giuliano

giovedì 2 marzo 2017

PARTIMMO IN TRENO PER (RI)COMPORRE IL TEMPO (25)









































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Quando la strada sale dolcemente su pendici aride pervase nell’estate avanzata dall’intenso aroma dell’elicrisio e si inoltra in breve in un giovane bosco artificiale di pino silvestre. Dalle svolte della rotabile, che si innalza progressivamente sul versante sud-orientale del Monte Sibilla, cominciano comunque ad aprirsi le visioni panoramiche che costituiranno la splendida costante dell’intera escursione. Superato il bosco di conifere, che appare composto da specie con sinecologia assai differenziata (pini, pecci, abeti, larici, ecc…) quasi a confermare l’empirismo che ha guidato l’opera stessa di ricostruzione del manto boschivo, si prosegue attraverso il versante denudato. Folte e splendide cortine fiorite di epilobio accompagnano nell’estate avanzata il primo tratto della rotabile mentre nelle esili frange di prato che si alternano al bosco si aprono, ispidi e luminosi i fiori di Carlina acaulis e quelli, grandi e dorati della rara Carlina utzka.
Qualsiasi divinità aleggi su questi orizzonti, essa è comunque vicinissima ed è facile intuire le ragioni profonde dei miti, delle leggende, del sacro e del profano che i Sibillini hanno ispirato e stimolato nell’animo umano. Ciò che rimane del leggendario antro della Sibilla è peraltro proprio qui, a pochi passi dalla vetta, sul versante sud ed appare d’obbligo una breve definizione alla ricerca di ulteriori emozioni.




Area sommitale del Monte Sibilla non offre però soltanto stupendi orizzonti azzurri: essa è infatti zona di particolare interesse floristico come del resto l’intera dorsale ovest, che congiunge la vetta con la successiva Cima Vallelunga (m. 2221). Vi sono rappresentate le tipiche associazioni vegetali erbacee del pascolo alto-appeninico, con formazione aperte a Sesleria tenuifolia sui versanti più scoscesi, formazioni chiuse a Festuca ovina e Brachypodium nei tratti meno acclivi e formazioni discontinue e gradonate a Festuca dimorpha lungo le pendici detritiche. Nei piccoli avvallamenti di cresta crescono, sparsi, i ginepri prostrati e sono proprio le fronde di questi stessi a proteggere i piccoli arbusti dell’uva ursina, prezioso relitto floristico assai raro nei Sibillini.
Sulla calotta erbosa di vetta, nell’estate, si osservano le fioriture di Myosotis alpestris di Renunculus alpestris, della splendida Gentiana dinarica e della delicata Viola eugeniae. Lungo la cresta ovest, infine, tra roccette e lembi di prato sono frequenti Pulsatilla millefoliata, Edraianthus graminifolius e il grazioso Aster alpinus, oltre ovviamente alle rupestri sassifraghe, tra cui Saxifraga pani culata e le endemiche Saxifraga porophylla.
Lo stesso ecosistema d’alta montagna, che permette la vita di tutte queste reliquie, ospita anche una fauna più comune ma non meno interessante, che si diversifica in relazione alle caratteristiche ambientali.




Ambiente dalle pareti rocciose e dai bastioni calcarei: il Gracchio corallino, un bel corvide dal volo agilissimo, nero carbone con becco e zampe coralline, abbastanza raro, abita, con una numerosa colonia, le pareti di Palazzo Borghese; Scoglio del Lago, Quarto S. Lorenzo, Sasso Borghese ospitano il Picchio Muraiolo, dagli smaglianti colori; il Rondone e il grande Rondone alpino sono abbastanza frequenti, il Gheppio è presente con diverse coppie nidificanti su varie pareti; l’Aquila reale è un elemento caratteristico del gruppo del Vettore; ambiente dei pascoli e dei ghiaioni il Fringuello alpino dal bel piumaggio bianco e nero è relativamente frequente sia sul Vettore che sull’Argentella, in piccoli gruppi o in coppie; lo Spioncello, l’Allodola e il Prispolone, sono uccelli di terra relativamente comuni; il Culbianco e il Codirosso spazzacamino frequentano i luoghi sassosi; la Quaglia nidifica su Pian delle Cavalle, ed in altre aree con pascoli rigogliosi la Lepre, la Volpe, la Donnola, sono relativamente abbondanti in tutto il gruppo; la Donnola di queste montagne, in inverno, assume colore parzialmente o completamente bianco; per il bene della sua specie non parliamo troppo del Lupo appeninico…






