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L’ALGORITMO (o il segugio meccanico)
Il Segugio
Meccanico dormiva, ma senza dormire, viveva, ma senza vivere, nel suo canile
dolcemente ronzante, dolcemente vibrante, tutto soffuso d’una luce blanda, in
fondo a un angolo buio della casa del fuoco. La luce fioca dell’una dopo
mezzanotte, la luce della luna che pioveva dal gran cielo aperto incorniciato
nell'intelaiatura della finestra immensa, sfiorava qua e là il bronzo, il rame,
l’acciaio della belva percorsa da un lievissimo tremito. La luce sfavillava su
perline color rubino e sui sensibili peli capillari nelle narici irsute di
nylon della creatura che fremeva, vibrava lievissimamente con le otto zampe
disposte come quelle di un ragno sotto il corpo su zampe dai cuscinetti di
gomma.
Montag si
lasciò scivolare avvinghiato al palo di bronzo. Uscì per dare un’occhiata alla
città: le nubi erano scomparse del tutto; e allora accese una sigaretta e,
rientrato, si chinò a guardare il Segugio. Era come una grande ape tornata nel
nido da qualche campo dove il miele è saturo di una selvatichezza intossicante,
di follia e di incubi, il corpo infarcito di quel nettare troppo profumato e
squisito; ed ora si liberava dormendo del male assimilato.
‘Ciao’
bisbigliò Montag, affascinato come sempre dalla belva morta e vivente insieme.
Quelle notti quando tutto diveniva tedioso, e questo avveniva ogni notte, gli uomini si lasciavano scivolare lungo i pali di bronzo e attivate le ticchettanti combinazioni del sistema olfattivo del Segugio lanciavano libere nel cortile della caserma torme di topi, talvolta polli e tal’altra gatti che comunque bisognava affogare, e si facevano scommesse per vedere quale dei topi, o dei polli o dei gatti il Segugio avrebbe afferrato per primo. Le prede venivano liberate, e tre secondi dopo tutto era finito; il topo, il gatto, il pollo era stato catturato nel mezzo del cortile, tenuto fermo delicatamente tra zampe sensibili, mentre un ago d’acciaio, lungo dieci centimetri, spuntava dalla proboscide del Segugio per iniettare dosi massicce di morfina o procaina. La vittima veniva poi gettata nell’incineratore, e una nuova caccia aveva inizio.
Montag
rimaneva molte notti nel piano superiore, durante queste caccie con scommessa.
C’era stato un tempo, due anni prima, in cui aveva scommesso con i migliori e
perduto una settimana di salario e affrontato la folle ira di Mildred, ira che
si rivelava in vene turgide e macchie rossastre sulla faccia. Ma ora la notte
se ne stava in branda, con la faccia rivolta verso il muro, a sentire gli
scoppi di risa nel cortile e lo scalpiccio dei topi simile a corde di
pianoforte, lo stridulo violino del loro squittire e la grande ombra del
Segugio che balzava silenziosa come una falena nella luce cruda, trovava la
vittima, la tratteneva, inseriva l’ago e ritornava al suo canile a morire come
se un interruttore elettrico fosse stato girato.
Montag lo toccò sulla punta del muso.
Il Segugio
ringhiò.
Montag fece
un salto indietro.
Il Segugio
si levò a mezzo entro il canile e lo guardò con una luce verdazzurra al neon
accesasi nei globi oculari bruscamente attivatisi. Ringhiò ancora, strana
combinazione rauca di uno sfrigolio elettrico, di un crepitio, un grattamento
metallico, un girar di ruote dentate che si sarebbero dette arrugginite e
invecchiate dalla diffidenza.
‘Buono,
buono, amico’ disse Montag, col cuore in tumulto. Vide l’ago argenteo sporgere
per un buon quarto della sua lunghezza, rientrare, sporgere di nuovo, rientrare.
Il ringhio affondò nell’interno della belva, che lo guardò.
