giuliano

sabato 2 dicembre 2023

TOP SECRET DEAD LETTER BOX (dall'altra parte del muro) (17)











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cagnetta nera (18)







 (Cuba 1962-963 Riservato) 

 

 

Dal giorno della sua costituzione nel 1949, la Repubblica Federale Tedesca (RFT) è stata il paese dell’Europa occidentale più vulnerabile alla penetrazione da parte del blocco sovietico. Un episodio basilare di tale penetrazione è tuttora controverso. Nel luglio 1954 Otto John, capo del servizio di sicurezza della RFT, il Bundesamt für Verfassungsschutz (BfV) scomparve da Berlino Ovest. Riapparve pochi giorni dopo a una conferenza stampa in Germania orientale, nel corso della quale denunciò una presunta rinascita del nazismo nella Germania di Bonn.

 

Nel dicembre 1955 si ripresentò in Occidente a raccontare che era stato drogato da Wolfgang Wohlgemuth, un medico al servizio del KGB. La Corte Suprema della RFT accolse con scetticismo questa versione. Secondo altre testimonianze, John era un alcolizzato che Wohigemuth aveva convinto a defezionare, prima riempiendolo di whisky, poi speculando sui suoi timori di una rinascita del nazismo. Nel dicembre 1956 fu condannato a quattro anni di carcere.

 

La talpa tedesco-occidentale più produttiva per il KGB fu Heinz Felfe che, nel 1958, divenne capo della sezione sovietica del servizio di controspionaggio del BND. Con un’immaginaria rete di agenti a Mosca creata appositamente per lui dal Centro, più altre forme di supporto del KGB, Felfe si costruì man mano una reputazione formidabile. Il capo del BND, Reinhard Gehlen, conduceva con orgoglio i visitatori importanti all’ufficio di Felfe. Qui gli ospiti potevano ammirare una gigantesca mappa multicolore del complesso di Karlshorst, che presentava ogni minimo dettaglio dei quartier generale del KGB, fino ai posti di parcheggio e alle toilette usata da ciascun funzionario.




L’operazione Karlshorst (nome in codice Diagramm) produsse anche cinque grossi volumi contenenti le piante dei singoli uffici, schede personali ed elenchi dei telefoni interni. Il quartier generale del BND a Pullach, presso Monaco, riceveva continue richieste d’informazioni su Karlshorst dalla CIA e da altri servizi di sicurezza occidentali. Quelle richieste, diceva orgogliosamente Felfe, ‘rivelavano gli interessi specifici di tutte le stazioni CIA in Europa’, e in tal modo davano al Centro preziose indicazioni sulle attività della CIA.

 

Felfe, da parte sua, faceva in modo che il BND e i suoi alleati avessero un quadro completamente distorto di Karlshorst. Il Servizio A del Primo Direttorato Centrale, che supervisionò la preparazione delle memorie di Felfe, vi inserì un buon numero di frasi in cui elogiava se stesso, come la seguente: ‘In brevissimo tempo la lungimiranza dei piani d’infiltrazione del KGB ha dimostrato la propria validità’. Felfe forniva a Karlshorst le copie di quasi tutti i documenti importanti del BND. I rapporti urgenti venivano trasmessi via radio, il resto seguiva in doppi fondi di valigie, in pellicole nascoste nelle scatolette di alimenti per bambini, veniva depositato in posti convenuti o inviato tramite un corriere del BND, Erwin Tiebel, che lavorava anche per il KGB.

 


Nei due anni prima della costruzione del muro di Berlino, nell’agosto 1961, in un periodo in cui, secondo Felfe, la CIA e il BND stavano progettando di ‘sabotare lo sviluppo politico ed economico della RDT’, ‘intensificando la guerra psicologica e adescando la forza di lavoro’:

 

Io corsi molti rischi assolutamente impossibili da calcolare in anticipo... Un appuntamento dopo l’altro, una trasmissione d’informazioni dopo l’altra a ritmo incalzante, tutto era subordinato alla necessità di dare all’URSS una base per prendere le proprie decisioni. Devo presumere che in quei due anni fornii dati sul controspionaggio nemico che il Centro potesse elaborare. Il mio arresto conferma tale ipotesi.

