giuliano

sabato 29 maggio 2021

IL RACCONTO DELLA DOMENICA, ovvero: VECCHIO E NUOVO TESTAMENTO (25)

 










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Dell'articolo della Domenica (24/1)


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Una e più sepolture...


& una premessa sempre di Domenica








Se l’anima è sola davanti alla morte (io dò), il corpo è lasciato insieme alla Chiesa e alla famiglia. All’inizio del Medioevo, la legislazione ecclesiastica aveva esitato se dare la preferenza alla famiglia oppure alla parrocchia nella scelta della sepoltura: la famiglia ebbe il sopravvento. Dal Quattordicesimo al Diciottesimo secolo, la scelta della sepoltura s’ispira dunque a due considerazioni: la pietà religiosa verso la parrocchia, un ordine religioso, un santo, una confraternita - e la pietà familiare: Alla chiesa di Saint-Sernin, la sua parrocchia, nella tomba dei suoi antenati (1690); nel cortile della chiesa di Saint-Sernin dove sono le mie due sorelle (1787); nel cimitero dei Santi Innocenti nel luogo dove sua moglie e i suoi figli deceduti sono inumati (1604).

 

Se ci si limitasse alla letteratura testamentaria, si direbbe che il senso familiare fosse riservato al periodo post mortem. Sarebbe sbagliato? Allora la famiglia non era destinata ad inquadrare la vita quotidiana, interveniva soprattutto quando la quotidianità cessava, sia nelle grandi crisi della vita, sia nella morte. A partire dal Diciottesimo secolo, la famiglia è entrata nella quotidianità e l’ha occupata quasi per intero.



Così il carattere apparentemente familiare delle sepolture, dalla fine del Medioevo, è il segno di una tradizionale solidarietà collettiva più che l’espressione di un’affettività moderna. Perciò non bisogna leggere le clausole testamentarie con il sentimento di un uomo d’oggi.

 

E prima di tutto, che cosa significava: essere seppellito accanto ai propri antenati o alla moglie?

 

Dimentichiamo per un momento quel che la storia dell’arte c’insegna con abbondanza di particolari sulla scultura funeraria.

 

Le tombe materializzate attraverso un monumento, infatti, furono per lungo tempo assai rare e riservate ai più grandi della Chiesa, della nobiltà o della Toga. La maggior parte dei testamenti non parla di monumenti. Designa il luogo della sepoltura, ma spesso non si preoccupa di renderla visibile.

 

Il luogo della sepoltura resta anonimo.




Quando un testatore sceglieva la stessa sepoltura dei suoi antenati, o del suo coniuge, ciò non significava che sarebbero stati riuniti in una stessa tomba, ma che i loro corpi sarebbero stati nello stesso recinto religioso, in una zona designata dalle stesse devozioni, e non lontani fra loro. Si auspicava soltanto: il più vicino possibile: Nella Chiesa del Val-des-Écoliers, nel luogo della sua defunta moglie, o lì accanto (1401); Ai Santi Innocenti, vicino al luogo dove furono sepolti suo padre e sua madre, o altro luogo accanto ad esso (1407); il più vicino possibile, si dice spesso nel Sedicesimo e Diciassettesimo secolo. In compenso, si preciserà con grande abbondanza di dettagli il luogo, se è stato scelto a causa di una particolare devozione.

 

Dal Tredicesimo al Diciassettesimo secolo, diventerà sempre più frequente l’abitudine di designare, per mezzo di un’iscrizione, di un’immagine dipinta, di un monumento, il luogo preciso della sepoltura o anche solo la sua vicinanza: questi segni evocheranno la famiglia, con il blasone, con il ritratto dei defunti e dei loro figli inginocchiati.




Ma qui esamineremo un altro aspetto dell’evoluzione che sottrae i morti all’anonimato, e li riunisce in quel che diventerà, nel Diciannovesimo e Ventesimo secolo, in Francia, la cripta di famiglia: è la storia di una tomba collettiva e già familiare: la cappella funeraria. Questo nome, cappella funeraria, i contemporanei non lo conoscevano. Si diceva una cappella; si fondava o si concedeva una cappella, la quale comprendeva l’edificio, il culto che vi si celebrava con determinate intenzioni, il prete o cappellano che riceveva una rendita e, infine, la cripta con soffitto a volta, per uso funerario. Vi erano cappelle private, cioè di famiglia, e cappelle di confraternite.

