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Uno sguardo, così di passata, anco alla mobilia rustica del signor
Berrettari, il cui nome passerà a’ posteri, di certo, all’ombra di quel suo
Salcio piangente, colle foglie di lamiera, articolate con catenelle di ferro e
tinte in un bel verde di cicoria che fa venir la bocca amara a vederlo.
Quella sì che è
un’invenzione peregrina, il Salcio piangente colle foglie di ferro!...
Quando una signora ci passa d’accanto e ci resta presa per le trine
della mantiglia o per le frangie dello scialle, la deve pronunziare il nome
dell’autore con un seguito di benedizioni e di auguri! da fare accapponare le
carni a un rinoceronte. E quando poi tira vento!...
Ah!... che delizia!...
Dai rami
flessuosi del Salcio si sprigiona un rumore come di barbazzali arrugginiti,
rimbussolati in un sacco suir uscio di scuderia; come d’una pioggia di chiodi in
un corbello.... è una voluttà da fare allegare! denti a un vecchio che mangi la
pappa colle gengive!...
E dire che con quella lamiera, prima che fosse tagliuzzata a quel
modo, c’era da farci una teglia per le pere cotte!...
Onnipotenza dell’ingegno
umano!
Una tentazione
forte, ma forte davvero, l’ho provata innanzi alle
gabbie e ai tripodetti del signor Cardella di Roma, che sfronda le ghirlande di
pugnitopi agli artefici del Giappone con que’ suoi lavori mirabili a imitazione
di Bambù, in nero e oro.
Ho veduto ieri una gabbia con una certa fontana nel mezzo, che
rammenta le macchinette idrauliche della signora Monti fornitrice dei Regi
Spedali, e ho domandato a me stesso che razza d’uccello poteva chiamarsi degno
di una prigione così sontuosa. Mi parrebbe di sciuparla anco a metterci dentro
un Cardinale!...
E costa settecento lire sole!...
Mi frugai in tasca immediatamente.... e non ci trovai che un
fazzoletto da naso!
Ironia del destino!...
Se ci trovavo settecento lire, ieri era la giornata che facevo un
deposito alla Cassa di risparmio!...
(Y. figlio di
Y.)
Uscito per una
pausa di quiete dalla ‘fiera mostra’ mostro fiero sospetto circa il Progresso
divenuto mostro, ed anche se questo dona apparente salute allungando e curando
la prospettiva della Vita, penso in Verità che il vero diavolo abbia creato un
meccanismo perverso confondendo Dio e Progresso, Vita e Salute, anche se
possiamo - un domani - salvarci dalle nostre stesse mani, curarci dalle piaghe
con le quali appesteremo il futuro, difettevole il ragionamento coniugato allo
Spirito non men del corpo, così ragionando con me stesso volgo gli occhi ad una
Chiesa forse un Tempio, l’occhio in questo breve momento di pausa fa pace con
se stesso non ponendo distinguo e differenza in ciò cui Filosofi e Teologi
intendevano uniti circa Spirito e Materia…
Ed odo una
predica…:
Poiché
capita a molti di noi, temo, di raccomandare le nostre attività preferite per
presunzione più che per affetto verso gli altri, di modo che a volte, proprio
mentre indichiamo la via da intraprendere, per essere ammirati ci piace
sottolineare l’impervietà invece di districarla, donde può nascere una naturale
diffidenza verso la nostra raccomandazione nelle menti di chi non abbia ancora
percepito alcun valore nell’oggetto che lodiamo; e poiché, inoltre, gli uomini
di questo secolo intendono la parola utilità in uno strano modo, o almeno
(perché la parola fu spesso intesa così fin dal principio del mondo) dato che
di questi tempi essi agiscono assai più frequentemente in accordo a questo suo
senso più limitato, conferendogli maggior peso pratico ed autorità: sarà bene che in apertura io definisca con
esattezza qual genere di utilità io intenda attribuire all’arte, e in
particolare alle discipline artistiche interessate a quelle impressioni di
bellezza esteriore, di cui il presente saggio intende scoprire la natura.