COME CINQUE UOMINI ENTRARONO

                    NELLA CAVERNA



Non saprei che altro dire delle cose e meraviglie che vi sono. Io infatti, non andai più avanti, né il mio scopo principale era di occuparmene. D’altronde, se anche avessi voluto, non sarebbe stato possibile senza mio grave pericolo. Perciò, in verità, non saprei più che dirne, tranne solo che vi andai con il dottore del paese chiamato signor Giovanni di Sora che mi guidava, e con le persone del paese di Montemonaco che ci accompagnarono fin lassù senza fare altro.
Essi udirono contemporaneamente a me una voce gridante a somiglianza del pavone, che sembrava venire da lontano. La gente che era con me diceva che era una voce del paradiso della Sibilla.  Ma io non vi credetti: ritenni che fossero i miei cavalli che stavano ai piedi del monte, benché fossero molto in basso e lontani da me. Né altro vidi oso tranne soltanto che quanto le persone del luogo e del paese suddetto me ne raccontarono.
Alcuni se ne ridono e altri ci credono fermamente in base alle antiche storie del popolino, e ora anche per il racconto dei cinque uomini del detto paese di Montemonaco che si spinsero più avanti degli altri in quel tempo. Io parlai con due di essi, i quali mi raccontarono che in cinque, narrandosi in buona compagnia le avventure intorno alla grotta, tutti d’accordo stabilirono di andare fino alle porte di metallo che battono giorno e notte come dirò poi. Si fornirono essi di corde grosse e piccole, lunghe seimila tese, che legarono all’ingresso per ritrovare il cammino; portarono anche lanterne, pietre focaie e acciarini, viveri per cinque giorni e altri oggetti necessari poi vi entrarono.  
Dicono che la parte anteriore della grotta è stretta per circa un buon tratto di balestra; dopo è abbastanza larga per andare agevolmente l’uno appresso all’altro, e in qualche punto anche in due o tre. Si avanzarono per questa parte larga della grotta sempre discendendo secondo loro almeno tre miglia. Allora trovarono una fenditura attraversante la grotta, da cui usciva un vento così orrido e strano che non vi fu chi osasse fare ancora un passo o mezzo passo: perché appena essi si avvicinavano,pareva che il vento li trascinasse via.
Ebbero tale paura che deliberarono di tornare indietro lasciando sul posto la maggior parte di quello che avevano portato. Si erano dedicati a tale impresa così come suggerisce spesso la giovinezza alle persone oziose.






DON ANTONIO FUMATO E I

            DUE TEDESCHI



In quella caverna vi sono molte cose strane e meravigliose secondo quanto comunemente dicono gli abitanti per quanto sian cose che non possono testimoniarsi con evidenza. Oltre ciò che ho fin qui detto, mi fu ancora narrato da ecclesiastici e da altri,che nel detto castello di Montemonaco, c’era un prete chiamato don Antonio Fumato, il quale era un poco strano e malato di mente. A causa della sua malattia andava in molti luoghi dicendo cose strane, così come sogliono fare le persone malate di tale malattia e di poco buon senso. Egli però parlava ed agiva senza far male ad alcuno.  
Questo prete ha più volte detto e assicurato senza mutamenti, che è andato fino alle porte di metallo che giorno e notte battono senza posa aprendosi e chiudendosi.
Ma poiché costui dava ogni tanto segni di pazzia come ho detto, pochi gli credevano. Dicesi che quel prete narrasse di aver ivi condotti due tedeschi che entrarono nel regno della Sibilla per le porte di metallo.






