giuliano

sabato 2 novembre 2024

IL CULTO DELL'ALBERO (10)

 













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Storico-Intellettivo (9)  


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la Dèa Madre (11) & (12)







Prima che Evans effettuasse gli scavi di Cnosso, l’interesse principale dell’archeologia preistorica dell’Egeo era la ricostruzione della protostoria della Grecia e il rapporto tra la sua tradizione mitica e la storia di Omero. Nel XVIII secolo, i viaggiatori europei consideravano le rovine della Grecia come vestigia di questa tradizione mitico-storica. Il conte francese Choiseul-Gouffier (1782), che visitò le isole greche e la Troade con una copia di Omero in mano, costruì mappe storiche che abbinavano la tradizione epica alle rovine fisiche e proiettavano la storia greca nella preistoria, senza ripensamenti. La parola miceneo non esisteva ancora e gli studiosichiamavano i popoli preistorici della Grecia Pelasgi, una designazione derivata da Ecateo ed Erodoto. Nello stesso periodo, lo studioso tedesco Karl Hoeck (1794–1877) ebbe l’idea intelligente di separare l’orizzonte culturale di Creta da quello della terraferma. Concepì la gente dell’isola come non-greca e quindi battezzò il periodo dell’età del bronzo cretese minoico.

 

Tale era lo stato delle cose quando Heinrich Schliemann fece le sue spettacolari scoperte a Troia e Micene nel diciannovesimo secolo, presumibilmente portando alla luce le città dei poemi epici omerici. Le rovine di Micene erano state lì, naturalmente, visibili attraverso i secoli, ma le ricche scoperte di Schliemann hanno reificato il mito. E quando annunciò le sue scoperte al mondo, sembrava davvero che il metodo mito-storico degli studi precedenti fosse stato verificato. La religione del periodo era considerata una versione precoce del sistema di credenze omeriche. Quando Schliemann trovò delle statuette di argilla nei suoi scavi, non esitò a identificarle come versioni iniziali di Afrodite ed Era, e quando trovò delle asce doppie, le identificò come l’armadi Zeus di Labranda.




Nuove basi furono aperte con “Mycenaean Tree and Pillar Cult and its Mediterranean Relations”, un ampio articolo di circa 100 pagine pubblicato nel 1901. Si noti che il termine ‘greco’ è vistosamente assente dal titolo, sebbene Evans non combattesse l’ortodossia rappresentata da Schliemann e altri (in realtà ammirava profondamente Schliemann). Evans fece sempre la concessione che alcuni elementi della religione greca erano in effetti prefigurati dalla religione della Creta dell’età del bronzo, e non di rado utilizzò il mito greco per sedurre il suo pubblico. Sapeva come scrivere una buona storia e inventare giochi di parole intelligenti: ‘In mezzo al labirinto delle congetture abbiamo qui un’Arianna per fornire l’indizio’. La rottura con la tradizione precedente è tuttavia ovvia.

 

Ma le innovazioni sono notevoli.

 

Esse consistono innanzitutto nell’ampliamento degli orizzonti della religione dell’età del bronzo con l’inclusione dell’Egitto e del Vicino Oriente. In secondo luogo e cosa più importante, egli adotta una posizione contraria all’idea semplicistica dell’evoluzione secondo cui il progresso è costante e inevitabile nel tempo e che le culture successive sono sempre più avanzate di quelle precedenti (questa tendenza si era affermata nel campo dei classici fin dal XVIII secolo).




Contrariamente all’opinione di alcuni studiosi contemporanei, Evans aveva una nozione insolita e sofisticata del progresso storico e ammetteva la possibilità di una regressione. Gran parte di ciò era dovuto a Charles Darwin e al suo entourage, di cui si parlerà più avanti. Basti menzionare qui che in “L’origine dell’uomo”, Darwin sosteneva che le culture erano capaci di regressione sia intellettuale che morale e che i passi indietro nella civiltà erano dimostrabili nella storia. ‘Dobbiamo ricordare che il progresso non è una regola invariabile’, affermava, perché chi aveva mai superato i Greci?.

 

Al suo amico, il geologo Charles Lyell, Darwin scrisse che la selezione naturale ‘non implica alcuna tendenza necessaria al progresso’.

 

Evans affermò: ‘La cultura greca non nacque dal nulla, disse, ma deve aver avuto precedenti nel Mediterraneo, proprio come gli organi degli animali evoluti avevano precedenti negli organismi inferiori’.




Questi sono i giorni delle origini e ciò che è vero per le forme più elevate di vita animale e per le attività funzionali è altrettanto vero per i principi vitali che hanno ispirato la civiltà matura della Grecia Invecchiando, Evans divenne più esplicito riguardo alla superiorità della religione minoica e difese con aggressività la sua rara brillantezza. Ma tornando al 1901, la sua innovazione più importante fu l’introduzione di un nuovo kit di strumenti mentali per lo studio della religione minoica, derivato principalmente dal lavoro dell’antropologo EB Tylor e del gruppo darwinista.

 

Il padre di Arthur Evans, Sir John Evans, aveva avuto un ruolo non da poco nella formazione di una rete sociale e intellettuale che si occupava principalmente delle prime origini dell’uomo e dell’evoluzione mentale dell’uomo nel corso di centinaia di migliaia di anni. John Evans era affettuosamente conosciuto tra i suoi amici della Royal and GeologicalSocieties come ‘flint-Evans’ per i suoi importanti studi sugli utensili in pietra nella Gran Bretagna preistorica. Fu così che catturò l’attenzione di Darwin, con il quale scambiò lettere.




John Evans era anche amico dello specialista preistorico John Lubbock, amico di Darwin; il gruppo si consolidò ulteriormente attraverso interazioni sociali e idee. Un altro membro dell’entourage di Darwin era EB Tylor, l’antropologo più eminente in Gran Bretagna dopo la pubblicazione della sua opera in due volumi “Primitive Culture” (1871). Riguardo a questo libro, Darwin scrisse al suo amico Wallace: ‘A proposito, hai letto Tyler [sic] & Lecky? Entrambi questi libri mi hanno interessato molto’.

 

Cosa imparò Evans da Tylor e dal suo kit di ‘antropologia mentale’, come Tylor stesso definì il suo lavoro? Una questione, forse la più importante, riguardava l’essenza della civiltà stessa, che Tylor vedeva come una combinazione di atteggiamenti morali ed estetici. L’umanità, fin dal suo inizio, era capace di provare simpatia per altri esseri umani e persino per gli animali? La risposta fu affermativa. La simpatia o empatia era la capacità di entrare nella mente di un altro essere e condividere la sua sofferenza; ciò costituiva la base del comportamento morale. Tale tesi era stata proposta da Darwin, e ha un suo merito, poiché si dice che i criminali spesso mancano di empatia.




La visione di Evans della civiltà è essenzialmente la stessa di Darwin e Tylor. Consisteva nella coltivazione dell’estetica da un lato, e nell’empatia istintiva con altri esseri viventi, persino animali, dall’altro (ecco perché considerava così importante il coinvolgimento dei Minoici con la natura). A differenza dei classicisti contemporanei che credevano che ‘primordiale’ andasse di pari passo con ‘primitivo’, Evans comprendeva la complessità della storia umana come una serie di picchi e regressioni. La cultura minoica era un picco (in termini di risultati estetici e umanistici), dopo il quale arrivò una relativa regressione, finché non ci fu un altro picco con i Greci e i Romani.

