giuliano

giovedì 5 marzo 2020

IL NUOVO PROCESSO ALL'UNTORE (2)















































Precedente capitolo dell':

Introduzione all'Introduzione...

Preparazione del nuovo Tomo...

Introduzione dell'Introduzione 














Incrudelendo in Milano la peste, nell’estate del i63o, disastri a disastri, angustie ad angustie crebbero in quel gran travaglio le superstizioni, e principalmente la credenza che alcuni si fossero congiurati per propagare il male e mettere Milano affatto al nulla.

Di costoro toccò il Manzoni, e promise trattarne a pieno altrove. Però chi sa quanto ancora negherà al desiderio comune la sua Storia della Colonna Infame?

Frattanto, importando a molti il conoscerne alcun che, io raccolsi da parecchi libri alcune cose, che esibisco informi ai lettori; i quali oh come avranno a stupire ed imparare quando, sotto la penna del nipote di Beccaria, vedranno queste tradizioni diverse, morte, contraddittorie, staccate, avvivarsi, e dirìgersi al fine d’educare la opinione popolare alla ragione, alla giustizia!

È credenza antica, per lo meno quanto la peste di Atene descritta da Tucidide, che la malizia umana giungesse a tanto da diffondere la peste ad arte. Quando la ragione sonnecchiava serva della superstizione e dell’autorità, o delirava ebbriata dal fanatismo, rinacque e si saldò una tale credenza: Cardano, Martino Delrio, Wieiro, trattatisti di diavolerie, assicurano che nel i536, nel Marchesato di Saluzzo, fu propagata la peste cogli unti: v’è un trattato de peste manufactaj e il Tadini ci conservò memoria di molte, diffuse, come credevasi, maliziosamente.




Anche nella peste del 1576 si ragionò di Untori, e raccontarono che un di costoro, in sul venire strozzato, confessossi reo, e palesò insieme un preservativo contro la peste, adoperato poi col nome di unto dell’impiccato.

Il 12 settembre di quell’anno, il governatore Ayamonte, avendo saputo che alcune persone con poco zelo di carità, e per mettere terrore e spavento al popolo per eccitarlo a qualche tumulto, vanno ungendo con unti che dicono pestiferi e contagiosi le porte et i catenacci delle case e le cantonate, sotto pretesto di portar la peste, dal che risultano molti inconvenienti, e non poca alterazione tra le genti, maggiormente a quei che facilmente si persuadono a credere tali cose, per ovviare a tale insolenza, promette a chi ne denunzii gli autori 5oo scudi, e la liberazione di due banditi: e se era complice, l’impunità, purché non fosse il capo.

Da questa grida, ripetuta poi il 19 del mese stesso, ben appare come fosse poco più che il sospetto di un’insolenza, non di una tanta reità. E convien credere che non acquistasse piede, giacche il Besta, il Giussano, il Rugato, altre memorie di contemporanei, non ne fanno pur cenno. Però l’ignoranza progrediva mercè le cure di chi vi aveva interesse, e i frutti di quella sono sempre gli stessi.




Fin dal 1628, la cattolica maestà del nostro re, con paterna premura, havea mandato lettere al senato e al tribunale della sanità milanese, annunziando come dalla Corte sua fossero fuggiti quattro Francesi, (i Francesi allora faceano molta paura ai nostri padroni) scoperti di voler infettare Madrid con unti pestilenziali: stessero dunque sull’avviso se mai capitassero in questi paesi. Poco dopo arriva in Milano all’osteria dei Tre-re un Gerolamo Bonincontro, vestito alla francese e civile negli atti; e siccome allora il passaggio delle truppe faceva nascere paura di peste, così egli lascia intendere d’avere certi suoi specifici, co’ quali cinque anni innanzi avea fatto del gran bene nella terribile peste di Palermo; e sfoggia ampie attestazioni avute da principi, come abilissimo di medicina e di matematica. Sono questi discorsi rapportati al senatore Arconato, presidente della sanità, che di rapportatori neppur allora ci doveva esser carestia. Egli, combinate le lettere reali coll’essere costui francese, conchiude, e la conclusione vien via drittissima, che colui fosse un untore, e lo fa catturare.

Il Tadini e il suo auditore Visconti, incaricati d’esaminarne gli utensili, trovarongli libri d’astrologia e chiromanzia, un breviario, non so che libri spirituali e temporali, o come si direbbe oggi, profani: una vestina ed una cintura dell’abito di S. Francesco di Paola, e vasetti con argentovivo e polveri. Queste toccate e fiutate, si conobbero medicinali, onde fu come innocente liberato.