Cioè a
dire, che a ogni creatura è eminentemente utile ciò che la ponga in condizione
di adempiere con giustizia e con pienezza le funzioni cui l’ha destinato il
Creatore.
Pertanto, affinché possiamo determinare che cosa
sia principalmente utile all’uomo, è
innanzitutto necessario determinare a quale uso sia destinato l’uomo stesso.
L’uso e la
funzione dell’uomo (e chi non mi concede questo farà meglio a fermarsi qui,
perché mi propongo di tener fermo per sempre quanto segue) sono:
…di essere testimonio della gloria di Dio e di
aumentare quella gloria per mezzo della sua obbedienza ragionevole e della
felicità che ne risulta. Ciò che ci mette in condizione di adempiere questa
funzione è, nel senso puro e primo della parola, utile per noi: eminentemente,
pertanto, ciò che illustri più splendidamente ai nostri occhi la gloria di Dio.
Le cose ci aiutano soltanto a esistere, invece,
sono utili (soltanto) in un senso secondario e meschino; o piuttosto, se
considerate di per sé, sono utili e peggio, perché sarebbe meglio per noi non
esistere, piuttosto che colpevolmente fallire gli scopi della nostra esistenza.
Eppure in quest’epoca meccanica la gente, quando parla
col cuore, parla come se soltanto terre e case e cibo e indumenti fossero
utili, e come se visione, pensiero e ammirazione fossero cosa senza profitto,
così che gli uomini, battezzatisi insolentemente ‘utilitaristi’, potendolo
trasformerebbero se stessi e la propria razza in ortaggi, uomini che pensano,
se questo può dirsi pensare, che la carne ammannita nel piatto sia più della
vita, e l’indumento più del corpo che riveste, che considerano la terra una
stalla, e i suoi frutti mangime; vignaioli e agricoltori, che amano il grano
che macinano e i grappoli che torchiano più dei giardini angelici sui pendii
dell’Eden; gente che segando il legno e attingendo l’acqua, pensa che sia per
dar loro legno da segare e acqua da attingere che le foreste di pini coprono le
montagne come l’ombra di Dio, e i grandi fiumi fluiscono come la Sua eternità.
E così piomba su di noi la sventura del
predicatore, che sebbene Dio abbia ‘fatto tutto bello, a suo tempo, e anche
l’idea dell’eternità abbia posto nel cuore dell’uomo, egli però non riesce a
rendersi conto e ragione, dal principio alla fine, dell’opera che Dio ha
compiuto’.
Questa
maledizione di Nabucodonosor, che manda gli uomini alla mangiatoia come buoi,
pare seguire fin troppo da vicino l’eccesso o il prolungarsi delle potenze
delle nazioni, e della pace. Nelle angustie e nelle lotte per l’esistenza,
nella loro infanzia e impotenza, perfino nella loro disorganizzazione le
nazioni nutrono più alte speranze e più nobili passioni.
Dalla
sofferenza nasce la serietà della mente; dalla salvazione il cuore
riconoscente; dalla sopportazione la fortezza; dalla liberazione la fede; ma
quando le nazioni hanno imparato a vivere sotto la tutela delle leggi, con
decoro e giustizia e riguardo scambievole, e quando si sono liberate dai fomiti
esterni e violenti di sofferenza, mali
peggiori paiono scaturire dalla loro quiete; mali che sferzano meno ma
mortificano di più, che succhiano il sangue, anche se non ne versano, e
ossificano il cuore, anche se non lo mettono alla tortura.
E per quanti motivi di riconoscenza abbia un
popolo in pace
con gli altri e unito al suo interno, ha anche motivi di timore, d’un timore
più grande di quel che ispirano la spada e la sedizione: che possa cadere nel
dimenticatoio la nostra dipendenza da Dio, perché il pane è certo e l’acqua
sicura; che possiamo cessare d’essergli grati, perché la costanza della sua
protezione ha preso le sembianze di una legge di natura; che la speranza nelle
cose del cielo s’indebolisca, quando si consumano con pienezza quelle del
mondo; che l’egoismo possa sostituirsi alla devozione spontanea, la compassione
sia dissolta dalla vanagloria, e l’amore dalla dissimulazione; che la
fiacchezza succeda alla forza, l’apatia alla pazienza, e un rumore di parole
sarcastiche, una sciacquatura di pensieri bui, alla purezza, alla serietà della
cintura stretta ai lombi e della lampada accesa.