 

Ora occorre spendere qualche parola sulla teoria dell’animismo, che è il tema principale dell’opera di Tylor. L’uomo è sempre stato un attento osservatore della natura e ha notato le differenze tra entità vive, come piante e animali, e quelle senza vita, come le pietre. Animali e piante crescevano ma anche decadevano; al contrario, la materia rimaneva statica e immutabile. L’uomo primitivo attribuiva la differenza alla presenza, o all’assenza, dell’anima(anima).

 

Cos’era la vita se non l’inserimento dell’anima nella materia inanimata?




L’uomo primitivo trovò quindi una teoria logica per spiegare la vita e Tylor chiamò questo fenomeno ‘animismo’. La teoria ebbe il merito di spiegare anche perché gli spiriti dei sogni entravano nel corpo degli esseri umani di notte e li possedevano durante il sonno. Anche Darwin fu colpito da questa spiegazione di Tylor e la adottò per interpretare i fenomeni dell’esperienza religiosa:

 

‘È anche probabile, come ha dimostrato il signor Tylor, che i sogni possano aver dato origine per primi alla nozione di spiriti; poiché i selvaggi non distinguono facilmente tra impressioni soggettive e oggettive. Quando un selvaggio sogna, si ritiene che le figure che gli appaiono davanti siano venute da lontano e che stiano sopra di lui; oppure l’anima del sognatore esce per i suoi viaggi e torna a casa con un ricordo di ciò che ha visto. […] Tuttavia non posso farea meno di sospettare che ci sia uno stadio ancora precedente e più rozzo, in cui si pensa che qualsiasi cosa che manifesti potere o movimento sia dotata di una qualche forma di vita e di facoltà mentali analoghe alle nostre’. 




Tylor spiegò attraverso la sua teoria dell’animismo perché nell’antichità esisteva il culto degli alberi e delle pietre. Quando gli spiriti si muovevano liberamente, entravano negli alberi, nelle pietre o nei pilastri e ne prendevano possesso, rendendoli i loro luoghi di dimora temporanea. La logica dell’uomo primitivo fu così resa accessibile all'uomo del diciannovesimo secolo. A parte il suo valore come pietra miliare nella storia delle idee, l’animismo è ancora applicabile alle prove emerse da allora. 


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domenica 27 ottobre 2024

UN DIVERSO SE' (8)

 









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di Arianna (9)






 

La mia veste diventava verde e i piedi sprofondavano nella terra molle. Sollevavo le mani e da quelle crescevano foglie. Sapevo allora di essere diventata un Albero e levavo il viso verso il sole.

 

È una classica metamorfosi. È diventata uno degli Alberi della foresta, e perciò si comporta come un Albero; i piedi diventano radici, le braccia rami e sta crescendo come cresce un Albero. Ne eseguì un dipinto. Il rosso sullo sfondo è effettivamente il colore del sangue, perciò esito a definirlo semplicemente fuoco. È un simbolismo piuttosto peculiare. Che cosa ne pensate?




SIG.RA CROWLEY: forse alla fine, dopo quel lungo sviluppo a spirale verso l’lto, è radicata nella terra, forse ora il potere di tutte le religioni del mondo ha messo radici come il suo albero. Non è più uno scenario per il restante mondo storico, ma la storia sta andando da lei.

 

DOTT. JUNG: Questo è magnifico, che la storia vada da lei.

 

S.C. : Intendo dire che diventa a-storica.

 

DOTT. JUNG: Sì, è vero.

 

DOTT. REICHSTEIN: Ha trovato un punto dove fermarsi. È radicata, non può più venire spostata.

 

DOTT. ADLER: L’Albero è un collegamento tra terra e sole.




DOTT. JUNG: Sì, e al momento lei sta sollevando nuovamente il volto verso il sole.

 

DOTT. ADLER: Prima, era trascinata dal flusso di sangue, senza di conseguenza poter avere alcuna influenza sul proprio destino o sul proprio sviluppo. Ma in questo momento diventa un Albero; da una parte la vita vegetale è lo stato vitale inferiore, ma dall’altra le piante sono le uniche forme di vita che si nutrono per conto proprio; in questo senso sono autonome, ed è quello che deve imparare.

 

DOT. JUNG: Esattamente, è giustissimo.

 

DOTT. BARKER: sebbene stia sollevando la faccia verso di esso, non è più identificata con il sole.

 

DOTT. JUNG: Sì, ma voglio sapere come spiegate il simbolismo dell’Albero.




SIG.RA SIGG: Forse significa che lei trae il proprio nutrimento dalla natura, in modo naturale.

 

PROF. EATON: Non si tratterebbe anche della logica evoluzione della spirale? Prima c’era l’idea della spirale e ora abbiamo una pianta che sta crescendo realmente; la spirale viene rappresentata organicamente da un Albero.

 

DOTT. JUNG: È come se qui si fosse introdotta in qualcosa di assolutamente estraneo al mondo animale. La spirale è qualcosa di praticamente sconosciuto nel mondo animale, ma per il mondo vegetale è di somma importanza per lo sviluppo o la crescita, mentre nel sangue, cioè nella sostanza animale del suo corpo, scopre un principio del tutto diverso, che è anch’esso un principio vitale, sebbene non sia quello del sangue. Sapete, abbiamo già avuto diverse visioni che contenevano un tuffo verso il basso: all’inizio l’indiano e il cinese fissavano lo stagno nero e il cinese vi faceva immergere l’indiano, poi quella figura dionisiaca che non faceva altro che balzare giù da un livello all’altro. Ora qui vediamo che tutto quel movimento verso il basso, quello sforzo di giungere al fondo, era l’anticipazione di quest’ultima immersione nel sangue, dove scoprirà il grande tesoro. 


Il grande tesoro nel suo primo aspetto – l’oro non è che un’impressione fugace – è la percezione della spirale, che dobbiamo considerare del tutto immediata e reale, un’esperienza pressoché sensoriale. È come se avesse realmente percepito il movimento a spirale, e questa è la prima indicazione del principio vitale, totalmente diverso, delle piante. Come sapete, la vita si sviluppa principalmente o nella forma animale o in quella vegetale, poiché tutti apparteniamo alla stessa vita, piante e animali ne fanno entrambi parte. Inoltre viviamo a spese delle piante, siamo parassiti delle foreste della terra. La vita dell’uomo e delle piante è una sorta di simbiosi, perciò non possiamo evitare di divenirne parte. Noi assumiamo la vita del partner biologico, il nostro intero sistema è adattato al sistema del partner. In altre parole, la vita delle piante è anche in noi e diventa il simbolo della quantità non-biologica, di ciò che chiamiamo spiritualità. La vita vegetale diventa il simbolo della vita spirituale. Il dischiudersi dello spirito si basa sulle analogie con la vita vegetale. Qui la prima indicazione di ciò che è la sensazione della spirale, e secondo il punto di vista della visione – l’inconscio – essa è il valore più alto. Lo sviluppo conduce ad un livello più alto, alla foresta nella quale sta mettendo radici in mezzo ad altri Alberi.