Se non che dalle carte e dagli esami suoi era venuto in chiaro com’egli fosse un frate apostata, ricoverato alcun tempo a Ginevra, e che ora andava a Roma per impetrare perdonanza dal papa: lo perché il padre inquisitore generale lo chiese come cosa sua, ed avutolo, il processò come Dio vel dica, e mandollo poi a Roma al modo suo.

Fin qui adunque tale idea (come quasi tutti i mali nostri) degli untori era vaga, lontana, e ne avrebbero riso, se non fosse parso un crìmen lesae il dubitare di cosa asserita da un re cattolico.

“Ma il sospetto acquistò piede dal trovarsi la mattina del 22 aprile 1630 untate le pareti di molte case. Tutti accorrevano a vedere: ci andai anch’io: erano macchie sparse, ineguali, come se alcuno con una spugna avesse schiccherate le muraglie. Da quell’ora, ogni dì si narrava di altre case untate, di gente infetta appena le avesse tocche: si aggiunse che si ungessero le persone: infine, de’ tanti morti, ben pochi si credevano perire senza malizia. Prima i ferri, i legni: poi le strade, l’aria stessa temevasi contaminata: che più si giudicavano unte perfino le messi mature”. 




E racconta, d’accordo col Tadini e cogli altri, come sul principio di giugno trovansi unte le panche in Duomo; le quali portate fuori e bruciate, servirono non poco a convincere la moltitudine, per cui un oggetto diventa coti di leggieri un argomento. Provata allora la verità del fatto per tanti testimonii e per la visita del tribunale della sanità, cominciossi a ragionarvi sopra. E una burla degli studenti di Pavia: è una bizzarrìa di cavalieri grandi per incantar la noja di quell’assedio di Casale: è il contino Aresi, è don Carlo Bossi, è il figlio del castellano Padilla per ispaventare la gente: è una perfida vendetta del governatore Cordova cacciato a torsi di cavoli: è una trama del re di Francia: è una delle solite del Richelieu, ed è uomo da Jarlo, che non crede più in Dio di quello facciano le mie scarpe: è una raffinata barbarie di quel Wallenstein, il cui nome suonava terribile come la campana a martello.

Alfine divenne universale opinione che quegli unti fossero fatti per ispargere la peste.




Universale dico, benché tra i privati, chi per sana cagione, chi per ismania di contraddire quel che dicevano i più, vi fossero alcuni che non credeano. Tra questi ricorderò volentieri il mio brianzuolo Ripamonti, che chiaramente mostra non avervi fede: ma soggiunge

‘s’io dicessi che non vi furono untori, e che mal s’appongono a frodi umane i giudizii di Dio ed i castighi, molti sclamerebbero empia la storia e l’autore’.

Onde seguita discorrendo come…

‘si designassero autori del disperato consiglio gran re e i loro ministri, e la pubblica indignazione accagionasse quelli, che forse più che altri compiangevano la nostra sciagura. Ed era voce comune che il demonio congiurasse cogli uomini per ispopolare il paese. Su di che crederli o non crederli, io riferirò i portenti che si spargevano. Correva dunque fama che il diavolo avesse in Milano tolto a pigione una casa, ove erasi posto a fabbricare e diffondere unguenti. A sentirli, vi sapeano dire che casa era e di cui: ed uno raccontava, che trovandosi un dì in piazza del Duomo, vide una carrozza a sei bianchi cavalli e gran corteggio, e sedutovi uno di grand’aspetto, ma burbero quanto mai, gli occhi infocati, irto i crini, minaccioso il labbro. Il quale fattogli dappresso, si soffermò, lo fece montare, e dopo varii giri e rigiri lo menò ad un’abitazione, che pareva il palazzo di Circe. Ivi misto l’ameno e il terribile: qui luce, là tenebre, altrove deserti, gabinetti, boschi, orti, cascate d’acqua: infine mucchi d’oro. Dai quali gli permise di levarne tanto che fosse pago, purché volesse spargere dell’unto. E avendo ricusatoci trovò al luogo stesso ond’era stato levato....  Ma dopoché si ritenne che il diavolo vi desse mano, entrò quella stupida e micidiale negligenza, che è figlia della disperazione: poi un indagare le cause di effetti sognati , e un panico terrore: fin i più intimi si schivavano l’un l’altro: né solo del vicino e dell’amico si viveva in sospetto, ma fino tra marito e moglie, tra fratelli e fratelli, tra padre e figliuoli: e il letto, e la mensa geniale, e che che si ha per santo incuteva spavento…’.