 

Come Pâques e Hambleton, Felfe era spinto dall’ambizione più che dalla fede politica. Anche il suo ego, come quello degli altri due, venne lusingato dalle congratulazioni di vari generali del KGB e, in una circostanza, dello stesso presidente. Un ufficiale della CIA che aveva prestato servizio in Germania negli anni Cinquanta, dopo l’arresto di Felfe nel 1961 trasse queste conclusioni:

 

La valutazione dei danni da parte del BND deve avere occupato migliaia di pagine. Non solo erano stati rivelati agenti e indirizzi, ma dieci anni di rapporti di agenti segreti dovevano essere analizzati daccapo: quelli inventati dall’opposizione, quelli sottilmente fuorvianti, quelli forniti da fonti fittizie.




Il KGB trasse profitto anche dalla vasta campagna di penetrazione in Occidente organizzata dall’agenzia d’informazioni estere fondata all’interno del ministero per la Sicurezza dello Stato della Germania orientale: il Dipartimento Superiore XV (Hauptverwaltung XV), ribattezzato nel 1958 Dipartimento Superiore di Ricognizione (Hauptverwaltung Aufklärung, o HVA). Il capo del dipartimento fin da quando venne costituito, e l’ideatore dei piani operativi per oltre una generazione, fu Markus Johannes (Misha) Wolf, figlio di un noto reporter comunista costretto a rifugiarsi a Mosca dopo la presa di potere hitleriana.

 

Quando si ritirò, nel 1987, Wolf si era imposto come uno dei più abili capi dei servizi segreti del blocco sovietico, oltre a essere quello con la maggiore anzianità di servizio. L’agente più valido di Wolf fu Günther Guillaume, figlio di un medico della Germania occidentale che aveva curato e nascosto in casa il socialista Willy Brandt, ricercato dalla Gestapo. Nel 1955, su istruzioni dell’HVA, il dottor Guillaume scrisse a Brandt, allora sindaco di Berlino Ovest, chiedendogli di dare una mano a suo figlio che era oggetto di discriminazione in Germania orientale.




Fin dal primo incontro Brandt si affezionò a Günther e si sentì in dovere di aiutarlo. Nel 1956 Günther Guillaume e sua moglie, ambedue agenti dell’HVA, furono accolti in Germania occidentale come profughi politici. Nel giro di pochi anni furono assunti entrambi a tempo pieno presso il partito socialista tedesco (SPD). L’ascesa al potere di una coalizione diretta dall’SPD, con Brandt come Cancelliere, nel 1969, offrì a Guillaume un’occasione come non l’aveva mai avuta nessuna spia dell’era moderna. Divenne il segretario fidato e il compagno prediletto di Willy Brandt alla Cancelleria di Bonn. Nella massa delle informazioni ad alto livello che Guillaume poté fornire all’HVA e, tramite questa, al KGB, vi furono le istruzioni dettagliate per la nuova Ostpolitik della RFT, che tentava di stabilire i primi contatti ufficiali con la RDT e gli altri Stati di oltre cortina. Lo scandalo causato, nel 1974, dalla scoperta del vero ruolo di Guillaume fu tanto grave da provocare le dimissioni di Brandt.

 

Guillaume fu la punta di diamante di una massiccia incursione di talpe tedesco-orientali nella Repubblica Federale. Un disertore dell’HVA calcolava che nel 1958 vi fossero oltre duemila agenti infiltrati, più altri in attesa di assegnazione. Uno dei maggiori successi strategici di Markus Wolf fu ‘l’offensiva delle segretarie’, basata sulla seduzione di impiegate governative – in genere donne sole di mezza età – che avevano accesso a informazioni riservate. Una delle vittime di questa iniziativa, attuata tra gli anni Cinquanta e Sessanta, fu Irmgard Römer, quarantenne, segretaria al ministero degli Esteri, che si occupava delle comunicazioni con le ambasciate all’estero. Fornì copie-carbone al seduttore Carl Helmers, illegale dell’HVA che, dopo l’arresto avvenuto nel 1958, ebbe il soprannome di ‘Casanova rosso’ nei titoli dei giornali. Nei vent’anni successivi il suo ruolo fu svolto con successo anche maggiore da altri ‘Casanova rossi’ inviati da Markus Wolf.