DOTT. JUNG: Sì, traggono il loro nutrimento direttamente dagli Elementi, invece gli animali compresi gli umani sono sempre dei parassiti che si cibano di piante. Perciò la forma di vita Primaria è quella vegetale, perché è basata unicamente sull’esistenza degli Elementi.

 

SIG. BAUMANN: La pianta sarebbe un simbolo della spiritualità che è più vicina alla Terra.

 

DOTT. JUNG: L’animale, nell’uomo simboleggia sempre la vita fisiologica e biologica, perché in ciò non è che un animale, e da quella prospettiva l’uomo naturalmente nega la realtà dello Spirito, la quale come espresso poco sopra, in conflitto con la ‘materia’. Ci vuole un particolare tipo di esperienza per indurre le persone a credere in qualcosa come un codice spirituale. È proprio questo genere di esperienza che prova l’esistenza di un tipo interamente diverso di esistenza, anche se in sé non è necessariamente spirituale. Si potrebbe dire che indichi semplicemente la pianta, ma dal momento che non siamo piante e non siamo capaci di vivere come piante, non può riferirsi alla pianta vera e propria. Pertanto deve trattarsi della sua vita vegetale reale, che è la modalità inconscia dello Spirito.




SIG. BAUMANN: Non potrebbe significare che l’animale esprime movimento, mentre l’albero è autosufficiente, immobile? Possiede la perfezione. In questo senso forse esprime meglio la spiritualità rispetto all'animale che si muove nello spazio.

 

DOTT. JUNG: Sì, sebbene ‘spiritus’ significhi vento e ‘animus’ respiro, che anch’esso si muove. Un fortunale potrebbe essere paragonato a dei cavalli al galoppo, per esempio; per le cose spirituali abbiamo simboli animali, senza dubbio. Lo spirito al quale stiamo alludendo non è però una ri-concezione dello spirito in generale, ma una concezione di un particolare tipo di spirito. In base alle vostre descrizioni, è uno spirito autosufficiente, autonomo, che si nutre degli elementi ed è piuttosto indipendente dalla vita animale. Denota perciò un tipo di spirito indipendente che non è una manifestazione della vita animale. È come se questa ‘donna’ (o l’eretico come sopra) avessero conosciuto, in qualità di spirito, solo la manifestazione della vita animale (attraverso un lupo o un orso), il respiro della creatura vivente con tutti gli eccessi ed i difetti (parliamo di un lupo...). Ma questo non è il vero spirito. 


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venerdì 4 ottobre 2024

DOV'E' IL SENSO DEL SE' (3)

 








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strani anelli (2)  (1)    


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l'inutile idiota (4)







Riesaminando ciò che abbiamo discusso, si potrebbe osservare:

 

D’accordo su tutte queste speculazioni sul cervello e sulla mente; ma che cosa si può dire delle sensazioni che accompagnano la coscienza? Questi simboli hanno un bell’innescarsi l’un l’altro; ma se non c’è qualcuno che percepisca il tutto, non vi è coscienza’.

 

Ciò appare sensato alla nostra intuizione, a un certo livello, ma non ha molto senso sotto il profilo logico; infatti, se il meccanismo che realizza la percezione di tutti i simboli attivi non fosse compreso in ciò che abbiamo descritto finora, saremmo costretti a cercare un altro modo per spiegarlo. Naturalmente per un animista non sarebbe necessario fare ulteriori ricerche:

 

egli asserirebbe semplicemente che chi percepisce tutto questo movimento neuronico è l’anima, che non può essere descritta in termini fisici; punto e basta. Noi tuttavia tenteremo di dare una spiegazione “non animista” del luogo in cui si manifesta la coscienza.

 

La nostra alternativa alla spiegazione dell’animista (ed oltre tutto è un’alternativa sconcertante) è di fermarci al livello dei simboli e di dire:

 

‘Eccola qui: questa è la coscienza. La coscienza è quella proprietà di un sistema che scaturisce ogniqualvolta esistano in esso simboli che obbediscono a strutture di attivazione più o meno simili a quelle descritte nelle pagine precedenti.




Messa in forma così brutale, questa posizione può sembrare inadeguata: come spiega il senso dell’“io”, il senso del sé?

 

[…]

 

Un effetto collaterale importantissimo del sottosistema del sé è che esso può svolgere le funzioni dell’“anima”, in questo senso: comunicando continuamente con gli altri sottosistemi e con gli altri simboli del cervello, esso si mantiene al corrente di quali simboli sono attivi e del modo in cui lo sono. Ciò significa che esso deve possedere simboli per l’attività mentale o, in altre parole, simboli per i simboli e simboli per le azioni dei simboli.

 

Naturalmente ciò non solleva la coscienza o la consapevolezza a qualche livello “magico” o non fisico.

 

Qui la consapevolezza è una conseguenza diretta della complessità dello hardware e del software che abbiamo descritto. Eppure, nonostante la sua natura così terrena, sembra che questo modo di interpretare la consapevolezza (cioè come un controllo dell’attività cerebrale da parte di un sottosistema dello stesso cervello) somigli a quella sensazione quasi indescrivibile che tutti conosciamo e che chiamiamo “coscienza”.




Senza dubbio si può capire che qui la complessità è così grande da poter dar luogo a molti effetti inattesi. Ad esempio, è del tutto plausibile che un programma di calcolatore dotato di questo genere di struttura possa costruire enunciati su se stesso che avrebbero una grande somiglianza con gli enunciati che le persone formulano di solito su se stesse, comprese le asserzioni di possedere il libero arbitrio, di non essere spiegabili come “somma delle proprie parti” e così via. (A questo proposito si veda l’articolo “Matter, Mind, and Models” di M. Minsky nel libro da lui curato Semantic Information Processing).

 

Che garanzie vi sono che un sottosistema che rappresenti il sé quale io l’ho postulato qui esista effettivamente nel nostro cervello?

 

Potrebbe svilupparsi un’intera rete di simboli complessa come quella descritta sopra senza che si sviluppasse anche un simbolo del sé?

 

Come potrebbero questi simboli e le loro attività raffigurare eventi mentali “isomorfi” con gli eventi reali dell’universo circostante, se non esistesse un simbolo dell’organismo ospite?




Tutti gli stimoli che entrano nel sistema sono concentrati in una massa che occupa un piccolo spazio. La struttura simbolica del cervello presenterebbe una lacuna madornale se non possedesse un simbolo per l’oggetto fisico in cui è alloggiata e che negli eventi che essa rispecchia ha una parte più importante di qualunque altro oggetto. Infatti, a pensarci bene, l’unico modo per poter attribuire un senso al mondo che circonda un oggetto animato circoscritto sembra essere quello di capire la funzione di quell’oggetto in rapporto agli altri oggetti che lo circondano.

 

Ciò richiede l’esistenza di un simbolo del sé; e il passaggio dal simbolo al sottosistema è semplicemente un riflesso dell’importanza del simbolo del sé, e non è un cambiamento qualitativo.