Sul fiume della vita dell’uomo soffia un vento
rigido, anche se splende un sole celestiale;
l’iris dà colore alla sua agitazione, il gelo si forma sul suo riposo. Facciamo
attenzione che il nostro riposo non divenga come il riposo delle pietre, che
finché il torrente le fa rotolare e il fulmine le colpisce serbano la loro
maestà, ma quando la corrente tace e la bufera passa, lasciano che l’erba le
ricopra e il lichene prosperi su di loro, e la polvere le seppellisce.
E per
quanto io creda che ci sia abbastanza sale di menti piene d’ardore e santità da
preservarci almeno in parte dagli effetti di questa (immane) decadenza morale,
i segni d’essa, però vanno sorvegliati con ansia, in tutte le questioni per
quanto banali, in tutte le direzioni per quanto lontane.
E in quest’epoca in cui le strade ferrate
straziano la superficie d’Europa come la mitraglia le onde del mare;
...quando la
loro grande rete ne impiglia e spreme l’antica impalcatura e l’antica forza, comprimendole
tutte le svariate forme di vita, delle montagne che n’erano le braccia alle
campagne che n’erano il cuore, in una esigua, limitata, calcolatrice metropoli
di manifatture;
quando non
un solo antico monumento esiste nelle città d’Europa che parli dei tempi
passati e di popoli possenti e che non sia sul punto d’essere spazzato via per
costruire al suo posto caffè e case da gioco;
quando si
pensa che l’onore di Dio consista nella povertà del Suo tempio, e la colonna
viene scorciata, il pinnacolo abbattuto, il colore negato alla vetrata e il
marmo all’altare, mentre si svuotano le casse per il lusso dei ‘boudoirs’ e
l’ostentazione dei saloni di ricevimento;
quando
devastiamo senza mai rifiatare la bellezza di quella creazione che Dio, una
volta compiuta, chiamò ‘buona’, e distruggiamo senza un ripensamento opere cui
gli uomini dedicarono la propria vita intera e quella dei loro figli, e che
hanno lasciato in eredità a tutta la loro specie, un’eredità di sangue ma non
solo, perché è piuttosto il frutto dei travagli delle loro anime;
...ecco che
c’è bisogno, acuto bisogno di far risovvenire agli uomini che vivere è niente,
se vivere non è conoscere Colui dal quale abbiamo la vita; e che Egli non si
conosce sfigurando le opere, e confondendo la traccia del Suo riflesso sopra le
Sue Creature; né in mezzo alle folle frettolose o al frastuono delle
innovazioni, ma in luoghi solitari, e per mezzo delle radiose intelligenze che
Egli diede agli uomini d’un tempo.
Egli non
insegnò loro a costruire per la gloria e la bellezza; non diede loro quelle
coraggiose, fiduciose energie ereditarie che mettevano al lavoro da morte a
morte, generazione dopo generazione, così che noi potessimo consegnare l’opera
e l’espressione del loro spirito all’ascia e al martello.
Egli non ha
trapunto la terra di fiumi, in modo che le loro bianche libere onde potessero
far girare ruote e spingere remi, né al di sotto l’avrebbe sconvolta come il
fuoco perché potesse scaldare le sorgenti e curare le malattie; non porta le
Sue quaglie sul vento dell’est soltanto per farle cadere, morte e commestibili
sull’accampamento degli uomini.
Egli non ha
formato la roccia delle montagne soltanto perché vi si aprano le cave, né
vestito l’erba dei campi soltanto per l’essiccatore; né le parole dettate dalla
natura al poeta per essere barattate per la più meschina bugia….
(J. Ruskin)
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