giuliano

lunedì 14 ottobre 2019

MEDITAZIONI (14)





















































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I Dèmoni camminano per la montagna!

I Santi edificano il progresso!

Va! Santo politico e ipocrita acclamato dalla folla: corri a romperti il collo per valli città e successi, edifica e riempi il salvadanaio onde il soldino d’un tempo ti ha mutato in cinghiale del progresso, neppure il maiale quello rinomato della Fattoria sopporta l’indolenza accompagnata dall’indecenza così ben allevata e propagandata.

O meglio: lavorata!

Va! Lavora! Vendi l’arma del progresso la stiva ne abbonda, poi accogli paradossale stupore per ogni ipocrisia ben stampata e ciarlata, o meglio allevata, con cui giustifichi demoniaca ‘dottrina’!

O meglio: la Vita!    

Va! Rotola il muso per il futuro altrui grugno per ogni principio nella piazza acclamato in nome e per conto della rinomata Fattoria: semina morte in nome del futuro consenso rivenduto al porto per conto d’ogni merce saporita spacciata qual prelibatezza della ricchezza ben allevata e concimata.

Pianto Tragedia e Guerra per ogni Terra seminata!   

Va! Vendi la miglior arma del consenso edifica paradossale impropria ‘dottrina’ come piaccia ai bimbi, e si stampi il tuo nome sui giornali.




Ignoro chi sia quello scettico antico che lanciò attraverso i secoli quest’insulto all’alpinismo moderno (ma ancor più scettico riguardo chi lo abbia adattato e riproposto ai tempi ove medesima ‘materia’ ci accomuna o divide e mai sia detto circa Sentiero Natura e Cima, bensì, in ciò che di più Elevato e Spirituale aneliamo rompendoci l’osso del collo e non certo sulla Vetta, accompagnati dalla più certa e seria quanto solenne unanime promessa d’esser perseguitati dalla ‘materia’ così apostrofata dall'ipocrisia fuggita…).

È certo che Quintino Sella, grande e fortunato ricercatore di citazioni classiche, conobbe questa sentenza e si astenne dal citarla in alcuno di que’ suoi memorabili discorsi sull’alpinismo. Ma, non so perché, dal momento in cui, reduce dalla nostra impresa, cominciai ad accarezzare il progetto di raccontarla ai contemporanei ed ai posteri, sempre mi sta dinanzi minacciosa questa citazione, che ha in sé quel tanto di verità cruda che ci vuole per far sorridere i nostri avversari, ed anche per far dubitare un alpinista dalla scrupolosa coscienza.




La ragione della persistenza di quest’idea credo però di trovarla nella natura delle accoglienze avute quando tornai da questa salita. Vi assicuro che ne udii delle belle! Vi fu chi, informatosi della nostra gita, e saputo che trattavasi del Canalone…, rispose rassicurato:

Oh, se non è che un Canalone qui ne abbiamo di più sicuri!

Un altro, un amico benevolo, ma pessimista, dopo avermi squadrato da capo a piedi, mi disse commosso che era lieto di vedermi ancora vivo e tutto d’un pezzo, perché i veri Canaloni acclamati hanno un’anima ben più profonda ed una Vista eccelsa almeno quanto il sonno ‘comatoso’ quanto un crepaccio...

Nei dovuti intervalli di Tempo così ben meditato…

 Un’anima pia mi confessò di aver fatto un voto per la mia maledizione affinché fossimo definitivamente interdetti!




Altri, molto più decisi e certamente più energici di questi e ben nutriti, pretendevano che, quando noi si ritorna dai monti, dovrebbero attenderci alla stazione due Carabinieri, e quella certa vettura fatta a celle, per trascinarci a quella casa da cui l’Alpi si vedono attraverso le grate, da lungi.

Altri propose di formare por noi e per alcuni colleghi una sezione speciale, appartata, in un manicomio. Vi fu chi parlò d’interdizione! Per me passi, ma, via, per un padre di famiglia com’è Vaccarone, sarebbe un vero scandalo!

Insomma, le accoglienze avuto furono quali si converrebbero a chi abbia commesso un misfatto, o, peggio, una corbelleria. Pochi quelli che ci ricevettero bene, e questi pochi tutti alpinisti, e della specie più pericolosa, di quelli che ritornavano allora allora da salite assai più rischiose che la nostra; ma già, l’approvazione di costoro conta poco, perché essi avranno pensato come il poeta…

Ma ciò che più gravò le spalle della mia coscienza si fu l’accoglienza che ebbi da me stesso.




