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Lo scambiatore universale (23)
Prosegue in:
Racconto d'inverno (25) &
L'Uomo venuto dal freddo (26)
Guardati dalla forza
È un arma che può tornare indietro
Dalla mano ben fatta
Rimbalzando nell’aria che colpisce
Il
fiume della Verità scorre lento, crea e dispiega la propria forza…
La
menzogna sua acerrima nemica, al contrario, galleggia lenta pur non essendo né
ghiaccio né primavera, ed abbisogna dell’innaturale genetica della violenza per
avvalorare l’impropria capacità della propria ed altrui corrotta materia innestata ma non certo coltivata nell’inarticolata/artificiosa intelligenza di
chi nulla crea… eccetto la violenza….
Dacché…
Non
stupirti se l’illegalità evapora e galleggia come sterco (o, e se preferisci, merda) incapace delle simmetrie da cui la Vita: scorre e trasmuta la propria inversa
deficienza convertita e diluita nell’apparente apparenza d’una velata legalità
da cui l’impropria innaturale corrotta materia.
…Ogni
calva esile ordinata ‘dittatura’ abbisogna della violenza "inversamente sproporzionata" alla velata celata menzogna… spacciata per duratura verità...
Qui giacciono le bestie
Qui giacciono le bestie dell’uomo e qui
banchetto,
Il morto disse,
E silenziosamente mungo il petto del
diavolo.
Qui sgorga il silenzioso veleno del suo
sangue,
Qui aderisce la carne da togliere al suo
fianco.
L’inferno è nella polvere.
Qui giace la bestia dell’uomo e qui i
suoi angeli,
Il morto disse,
E silenziosamente mungo i fiori sepolti.
Qui un miele silenzioso stilla nel mio
sudario,
Qui scivola lo spettro che fece del mio
pallido letto
La dimora del cielo.
Prima che nudi come vermi cadiamo
Prima che nudi come vermi cadiamo
Sulla terra dell’oro o del petrolio,
Tra la razzia e la rappresaglia
Della carne e delle ossa,
La nostra concessione è già stata
picchettata
Intorno al pozzo o alla miniera,
Prima che le promesse si avverino
E che le gioie diventino dolori.
Dunque, prendetevi pure il pozzo o il
campo
Dove tutte le pietre nascoste sono d’oro,
Noi non abbiamo scelta, la scelta fu
fatta
Prima del nostro sangue;
E io costruirò il mio liquido mondo,
E voi, prima che il fiato sia freddo
E le vene svotate e il destino rivoltato,
La vostra solida terra.
Vediamo il vento segreto
Vediamo il vento segreto levarsi dietro
il cervello,
La sfinge della luce gravare sugli occhi,
Tradurre nel cielo il cifrario delle
stelle.
Una notte segreta scende
Fra cranio, cellule, e orecchie
incasellate
Che trattengono per sempre la morta luna.
Un grido salì al cielo come un razzo,
sofferenza
Dalla ressa dei ciechi che adornano la fronte
Della città, doratori di strade,
Mano di plebaglia che saluta
L’affaccendata fratellanza
Di sbarra e ruota che risveglia i morti.
Una divinità cittadina, scolpita
nell’acciaio, mossa
Da turbina, scintilla nelle elettriche
vie;
Un salvatore cittadino, nel frutteto
Di lampioni e di frutti ad alto
voltaggio,
Parla un ferreo vangelo ai derelitti
Manovratori di ruote e fissatori di
bulloni.
Udiamo il vento segreto levarsi dietro il
cervello,
La voce segreta gridare dentro gli
orecchi,
Il vangelo cittadino urlare al cielo.
Sopra l’elettrica divinità
Cresce un unico Dio, più potente del
sole.
Le città non ci hanno
tolto gli occhi.
Fuori dall’abisso
Nella sua testa girava un piccolo mondo
Dove ruote, confusi dubbi, musica
sconcertante,
Rotolavano tutte le immagini giù negli
abissi
In cui vanità semimorte dormivano
acciambellate
Come gatti, e lussurie giacevano
semibollenti nel gelo.
Nella sua testa i motori facevano
l’inferno,
Le vene frustavano le tempie fino a farlo
impazzire,
E, pazzo, pregava Dio con le bestemmie,
Scorgeva bestie lunatiche gozzovigliare
sul colle,
Uccelli folli sugli alberi e pesci folli
in una vasca.
Un sorriso maniaco era diffuso nel sole.
La luna sbirciava la valle di traverso
come un demente.
Allora il più tenue rumore di passi o di
voci
Echeggiò cento volte, uno stormo
d’uccelli
Stamburò assordante nell’aria, le spade
dei lampi
Squarciarono i cieli con grande
frastuono,
E una rosa tuonò mentre si stava aprendo.
La ragione crollò, l’orrore percorse le
strade.
Un sorriso liberò un diavolo, una campana
rintoccò.
