giuliano

lunedì 6 aprile 2020

& L'ACQUA SANTA (4)










































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La festa dei Fiori (1/2)

Il Diavolo... (3)

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Viole & Pensiero (5)













Uno sguardo, così di passata, anco alla mobilia rustica del signor Berrettari, il cui nome passerà a’ posteri, di certo, all’ombra di quel suo Salcio piangente, colle foglie di lamiera, articolate con catenelle di ferro e tinte in un bel verde di cicoria che fa venir la bocca amara a vederlo. 

Quella sì che è un’invenzione peregrina, il Salcio piangente colle foglie di ferro!...

Quando una signora ci passa d’accanto e ci resta presa per le trine della mantiglia o per le frangie dello scialle, la deve pronunziare il nome dell’autore con un seguito di benedizioni e di auguri! da fare accapponare le carni a un rinoceronte. E quando poi tira vento!...

Ah!... che delizia!...




Dai rami flessuosi del Salcio si sprigiona un rumore come di barbazzali arrugginiti, rimbussolati in un sacco suir uscio di scuderia; come d’una pioggia di chiodi in un corbello.... è una voluttà da fare allegare! denti a un vecchio che mangi la pappa colle gengive!...

E dire che con quella lamiera, prima che fosse tagliuzzata a quel modo, c’era da farci una teglia per le pere cotte!...

Onnipotenza dell’ingegno umano!

Una tentazione forte, ma forte davvero, l’ho provata innanzi alle gabbie e ai tripodetti del signor Cardella di Roma, che sfronda le ghirlande di pugnitopi agli artefici del Giappone con que’ suoi lavori mirabili a imitazione di Bambù, in nero e oro.




Ho veduto ieri una gabbia con una certa fontana nel mezzo, che rammenta le macchinette idrauliche della signora Monti fornitrice dei Regi Spedali, e ho domandato a me stesso che razza d’uccello poteva chiamarsi degno di una prigione così sontuosa. Mi parrebbe di sciuparla anco a metterci dentro un Cardinale!...

E costa settecento lire sole!...

Mi frugai in tasca immediatamente.... e non ci trovai che un fazzoletto da naso!

Ironia del destino!...

Se ci trovavo settecento lire, ieri era la giornata che facevo un deposito alla Cassa di risparmio!...

(Y. figlio di Y.)



  
Uscito per una pausa di quiete dalla ‘fiera mostra’ mostro fiero sospetto circa il Progresso divenuto mostro, ed anche se questo dona apparente salute allungando e curando la prospettiva della Vita, penso in Verità che il vero diavolo abbia creato un meccanismo perverso confondendo Dio e Progresso, Vita e Salute, anche se possiamo - un domani - salvarci dalle nostre stesse mani, curarci dalle piaghe con le quali appesteremo il futuro, difettevole il ragionamento coniugato allo Spirito non men del corpo, così ragionando con me stesso volgo gli occhi ad una Chiesa forse un Tempio, l’occhio in questo breve momento di pausa fa pace con se stesso non ponendo distinguo e differenza in ciò cui Filosofi e Teologi intendevano uniti circa Spirito e Materia…

Ed odo una predica…:



                     
Poiché capita a molti di noi, temo, di raccomandare le nostre attività preferite per presunzione più che per affetto verso gli altri, di modo che a volte, proprio mentre indichiamo la via da intraprendere, per essere ammirati ci piace sottolineare l’impervietà invece di districarla, donde può nascere una naturale diffidenza verso la nostra raccomandazione nelle menti di chi non abbia ancora percepito alcun valore nell’oggetto che lodiamo; e poiché, inoltre, gli uomini di questo secolo intendono la parola utilità in uno strano modo, o almeno (perché la parola fu spesso intesa così fin dal principio del mondo) dato che di questi tempi essi agiscono assai più frequentemente in accordo a questo suo senso più limitato, conferendogli maggior peso pratico ed autorità: sarà bene che in apertura io definisca con esattezza qual genere di utilità io intenda attribuire all’arte, e in particolare alle discipline artistiche interessate a quelle impressioni di bellezza esteriore, di cui il presente saggio intende scoprire la natura. 