In me, come in ognuno di voi, sono due persone ben distinte, costrette a vivere quasi sempre assieme, ad odiarsi, e a disapprovare sistematicamente le azioni l’una dell’altra. Quando vado in montagna, io mi sbarazzo per quei pochi giorni della mia prima persona, che in materia alpina è alquanto scettica, benché io non possa disconoscere che essa è la parte più seria e posata di me stesso, né negare che talvolta mi abbia dato anche de’ buoni consigli.

Ma bisogna pure che al ritorno dai monti mi riunisca a lei, che ha un intuito finissimo, e capisce subito da che luoghi io venga. Come è da prevedersi essa disapprova altamente ciò che si è passato in sua assenza ed a sua insaputa, e quando poi ha dato un occhiata a’ miei appunti ed alle mie fotografie, addio la pace di famiglia: mi costringe a confidarle tutto. Ed allora, ahimè! nella stretta intimità dell’animo, mi prende per un orecchio, e mi tiene un discorsetto che suona a un dipresso così:




Ma non ha ancora finito lei, signor Guido (perché malgrado l’intimità e la lunga convivenza ci trattiamo con molto sussiego), ma non ha ancor finito con quella sua smania di esporsi ai pericoli? Ma che gusto ci trova lei a rischiare la vita! Oh! questo poi no! Mi lasci dire, a rischiare la vita per una piccola ambizione che non rende nulla né a lei né ad alcuno? Non par vero! Un giovane serio come è lei ! — Grazie ! — Smetta, e faccia qualche cosa di più utile e più serio. Veda, la patria ha bisogno di cittadini che si occupino di cose positive, e di un interesse generale, e non sa che farsi di egoisti profondi come sono gli alpinisti, quelli della sua risma. S’occupi di affari, di politica, prenda moglie magari, ma la smetta con questo alpinismo. Creda a me, nessuno le saprà grado quando si sarà rotto qualche costola su un colle più o meno vergine.




Lo chiedo a voi.

Che cosa rispondere a questa voce, che ha tutte le apparenze della serietà e del buon senso?

Potrei ben dirle che al di fuori delle consuete occupazioni l’uomo giovane ha bisogno di appassionarsi per qualche cosa, che l’uomo non vive di solo pane, che i momenti passati in montagna fra le fatiche e le difficoltà ritemprano in pochi giorni la fibra fisica ed intellettuale, e mi danno forza a sopportare per tutto il resto dell’anno pazientemente la sua compagnia noiosa e la vita che lei, personificazione del dovere, mi costringe di fare. Ma qui, in pianura, chi finisce per aver ragione è sempre lei, che si sente spalleggiata dall’opinione pubblica, altamente venerata.




Quindi generalmente il predicozzo finisce lì, con un po’ di musoneria reciproca; ne segue una pace armata, che dura fino all’estate seguente, e si rinvia la nuova discussione a otto o dieci mesi, quando si rinnoverà la scappata.

Ma, per quanta calma si abbia, per quanta fede ed entusiasmo si nutra, credetelo che l’accumularsi di tutte queste critiche, di tanti rimbrotti finisce per lasciare in fondo all’animo un’amarezza e un dubbio che difficilmente si dilegua, e che vi pesa tanto che sentite il bisogno di discolparvi di gridar forte, per convincere gli altri, e, insieme agli altri, anche un pochino voi stessi.

Quest’amarezza si mitiga quando si pensa che vi sono ancora persone per bene e colte che s’interessano seriamente e con amore alle vicende del nostro ‘Club’, quando si vede che vi ha ancora una classe egregia di persone che interviene ai Congressi alpini, che scrive e discute delle cose nostre, e persino, benché in numero minore, forse, legge ancora i nostri Bollettini e le Riviste. .
E questo un vero conforto pel povero accusato.

Egli è a voi, giudici parziali e benigni, che apro l’animo, ed espongo la difesa mia e del mio complice. Non invoco a nostra discolpa i precedenti di escursioni molto più pericolose e difficili compiute da altri; mi limiterò a narrare il fatto, a descrivere, come meglio saprò, l’ambiente in cui si svolse, le nostre disposizioni d’animo prima, durante e dopo di esso, e giuro di dire tutta la verità null’altro che la verità.

Voi avrete a giudicarmi per una salita che taluno ritenne rischiosa, e per un articolo che molti troveranno noioso; per la prima chiedo un’assolutoria, per il secondo invoco almeno le Circostanze attenuanti.












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