giuliano

domenica 30 ottobre 2016

UNA PASSEGGIATA (Giacobbe lotta) (2)


















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Una passeggiata














.... Lanciato la maledizione sulla terra dopo la caduta dei primi uomini?”.
Durante quest’arringa incoerente, lo sconosciuto mi guardava con lo stesso sorriso indulgente, senza tradire alcuna impazienza, ma quando fui alla fine del discorso, s’era eclissato, lasciando intorno a me un’atmosfera soffocante d’ossido di carbonio; e mi ritrovai solo nella rue Médicis, scura, fangosa, autunnale…..




Scesa la sera, ardo dal desiderio d’intrattenermi ancora con lo sconosciuto, ben deciso questa volta a confessare tutto, e a difendermi prima d’essere condannato…
Terminata la triste scena, risalgo dunque la ‘via crucis’ di rue Bonaparte. Mai m’è sembrata così immensa come stasera e le vetrine s’aprono come abissi dove il Cristo si moltiplica, sia torturato, sia trionfante. E io cammino, cammino, sudando a goccioloni, con le suole degli stivali che mi bruciano sotto le piante dei piedi, cammino senza avanzare d’un passo. Sono dunque Ahasvero? Ho rifiutato un bicchiere d’acqua al Redentore e sono incapace d’avvicinarlo, adesso che vorrei seguirlo e imitarlo?
Finalmente, senza sapere come, mi trovo davanti alla porta Fleurus, poi nel parco: buio, umido, silenzioso. Un colpo di vento fa improvvisamente vibrare gli scheletri degli alberi, ed ecco lo sconosciuto emergere, più che avvicinarsi, nel suo guscio di luce e d’estate.
Lo stesso sorriso m’invita a parlare…




E io parlo!
“Che desideri da me, e perché mi tormenti col tuo Cristo? L’altro giorno m’hai messo nelle mani, con un’intenzione veramente troppo scoperta, L’Imitazione di Cristo, e io l’ho letta come quando ero giovane (e non farti sentire, che fra qualche anno, un nuovo pastore udirà le tue parole…, e potrebbe valutare il nostro parlare in una diversa dimensione…) quando ho imparato a disprezzare il mondo.
Come posso avere il diritto di disprezzare la creazione e l’Eterno e la bella terra? E dove m’ha condotto la tua saggezza? A trascurare i miei affari, al punto che sono diventato un peso per il mio prossimo, e ho finito per mendicare. Questo libro che vieta l’amicizia, che proibisce di frequentare il mondo, che esige la solitudine e l’abnegazione, è scritto per un monaco, e io non ho il diritto di farmi monaco, se non voglio lasciar morire i miei figli. Guarda dove l’amore per la solitudine mi ha condotto!




Da una parte mi ordini la vita solitaria, ma appena mi sono ritirato dal mondo, i dèmoni della follia m’assalgono, i miei affari corrono pericolo, e l’isolamento mi priva del soccorso d’un amico. D’altra parte, quando cerco gli uomini, trovo sempre i peggiori, il cui orgoglio tanto più mi tormenta in quanto io sono umile e li tratto da eguali, fino al momento in cui mi calpestano, ed eccomi come il verme che alza la testa impotente a mordere…
Che desideri dunque da me?
Vuoi tormentarmi a tutti i costi sia che faccia la tua volontà sia che la disprezzi? Troppo onore per me, non ne ho la vocazione. E d’altra parte non posso mettermi a fare il profeta, poiché quelli che ho conosciuto hanno finito per rivelarsi mezzi ciarlatani e mezzi pazzi, e le loro profezie sono sempre fallite. E se m’avessi riservato una vocazione, allora sarebbe stato necessario munirmi della grazia dell’elezione per liberarmi da tutte le passioni funeste che avviliscono un predicatore, e sarebbe stato bene incominciare a proteggere la mia carriera nella vita, invece di macchiarmi con la miseria che degrada e lega le mani.
E’ vero, e lo confesso, che il disprezzo del mondo m’ha condotto a disprezzare me stesso, a forza di trascurare la mia reputazione sdegnando la gloria, ammetto d’aver curato poco la mia persona, però solamente a causa della superiorità del mio migliore Io, il quale s’infischiava di questa sporca custodia in cui hai infilato la mia anima immortale…..




Già da bambino amavo la purezza e la virtù, sì…
E la mia vita s’è trascinata fra sudiciume e vizi, di modo che mi capita spesso che i peccati mi vengano imposti come supplizi, atti a ingegnare un disgusto durevole perfino della vita.
Perché m’hai condannato all’ingratitudine, il più detestabile dei vizi per me? Dotato d’una natura abbastanza riconoscente, m’hai teso trappole per forzarmi a mendicare i favori del primo venuto. Così, coinvolto nella dipendenza e nella servitù, poiché i benefattori chiedono in cambio i tuoi pensieri, i tuoi desideri, i tuoi gusti, i tuoi affetti, insomma l’anima tua, ero sempre costretto a ritirarmi indebitato e ingrato, per salvare la mia individualità e la mia dignità d’uomo; a rompere i legami che volevano strangolare la mia anima immortale; e questa fuga, accompagnata dalle sofferenze e dai rimorsi d’un ladro che se ne va con la proprietà altrui….
E adesso che incomincio a curare la mia anima secondo le prescrizioni dell’Imitazione, è ragionevole esigere da un uomo che prenda addirittura Dio come modello, che s’immagini d’essere in condizione d’acquistare la perfezione del Perfetto?
Ce n’è abbastanza per avviarlo verso la mania di grandezza! E se, rendendosi conto di non poter imitare il Salvatore, s’accorge dell’assurdità dei suoi intenti, non cadrà nella disperazione e non troverà consolazione se non nell’adempiere dei suoi compiti mondani e nei piaceri intellettuali?....".

(A. Strindberg, Giacobbe lotta)




















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