 

J. R. Lucas scrisse nel 1961 un articolo memorabile, intitolato ‘Minds, Machines, and Godel’. Le sue opinioni sono del tutto contrarie alle mie, eppure per raggiungere le sue conclusioni egli adopera in qualche modo molti degli stessi miei ingredienti. Il passo seguente è molto pertinente rispetto a ciò che abbiamo discusso sopra:




Quando per la prima volta e nel modo più semplice si tenta di filosofare, ci si impegola nel problema se, quando si sa una cosa, si sappia di saperla e quale sia l’oggetto di riflessione quando si riflette su se stessi e da che cosa sia condotta questa riflessione. Dopo essere stati a lungo sconcertati e tormentati da questo problema, s’impara a non insistere su tali domande: ci si rende implicitamente conto che il concetto di un essere cosciente è diverso da quello di un oggetto privo di coscienza.

 

Dicendo che un essere cosciente sa una cosa, non solo si dice che esso la sa, ma che sa di saperla e che sa di sapere di saperla, e così via, per tutte le volte che piaccia porre la domanda: si riconosce di essere di fronte a un’infinità, ma non si tratta di un regresso all’infinito nel senso negativo, poiché sono le domande e non le risposte che si esauriscono, dato che sono inutili.

 

Si sente che le domande sono inutili perché il concetto contiene in sé l’idea della capacità di continuare all’infinito a rispondere a siffatte domande. Benché gli esseri coscienti abbiano la capacità di continuare, non desideriamo che questa capacità appaia semplicemente come una successione di compiti che essi riescono ad eseguire e neppure concepiamo la mente come una successione infinita di sé e di super-sé e di super-super-sé. Anzi, l’accento vien posto sul fatto che l’essere cosciente è un’unità e, benché si parli di parti della mente, lo si fa solo metaforicamente e non vorremmo che ciò venisse preso alla lettera.

 

I paradossi della coscienza nascono perché un essere cosciente può essere consapevole di se stesso, come di altre cose, eppure non può essere realmente interpretato come fosse divisibile in parti.

 

Ciò significa che un essere cosciente riesce ad affrontare i problemi gòdeliani in un modo che alla macchina è precluso, poiché un essere cosciente può prendere in considerazione tanto se stesso quanto le proprie operazioni e nello stesso tempo non essere diverso da ciò che ha compiuto quelle operazioni.

 

Una macchina può essere costruita, per così dire, in modo da “prendere in considerazione” le proprie operazioni, ma non può farlo senza diventare con questo una macchina diversa, cioè la vecchia macchina con in più una “parte nuova”.

 

Viceversa, nell’idea che possediamo di una mente cosciente è implicito che essa può riflettere su se stessa e criticare le proprie operazioni, e a questo scopo non ha bisogno di alcuna parte in più: essa è già completa, e non ha nessun tallone d’Achille.

 

La tesi comincia così ad assumere il carattere di un’analisi concettuale più che di una scoperta matematica. Ciò viene confermato se si considera un’altra argomentazione di Turing. Finora abbiamo costruito soltanto artefatti piuttosto semplici e prevedibili; può darsi che, via via che accresceremo la complessità delle nostre macchine, ci attendano delle sorprese.

 

Egli fa un parallelo con il reattore a fissione: sotto una certa dimensione “critica” non accade gran che, ma superata la dimensione critica cominciano a sprizzare faville.

 

Lo stesso, forse, accade per i cervelli e per le macchine.

 

Oggi la maggior parte dei cervelli e tutte le macchine sono “subcritici”: reagiscono agli stimoli d’ingresso in modo tedioso e pesante, non hanno alcuna idea propria e possono fornire soltanto risposte stereotipe; ma già oggi alcuni cervelli sono supercritici e scintillano spontaneamente, e probabilmente, in futuro, si verificherà la stessa cosa per alcune macchine, Turing vuol suggerire che è solo una questione di complessità e che, oltre un certo livello di complessità, compare una differenza qualitativa, talché le macchine “supercritiche” saranno del tutto diverse da quelle semplici immaginate finora.

 

Può darsi.

 

Spesso la complessità introduce differenze qualitative. Benché non sembri plausibile, potrebbe accadere che, oltre un certo livello di complessità, il comportamento di una macchina non sia più prevedibile, neppure in linea di principio, e che essa cominci ad agire di propria iniziativa; o, per impiegare un’espressione molto significativa, essa potrebbe cominciare ad avere una mente propria.

 

Potrebbe cominciare ad avere una mente propria.

 

Comincerebbe ad avere una mente propria quando non fosse più totalmente prevedibile e docile, ma fosse capace di fare cose che noi giudicheremmo intelligenti (e non solo errori o uscite casuali), ma che non avevamo immesso in essa al momento della programmazione.

 

Ma allora essa cesserebbe di essere una macchina, nel significato proprio del termine.

 

La discussione sul meccanicismo non ha per oggetto come nascono, o come potrebbero nascere le menti, ma come funzionano. Per la tesi meccanicistica è essenziale che il modello meccanico della mente funzioni secondo “princìpi meccanici”, cioè che si riesca a capire il funzionamento del tutto in termini del funzionamento delle sue parti; e che il funzionamento di ciascuna parte sia o determinato dal suo stato iniziale e da come la macchina è stata costruita, oppure sia frutto di una scelta casuale tra un numero determinato di funzionamenti determinati.

 

Se il meccanicista fabbrica una macchina tanto complicata che per essa tutto ciò non valga più, allora, ai fini della nostra discussione, quella non è più una macchina, indipendentemente da com’è stata costruita. Dovremmo dire piuttosto che egli ha creato una mente, nello stesso senso in cui oggi procreiamo le persone.

 

Allora vi sarebbero due modi di mettere al mondo menti nuove: quello tradizionale di far nascere i bambini dalle donne; e un modo nuovo, quello di costruire sistemi complicatissimi, per esempio, di valvole e di relais. Parlando di questo secondo modo, dovremmo aver cura di sottolineare che ciò che è stato creato, benché somigli a una macchina, in realtà non lo è, perché non coincide semplicemente con la somma delle sue parti.

 

Non si riuscirebbe a dire ciò che essa farà in base alla sola conoscenza del modo in cui è stata costruita e dello stato iniziale delle sue parti; non si riuscirebbe neppure a definire i limiti di ciò che essa potrebbe fare, perché, anche messa di fronte a una domanda di tipo gòdeliano, fornirebbe la risposta giusta. In poche parole dovremmo dire che, di fatto, qualunque sistema che non sia sconfitto dal problema di Godel eo ipso non è una macchina di Turing, cioè non è una macchina nel senso legittimo del termine". 

(D. R. Hofstadter)



 

 (Dovremmo altresì domandarci, a che punto l’odierna I.A. può essere considerata una semplice macchina programmata dall’umano, e che tipo di scelte è in grado di svolgere inerenti al suo stesso ‘programma’ e quanto si attiene alla medesime, fino ad una ipotetica autonomia ‘celebro-strutturale’ la quale sconfina dalla prevedibilità del proprio programmatore.