Cioè a dire, che a ogni creatura è eminentemente utile ciò che la ponga in condizione di adempiere con giustizia e con pienezza le funzioni cui l’ha destinato il Creatore.

Pertanto, affinché possiamo determinare che cosa sia principalmente utile all’uomo, è innanzitutto necessario determinare a quale uso sia destinato l’uomo stesso.

L’uso e la funzione dell’uomo (e chi non mi concede questo farà meglio a fermarsi qui, perché mi propongo di tener fermo per sempre quanto segue) sono:




…di essere testimonio della gloria di Dio e di aumentare quella gloria per mezzo della sua obbedienza ragionevole e della felicità che ne risulta. Ciò che ci mette in condizione di adempiere questa funzione è, nel senso puro e primo della parola, utile per noi: eminentemente, pertanto, ciò che illustri più splendidamente ai nostri occhi la gloria di Dio.

Le cose ci aiutano soltanto a esistere, invece, sono utili (soltanto) in un senso secondario e meschino; o piuttosto, se considerate di per sé, sono utili e peggio, perché sarebbe meglio per noi non esistere, piuttosto che colpevolmente fallire gli scopi della nostra esistenza.




Eppure in quest’epoca meccanica la gente, quando parla col cuore, parla come se soltanto terre e case e cibo e indumenti fossero utili, e come se visione, pensiero e ammirazione fossero cosa senza profitto, così che gli uomini, battezzatisi insolentemente ‘utilitaristi’, potendolo trasformerebbero se stessi e la propria razza in ortaggi, uomini che pensano, se questo può dirsi pensare, che la carne ammannita nel piatto sia più della vita, e l’indumento più del corpo che riveste, che considerano la terra una stalla, e i suoi frutti mangime; vignaioli e agricoltori, che amano il grano che macinano e i grappoli che torchiano più dei giardini angelici sui pendii dell’Eden; gente che segando il legno e attingendo l’acqua, pensa che sia per dar loro legno da segare e acqua da attingere che le foreste di pini coprono le montagne come l’ombra di Dio, e i grandi fiumi fluiscono come la Sua eternità.




E così piomba su di noi la sventura del predicatore, che sebbene Dio abbia ‘fatto tutto bello, a suo tempo, e anche l’idea dell’eternità abbia posto nel cuore dell’uomo, egli però non riesce a rendersi conto e ragione, dal principio alla fine, dell’opera che Dio ha compiuto’.

Questa maledizione di Nabucodonosor, che manda gli uomini alla mangiatoia come buoi, pare seguire fin troppo da vicino l’eccesso o il prolungarsi delle potenze delle nazioni, e della pace. Nelle angustie e nelle lotte per l’esistenza, nella loro infanzia e impotenza, perfino nella loro disorganizzazione le nazioni nutrono più alte speranze e più nobili passioni.




Dalla sofferenza nasce la serietà della mente; dalla salvazione il cuore riconoscente; dalla sopportazione la fortezza; dalla liberazione la fede; ma quando le nazioni hanno imparato a vivere sotto la tutela delle leggi, con decoro e giustizia e riguardo scambievole, e quando si sono liberate dai fomiti esterni e violenti di sofferenza, mali peggiori paiono scaturire dalla loro quiete; mali che sferzano meno ma mortificano di più, che succhiano il sangue, anche se non ne versano, e ossificano il cuore, anche se non lo mettono alla tortura.