Alla fine della Guerra Fredda, come al suo inizio, il bersaglio numero uno dell’attività estera dei KGB restava il ‘Nemico principale’. All’inizio degli anni Sessanta il KGB riuscì per la prima volta a stabilire un’importante base operativa nell’America Latina, proprio nel cortile di casa degli Stati Uniti. L’occasione venne nel gennaio 1959, quando Castro rovesciò la dittatura di Batista a Cuba. Fino a quel momento il Cremlino era stato alquanto pessimista sulle prospettive di una rivoluzione latino-americana, considerando l’influenza degli Stati Uniti troppo forte per lasciare spazio a una presa di potere comunista.

 

Castro era di estrazione privilegiata anche per i criteri delle famiglie latifondiste cubane. Attinse le prime ispirazioni politiche dal partito ortodosso e dagli ideali del suo fondatore antimarxista Eduardo Chibás. Fino all’estate del 1958 il partito comunista cubano (PSP), continuò a ribadire, con l’appoggio di Mosca, che Batista poteva essere rovesciato solo da un’insurrezione dei lavoratori cubani guidata dai comunisti.




Il Secondo Dipartimento (America latina) del PDC vide, prima del ministero degli Esteri e del Comitato Centrale, la potenzialità di Castro. Il primo a rendersene conto fu un giovane ufficiale, Nikolaj Sergeevič Leonov, che conosceva la lingua spagnola, distaccato negli anni Cinquanta alla residenza di Città del Messico. Castro, era stato due anni in carcere per avere organizzato l’attacco a una caserma. Quando fu liberato, trascorse un anno in esilio nel Messico, e si rivolse all’ambasciata sovietica chiedendo armi per la guerriglia contro Batista. Le armi furono rifiutate, ma Leonov fu impressionato a prima vista dal carisma potenziale di Castro come capo guerrigliero. Cominciò a vederlo regolarmente e gli diede un entusiastico appoggio morale. Leonov considerava immature e incoerenti le idee politiche di Castro, ma notò la sua determinazione di conservare un assoluto controllo personale sul movimento ‘Ventisei luglio’, e la sua disponibilità a dare in qualche modo una coloritura socialista al futuro regime.

 

Constatò, inoltre, che il fratello di Castro, Raúl e il suo primo luogotenente, Che Guevara, si consideravano già marxisti. In un primo tempo la valutazione ottimistica data da Leonov sulle prospettive della campagna guerrigliera iniziata da Castro subito dopo il rientro a Cuba, nel dicembre 1956, riscosse poco favore a Mosca. Quando Castro salì al potere, la lungimiranza di Leonov e il rapporto che aveva stabilito fin dall’inizio con Castro gli aprirono una carriera che lo portò, nel 1983, a diventare vicecapo del Primo Direttorato Centrale responsabile delle operazioni del KGB in tutta l’America settentrionale e meridionale.




 Anche dopo la presa di potere da parte di Castro, nel gennaio 1959, Mosca continuò a dubitare della sua capacità di resistere alle pressioni degli Stati Uniti. Il partito comunista cubano (PSP) considerava il proprio supporto a Castro come una manovra tattica non dissimile dall’appoggio che in precedenza aveva dato a Batista. Invece Castro colse il PSP di sorpresa, epurò gran parte della sua vecchia leadership e usò il partito come arma per assicurarsi rapidamente il controllo di Cuba. Quindi chiese a Mosca le armi e l’assistenza occorrenti per consolidare la rivoluzione e realizzarne il proprio sogno personale di divenire il Simon Bolivár dei Caraibi.

