giuliano

domenica 14 marzo 2021

RACCONTI DELLA DOMENICA un Sogno (Seconda Parte)

 










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Di un Sogno...


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Il Viaggio (1)


& Un naufragio psicologico...








E San Pietro era inviolabile: in alto tutto chiuso, alle porte sempre qualcuno di fazione, un prete, un sagrestano, un sampietrino, un mendicante, un ragazzo con la fionda.

 

Il Vaticano, allora?

 

Il Vaticano ha centomila stanze e vi sta l’immenso stato maggiore della cristianità cattolica. Saloni, gallerie, biblioteche, archivi, uffici, corpi di guardia. Ma anche camere da letto per un esercito di cardinali, e monsignori, e abati e giovani pretini; e in ogni camera probabilmente un letto e accanto al letto una piccola acquasantiera – vero? – per l’ultimo segno della croce a tarda sera, prima di dormire.

 

Ci andò di notte perché di giorno lo avrebbero avvistato e lui non voleva dispiaceri.

 

Purtroppo era già freddo e le finestre tutte chiuse.




Se ci avesse pensato in agosto, per esempio, quando anche i vecchissimi prelati affetti d’asma spalancano imposte e vetri perché entri un fiato d’aria; col ponentino pure lui, a cauti colpi d’ala, si sarebbe inoltrato nelle stanze buie, in cerca dell’acqua benedetta.

 

Toc toc, fece col becco a una finestra.

 

Toc toc, ripeté, sei sette volte, perché nessuno si faceva vivo. Finalmente si udì uno scalpiccìo, poi una voce preoccupata:

 

‘Chi è? Chi è mai a quest’ora?’.




‘Un’anima in pena’

 

rispose correttamente Antonio con l’unzione di cui si sentì capace.

 

Ma egli parlava la lingua dei corvi, che l’altro non capiva.

 

L’altro udì solo un inarticolato crocidare.

 

‘Un diavolo!’

 

gemette.

 

‘Gesummaria, un diavolo da me! Vade retro!... Exorcizamus te, omnis immunde spiritus, omnis satanica potestas, omnis...’

 

Né ci fu verso che aprisse.



Provò a un’altra finestra.

 

Toc toc, fece col becco. Passò mezz’ora, si udirono dei colpi di tosse, dei passettini strascicati, poi una voce fina fina:

 

‘Chi è? chi è a quest’ora?’.

 

Antonio:

 

‘Un’anima di peccatore in pena!’.

 

L’altro però non percepì che un verso informe.

 

‘Che la Vergine mi assista’

 

balbettò.




 ‘Un demonio! Un demonio da me! Uh uh... Non ultras audeas, serpens callidissime, decipere humanum genus, Dei Ecclesiam persequi, ac Dei electos excutere et...’

 

‘Una goccia d’acqua santa, nient’altro che una goccettina!’.

 

…mormorò Antonio con molto garbo.

 

‘...Ergo draco, maledicte et omnis legio diabolica, adjuramus te per Deum...’

 

 …mugolava l’ecclesiastico.

 

Così per notti e notti.




 Tutti avevano paura, le sue suppliche riuscivano incomprensibili, ed era chiaro che la comparsa del presunto diavolo li metteva, quei reverendi, in imbarazzo; come se in fondo quella visita se la fossero aspettata, come se anche loro, teste per lo più mitrate, si sentissero in difetto, tali e quali voi e me, con un brutto conto da saldare.

 

Le giornate intanto si erano fatte brevi, nudi gli alberi, gelide le notti.

 

Inverno.




 All’alba il dottor Huber stanco morto, tornava sempre ai ruderi, il cuore in preda all’afflizione. Col freddo erano anche sparite le lucertole di cui finora si cibava. Le speranze ultime svanivano. L’infelice corvo aveva ormai tentato quasi tutte le centomila stanze. E nessuno gli aveva aperto. Non restava da esplorare che una estrema fila di finestre.

 

Ma che poteva più aspettarsi?

 

Piovigginava quella notte. Antonio si sollevò fino all’ultimo piano. Scelse una finestra a caso.

 

Toc toc, fece col becco, senza convinzione; ora tirava via, con la distaccata indifferenza dei vecchi mestieranti spoetizzati.

 

Toc toc. Ma con insolita celerità l’abitatore reagì, avvicinandosi a passi decisi.




‘Chi è?’

 

…domandò.

 

‘Chi viene a un’ora così tarda?’

 

Meccanicamente Antonio:

 

‘Un’anima di peccatore in pena’.

 

Contemporaneamente, nella camera, una seconda voce si fece udire (era chioccia, dolciastra, Antonio riconobbe dall’accento un prelato che era andato a visitare quattro notti prima; e che si era molto spaventato).




Ebbene, questa seconda voce disse:

 

‘Non è nulla, Santità, scricchiolii delle persiane, penso, foglie secche che il vento molina. Non mette in conto di prendersi un malanno’.

 

La Camera del Papa.

 

Ma anche qui Antonio ebbe la fortuna contro. Al ticchettio del corvo, il Santo Padre – si capiva dai discorsi – avrebbe voluto personalmente accorrere e aprire la finestra. Macché. I consiglieri, velocissimi, intervenivano sempre ad impedirlo; ogni sera un pretesto nuovo.

 

Li tratteneva il timore di uno scandalo?

 

Mai il diavolo, che si sapesse, aveva osato tanto: tentare perfino le sacre soglie!




 Guai – pensavano – se per caso fosse entrato.

 

E ad accrescere il malessere c’era un dubbio irriverente: forse anche sul Papa il Nemico alzava gli occhi? Però Antonio non mollava. Qualcosa gli diceva che quella era finalmente la via giusta. Di sera in sera si presentò a ore sempre più tarde, quando era più presumibile che il Papa avesse finito il suo lavoro. A mezzanotte, all’una, all’una e mezzo.

 

Niente.

 

Finché riuscì a trovarlo solo.

 

Erano le due dopo mezzanotte. E tra le nubi andava e veniva una grande luna con magnifici effetti d’ombra e luce.

 

Toc toc, fece il corvo. Si udì subito un fruscìo di passi nella stanza.

 

‘Chi è là?’

 

…domandò il Sommo Pastore.




 ‘Chi è a quest’ora tarda?’

 

Disse Antonio:

 

‘Un peccatore, un’anima in pena’.

 

Un silenzio, poi un metallico armeggiare alla finestra, uno spiraglio, un volto pallido e sparuto che si affacciava, gli occhiali scintillarono alla luna.

 

‘Impaziente, vero?’

 

…disse il Santo Padre alla vista del corvo, quasi fosse una vecchia conoscenza.

 

‘Ma per ogni cosa c’è il suo tempo. Se nessuno ti voleva aprire, non era una giusta penitenza?... Su, su, entra al caldo, bestiolina, che tu sia la ben...’…

 

Non fece in tempo a terminare.




Il dottor Antonio Huber si risvegliò seduto in automobile con un senso penosissimo di gelo. Aprì gli occhi. Intorno la campagna nuda, la strada vuota, in cielo due tre corvi in allontanamento.

 

Era stato tutto un sogno?

 

Ma allora come si spiegava tanto freddo?

 

Si guardò nello specchietto: una barba incolta gli nascondeva mezza faccia. E l’auto era incrostata da uno strato ignobile di polvere. Poi si accorse che le quattro gomme erano a terra.

 

Quanti mesi aveva dunque dormito?

 

Udì allora un suono di campane, avevano un curioso sapore di Natale. Una cosina bianca e fredda gli si posò sul naso.

 

Nevicava.

 

(D. Buzzati)








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