E per quanti motivi di riconoscenza abbia un popolo in pace con gli altri e unito al suo interno, ha anche motivi di timore, d’un timore più grande di quel che ispirano la spada e la sedizione: che possa cadere nel dimenticatoio la nostra dipendenza da Dio, perché il pane è certo e l’acqua sicura; che possiamo cessare d’essergli grati, perché la costanza della sua protezione ha preso le sembianze di una legge di natura; che la speranza nelle cose del cielo s’indebolisca, quando si consumano con pienezza quelle del mondo; che l’egoismo possa sostituirsi alla devozione spontanea, la compassione sia dissolta dalla vanagloria, e l’amore dalla dissimulazione; che la fiacchezza succeda alla forza, l’apatia alla pazienza, e un rumore di parole sarcastiche, una sciacquatura di pensieri bui, alla purezza, alla serietà della cintura stretta ai lombi e della lampada accesa.




Sul fiume della vita dell’uomo soffia un vento rigido, anche se splende un sole celestiale; l’iris dà colore alla sua agitazione, il gelo si forma sul suo riposo. Facciamo attenzione che il nostro riposo non divenga come il riposo delle pietre, che finché il torrente le fa rotolare e il fulmine le colpisce serbano la loro maestà, ma quando la corrente tace e la bufera passa, lasciano che l’erba le ricopra e il lichene prosperi su di loro, e la polvere le seppellisce.

E per quanto io creda che ci sia abbastanza sale di menti piene d’ardore e santità da preservarci almeno in parte dagli effetti di questa (immane) decadenza morale, i segni d’essa, però vanno sorvegliati con ansia, in tutte le questioni per quanto banali, in tutte le direzioni per quanto lontane.

E in quest’epoca in cui le strade ferrate straziano la superficie d’Europa come la mitraglia le onde del mare;




...quando la loro grande rete ne impiglia e spreme l’antica impalcatura e l’antica forza, comprimendole tutte le svariate forme di vita, delle montagne che n’erano le braccia alle campagne che n’erano il cuore, in una esigua, limitata, calcolatrice metropoli di manifatture;

quando non un solo antico monumento esiste nelle città d’Europa che parli dei tempi passati e di popoli possenti e che non sia sul punto d’essere spazzato via per costruire al suo posto caffè e case da gioco;

quando si pensa che l’onore di Dio consista nella povertà del Suo tempio, e la colonna viene scorciata, il pinnacolo abbattuto, il colore negato alla vetrata e il marmo all’altare, mentre si svuotano le casse per il lusso dei ‘boudoirs’ e l’ostentazione dei saloni di ricevimento;

quando devastiamo senza mai rifiatare la bellezza di quella creazione che Dio, una volta compiuta, chiamò ‘buona’, e distruggiamo senza un ripensamento opere cui gli uomini dedicarono la propria vita intera e quella dei loro figli, e che hanno lasciato in eredità a tutta la loro specie, un’eredità di sangue ma non solo, perché è piuttosto il frutto dei travagli delle loro anime;




...ecco che c’è bisogno, acuto bisogno di far risovvenire agli uomini che vivere è niente, se vivere non è conoscere Colui dal quale abbiamo la vita; e che Egli non si conosce sfigurando le opere, e confondendo la traccia del Suo riflesso sopra le Sue Creature; né in mezzo alle folle frettolose o al frastuono delle innovazioni, ma in luoghi solitari, e per mezzo delle radiose intelligenze che Egli diede agli uomini d’un tempo.

Egli non insegnò loro a costruire per la gloria e la bellezza; non diede loro quelle coraggiose, fiduciose energie ereditarie che mettevano al lavoro da morte a morte, generazione dopo generazione, così che noi potessimo consegnare l’opera e l’espressione del loro spirito all’ascia e al martello.




Egli non ha trapunto la terra di fiumi, in modo che le loro bianche libere onde potessero far girare ruote e spingere remi, né al di sotto l’avrebbe sconvolta come il fuoco perché potesse scaldare le sorgenti e curare le malattie; non porta le Sue quaglie sul vento dell’est soltanto per farle cadere, morte e commestibili sull’accampamento degli uomini.

Egli non ha formato la roccia delle montagne soltanto perché vi si aprano le cave, né vestito l’erba dei campi soltanto per l’essiccatore; né le parole dettate dalla natura al poeta per essere barattate per la più meschina bugia….

(J. Ruskin)








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