 

Nel luglio 1959 il capo delle informazioni di Castro, maggiore Ramiro Valdes, cominciò ad avere riunioni a Città del Messico con l’ambasciatore sovietico e la residenza del KGB. Un centinaio di consiglieri del KGB fu mandato a organizzare la sicurezza e i servizi d’informazione per il regime di Castro. Alcuni dei sovietici venivano dalle file dei niños, figli degli esuli comunisti spagnoli che si erano sistemati in Russia dopo la guerra civile. Un veterano spagnolo, Enrique Lister Farjan, organizzò il Comitato per la Difesa della Rivoluzione, un sistema di sorveglianza intorno a Cuba per individuare eventuali movimenti controrivoluzionari.




Un altro, il generale Alberto Bajar, istituì una serie di scuole per l’addestramento alla guerriglia. Tuttavia, il Cremlino non si fidava a dare un aperto appoggio militare al regime non conformista di Castro. Usò i cecoslovacchi come paravento, e non fu l’ultima volta. In autunno una delegazione cubana condotta da Raúl Castro giunse a Praga per discutere la possibilità di un’assistenza militare cecoslovacca. Malgrado l’abitudine di dormire con gli stivali ai piedi e la folle passione per le prostitute bionde, Raúl impressionò favorevolmente i cechi con il suo fervore marxista. Il capo del servizio propaganda del PSP, Luis Mas Martin, spiegò che il partito stava cercando di usare Raúl per influenzare Fidel: ‘Personalmente’ disse ‘considero Fidel un anarchico, ma la sua ostilità per gli Stati Uniti finirà per spingerlo nelle braccia del partito, soprattutto se gli americani continuano a reagire in modo così stupido’. Mentre era a Praga, Raúl fu invitato da Krusciov ad andare a Mosca.

 

Nell’ottobre 1959, mentre Raúl Castro era ancora a Praga, una delegazione culturale sovietica guidata da Aleksandr Ivanovič Šitov (alias Alekseev), ex residente del KGB a Buenos Aires, andò all’Avana per predisporre l’apertura delle relazioni diplomatiche. Fece omaggio a Fidel di una bottiglia di vodka, di diversi vasetti di caviale e di un album di fotografie di Mosca, poi gli parlò della ‘grande ammirazione’ del popolo sovietico per lui e per la rivoluzione cubana. Castro aprì la bottiglia e mandò qualcuno a cercare dei cracker. ‘Che buona vodka! Che buon caviale!’ esclamò allegramente. ‘Credo proprio che valga la pena di stabilire relazioni commerciali con l’Unione Sovietica’. ‘Giusto, Fidel’ replicò Šitov, ‘ma che cosa ne diresti delle relazioni più importanti, quelle diplomatiche?’.




 Quando, nel 1960, l’URSS diede finalmente il pieno riconoscimento diplomatico al regime di Castro, Šitov rimase all’Avana, ufficialmente come consigliere culturale e rappresentante della Tass, ma in realtà come residente del KGB. Dopo le esitazioni iniziali, Krusciov diede al regime cubano (ma non alla persona di Castro), un entusiastico appoggio pubblico. Il 9 luglio, in un bellicoso discorso antiamericano, dichiarò:

 

‘Faremo di tutto per sostenere Cuba nella sua lotta... Adesso gli Stati Uniti sono meno irraggiungibili di prima’.

 

Il giorno dopo, Che Guevara affermò con orgoglio che Cuba era difesa…

 

‘dalla più grande potenza militare della storia’.

 

Castro e i suoi luogotenenti cominciarono ad affermare nei loro discorsi che la rivoluzione cubana

 

‘non era che il primo passo per la liberazione dell’America latina’.




Anche se i sovietici continuavano a nutrire qualche dubbio sull’affidabilità politica di Castro, il fatto che avesse e conservasse il potere trasformò la strategia del KGB e del Cremlino nell’America latina. La politica tradizionale di concentrarsi sui partiti comunisti ideologicamente sani fu abbandonata a favore di alleanze opportunistiche con movimenti libertari nazionali che godevano di maggiore supporto.