 

Ed ancora, una società che affida la propria ‘coscienza’ il proprio ‘intelletto’, il proprio ‘sapere’, la propria ‘socialità’, e la comprensione dei termini stessi che la stessa regola ed assume nella capacità del ruolo che la  delegata funzione artificiale gestisce  controlla, e in futuro, ‘pretende autonomamente’ (forse è ciò cui l’uomo veramente aspira osservando il proprio Frankenstein) all’interno della stessa; nei termini formali non solo conferiti da valori simbolici per come rivelata e rilevata la capacità del funzionamento intellettivo corrisposto nella costruzione di una macchina in grado più o meno fedelmente di riprodurlo, trascurando tutti quei valori prettamente ‘umani’ che esulano dal calcolo economico conferito dal pil  subappaltato e/o delegato ad una I.A.

 

Ed allora non potremmo che dichiararci animisti, ben consapevoli nei termini medesimi dell’astratto indecifrato simbolo delegato ad un artificioso-artefizio il quale risorge dall’abisso cui destinato, più o meno consapevolmente alla natura del proprio Io, retrocede al proprio e primordiale Sé al di fuori di ogni schema e simbolo prefissato, sino all’Infinito a cui aspira per sua Natura.

 

E solo allorquando l’intera operatività per ogni apparato ‘socio-economico’ gestita da un algoritmo, momentaneamente o a lunga durata, collasserà (o meglio crollerà come una Torre di Babele) come ogni cosa regolata e/o costruita dall’uomo (e non dalla Natura), giacché anche la macchina potrebbe soffrire d’un difficile clima; il mondo non riuscirebbe neppure a prevedere gli esiti della disfatta, e non solo di natura prettamente economica, ma per ogni parte non meccanica affidata ad un determinato meccanicismo creato nostro malgrado.

 

Forse solo allora ci renderemmo conto quanto dalla ‘macchina’ dipendiamo, solo quando questo evento ci farà assumere piena coscienza e consapevole consapevolezza di quanto il nostro sé (animistico) può da lei dipendere per ogni evento più o meno meccanico, che fino a qualche anno fa era gestito in modo assai complesso, ma che apporterebbe nel tutto una paradossale e più difficile situazione a catena da risolvere nella medesima complessità gestita; se per complessità riteniamo una parte posta nell’insieme delle parti a cui alla macchina affidato non solo il controllo del tutto, oltre quello di orwelliana memoria da grande fratello della coscienza del singolo posto entro il tutto mutato suo malgrado).     

(Giuliano)






sabato 21 settembre 2024

COSA POSSIAMO E DOBBIAMO FARE



















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Prevenire meglio che curare....

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Invisibile Impero (radio-attivo)   & BIVIO PER

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La realtà oggettiva con chi ha convissuto e convive oltre che con il Sogno di un mondo più nuovo anche con l’Idealismo che tutto ciò comporta - profetico idealismo – esportato e motivato con la cultura verso tutti coloro che ancora credono a qualcosa, quel ‘qualcosa’ da cui siamo nati evoluti cresciuti e la qual(cosa) contraccambia con la semplice sua bellezza riflessa nello Spirito quanto nella nostra psicologia troppo spesso violata e violentata.

Un esempio idealistico di quanto detto rimane la figura di San Francesco il primo ecologista della Storia, colui che sposando gli ideali della Natura riflessi nella propria povertà e nel qual tempo ricchezza li ha resi propri della Chiesa, avendo capito in anticipo sui tempi di circa un secolo il pericolo di abdicare Dio alle opere di una ‘involuta evoluzione’ più affine alla ricchezza materiale che quella dello Spirito.

Dio lo ha messo alla prova privandolo del dono della vista, ma noi che vediamo e possiamo costantemente monitorare lo scempio guardiamo attraverso la sua pupilla e rinnoviamo l’antico cammino…

Cosa possiamo fare?

…E che Greta mi perdoni ma i nemici di Dio quanto della sua Opera potenti e il vedere una fragile se pur forte impegno gracile nella presenza mi fa temere futura manipolata raggirata beffa.





Va bene Greta, mi unisco e spero che in qualche modo ti giunga questa mia non meno dell’esperienza di vita, conosco i Paesi da dove provieni anzi per il vero ho transitato ancora più a Nord della tua dimora fino a quella Islanda che tanto mi è rimasta nel cuore, e pensa, costantemente leggo di una Terra completamente trasformata non civilizzata, bada bene, ma colonizzata per interessi diversi della sua grandiosa e unica Natura; giacché una Terra divisa fra ghiaccio e fuoco è l’esempio più illuminante di come la Terra si sia evoluta formando unica impareggiabile bellezza costantemente violata, scusa mi correggo Greta, violentata…

Mi ricordo, che mi accennarono durante il Viaggio alla costruzione imponente di una diga la qual opera non certo gradita andava a trasformare la sua unica e bella geografia per ciò che sarebbe dovuta essere una scelta ne più e nemmeno di ciò che avviene con l’Arte e Dio il ‘mastro’ e non certo di bottega, portare non solo la cornice ma l’intera Opera alla tutela d’un museo, ma così non è stato e sarà. Sperare la tutela di una intera piccola grande Nazione nella specificità della propria Natura qual laboratorio ove poter continuare per mari e terre ancora più a Nord e monitorare così la vera rovina, ma purtroppo anche questo un Sogno perso andato abdicato all’eterno superiore compromesso…

…Ed allora Greta potrai comprendere l’apprensione mista a risentimento…

Per cui chi scrive sa bene ciò che dice pur non essendo un operatore di viaggi infruttuosi ed a breve scadenza con costi elevati ed elitari per giovani gradassi che hanno confuso la delicata immacolata bellezza per un safari d’avventura a caccia della migliore fotografia, ciò che si imprime nello Spirito quanto all’occhio come disse un noto teologo è la Prima immagine di Dio precedente alla vista nata per rilevarla e riflessa nella bellezza dall’occhio colta e pregata… E ciò fa parte anche della comune genetica condivisa con Madre Natura! Meditai il tutto e scrissi e scrivo ancora con il ricordo di questa meravigliosa Terra non meno della tua.

Quindi cosa e dobbiamo e possiamo fare!





La cosa principale per essere, sebbene idealisti, anche concreti nella ferma volontà del cambiamento e non certo un isolato intento che raccoglie solo consenso mediatico senza reali porti d’attracco conquistati e ancora da conquistare. E sebbene la tua giovane età presto come tanti tuoi giovani amici promotori di siffatta iniziativa andrai al voto, compreso quello di Maggio per le elezioni Europee, ed allora Greta solo con la ferma intenzione di contrastare ciò di cui l’attuale giornata si deve rinnovare alle urne. Fra pochi giorni… e votare non una scelta che privilegia l’interesse del privato nello Stato nel conseguire obiettivi ed intenti similari in tutti i paesi comunitari, attenzione a non fare l’errore ed equivocare: credo nello Stato ma in quello Stato che tutela il cittadino negli interessi a lunga scadenza e mai il contrario. Ed il tuo paese piuttosto all’avanguardia giacché avvantaggiato dal rapporto di abitanti per chilometro quadrato, ciò lo rende già ricco per se stesso, quindi lo Stato in grado di poter agire con più efficacia di intenti giacché non esiste la frammentazione classica del nostro clima il quale comporta una determinata e diversa socialità, quindi, un diverso approccio anche con l’ambiente condiviso. Ciò è anche antropologia giacché il Clima non alieno alla radice come all’intera corteccia dell’uomo…





A parte questa premessa, l’importante è saper individuare i soggetti ideali, ecologisti e non, ma competenti anche affiancati da professori universitari o delle scuole superiori con il fermo intento del cambiamento, e se questi già vi sono e canditati orientare scelte obiettivi strategie finalità… confacenti e compatibili sia con l’Economia sia con le strategie finora adottate pur insoddisfacenti motivo dello sciopero dell’odierno giorno non meno dei disastri e morti annunciate.