     COME IL CAVALIERE E IL

             SUO SCUDIERO….



La gente del paese di Montemonaco racconta che è vero che detto cavaliere e il suo servitore entrarono nella grotta. Essi narrarono che quando giunsero nella piazzetta che è dopo le porte di metallo, videro un’altra bellissima e ricca porta risplendente al lume che portavano; e similmente videro risplendere la caverna come se tutta fosse di cristallo. Dopo aver molto bene osservato ogni cosa, ascoltarono a lungo, ma senza mai sentir nulla. Per la qual cosa rimasero molto meravigliati; perché prima, quando erano davanti alle porte di metallo, essi udirono grandissimo rumore e mormorio di gente, ora che erano dentro, non sentivano più il minimo rumore.
Il cavaliere vi dimorò così per lo spazio di 300 giorni, dei quali ben teneva il conto. Egli così conobbe di aver tanto grandemente mancato verso il Creatore, sia per tante cose mondane che aveva fatto contro il suo volere e contro i suoi comandamenti, sia, specialmente, per l’orribile peccato in cui viveva; a cagione del quale lo aveva completamente dimenticato per lo spazio di 300 giorni, trascorsi in compagnia del DEMONIO; in quanto egli ben s’accorse che lì era veramente il DEMONIO.






  COME IL CAVALIERE E IL

 SUO CUDIERO ANDARONO…



Dopo aver narrato per esteso come egli avesse disobbedito al suo Creatore per le grandi (E)delizie e piaceri mondani goduti per lo spazio di 330 giorni, il papa rimase corrucciato e dolente, pur essendo molto contento, d’altra parte, di vederlo così pentito. Sul momento non volle né perdonarlo né assolverlo. Quindi assai rudemente, come uomo perduto, lo scacciò dalla sua presenza. E ciò, non perché non volesse o potesse perdonarlo, ma per far conoscere a tutti il gravissimo peccato in cui egli era per tanto tempo rimasto tra i vani piaceri di quella regina Sibilla, e perché nessuno avesse speranza d’ottenere facile perdono.
Il cavaliere se ne partì così sconfortato che nessuno poté nascondere la pietà al vederlo e udirlo. Nei suoi pietosi lamenti egli malediceva la sua dolcissima vita. Vi fu allora un cardinale che n’ebbe pietà, lo fece venire in sua presenza, lo confortò nel miglior modo possibile, lo distolse dalla disperazione, e gli fece sperare di ottenergli il perdono. Ne fece, infatti, ripetute richieste al papa; ma questi fingeva di negarlo, affinché ciascuno prendesse esempio e lasciasse la speranza di una facile grazia.
Il cavaliere che era tanto pentito da esser pronto a sopportare qualsiasi pena pur di ottenere il perdono, andava e veniva spesso dai cardinali, dai prelati e da altre personalità. Ma il diavolo che è astuto, e giorno e notte non smette di fuorviare gli amici di Dio, mise nel cuore dello scudiero una tale brama di ritornare, che non passava un’ora senza desiderare e rimpiangere i grandi piaceri che aveva lasciato.
Si lamentava di giorno e di notte e tanto insistette, che fece annoiare il cavaliere per il gran ritardo del suo perdono. Tuttavia egli avrebbe ancora pazientato, se lo scudiero, per tentazione del demonio, non l’avesse una volta convinto, e le altre volte persuaso, a ritornare nella grotta. Per riuscire al suo scopo, lo scudiero si presentò al cavaliere correndo con grande finzione, e dicendo, come se l’inseguissero: “Ah! Signore, per carità, salviamoci! Ho incontrato poco fa molti vostri amici, il tale e il tale, che vi cercano per avvertirvi che il papa ha fatto il processo e che ci fa cercare per farci morire….



Epilogo….



(Mediti il cavaliere quanto il suo scudiere giacché il Papa non solo nel peccato udito ma accompagnato da altro e retto pensiero che pur non giudica che per se stesso lasciando al Tempo di poter maturare consono perdono ma sempre e quantunque alla Natura avverso…)















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