio perché spirito e anima sono, in ultima analisi, la stessa cosa e la loro separazione è solo il frutto di un momentaneo sconvolgimento dell’ordine universale: anima è lo spiritus prigioniero nel carcere diabolico, spiritus è l’anima che risale alla sua vera patria. In accordo con la dottrina di un mondo incorruttibile analogo e superiore al nostro, i dualisti radicali parlavano anche di un ‘corpo’ celeste che, insieme all’anima e allo spirito, avrebbe formato il composto angelico prima del turbamento cosmico provocato da Sataria. Con la caduta, affermavano, questo ente tripartito si infranse. Solo le anime sono discese nei corpi materiali, mentre i corpi sono rimasti in cielo con i rispettivi spiriti e là sono stati sepolti…
(F. Zambon)