 

Nel Diciassettesimo secolo, non si dice più soltanto cappella, e si parla piuttosto di cripta, come se l’uso funerario avesse il sopravvento. Nel 1604, i fabbricieri della chiesa di Saint-Jean-en-Grève concedono a Jérome Séguier, consigliere di Stato, presidente del Gran Consiglio, una cripta sotto e vicino all’altare della cappella costruita dalla parte del cimitero, col diritto di mettervi uno o più epitaffi, in considerazione del dono fatto dal detto Presidente di una vetrata per questa cappella. Senza dubbio, come era consuetudine, il presidente donatore si era fatto dipingere, in atteggiamento di preghiera, in un angolo della vetrata.




Questi segni visibili testimoniavano del carattere insieme funerario e familiare della cappella, senza che fosse sempre necessario aggiungervi un monumento più esplicito: l’intera cappella costituiva la tomba.

 

A Saint-Jean-en-Grève, nel 1642, i fabbricieri accordano ai tre figli di Jehan de Thimery di far trasportare il corpo del loro padre dal luogo dov’è inumato nella detta chiesa [in piena terra, ma forse dentro una bara di piombo] in una delle cripte sotto la cappella della Comunione che è la quarta ed ultima vicino alla porta che dà accesso agli ossari, per dimorarvi in perpetuo e mettervi i corpi della sua famiglia. Nella quale cappella i fabbricieri hanno loro permesso di far mettere un epitaffio secondo le disposizioni del detto defunto.




 A Saint-Gervais, nel 1603, il sire Niceron riceve dalla fabbrica il diritto di far costruire una cappella e oratorio a sue spese, da chiudere a chiave. La dama Niceron, i suoi figli, posteri e discendenti in perpetuo potranno, in questa cappella, ascoltare il servizio divino e farvi una cripta della stessa larghezza quando sembrerà loro opportuno e farvi inumare i corpi del detto sire, figli e congiunti. Spesso i membri della famiglia assistevano alla messa all’interno di questa cappella, su banchi che erano loro riservati, sopra i loro morti.

 

Un testamento del 1652 mostra come il bilancio di una cappella comportasse nel medesimo tempo la creazione della cripta e il mantenimento di un cappellano: il testatore vuole che dopo la sua morte il suo corpo e quello della mia dilettissima defunta moglie siano portati insieme nella mia chiesa di Courson e saranno posti entrambi nella cripta della mia cappella che vi ho fatto costruire a tale scopo e per mezzo di una donazione [...] a condizione che siano prese trecento libbre ogni anno [...] per il mantenimento di un cappellano il quale io voglio e intendo che celebri tutti i giorni dell'anno in perpetuo la Santa Messa nella mia cappella della chiesa del suddetto Courson in memoria mia e della mia defunta moglie.




Queste cappelle restavano di proprietà della famiglia. Eccone una che, nel 1661, apparteneva alla famiglia Thomas da più di un secolo. Charles Thomas, procuratore allo Chàtelet, vuole essere sepolto nella chiesa dei Reverendi Padri Carmelitani della piazza Maubert, nella sepoltura dei suoi antenati che è nella cappella di San Giuseppe, sotto una grande tomba [senza dubbio una grande lastra di pietra come ne esistono molte, con l’iscrizione: Sepoltura di X e dei suoi] [...] dove sono sepolti Jean Thomas e Nicole Gilles [...] suoi avi, l’avvocato Jean Thomas, ricevitore delle imposte e altre taglie a Nemours, e Pierrette Coussé, sua moglie, suoi genitori, del quale avo Jean Thomas c’è nella detta cappella un epitaffio di rame e marmo [distinto dalla grande tomba] il quale epitaffio porta la fondazione di una messa per ogni giorno di Venerdì in perpetuo alle ore nove, essendo trascorsi più di cento anni da quando il detto epitaffio è stato posato; nella quale sepoltura sono inumate anche Catherine e Marie Thomas sue sorelle.