Chi non sa il caso del senatore Caccia? Al quale il servo (chiamavasi il Farleta) offrì una mattina un fiore, né appena quegli il fiutò, ne contrasse il contagio e la morte. A Volperò di Tortona si trovarono sette untori, che furono morti sulla ruota: e attorno a quel tempo si scopersero ivi presso le macine da mulino untate, sulle cui macchie fregato del pane, e datolo mangiare alle galline, subito morirono ed illividirono. Una mosca che forse v’era posata su, fermatasi nell’orecchio di un tale, gli causò senz’altro la morte.

Antonio Croce e G. B. Saracco di Cittadella deposero con giuramento, che un carpentiere lor vicino ammalato, di fitta notte sentì andar alcuno per camera, sebbene fosse chiusa la porta.

Mi levai (così l’infermo) a guardare, ed essi: alzati e ci segui, v’è fuor di città un magnate che ti darà vasi da unger la vicinanza, e n’avrai in compenso salute e vigore. Intanto mi esibivano de’bei danari, e li faceano suonar sulla tavola. Fra ciò sentivo tentennare e scricchiolare il letto, tirarmisi la coltrice e le lenzuola, ond’io stava inorridito. Ma poiché insistevano essi, chiesi loro chi fossero. Mi risposero: Ottavio Sassi. Io rifiutai, e tosto ogni cosa si dileguò. Solo rimase sotto il letto un lupo che mugolava, e tre gattoni alle prode che faceano versacci, finché apparve il dì.




Anche Carlo Girolamo Somaglia narra avvenimenti simili, come a non dubitarne.

Due che col fiscale Giuseppe Fossati uscivano in carrozza verso Novate, smontati ad un macello, furono untati e morirono. Gio Curìone, servidore d’esso Somaglia, mentre andava oltre pei fatti suoi, accortosi d’aver unto il mantello si lo gettò, vide gli screzii, additò il reo, che fu menato su, ma non seppesi il castigo perché in prigione molti morirono prima che la Giustizia facesse la dovuta dimostrazione.

Un altro giovane che gli stava in casa, unto, morì entro 24 ore. Fa altrove raccontare al senator Laguna d’aver esaminato un untore, che confessò come un tale gli avea dato un vaso e tre zecchini, promettendogli che tornando gli daria altro danaro. Colui fece la prova sui domestici tuoi (sui domestici!) poi sui vicini, che di corto morirono. Condottosi quindi in cerca dell’amico dal danaro, più noi trovò. Nonostante seguitò ad impiastrare per una certa voluttà che vi prendeva, come de’ cacciatori che, non capitando selvaggine, tirano qualche volta ad uccelli da nulla. Poiché c’insegna un altro, che la diabolica fattura era tale, che chi preso ne veniva con darle il primo consenso, sentiva tal gusto e diletto nell’andar untando, che umano piacere, sia qualsivoglia, non è possibile se li agguagli.




Talmente si trovava fondata l’opinione del volgo e della plebe e della nobiltà, che queste unzioni non fossero solamente pestilenti, ma ancora vi concorresse l’arte diabolica per distrugere non solamente la città, ma tutto lo stato, e che ogni notte per il spazio di tre mesi si vedevano unte molte contrade della città che era cosa di stupore e meraviglia non sapere dove si fabbricasse tanta quantità d’unguento, quale si vedeva di colore gialletto, o croceo scuro, et in verità havere da ongere in una notte le centinaja et migliaja di case, bisognava fosse fabricato con arte diabolica, perché naturalmente parlando non si poteva fare che non si fosse saputo o inteso per le diligenze straordinarie, che trattandosi del benefitio publico, ciascuno non le facesse.

Ma quello che ci confermava concorrere l’arte diabolica in queste unzioni e che ogni notte non solamente si trovavano rinfrescate le unzioni nelle medesime case della notte antecedente, ma accresciute di gran lunga la subsequente... Et che sii la verità non si può negare che il Podestà di Milano un giorno non facesse condurre nel Tribunale della Sanità dieci furbi, d’età in circa di 12 in 14 anni, li quali confessarono a viva voce che ogni mattina erano condotti all’offelleria, et doppo bene mangiato et bevuto, andavano ungendo le persone che si trovavano nel Verzaro, con unguento che gli era dato d’alcune persone che si trovavano ad un hora di notte in quelle case che si dicono matte al bastione, con 4o soldi per ciascuno, et fatta diligenza la sera medema per fargli prigione, non si ritrovorno. Ben, è vero che vicino al bastione se gli trovò un tale Giovanni Battista, che della parentela per degni rispetti non si nomina, et condotto prigione, mentre si tormentava restò sopra la corda strangolato dal demonio, et quegli figliuoli furono frustati, di puoi banditi da tutto lo stato....