 

Il fiasco dello sbarco, appoggiato dalla CIA, alla Baia dei Porci per rovesciare Castro nell’aprile 1961, portò a un’ulteriore modifica della valutazione della forza americana da parte dei sovietici. Gli Stati Uniti erano vulnerabili anche nel cortile di casa loro.

 

Castro, pur nutrendo un’antipatia sempre più intensa per l’ambasciatore sovietico Sergej Kudrjatsev, si legò di grande amicizia personale con Aleksandr Šitov, residente del KGB. Nel marzo 1962 Castro apparve alla televisione per annunciare lo scioglimento del vecchio partito comunista cubano dalla linea dura, con cui si identificava Kudrjatsev, lo invitò ad andarsene, poi chiese e ottenne che Šitov (che usava ancora lo pseudonimo di Alekseev) fosse il nuovo ambasciatore. Nel giro di sei mesi l’insediamento sempre più solido dei sovietici a Cuba avrebbe prodotto la crisi più pericolosa dopo la seconda guerra mondiale.

 

All’inizio del 1962, con l’installazione dei missili intercontinentali Minuteman e con i missili a medio raggio già operativi in Gran Bretagna, Turchia e Italia, gli Stati Uniti erano nettamente in testa nella corsa alle armi nucleari. Krusciov calcolò che avrebbe potuto assicurarsi un vantaggio quasi immediato installando missili sovietici a Cuba, a soli 150 chilometri dagli Stati Uniti. Era una mossa da giocatore d’azzardo, basata non tanto sulle stime dei servizi segreti quanto su una sottovalutazione da parte dello stesso Krusciov della determinazione degli americani in generale, e del giovane presidente John F. Kennedy in particolare.




Le democrazie occidentali, disse Krusciov al poeta americano Robert Frost, erano ‘troppo liberali per combattere’. La poca fiducia di Kennedy durante il fallito sbarco alla Baia dei Porci convinse Krusciov che il presidente era un insicuro.

 

‘So per certo che Kennedy non ha una solida spina dorsale né, in linea di massima, il coraggio di affrontare una sfida seria’.

 

Con l’installazione segreta dei propri missili a Cuba, l’Unione Sovietica poteva mettere Kennedy di fronte a un fatto compiuto che avrebbe dovuto, sia pure con riluttanza, accettare. Nell’estate del 1962 i tecnici sovietici cominciarono a costruire a Cuba le rampe di lancio per missili nucleari con gittata di 3200 chilometri e la capacità di raggiungere le maggiori città della costa orientale USA in pochi minuti.

 

In tutte le precedenti crisi della Guerra Fredda le informazioni in mano ai sovietici erano state superiori, talora di molto, a quelle di cui disponeva l’Occidente. Durante la crisi missilistica dell’ottobre 1962 le informazioni americane furono, per la prima volta, all’altezza di quelle del Cremlino, se non addirittura migliori. Ciò si spiega in parte con il fatto che il centro dell’azione era a soli 150 chilometri dagli Stati Uniti. Comunque, il primato dell’intelligence sovietica era già stato intaccato da due miglioramenti basilari nella raccolta d’informazioni da parte dell’Occidente.




La prima fu lo sviluppo della ricognizione aerea. Nel 1955 il presidente Eisenhower propose all’Unione Sovietica la politica dei ‘cieli aperti’, che avrebbe consentito a ciascuna delle parti di seguire dal cielo gli schieramenti militari dell’altra. La Russia rifiutò, ma gli Stati Uniti continuarono unilateralmente a sorvolare il territorio sovietico con aerei tipo U2, capaci di volare alla quota di 70.000 piedi (circa 23.000 metri).

 

L’abbattimento del pilota americano Gary Powers e il conseguente processo pubblico, nel 1960, furono un intoppo solo temporaneo. Pochi mesi dopo gli Stati Uniti misero in orbita il primo satellite spia. Le foto prese dai primi satelliti non avevano la buona definizione di quelle fornite dall’U2. Nel 1963 la sorveglianza da satelliti, adottata da ambo le parti e sempre più largamente usata per la sigint, oltre che per la ricognizione fotografica, fu tacitamente accettata dal Cremlino.