Montag
indietreggiò.
Il Segugio
uscì di un passo dal canile. Montag si afferrò con una mano al palo di bronzo
Il palo, reagendo, scivolò verso l’alto, sollevandolo fin oltre il soffitto, silenziosamente.
Egli si staccò dal palo sulla piattaforma in penombra dell’ultimo piano.
Tremava tutto e la sua faccia era livida. Sotto, il Segugio s’era afflosciato
sulle sue otto incredibili zampe da insetto e mormorava ancora tra sé, gli
sfaccettati occhi in pace.
Montag rimase in attesa di guarir delle sue paure presso la buca di discesa. Alle sue spalle, quattro uomini seduti a un tavolino da gioco sotto un paralume verde nell’angolo gli lanciarono delle occhiate fuggevoli, ma non dissero nulla. Soltanto l’uomo che aveva il berretto da capitano e il simbolo della fenice sul berretto, alla fine, incuriosito, le carte nella mano sottile, gli gridò dal fondo della lunga sala:
‘Montag...?’
‘Non gli
garbo’ disse Montag.
‘A chi, al
Segugio?’
Il capitano
studiò le sue carte.
‘Smettila!
Non è che gli garbi o non gli garbi questo o quello; ‘funziona’, ecco tutto, è
come una lezione di balistica. Ha una traiettoria, che noi scegliamo per lui. E
lui la segue fino in fondo, raggiunge da sé il bersaglio, torna da sé alla base
e si smonta da sé. Non è che un ammasso di fili di rame, di batterie e di
elettricità’.
Montag inghiottì.
‘I suoi meccanismi calcolatori possono essere fissati a qualunque combinazione, tanti aminoacidi, tanto zolfo, tanti grassi e sostanze alcaline. Giusto?’
‘Certo’.
‘Tutti
questi equilibri chimici, queste percentuali e proporzioni organiche in ognuno
di noi qui della Caserma del fuoco sono registrati nell’ufficio matricola giù
da basso. Sarebbe facile a qualcuno provocare una combinazione parziale della ‘memoria’
del Segugio, un pizzico di aminoacidi, forse. Ciò spiegherebbe perché il
Segugio si è condotto in un certo modo poco fa: ha reagito contro di me’.
‘Diavolo’
disse il capitano.
‘Irritato,
ma non precisamente inferocito. Solo un ‘ricordo’ inserito nel Segugio da
qualcuno, un ricordo sufficiente a farlo ringhiare a una mia carezza’.
‘Chi vuoi che faccia una cosa simile?’ domandò il capitano. ‘Tu non hai nemici qui, Guy’.
‘Nessuno,
che io mi sappia’.
‘Domani
faremo fare ai nostri tecnici un controllo del Segugio’.
‘Ma questa
non è la prima volta che il Segugio mi minaccia’ riprese Montag. ‘Il mese
scorso un fatto simile si è ripetuto due volte’.
‘Provvederemo,
vedrai. Non prendertela’.
Ma Montag
non si mosse, rimase a pensare alla grata dell’impianto d’aerazione, nell’anticamera
della sua casa, e a ciò che stava nascosto dietro quella grata. Se qualcuno
della Caserma avesse saputo di quella grata, chi poteva impedirgli di ‘dirlo’
al Segugio?
Il capitano gli si avvicinò presso la buca di discesa e lanciò a Montag un’occhiata interrogativa.
‘Il Segugio
non pensa nulla che non vogliamo’.
‘E questo
mi rattrista’ ribatté Montag con calma, ‘perché tutto quello che lo abbiamo
condizionato a pensare è la caccia, la scoperta della vittima e la sua
uccisione. Che vergogna se questo sarà tutto quanto avrà mai pensato!’
Beatty ebbe
un lieve sogghigno, quasi affettuoso:
‘Diamine,
ma il Segugio rappresenta un trionfo della tecnica, un buon fucile che
raggiunge da sé il bersaglio e ti garantisce ogni volta di fare centro’.