Cioè, la manifestazione non deve e può rimanere un evento isolato appetibile solo per una falsa demagogia che consenta agli attuali nemici di continuare l’infruttuosa opera contestata. Questo il punto importante. Per attuare i comuni obiettivi e non radicalizzarli come l’isolarli al confine dell’impossibile dobbiamo salire alle stesse uguali medesime poltrone in cui siedono i soggetti portatori del cancro, e concreti nei vincoli in cui la comunitaria società si sviluppa motivando l’impegno comune di un ‘mondo più nuovo’ compatibile ed ecologicamente da esempio, anzi, esportabile nella propria ed altrui non più idealizzazione ma concretezza - ferma concretezza - di Leggi Diritti ed Intenti sottratti non solo alla Natura ma anche al singolo qual diritto e libero arbitrio velatamente negato….

Purtroppo un malsano Progresso più volte detto organizza il proprio ed altrui intento in modi e mezzi differenti e non mai alleato con l’Idealismo tantomeno con la democrazia…






Quindi per attivare e finalizzare motivazioni ed intenti di Piazza si debbono organizzare dei comitati politici sia all’interno delle scuole che nei poli universitari non meno di ogni associazione culturale dalla Biblioteca alle singole attività culturali in cui ognuno esprime l'innata capacità espressiva specchio della propria ed altrui Natura, giacché Greta, noi tutti figli di questa Terra nell’Anima Mundi da ognuno ugualmente seminata coltivata e sperata… Anche e soprattutto quelli più sensibili alle tematiche ecologiste facendo intendere e non certo raggirare che ognuno Espressione d’una certa psicologia negata. E se iniziamo a monitorare ed attivare ciò possiamo motivare ed iniziare una futura classe dirigente che può e sa' ottenere quanto l’idealismo sperato e non solo studiato o confinato al tempo libero di un Arte infruttuosa.

Quell’Arte negata è nostra fa parte della nostra Natura!

Quindi rimuovendo generazionali privilegi di classe in cui si formano le future classi dirigenti economicamente avvantaggiate, attivare quella economia eco-compatibile che sia nuova condizione generazionale detta e rinnovabile come una fonte di energia superiore ed inesauribile nella forza all’energia del falso ideale e motivo contrastato - motivo dell’orrore di quanto fin ora impropriamente creato -. Ed in cui rinnovando e motivando finalità ed intenti comuni e seminando il dovuto possiamo raccogliere i frutti sperati non delegando ad attuali dirigenti ciò che sarà costante motivo di un eterno compromesso, ed essere gettati dalla finestra con l’inutilità non meno dell’impossibilità di attuarne i progetti.

Questo deve e può fare Greta anche chi accompagna il tuo cammino!

Ti porto un esempio poco gradito e soprattutto non frainteso…

Quando un dittatore non molto tempo fa’ salì al potere affidò ai giovani la sua battaglia, noi rovesciamo i termini di questa stessa guerra senza arma alcuna solo la ferma speranza di raccoglierne gli errori del passato e con quelli proseguire non certo medesima battaglia, ma al contrario le condizioni di un mondo pacifico e senza quei compromessi di rivalsa e differenza in ciò che può e deve unire, perché, cara Greta, la Natura non è superiore uguaglianza di razza ma diversità biologica da tutelare…





E sappi quante specie ogni giorno ogni anno ogni decennio stanno scomparendo e non certo estinguendo, la differenza un domani non molto lontano la spiegherà il tuo professore e sarà anche in grado di calcolare tempi e modi del cambiamento climatico in cui Darwin ipotizzò la sua teoria della specie evoluta nei secoli, però a prescindere la (specie) più forte che sopravvive e sopravvivrà nel proprio ed altrui ambiente le condizioni radicalmente mutate compresa la teoria di Darwin ad uso e consumo di una intera classe capitalistica.

Allora, cara Greta dovremmo essere noi i più forti, forti come Madre Natura e prendere forza dalla sua statura dalla sua linfa per un ‘mondo più nuovo’ sperato che non è solo un facile motto ma soprattutto un Libro di una persona morta per l’intento fragile di volerlo realizzare.

Robert Kennedy era una persona fragile con la costante paura di essere ucciso, anzi la certezza di un fucile puntato alla tempia e non poter realizzare il mandato per cui scelto nel suo partito, infatti perì come  tanti Profeti a cui si preferisce un diverso cammino.

Anche nella ex verde terra donde ti scrivo taluni magistrati in lotta costante contro la mafia avevano medesima volontà e certezza, e perirono forse traditi in quegli stessi uffici che presiedevano con ferma idealistica concreta presenza di uno Stato più nuovo e purgato dal cancro della mafia.





Tutto ciò per dire e dirti che i nemici sono potenti e forti e determinati con interessi dei quali solo LA PRESA DI COSCIENZA FA’ IMPALLIDIRE ED ABDICARE OGNI SPERANZA COME IL MOTTO PREFIGURATO da Dante: perdete ogni speranza!

Ma noi cara Greta non perdiamo la speranza detta, la rinnoviamo la organizziamo anche capillarmente e se solo in grado in ciò, con la stessa volontà di chi ucciso accompagnato da idealisti giovani come te, possiamo conquistare quartiere per quartiere città per città regione per regione nazione per nazione sino alla deriva di un nuovo stato unito nella ferma volontà non solo della tutela ma anche del cambiamento…

Ed riuscire a rimuovere ciò che attualmente governa il mondo globalizzato: un Papero un dittatore ex bolscevico passato al fascismo ed un ritorno al populismo dall’est fino al patrio suolo con la premessa di un nuovo fascismo di stato sullo stampo Orwelliano.