Ne solamente restò nella città di Milano, ma si allargò nel Ducato in molte terre et ville per causa delle quali furno presi alcuni delinquenti et condannati alla Ruota, et in particolare un laico servita et un altro di S. Ambrosio ad Nemus, per esser caso notorio, furno presi con detto unguento, et messi alla tortura confessorno averlo riceputo da certe persone forestieri per far morire alcuni suoi nemici, dove poco dopo forno ancor essi condannati alla morte.

In questo tempo non fu Medico alcuno ne persona intelligente che havesse sentimento diverso di queste untioni pestilenti, che non fossero con arte diabolica fabricate: mentre per le molte persone le quali morivano alla sprovista senza segni esterni, senza comercio da loro saputo di contagio, concludevano tutti per necessità esser stati unti e non altrimenti.

Si aggiunse di più che, oltre l’unguento pestilente e venefico, fabbricavano ancora una polvere della medesima natura e qualità, la quale mettevano nelli vasi dell’acqua benedetta, pigliata dal popolo nelle chiese et ancora nelli luoghi della povertà, dove si trovavano camminare con li piedi ignudi, attacandose alle mani et piedi, haveva tanta forza che incontinente quelle misere creature s’infettavano et morivano in brevità di tempo.




Dopo molti altri esempii viene a narrar di sé stesso, che vide, in contrada di S. Rafaello, un furfante a cavallo, che destramente spargeva detta polvere, ma accortosi d’estere scoperto, fuggì a rotta di collo; di due zitelle di Antonio Vailino da Caravaggio, che nel prendere l’acqua santa in chiesa dei Servi per segnarsi, vi scorsero qualche polvere galleggiante, e fra 4o ore morirono; e d’altre due donne che, giunte alla chiesa delle Grazie, trapelanti dal cammino e dal caldo, bevvero dell’acqua santa, e poco dopo ne morirono…

Dopo tutto ciò, mi chiedete forse quel ch’io creda del fatto di tali unzioni?

Veramente, a sentirlo asserire da tanti come cosa veduta proprio da loro, trattandosi di un giudizio di immediata, assoluta percezione, parrebbe un soverchio di critica il dubitarne. Ma chi faccia ragione alla natura dell’uomo e all’oscurità dei tempi, resta condotto anche più in là del dubbio. Perocché l’uomo, quantè più grossolano tant’è più credulo, quant’è più passionato tant’è più precipitoso nei giudizii, e quando accade una meraviglia, più è grossa, più agevolmente là si crede, e ognuno, almeno per ambizione pretende esserne stato testimonio. Che se mai vi poneste mente, i fanciullini quando si fecero alcun male son tutta finezza di apporre a qualche caso la colpa per iscusarne sé stessi. Anche il popolo, fanciullo adulto, per non dover dire ‘io contrassi il contagio coll’avere trascurate le debite cautele’ trovava comodo l’incolparne un’ineffabile malignità. Aggiungi l’istinto, della curiosità che vorrebbe trovar le ragioni, e adatte al modo suo di vedere; aggiungi la perpetua inclinazione del volgo a scorgere la mano dell’iniquità nelle sciagure, perché sentendo troppo duro il dar di cozzo contro quello che con arcana bilancia i beni e i mali scomparte, vuoi pur trovare quaggiù un reo, contro cui sfogare il dispetto di patimenti che non crede di meritare. Che se a questo modo di vedere proprio di tutti i tempi (e voi n’avete in pronto esempii vecchi e nuovi) s’intreccino altre accreditate illusioni) diffuse, radicate, e l’abitudine d’incaute credenze e di osservazioni trascurate, chi misurerà l’abisso ove può giungere l’uomo?