‘È proprio
per questo. Non vorrei essere la sua prossima vittima’.
‘Ma perché?
La coscienza ti rimprovera forse qualche cosa?’
Montag levò
di scatto gli occhi sul capitano. Steady lo stava fissando, mentre la sua bocca
si dischiudeva e cominciava a ridere, dolcemente.
(Ray Bradbury Fahrenheit 451)
“L’industria appare quando la fonte di informazione e la fonte di energia si separano, quando l’Uomo non è che la fonte dell’informazione e alla Natura si richiede di fornire l’energia. La macchina si distingue dallo strumento nel fatto di essere un relais: essa ha due punti di entrata, quello dell’energia e quello dell’informazione”.
Questa intuizione di Simondon (2006) sulla rivoluzione industriale non serve a sottolineare un continuum tra due ere tecnologiche, per dire che informazionalismo e industrialismo sono alla fine la stessa cosa, ma al contrario serve per riconoscere, come Deleuze e Guattari (1980) avrebbero registrato, una biforcazione del phylum macchinico.
[….]
In questo testo propongo di mettere a fuoco in particolare l’algoritmo come la forma logica intrinseca della macchine informazionali e del cosiddetto codice digitale. Il ruolo centrale dell’algoritmo è riconosciuto dalla maggioranza degli studiosi della media theory e in maniera unanime, chiaramente, da quelli della cibernetica, dove l’algoritmo è il fondamento della nozione di “macchina astratta” (Goffey 2008; Mackenzie 2006). Come accade nel caso dei videogiochi, l’algoritmo non si presenta solo come astrazione matematica ma “proietta” una vera e propria soggettività fisica al di fuori di se stesso. L’algoritmo esce dallo schermo e “gioca” a sua volta l’operatore che si trova di fronte alla macchina.
Gli
algoritmi
non sono oggetti autonomi, ma plasmati essi stessi dalla “pressione” delle
forze sociali esterne. L’algoritmo svela la dimensione
macchinica delle macchine informazionali contro l’interpretazione semplicemente
“linguistica” della prima media theory.
Ad ogni modo, due tipi di macchine informazionali o algoritmi vanno distinti: algoritmi per tradurre informazione in informazione (quando si codifica un flusso in un altro flusso) e algoritmi per accumulare informazione ed estrarre metadati, ovvero per produrre informazione su informazione.
È in
particolare la scala dell’estrazione di metadati che disvela nuove prospettive
sull’economia e sulla governance dei
nuovi mezzi di produzione. La magnitudine dell’attuale accumulazione di metadati
è tale da aver spinto l’“Economist” (2010) a definirla una vera e propria
“industrial revolution of data” (Pasquinelli 2010).
Simondon
riconobbe la macchina industriale già come relais info-meccanico, oggi una
ulteriore biforcazione del phylum
macchinico deve essere introdotta per riconoscere la
macchina di Turing come un relais meta-informazionale, che si trova a
gestire appunto informazione e metadati (o informazione sull’informazione). I
metadati rappresentano la “misura” dell’informazione, il calcolo della sua
dimensione “sociale” e la sua immediata traduzione in valore.
Come mostrato da Alquati, l’apparato cibernetico deve essere continuamente alimentato e sostenuto dai flussi di informazione prodotti dai lavoratori, ma è nello specifico l’informazione sull’informazione, o metadati, che serve per migliorare l’organizzazione dell’intera fabbrica, il design delle macchine e il valore dei prodotti. Grazie a questa intuizione di Alquati, le macchine di Turing possono essere definite generalmente come macchine per l’accumulazione di informazione, l’estrazione di metadati e l’implementazione di intelligenza macchinica. Il diagramma della macchina di Turing offre un modello pragmatico per capire come l’informazione viva sia trasformata in intelligenza macchinica.