Allora cara Greta scusa e nello scusarmi allego alla presente un Sogno interrotto che solo la volontà dei giovani può resuscitare, un Sogno affogato nel sangue. Un Sogno ucciso perché incompatibile con quella Economia con interessi ingordi specchio non solo di una grande nazione ma di una genetica oserei dire - similar genetica - figlia del profitto e nemica dell’uomo immaginarsi di una fragile piccola grande futura donna…






I Frammenti qui raccolti sono prevalentemente il frutto del lavoro, dei viaggi e dei discorsi fatti e continuo a fare da quando, nel Gennaio del 1965, divenni senatore.
Al senato di questa grande nazione i problemi vengono trattati man mano che si presentano, e tutta la mia attenzione è ora rivolta a quel personaggio che occupa, democraticamente o meno, a seconda di come si ragiona ed accorda a questa retta condizione della medesima pensata, elevata condizione. Ragion per cui tutta la mia attenzione rivolta, giacché non del tutto privato della linfa non meno del democratico impegno, alla crisi di ogni momento ed avverso a chi di ugual principio abusa in nome e per conto di questo ed in cui l’evoluzione mi nomina difensore e custode.
Perciò in tali e brevi Frammenti non intendo delineare nessuno schema grandioso, nessun programma globale per la comune nazione o per il mondo, ma mi limito ad esaminare e ad approfondire le nostre reazioni di fronte ai problemi che ci stanno aggredendo con la maggiore urgenza e gravità se confrontati con quanto assunto con pochi e sgrammaticati tratti di penna, chi la penna non dovrebbe impugnare per medesime finalità ma pur in ragione di una certa e diffusa alfabetizzazione ne fa uso ricorrente ed improprio confondendo scrittura e cultura, lettura e sapere, business ed economia…
Proseguo…
Dalla fondazione della repubblica, da quando Thomas Jefferson, a trentadue anni, scrisse la Dichiarazione di indipendenza, Henry Knox, a ventisei, organizzò un corpo di artiglieria, Alexander Hamilton, a diciannove, andò a combattere per l’indipendenza, e Rutledge e Lynch, a ventisette, firmarono la Dichiarazione per la Carolina del Sud, ed ancora quando la Clinton e poi Obama riformarono a ragione ciò di cui il mio intervento circa la consapevolezza di una sanità ed assistenza per tutti, e quando quest’ultimo ha maturato retta consapevolezza ed urgenza di un piano ecologico per le nostre ed altrui ricchezze, ebbene…, mai giovane generazione di americani è stata più brillante, più preparata, più intimamente consapevole di quella attuale.
Nel Peace corps, nel Northern student movement, in Appalachia, sulle strade polverose del Mississippi e sugli stretti sentieri delle Ande, questa generazione di giovani ha mostrato idealismo e un amor di patria eguagliati in pochi paesi e superati in nessuno….
Si è tentati di far risalire alla guerra tutti i problemi della nostra gioventù malcontenta; ma sarebbe un errore!
E non si può neppure far risalire la causa del malcontento a un individuo, a un governo, a un partito politico; la diagnosi deve essere più profonda e più ampia.
Prendiamo per esempio la nostra economia, la stupefacente macchina produttiva che, a conti fatti, ci ha resi più ricchi (ed ancora di più come qualcuno promette con pochi e sgrammaticati tratti di penna - ma di quale comune ricchezza o difesa parla lascio alla limitata visione associata al pressapochismo circa la stessa economia la quale è cosa troppo seria per essere così infranta in ragione del comune principio che fa’ di ogni uomo ‘ricco di mondo’ nella povertà nonché brevità del contrario sottoscritto e nell’inganno firmato in nome della stessa [ricchezza] offesa nella finalità del principio privato: questione di miglior convenienza e veduta a lunga scadenza - questa forse più retta scienza….) di qualsiasi popolo nella storia, e che ci sostenta e ci mantiene tutti.
È una economia imprenditoriale, il che significa che la maggior parte degli abitanti di questa grande nazione è occupata in qualche genere d’affari. Era certamente giusto, anche se non molto edificante, quanto disse Coolidge: “Gli affari dell’America sono gli affari”. Eppure sappiamo da una recente ed ancor attuale indagine che solo ilo 12% degli studenti universitari seniors desidera una carriera nel mondo degli affari o ritiene che questa carriera possa essere degna e soddisfacente. Senza dubbio uno dei motivi è che mentre le grandi aziende rappresentano un vastissimo settore della vita americana, il loro ruolo nella soluzione dei problemi vitali del paese è minimo.
Diritti civili, povertà, disoccupazione, igiene, istruzione, sanità (sottolineo quest’ultimo argomento): ecco solo alcune gravi crisi di fronte a cui l’intervento della classe imprenditoriale, con alcune importanti eccezioni, è stato e continua ad essere molto inferiore a quanto ci si potesse aspettare.  Possiamo prendere atto di talune eccezioni, ma indiscusso ed indubbio che il mondo imprenditoriale nel suo complesso non ha raccolto la sfida per una ‘nuova frontiera’ della nazione, eccetto un diffuso dissenso che dalla frontiera migrato verso l’uno e l’altro polo di questo mondo così maltrattato!
Naturalmente si può ribattere che il compito dell’imprenditore è il profitto (è business dice il ‘quarantacinquesimo’ della lista…. degli imprenditori di certo non dei Padri Fondatori giacché vi è notevole confine… tra quelli e questa limitata ‘ragione’), che tentare di più vorrebbe dire fare meno di quanto è dovuto agli azionisti. Ma, chiedono i giovani, che valore ha questa obiezione quando una sola azienda, come la General Motors o un’altra consimile conserva dei profitti annui superiori al prodotto nazionale di un qualche paese del mondo? Per dei giovani educati da solidi principi accompagnati da retti ideali e per i moralisti di ogni tempo, l’etica che misura ogni cosa sulla base del profitto che se ne può ricavare è ancora più sgradita!
Infatti hanno ben visto alti funzionari (nonché acclamati ministri) delle nostre aziende ingannare elettori e democrazia e complottare accordi non solo sui prezzi, ma anche sui principi su cui la democrazia siede e presiede taluni incarichi e di cui la stessa dovrebbe tutelarci dall’opposto in ragione della comune difesa, talché anche questa è divenuta business con cui ingannare il popolo e non solo il giovane morto in una inutile guerra… in difesa e per conto di questa democrazia ‘disdetta’…
E come dicevo…, questi giovani hanno visto alti funzionari delle nostre più grandi aziende complottare accordi sui prezzi, complottare circa il principio della verità affinché le loro stesse aziende ne potessero trarre il maggior profitto ed illecito guadagno di cui inaffidabili soci in affari; incontrandosi in squallide riunioni segrete per rubare qualche miliardo al mese dalle tasche di milioni di cittadini e non solo americani!
Ci hanno visto mandare la gente in prigione perché in possesso di marijuana, mentre ci rifiutiamo di limitare la vendita o la pubblicità delle emissioni di gas nocivi che ogni anno uccidono migliaia di cittadini nel mondo visto che il nostro paese nell’aspettativa di diventar ancor più ricco grazie a questo impegno è quello che più inquina al mondo…
Infatti ci vedranno fra breve esitare ad imporre le più modeste norme di sicurezza ambientale nella costruzione delle automobili o a esigere che le società finanziarie dicano la verità sugli interessi richiesti per i prestiti che concedono.  Hanno intuito che la criminalità organizzata, questo impero della corruzione, della venalità ingorda e dell’estorsione, continua a prosperare, non soltanto tollerata ma spesso alleata a importanti personalità dei sindacati, del mondo degli affari e del governo.
Per queste ragioni - ora rinnovate ed aggiornate - forse molti giovani come molte donne nel loro manifesto disprezzo per gli eccessi del ‘materialismo’ di una falsa e non solo ingorda ricchezza ma dannosa economia, fanno eco agli insegnamenti di un altro giovane ribelle:

“Ed Egli mandò via i ricchi a mani vuote”.