Egli poteva udire donne respirare nel
buio,
Vedere volti di donne sotto bende
viventi,
Con bocche di serpente e vuoti
scalenofidiaci
Al posto degli occhi, e narici piene di
rospi.
A una musica in scatola, taxi-girl e
finocchi danzavano
Qualche passo sul prato, dove Cupidi
soffiavano acqua
Dal naso e dal culetto, uno spettacolo
alla Sanger
Sfilava lungo le navate e nella cripta
Di chiese fatte con l’astratto e il
concreto.
Acrobate discese dai pali per il pasto,
Sospendevano la danza ininterrotta per
rinfrescarsi i piedi bollenti,
O la lotta accanita per curarsi le membra
straziate;
La luna sbirciava la valle di traverso
come un demente.
Dov’è, che cosa è il mio Dio in questo
folle risonare
Di coltelli su forchette, gridò, di nervo
su nervo,
Costola d’uomo su costola di donna, linea
retta su curva,
E di mano su natica, uomo su macchina,
combattendo,
Ammaccando, dov’è Dio è il mio pastore,
Dio è Amore?
Non c’è pastore che ami in questa vita di
sopra.
.
Così gridando, fu trascinato nella fogna,
Con i topi alle ascelle, giù per il cupo
canale
In cui galleggiava un cane morto che lo
fece vomitare,
Immerso in acque nere, sotto grandine e
fuoco,
Fino al ginocchio nel vomito. Là io lo
vidi,
E in questo modo lo vidi cercare la sua
anima.
E nuotando nelle fogne alza gli occhi
Ai mondi d’ovatta rotanti sul displuvio
del tetto,
Cavalcando le travi dell’aria, poi li
abbassa
Sui garage e sulle cliniche della città.
Dov’è, che cosa è il mio Dio tra questo
ancheggiare di ragazze,
lì questo strisciare di finocchi intorno
ai pubs?
Era novembre, c’era un saltar di
castagnole,
Ma ora restano i mozziconi dei petardi
sparati.
Così gridando fu spinto nel Giordano;
Anche lui ha conosciuto l’agonia
nell’Orto,
E sentito uno spiedo infilzarglisi al
fianco.
Anche lui ha visto il mondo marcio fino
in fondo,
E preso a calci con fragore i secchi dei
rifiuti marcati verboten,
E udito i denti della donnola far
zampillare il sangue.
E in questo modo io lo vidi. In questa
posa:
Una mano sul capo, l’altra indecisa sul
da fare,
Tra i lampioni e il cielo male
illuminato,
E, tra le stagioni, lo udii gridare in
questo modo:
Dov’è, che cosa è il mio Dio? Ero pazzo,
sono pazzo,
Ho cercato segni e conchiglie sulla
spiaggia,
Ficcato paglia e sette stelle tra i
capelli,
Mi sono appoggiato a scalette e alla
sbarra dorata,
Ho cavalcato il letame delle fogne e la
nuvola.
Ho nuotato e sono sprofondato in un
orrendo mare
Dove uomini di corallo si cibano nelle
ascelle
Di ragazze annegate; ho sventolato
bandiere
A ogni tamburo e piffero; ho detto le
solite cose
Sempre e dovunque; ho giaciuto con
creature disseccate;
Amato donne e cani; desiderato l’orbita
del sole.
Collaudato dal fuoco, i due pollici al
naso,
Ho sbeffeggiato il moto dell’universo.
Dove? Che cosa? Ci fu scompiglio in
cielo,
Ma nessun dio è sorto. Ho visto il male e
il peggio,
Schernito il coito delle stelle. Nessun
dio
Proviene dal mio male o dal mio bene.
Pazzo, pazzo,
Sentendo gli spilli del sangue, ho detto
Cose insolite. Ma non è servito a nulla.
Gridando tali parole, lasciò le folle
piangenti,
Liberò il peso delle parole dalle membra
sfinite,
E si mise a cibare gli uccelli con le
briciole
Di antichi numi, con bocconi spezzati di
nomi.
Completamente solo, solcò l’unica via.
E in questo modo io lo vidi in un rettangolo
di campo
Abbattere cime di rape, gli alberi per
amici;
E in questo modo, più tardi, lo udii che
diceva:
Dai palazzi del giorno sono giunto ai
rifugi
Degli eremiti, ho parlato a uomini
antichi;
Dal frastuono sono corso alla quiete.
Il mio Dio è un pastore, Dio è l’amore
che speravo.
La luna appare sulla valle come una
santa.
Ragazze e finocchi, rumore e silenzio,
Si accoppiano, creano armonie, un accordo
armonioso,
Poiché in solitudine egli ha trovato la
sua anima.
Ora egli è uno coi molti, uno con tutti,
Con il fuoco e il Giordano ed il cupo
canale.
Ora ha ascoltato e letto la beata parola.
Muto, nel suo rifugio, cova in mezzo ai
suoi uccelli.
Lo vedo nella folla, non diviso
Da te o da me o dal vento o dal topo
O da questo o da quello.
(T. Dylan)
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