 

Dalla metà degli anni Cinquanta si verificò un miglioramento significativo, anche se non grandissimo, della humint raccolta dagli occidentali in Unione Sovietica. Nella primavera del 1961 il SIS reclutò l’agente numero uno della Guerra Fredda. Era il colonnello Oleg Vladimirovič Penkovskij, ufficiale del GRU assegnato al Comitato statale per la scienza e la tecnologia. Intratteneva buoni rapporti d’amicizia con il generale Ivan Aleksandrovič Serov, direttore del GRU, e con il primo maresciallo Sergej Sergeevič Varentzov, comandante dei missili e dell’artiglieria terrestre. Le informazioni fornite da Penkovskij – quasi 5500 foto con apparecchio Minox nel giro di diciotto mesi – furono della massima importanza.




Comprendevano valutazioni aggiornate dei missili balistici intercontinentali sovietici (7000 meno della cifra calcolata in USA), le fasi di allerta, la sequenza di lancio delle forze missilistiche strategiche sovietiche, le statistiche sulla precisione dei missili e sui difetti rivelati nei lanci di prova. I rapporti di Penkovskij, da cui risultava che i sovietici facevano maggiore affidamento sui missili e su un’estesa guerra chimica, provocarono importanti revisioni della strategia della NATO. Nei periodi di punta le informazioni di Penkovskij vennero gestite congiuntamente dal SIS e dalla CIA, e tennero occupati venti analisti americani e dieci britannici.

 

Il fatto che l’Occidente disponesse di informazioni valide fu essenziale per risolvere in modo pacifico la crisi missilistica cubana prima ancora che venissero installati i missili. Il 14 ottobre 1962 un U2 in volo su Cuba eseguì le prime fotografie delle postazioni dei missili balistici in corso di costruzione. Gli analisti della CIA furono in grado di identificare la natura del sito grazie a certi documenti segreti che ne illustravano in dettaglio la costruzione, fotografati clandestinamente da Penkovskij al quartier generale sovietico delle forze missilistiche e dell’artiglieria terrestre, cui aveva l’accesso ufficioso grazie ai rapporti amichevoli con il maresciallo Varentzov.




Il 16 ottobre le fotografie vennero sottoposte a Kennedy. Il presidente reagì costituendo un comitato segretissimo per la gestione della crisi denominato ExCom (Executive Committee of the National Security Council), che nei tredici giorni successivi monitorizzò gli sviluppi minuto per minuto. Il 19 ottobre le riprese fotografiche degli U2 avevano procurato all’ExCom le prove che i cubani stavano costruendo nove postazioni per missili balistici. Il 22 ottobre Kennedy annunciò l’imposizione del blocco navale americano per ‘arrestare nel modo più rigoroso l’arrivo di tutte il materiale bellico offensivo in viaggio verso Cuba’. Per tutta una settimana il mondo visse nel timore di un’Armageddon nucleare.

 

La residenza del KGB a Washington ebbe un ruolo attivo nel creare, e poi risolvere, la crisi dei missili. Oltre a raccogliere informazioni, la residenza aveva altri due compiti: fornire un canale privato per i contatti con la Casa Bianca, e diffondere disinformazione mentre a Cuba venivano installati i missili sovietici. L’addetto a entrambi gli incarichi era Georgij Nokitovič Bolšakov, ufficiale del KGB che operava a Washington sotto la copertura di giornalista. Per più di un anno prima della crisi dei missili, Bolšakov si trovò a fungere da ‘linea calda’ – come lui la definiva – e da ‘canale di comunicazione segreto tra John Kennedy e Nikita Krusciov’.




Presentato da un giornalista americano a Robert Kennedy, fratello e consigliere del presidente, nel maggio 1961, cominciò ad avere con lui regolari incontri quindicinali. Sembra che Robert Kennedy non si sia mai reso conto che Bolšakov, di cui apprezzava l’onestà, fosse un agente del KGB. Secondo Kennedy:

 

Era il rappresentante di Krusciov... Ogni volta che c’era un messaggio da recapitare al presidente, o il presidente aveva un messaggio da trasmettere a Krusciov, passavamo per il tramite di Georgij Bolšakov... Ho avuto a che fare con lui per entrambi i tipi di comunicazione.