Gran lezione a coloro che hanno potere sull’opinione, agli scrittori principalmente, ai maestri, ai preti, di non lasciar l’errore neppur là dove paja innocente, perché lento stende le sue radici a danno delle utili piante, e i frutti sono sempre funestissimi. E appunto in quell’età il desiderio d’empiere con gagliarde sensazioni il vuoto, abborrito dalla volontà, che restava nelle fantasie pei falliti interessi generali, la terribile vicissitudine di sfortunati eventi, la malizia di chi poteva, aveano ricondotto gl’italiani a quel punto, in cui, come fanciulli, fossero guidati coll’autorità e la credulità non colla ragione.

In ogni parte del sapere, misterii, filosofi, leggisti, teologanti a giurare sulla parola del maestro, rimanere contenti a cause ridicole, ogni fenomeno spiegato con soprannaturali cagioni, miracoli o prestigi, santità o diavoleria, insultata o punita la ragione qualvolta rivendicasse i diritti suoi. Basti l’accennare l’opinione delle streghe e della magia, i temporali, le malattie un po’ complicate, la sterilità de’ campi o delle donne, in quel naturalissimo effetto dell’innamorarsi, voleano attribuirsi a maligno sguardo, a filtri, a malie. Già avete potuto vedere in questi ragionamenti le prove di tutto ciò, ed anche là i folletti erano stati visti coi propri occhi, testimoni oculari aveano notato il tale e il tale nelle tregende, i tribunali, le persone più elevate n’erano convinte tanto, da seguitarne per un pajo di secoli legali., orribili, non interrotte carneficine; vittime oggidì compiante, non che dai generosi pochi, ma fin da quelli che disprezzano altre vittime, cadute volontarie all’antiguardo della ragione progressiva.




Che se oggi nessuno se non forse qualche donnicciola, crede vi fieno state le streghe, benché il fatto sia asserito da tanti, benché tante l’abbiano esse stesse confessato ai tribunali, non potremo anche noi credere che fossero del tutto un sogno quelle unzioni? Trovar una parete impiastricata, nulla di più facile massime allora. Chi la vide lo disse: mille altri asserirono averlo veduto anche loro: il fatto correndo per le bocche, misto allo spavento, ingrandisce, si variano le circostanze così da parere diversi i fatti, ecco tutto.

Che se si volesse credere almeno la prima unzione, attribuendola a burla od altro, come poi spiegare quella continuazione! come il numero quasi infinito di case unte ogni notte? ove si fabbricava tanta materia? chi ardiva diffonderla e in tal copia dopo che vedeansi dati ai più crudeli strazii quelli che appena n’erano sospettati rei? Eppure anche queste cose sono tutte attestate con altrettanta asseveranza.




Se poi ci fosse stato ancora chi non credesse esser quei unti un’arte diabolica, vennero i padri del S. Ufficio dell’Inquisizione ad annunziare al presidente Arconato, siccome il tal dì appunto era stato da essi prefinito al demonio perché cessasse ogni suo potere sovra il popolo milanese, parole, dice il Ripamonti che sembrano togliere ogni dubbio sugli unti, essendovi interposta l’autorità apostolica, che non può né ingannare né essere ingannata.

Quand’anche fosse provato che i governanti siano sempre i più retti pensatori, non vi farebbe meraviglia il vederli entrar anch’essi a due piedi nella credenza degli unti, e cosi al risentimento istintivo del popolo aggiungere quello deliberato della legge. Fin sulle prime il Senato excellentissimo non restava usare ogni diligenza benché straordinaria per ritrovare li malfattori, acciò li potessero castigare, e per levare ancora tanto terrore che seguiva per la città quando fosse ancofatto per burla o per spavento del popolo.




Il tribunale della sanità poi pubblicò il seguente editto:

Avendo alcuni temerai e scellerati avuto ardire di andare ungendo molte porte delle case, diversi catenacci di esse e gran parte dei muri di quasi tutte le case di questa città, con unzioni parte bianche e parte gialle, il che ha causato negli animi di questo popolo di Milano grandissimo terrore e spavento, dubitandosi che tali untuosità, siano state fatte per aumentare la peste che va serpendo in tante parti di questo stato, dal che potendone seguire molti mali effetti ed inconvenienti pregiudiciali alla pubblica salute, aj quali dovendo gli signori Presidenti e Conservatori della sanità dello stato di Milano per debito del loro carico prevedere, hanno risoluto per beneficio publico e per quiete e consolazione degli abitanti di questa città, oltre tante diligenze sin qui d’ordine loro usate per metter in chiaro i delinquenti , far pubblicare la presente guida.