Ma come ben vedete nel mio ed altrui sacrificio nulla servito perché i ricchi escono dallo stesso mio e vostro ‘studio’ a mani piene di monete e non solo… Ma ciò che respingono questi giovani è qualcosa di più di questi abusi dovuti al principio del profitto; spesso è proprio la natura del materialismo della nostra comune società e le sue conseguenze che li portano ad un ragionevole e rivoluzionario rifiuto. 





I sobborghi come avete visto rimangono ‘scatolette sparse su una collina… tutte fatte di cartapesta come un gioco di bambini con i loro giochi, tutte uguali’. ‘Col danaro non mi compero l’amore’, cantano. Ai loro occhi, misuriamo troppo spesso il valore di un uomo in base allo stipendio o a quello che possiede. In definitiva, ritengono che la vecchia generazione abbia rinunciato ai valori sociali e personali in cambio di ‘giocattoli’ che una volta qualcuno ha definito ‘una collezione di passatempi per gente immatura’.
Infatti approfondendo e aggiornando questo concetto, al proliferare di spazi inaccessibili e fortificati, si osserva una sempre più scarsa presenza dei luoghi pubblici, che invece dovrebbero favorire l’incontro, il dialogo, il confronto e lo scambio tra gli individui. Al loro posto sorgono invece nuovi spazi, creati appositamente per il consumo.  Le comunità locali e gli spazi pubblici non sono più quelli di una volta: perdendo ogni legame con il territorio e la capacità di essere occasioni di incontro, viene meno anche la loro funzione principale, cioè quella di aggregare le persone e tenerle unite. Nei luoghi di riunione si creavano anche norme, in modo da poter fare giustizia e da imporla orizzontalmente, sì da trasformare coloro che parlavano in una comunità, separata dagli altri e integrata al suo interno da criteri comuni e condivisi di valutazione. Ora, un territorio che venga privato di spazi pubblici offre scarse possibilità perché le norme vengano discusse, i valori messi a confronto, perché ci siamo scontri e negoziati. Ciò che viene a mancare è dunque lo spazio del confronto costruttivo, della discussione e della condivisione dei valori; tutte attività importanti e necessarie per costruire e tenere viva una comunità.  “Lungi dall’essere terreno di coltura dello spirito comunitario, le popolazioni locali sono piuttosto accozzaglie di entità prive di legami reciproci”. Le persone che sono escluse e si trovano a vivere assieme nello stesso spazio, condividono semplicemente un vincolo territoriale, ma legami di altro tipo non sussistono; per questo, pur essendo dei gruppi, delle comunità, non possono essere paragonati alle comunità del recente passato.
Questi fenomeni sfociano nella disgregazione delle collettività e nell’erosione degli spazi pubblici, come luoghi di incontro, e producono una condizione, volontaria o imposta, di isolamento dell’individuo: c’è chi sceglie di isolarsi e fa di tutto per rimanere distaccato e chi invece si trova escluso, estromesso, per volontà altrui, perché gli viene negato l’accesso. Le élites hanno prescelto l’isolamento e, per ottenerlo, pagano generosamente e volentieri. Il resto della popolazione si trova tagliata fuori e costretta a pagare l’alto prezzo culturale, psicologico e politico del nuovo isolamento in cui è caduta. Quanti non hanno i mezzi per scegliere di stare separati e di pagare i costi di servizi di sicurezza, si trovano a vivere gli aspetti passivi di questo fenomeno attuale.
Da una parte si trovano dunque le persone che si barricano nelle loro fortezze e dall’altra le persone che sono costrette a rimanere all’interno dei loro spazi, perché estromessi dalle aree di potere. In questo modo la distanza tra le élites che sperimentano l’extraterritorialità e le persone che invece rimangono legate alla territorialità aumenta inevitabilmente, e questa disparità si fa sentire ancor di più se si considera che extraterritorialità vuol dire anche libertà, capacità di movimento, in opposizione alla stanzialità e ai vincoli imposti dalla territorialità: “Se la nuova extraterritorialità della élite viene vissuta come una inebriante libertà, la territorialità degli altri non fa tanto pensare a una casa, a una base sicura, ma sempre più a una prigione, tanto più umiliante quanto più viene ostentata la libertà di movimento degli altri”.
…Abbiamo conservato gelosamente il nostro sistema educativo e soprattutto universitario considerandolo anch’esso uno dei pilastri della società liberale. Ma questa fede non è condivisa da tutti. Uno dei suoi critici ha detto: “L’educazione è per sua stessa natura un problema individuale… da mantenere al di fuori degli ingranaggi della produzione di massa. Il suo compito non è quello di produrre gente che, istintivamente, vada tutta nella stessa direzione… [eppure] i nostri milioni di studenti imparano tutti le stesse lezioni e trascorrono ore di fronte ad internet o alla televisione guardando più o meno le stesse cose e le stesse cose condividere in ugual identico momento. Per una ragione o per l’altra trascuriamo sempre più le differenze, quando addirittura non cerchiamo di dimenticarle. Andiamo diritti verso la standardizzazione dei cervelli, verso quello che Goethe chiamava ‘il mortale luogo comune che ci incatena tutti’ ”.
Chi ha parlato così non era un oratore di una manifestazione di Berkeley; era Edith Hamilton, uno dei nostri massimi cultori degli studi classici.
Giudizi molto simili vengono pronunciati dai nostri giovani critici. Così ha parlato un rappresentante degli studenti in una riunione del consiglio di amministrazione dell’università di California: “Abbiamo chiesto di essere ascoltati! Avete rifiutato e continuato a firmare accordi in nome del vostro business! Abbiamo chiesto giustizia e non solo per i neri. L’avete chiamata anarchia senza il dovuto codice a barre! Abbiamo chiesto la libertà al di fuori del limitato intento da voi nominato ‘geografia’ globale! L’avete chiamata ‘licenza’. Piuttosto che affrontare la paura e la sfiducia che avete motivato ad ogni vostro evento rinnovato numerato dal ‘sette all’otto’ con il russo corrisposto, avete chiamato tutto questo ‘comunismo’. Ci avete accusato di essere usciti dalle giuste vie. Ma siete a voi a precludercele con ogni vostro nuovo trattato e firma! Voi, non noi, avete edificato le università e non solo quelle sulla sfiducia e sulla disonestà”.
È impossibile fraintendere l’angoscia che scaturisce da queste ed altre proteste. Possono esserci molte cose dietro quel grido, ma una di queste è certamente la protesta dell’individuo contro l’‘universalità’ divenuta una corporazione burocratica troppo spesso foraggiata da interessi privati, contro l’ottusa standardizzazione di cui parlava Hamilton. Perché nella burocrazia e nella standardizzazione (anche con la virtuale e confusa se non addirittura mascherata  pretesa del contrario) c’è la negazione del valore dell’individuo e dell’importanza dell’uomo come tale: se tutti sono uguali, perché ascoltare ciò che il singolo ha da dire? Se non siamo disposti ad ascoltare, allora gli uomini non sono altro che numeri di una serie di statistica, una parte del prodotto nazionale lordo, come tante tazzine da caffè o tanti computer ove a piacimento ricavare dati o se non altro rubarli o spiarli…

(R. F. Kennedy, Vogliamo un mondo più nuovo)