 

Bolšakov convinse Robert Kennedy che poteva aggirare il ponderoso protocollo della diplomazia ufficiale, conoscere direttamente le vedute di Krusciov e ‘parlare in modo diretto e aperto senza ricorrere alle battute propagandistiche di repertorio usate dai politicanti’. Secondo Bolšakov, ‘entrambe le parti fecero largo uso del canale di comunicazione da lui fornito’. ‘Devo dire che il dialogo Krusciov-Kennedy guadagnò in franchezza e linearità dopo ogni messaggio’.




Però, durante la corsa provocata dalla crisi missilistica, la funzione principale della linea calda gestita dal KGB fu di aiutare a nascondere la presenza a Cuba di missili sovietici a medio raggio, finché la loro installazione non fosse stata ‘un fatto compiuto’. Il 6 ottobre 1962 Bolšakov andò da Robert Kennedy con un altro messaggio di Krusciov. Di solito lo trovava in maniche di camicia con il colletto sbottonato e il nodo della cravatta sciolto. In questa occasione notò un’atmosfera diversa:

 

A differenza degli incontri precedenti, in questo il padrone di casa indossava un severo vestito scuro; i capelli solitamente in disordine erano ben pettinati, con una nitida scriminatura... Robert fu secco e formale. Tutto ciò aveva lo scopo di dare il carattere dell’ufficialità al nostro colloquio.

 

Bolšakov gli comunicò il messaggio:

 

Il primo ministro Krusciov è preoccupato per la situazione creata dagli Stati Uniti intorno a Cuba. Ripetiamo che l’Unione Sovietica sta fornendo a Cuba unicamente armi di difesa destinate a proteggere gli interessi della rivoluzione cubana...

 

Robert Kennedy chiese a Bolšakov di ripetere lentamente il messaggio, lo trascrisse e lo diede alla segretaria perché lo battesse a macchina.

 

‘Sta bene’

 

….disse.

 

‘Trasmetterò il messaggio del primo ministro Krusciov al presidente che, se necessario, comunicherà la risposta per il mio tramite’.




Il giorno dopo, Bolšakov fu invitato a colazione dal giornalista Charles Bartlett, intimo amico del presidente. Bartlett gli disse che John Kennedy voleva il messaggio di Krusciov ‘in forma scritta e nel testo completo, non nella formulazione di suo fratello’. Bolšakov ripeté parola per parola ciò che aveva detto a Robert Kennedy. Bartlett scrisse il messaggio e lo consegnò al presidente. Nove giorni dopo furono mostrate a Kennedy le foto delle postazioni missilistiche in costruzione a Cuba scattate dall’U2. Il consigliere presidenziale Theodore Sorensen ricordò in seguito:

 

‘Il presidente Kennedy aveva finito per fidarsi del canale Bolšakov per le informazioni private fornite da Krusciov, e si sentì ingannato a titolo personale. In effetti è stato ingannato a titolo personale’.

 

Il 24 ottobre Bartlett invitò Bolšakov al National Press Club di Washington e gli fece vedere venti foto delle basi missilistiche prese dall’U2, ancora contrassegnate dalla frase: ‘Riservate al presidente’ nell’angolo superiore destro. Bartlett domandò al russo:

 

‘Che cosa puoi dirmi di questa roba, Georgij? Scommetto che tu sai con certezza che a Cuba ci sono i vostri missili’.




 Bolšakov, secondo la sua versione, rispose:

 

‘Non ho mai visto queste fotografie e non ho idea di ciò che rappresentano: forse campi da baseball?’

 

Il giorno dopo le foto furono rese pubbliche. Bartlett telefonò di nuovo a Bolšakov. Secondo quest’ultimo, l’americano esordì con una domanda:

 

‘Allora, Georgij, avete o non avete i missili a Cuba?’.