 

Queste cappelle sono le uniche tombe di famiglia che l’ancien régime abbia conosciuto. Era consuetudine che le cappelle laterali delle chiese appartenessero ad una famiglia o ad una confraternita. Quando, a Nizza, la cattedrale fu ricostruita dalle fondamenta nel Diciassettesimo secolo, nel quartiere basso dove la città era slittata dalla cima della sua acropoli medievale, le cappelle laterali furono costruite sia a spese dei Doria, dei Turati, dei Torrini, sia dalle confraternite di muratori e tagliapietre.




Le cappelle laterali delle chiese ad uso funerario, anche suddivise, erano insufficienti, e non potevano diventare un sistema generale di sepoltura. Appartenevano a famiglie aristocratiche e ricche. Malgrado il loro scarso numero, corrisposero, nel Diciottesimo secolo, a un’immagine ideale della sepoltura, e infatti servirono da modello alle tombe dell'età romantica.

 

È noto che, alla fine del Diciottesimo secolo, in Francia fu vietata l’inumazione nelle chiese e nelle città: nuovi cimiteri furono creati alle porte di Parigi. Vi si costruirono due tipi di monumenti: alcuni, piccoli, destinati a un individuo o ad una coppia, s’ispiravano a forme antiche e a un simbolismo tradizionale, stele, colonna spezzata, sarcofago, piramide... Altri, più grandi, erano copie di cappelle gotiche ed erano destinati a una famiglia. Nel cimitero del Père-Lachaise, la prima di questo tipo, verso il 1815, è la cappella sepolcrale della

 

Famiglia Greffulhe, riprodotta nelle guide dell’epoca.




 Così, durante la prima metà del Diciannovesimo secolo, l’usanza della tomba di famiglia è divenuta comune, e questa ha preso la forma di una cappella.

 

Le prime tombe collettive dei nuovi cimiteri sono dunque state imitazioni su scala appena ridotta delle cappelle laterali delle chiese. In seguito, verso la metà del secolo, il procedimento divenne banale; la cappella fu miniaturizzata, ridotta a una piccola edicola, ma conservò le forme e gli elementi tradizionali, il cancello d’entrata, le vetrate, l’altare, i ceri e l’inginocchiatoio: Famiglia X. In queste tombe di famiglia, decine di corpi si sono talvolta accumulati per più di un secolo, con il consenso della legge. La forma della cappella gotica fu abbandonata alla fine del secolo.

 

Nel Diciannovesimo secolo e all’inizio del Ventesimo, e ancor oggi nelle classi popolari, i francesi testimoniano un grande attaccamento a queste tombe di famiglia in cui spesso riposano tre o quattro generazioni.



In un mondo che si trasforma, in una società mobile, la tomba è diventata la vera casa di famiglia. In una località della periferia parigina, solo pochi anni fa, una vecchia lavandaia aveva comprato in fretta, mentre era ancora in vita, la sua tomba, come un principe del Rinascimento. Aveva destinato questa tomba anche ai suoi figli. Un giorno, litigò col genero. Allora, per punirlo, lo scacciò dall’unico luogo che considerasse come suo in perpetuo: Gli ho detto che non sarà mai sepolto nella mia tomba.

 

Ecco, perciò, come si passa dalle cappelle dei donatori nelle chiese dal Quattordicesimo al Diciottesimo secolo, alle cripte di famiglia dei cimiteri contemporanei.

 

Fin dall’origine, la cappella privata è stata considerata come un luogo riservato alla famiglia e ai suoi morti. In uno dei testi sopra citati, si è osservato che l’acquirente di una cappella aveva fatto esumare il corpo di suo padre per trasportarlo nella sua cripta, dove sarebbero discesi a loro volta gli altri membri della famiglia. La sepoltura nella cripta riservata ad una famiglia contrasta con l’inumazione comune, solitaria e anonima. Il bisogno di riunire in perpetuo, in un luogo riservato e chiuso, i morti della famiglia, corrisponde a un nuovo sentimento che si è poi esteso a tutte le classi sociali nel Diciannovesimo secolo: l’affetto che lega i membri viventi della famiglia è riversato sui morti. Così la cripta di famiglia è forse l’unico luogo che corrisponda a una concezione patriarcale della famiglia, in cui sono riuniti sotto il medesimo tetto parecchie generazioni e parecchi nuclei familiari.

 

(P. Arles; quest’articolo è stato oggetto di una comunicazione al convegno sulla famiglia, Cambridge, Group for Population Studies, settembre 1969).

 




 

 

 


  

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