Con la quale promettono a ciascuna persona di qualsivoglia grado, stato e condizione si sia che nel termine di giorni 3o prossimi a venire dopo la pubblicazione della presente metterà in chiaro la persona o le persone che hanno commesso, favorito, ajutato o dato il mandato, o recettato, o avuto parte o scienza ancorché minima in cotal delitto, scudi 200 de’danari delle condanne di questo Tribunale, e se il notificante sarà uno de’complici, purché non sia il principale, se gli promette l’impunità, e parimente guadagnerà il suddetto premio.

Ed a questo effetto si deputano per giudici il sig. Capitano di Giustizia, il signor Podestà di questa città ed il sig. Auditore di questo tribunale a’ quali o ad uno di essi avranno da ricorrere i propalatori di tal delitto, quali volendo saranno anco tenuti segreti. 

Dato in Milano lì 19 Maggio i63o.

   M. Airromus Moirnus Pretesa.

           Jacob us Ajrromus Talubos Cariceli.


Aperti dunque cent’occhi per iscoprire i rei si credette finalmente averli trovati.  














                    PROCESSUS CRIMIHALIS

                                 CONTRA

    DON JOANNEM GAETANUM DE PADILLA

                                  et ceteros

                impinctos de aspersione facta Mediolani

                              Unguenti pestiferi

                                   anno mdcxxx



                             PARS OFFENSIVA














Istruendosi processo contro alcuni rei di unzioni pestifere fatte in questa città, emersero alcuni indizii contro Don Giovanni Gaetano Padillia, cavaliere di San Giacomo, e capitano della cavalleria in questo stato di Milano, il quale per ciò fu arrestato, e per comando del Senato costituito reo d’aver con danaro dato incombenza a Giovanni Stefano Bargello di fare e spargere un unguento pestifero, per isterminio del popolo. Egli fece le sue difese, delle quali orsi tratta la definitiva.
Trattasi pure di Carlo Vedano detto il Tegnone, egualmente arrestato e costituito reo, perché al pronunziato effetto sia stato mediatore dell’amicizia fra il detto Don Giovanni e l’ora defunto Giovanni Stefano Baruello, il quale avea confessato d’aver fatto l’unguento pestifero per comando di esso Don Giovanni, anche mediante danaro, e d’averlo dato a diverse persone ad oggetto di disseminarlo.
Lo stesso è pure imputato d’aver bastonato i suoi genitori, del che pure esibì le difese.
Trattasi anche di Francesco Griono, detto il Saracco, pure arrestato e reo costituito di aver asperso col detto unguento, mediante danaro, il quale fece alcune difese.
Da ultimo trattasi di Giovanni Battista Sanguineto banchiere, imputato d’aver somministrato danaro a quelli che il predetto unguento disseminarono, il qual pure offrì discolpe. Così sta la cosa, come si vedrà.














              l63o. DIE SABBATI 22. MENSIS IUNIS.



Avendo l’eccellentissimo senato inteso qualmente ieri nella via detta la Vedra de’ Cittadini, fu disseminato l’unguento pestifero, comandò all’egregio capitano di giustizia, che subito s’informasse, principalmente dal sacristano della chiesa di S. Alessandro informato. Il quale incontanente si recò ad esso sacristano, e da lui udito che ciò era vero, e che principalmente veniva imputato un genero della Paola comare, commissario della sanità, si recò parimenti alla contrada della Vedrà, e vide quanto sotto.

“Entrando nella detta strada della Vedra de Cittadini dalla parte verso il Carobio, si è visto la muraglia à mano dritta di quelle case rumata in diversi luoghi alto da terra circa un brazzo et mezzo, et entrando nella porta, dove stanno li Tradati, si è vista la muraglia, fumata sotto l’andito di quella, tanto da una parte, quanto dall’altra in diversi luoghi.
Di più si è visto, che la muraglia intorno alli uschij della barberia di Gio. Giacomo Mora , posta sù l’altro cantone della detta strada della vedrà de Cittadini verso il Carobio, è stata imbiancata di fresco tanto quanto dura la longhezza di detta muraglia, et questo per levare altre ontioni, che erano sopra essa muraglia, et fu detto da diversi, che erano ivi, che quelli luoghi fumati, erano così per haver dato il fuoco a quelli luoghi, dove si era trovato ontato di onto tirante al giallo, come attestano in effetto esso Sign. Capitano et Notaio, d’haver visto nelli luoghi abbruciati alcuni segni di materia ontuosa tirante al giallo, sparsovi come con le deta.   

(La Storia Prosegue)













Nessun commento:

Posta un commento