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I nemici (31)
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Esorcizzare il male... & il male esorcizzato (33/4)
& Gli anelli dell'Albero (35)
Nella
tenda leggera nel campo ondeggiante nella sera grande di primavera, vicino al mare
e alla barca con un albero di cedro, il legno, dietro, incrostato di becchi e
di conchiglie, una vela salmone, piegata, e due remi pinnati; con i gabbiani in
un solo stormo alto, cicogna, pellicano e passero, volando alla fine dell’oceano
al primo granello di una terra eterna che ruota sulla cima di una clessidra, un
cerchio di piume giù nel buio della primavera in un anno capovolto; come le
rocce nella storia, con ogni forma e ogni scarabocchiato membro, cruna di un
ago, ombra di un nervo, tagliato nel cuore, con fibre spaccate e filamenti di
creta, registrarono per la declamazione dell’odissea il cadere della foglia di
lauro crollare della quercia scheggiarsi della pietra lunare contro l’apparizione
assassina ancor vive e moriture acque, un uomo nacque nella direzione del
principio.
E fuori
dal sonno, dove la luna l’aveva sollevato attraverso le montagne nei suoi occhi
e con forti, occhiute braccia che ricadevano dietro di lei piene di maree e di
dita, egli lottò sull’orlo della sera, si dette al principio come un’oca al
cielo, e chiamò le furie con i loro nomi dall’indice della tomba e delle acque
portato dal vento.
Chi era
questo straniero che venne come un chicco di grandine, tagliato nel ghiaccio,
una frasca marina con foglie di neve per i capelli di lei, e più alto di un’antenna
di cedro, con la bianca pioggia del nord che scendeva e il mare spinto delle
balene gettato fin nelle caverne dell’occhio, da una città di pescatori sull’isola
fluttuante?
Essa era
di sale e bianca e viaggiava mentre il prato, su di una sola lama d’erba,
ondeggiava con i suoi uccellini intorno a lei, la sera centrata nel cuore mai
fermo, egli udì le sue mani fra le cime degli alberi – una piuma si tuffò, le
dita di lei passarono sopra le voci – e il mondo andò ad annegarsi attraverso,
la visione d’erba e bestie acquatiche e neve di uno straniero-sirena.
Il mondo
fu succhiato fino all’ultima goccia di lago; la cateratta dell’ultima
particella si disfece in una schiuma per terra, come se la pioggia dal cielo
avesse lasciato cadere le sue nuvole capovolte come una mano fatta di stagioni
dal ventre molle, e la dura grandine, cadendo, si fosse sparsa e agitata in una
nube metà fiore e metà cenere o il vento spazzino dai piedi di pettine
attraverso una piramide innalzata con il fango o il morbido lento cumulo di
foglie e vapore.
Nel
centro esatto dell’incantesimo egli era un uomo di Terra in alto mare,
attaccato per i capelli all’occhio sul petto ciclope, con le cosce sferzate
tese come una corda in mezzo alla sua voce; uno sciame di orsi bianchi e di
marinai annegava alla musica che essa squamava e staccava con mani e favole dai
suoi capelli verticali; essa tirò il suo terrore per gli orecchi e lo portò
cantando alla luce attraverso la foresta della pietrificante voce anguichiomata.
La
rivelazione guardava fisso la sua spalla trafitta.
Qual era
la sua genesi, l’ultima scintilla del giudizio o il primo zampillo di balena
dal mondo dell’acqua?
La
conflagrazione alla fine, lo scaturire di un fuoco mortale, un razzo consumato
con la coda in fiamme, o, dove la prima primavera e la sua follia scalarono le
barriere marine e abbatterono i cancelli del giardino, un’acqua che sommerge e
spegne la luce in cima alla montagna?
Di chi
era l’immagine nel vento, l’impronta sullo scoglio, l’eco che chiedeva una
risposta?
Essa era
aurea e anguicrinata.
Si
muoveva nel campo salato, ingoiante, la storia e le rocce, le oscure anatomie,
lo stesso mare ancorato.
Infuriava
nell’utero infecondo.
Tremava nella
dinastia galoppante.
Era
squillante nella vecchia tomba, teneva una ferma, svelta lingua al sole.
Egli vide
la reietta immagine, disegnata con un piede d’incubo intinto nel veleno e
incorniciata nel vento, impronta del pollice che lei affondò sulla mano come un’ombra
palmata, interrogazione dell’eco familiare: qual è la mia genesi, la fontana di
granito che si estingue dove la prima fiamma fu gettata nel mondo scolpito, o
il falò dalla criniera leonina sulla soglia dell’ultima volta sepolcrale?
Una voce
quella sera attraversò la luce e le onde, una forma assunse i mutevoli umori,
da dove la cantaride marina verde-oro tinge lo strascico del polpo una virulenza
strisciò attraverso la spuma, e dai quattro angoli della mappa un cherubino
dalla forma di un’isola soffiò le nuvole verso il mare.
(Thomas
Dylan)
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