 

‘Non li abbiamo’.

 

‘Ok, Bobby mi dice che li avete. Krusciov lo ha dichiarato oggi. Il presidente ha appena ricevuto un telegramma da Mosca’.

 

Bolšakov affermò che quella notizia ‘fu un fulmine a ciel sereno’.




Con Bolšakov screditato, Mosca scelse un nuovo ‘canale segreto di comunicazione’ con la Casa Bianca. Il successore di Bolšakov fu il residente del KGB a Washington, Aleksandr Semënovič Feklisov, che si era fatta una buona reputazione al Centro come valido ufficiale della linea FR alla fine degli anni Quaranta. Quale residente a Washington dal 1960 al 1964, Feklisov operò con lo pseudonimo di Fomin. Alle 14.30 del 16 ottobre telefonò al corrispondente dell’American Broadcasting Corporation State Department, John Scali (che divenne ambasciatore USA alle Nazioni Unite), sapendo che aveva accesso alla Casa Bianca. Feklisov sembrava agitato.

 

Chiese a Scali di incontrarsi entro dieci minuti con lui all’Occidental Restaurant in Pennsylvania Avenue. Al ristorante gli disse che aveva un messaggio importante da inoltrare. Gli Stati Uniti erano disposti ad assumere pubblicamente l’impegno di non invadere Cuba, in contropartita per la rimozione dei missili sovietici?

 

‘La prego di sentire un portavoce autorevole del Dipartimento di Stato’

 

…disse a Scali. Feklisov e Scali si ritrovarono alle 19.35 nel caffè dell’Hotel Hilton.

 

Scali riferì di avere consultato il segretario di Stato, Dean Rusk, che aveva manifestato interesse per la proposta di Feklisov. Nel frattempo, era giunto un lungo e toccante messaggio di Krusciov che ripeteva praticamente la medesima proposta. Anche se non produssero un accordo formale, le proposte avanzate in prima istanza da Feklisov nell’incontro all’Occidental Restaurant furono la base per la soluzione della crisi.




Il 28 ottobre Krusciov annunciò che tutte le basi missilistiche a Cuba sarebbero state smantellate. In cambio, gli Stati Uniti assicurarono che non avrebbero invaso Cuba, e che i missili Jupiter in Turchia e in Italia, ormai vicini al termine della loro vita operativa, sarebbero stati ritirati. Malgrado queste concessioni, la partita d’azzardo di Krusciov si era conclusa con un fallimento spettacolare.

 

Il problema immediato di Krusciov, nello strascico della crisi dei missili, fu quello di trattare con Fidel Castro, furibondo e offeso perché Mosca aveva risolto la crisi senza consultarlo. L’incarico di calmarlo ricadde in gran parte sulle spalle di Aleksandr Šitov, residente del KGB all’Avana promosso ambasciatore, che aveva saputo conservare l’amicizia di Castro. Šitov si vantò in seguito al Centro di essere stato il consigliere personale di Castro durante la crisi missilistica. Castro considerava la sede diplomatica sovietica come la sua seconda casa; a volte lui e Šitov cucinavano insieme nella sede dell’ambasciata.

 

Oleg Penkovskij, le cui informazioni ebbero un ruolo determinante nelle origini e nella risoluzione della crisi missilistica cubana, fu arrestato proprio mentre essa era al punto culminante. La pista che alla fine portò il Secondo Direttorato Centrale (Controspionaggio) a Penkovskij ebbe inizio da un episodio verificatosi all’inizio del 1962 durante la sorveglianza dell’ambasciata britannica. Fino al 1959 il KGB aveva creduto che i principali servizi segreti occidentali rischiassero il contatto diretto con i propri agenti russi solo fuori dall’URSS. Era persuaso che sul territorio sovietico usassero solo il sistema chiamato Dead Letter Box (DLB), che consisteva nel lasciare oggetti o documenti in nascondigli segreti, senza che il portatore e il destinatario si incontrassero.

(Top Secret)







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