Come le
termo-macchine industriali misuravano il plusvalore in termini di energia per
unità di tempo, le info-macchine del postfordismo pongono il valore all’interno
di un ipertesto e lo misurano in termini di link per nodo: si veda il chiaro esempio
dell’algoritmo PageRank
di Google (Pasquinelli 2009).
La massiccia accumulazione di informazione e la relativa estrazione di metadati che avviene ogni giorno sulle reti digitali globali – a opera di motori di ricerca come Google, social network come Facebook, librerie online come Amazon, e molti altri servizi – rappresentano un nuovo complesso campo di ricerca noto per il momento come big data. Brevemente, qui si può riassumere questo campo dicendo che i metadati sono usati per: 1) misurare l’accumulazione e il valore delle relazioni sociali; 2) migliorare il design della conoscenza macchinica.
Ad
un primo livello, l’accumulazione di informazione rispecchia e misura la
produzione di relazioni sociali per trasformare queste nel valore di una data
merce.
Le
tecnologie digitali sono davvero capaci di condensare e cartografare nel
dettaglio quelle “relazioni sociali” che costituiscono la natura del capitale
e compongono “la produzione del comune”.
Si vedano social media come Facebook e il modo in cui trasformano la
comunicazione collettiva in economia dell’attenzione, o si veda l’economia di
prestigio stabilita dall’algoritmo PageRank di Google.
I metadati descrivono qui un plusvalore di rete – dove per rete si intende la rete delle relazioni sociali in senso marxiano (il capitale come relazione sociale). 2. I metadati sono usati per il perfezionamento dell’intelligenza macchinica. Ad un secondo livello, l’estrazione di metadati fornisce informazioni per migliorare e mettere a punto l’intelligenza macchinica di ogni dispositivo: dai programmi software al knowledge management, dall’usabilità delle interfacce alla logistica.
La sfera digitale
è una sorta di autonomon che si
regola da sé: i flussi di informazione sono usati costantemente per migliorare
l’organizzazione interna e per creare algoritmi più efficienti. Come nella
fabbrica cibernetica descritta da Alquati, i flussi di informazione
valorizzante sono trasformati in capitale fisso: il che significa che sono
trasformati in intelligenza delle macchine.
Si veda ancora l’algoritmo PageRank di Google e il modo in cui esso evolve a seconda del traffico di dati che riceve ed analizza. I metadati descrivono qui un plusvalore di codice – dove il codice è la cristallizzazione del sapere vivo e del general intellect marxiano.
I
metadati sono usati per nuove forme di controllo biopolitico (dataveillance).
Più che per
operazioni di profiling di un singolo individuo, i metadati possono essere
usati per il controllo delle masse e la previsione di comportamenti collettivi,
come accade oggi con i governi che tracciano l’attività online dei social
media, i flussi di passeggeri su mezzi pubblici o la distribuzione di merci
(andando ad includere nella datasfera anche dispositivi RFID e tutte le
sorgenti offline di dati). Statistiche in tempo reale di specifiche parole
chiave possono mappare in modo molto accurato la diffusione di una epidemia in un
paese tanto quanto prevedere tumulti sociali (si vedano qui i servizi Google Flu
e Google Trends come esempi di questo panopticon basato sui metadati).
Media
sociali come Twitter e Facebook possono essere facilmente manipolati attraverso
l’estrazione di dati sulle tendenze di traffico generali. I metadati descrivono
qui una società dei metadati, che appare come una evoluzione ulteriore di
quella “società del controllo” introdotta da Deleuze (1990), in quanto questo
stadio si basa su datastream (flussi di dati) che sono attivamente e
passivamente prodotti dagli utenti nel corso delle loro attività quotidiane. Una
adeguata analisi politica di tutte le questioni sollevate in questo saggio è di
là da venire.
In
conclusione, le macchine di Turing sono definite come dispositivi per
accumulare informazione valorizzante, estrarre metadati, calcolare plusvalore
di rete ed alimentare l’intelligenza macchinica.
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