giuliano

mercoledì 16 ottobre 2013

DIALOGHI (di altri tempi...)













- E quanto a procacciar conoscenza che ne di' tu?
non è d'impedimento il corpo, se, cercandola, prendiamo lui a compagno?
voglio dire: la vista e l'udito dicono mai vero agli uomini?
O ce lo ricantano sino i poeti che noi nulla di chiaro vediamo cogli occhi
né udiamo cogli orecchi?




e se questi sensi corporali non sono fidi e sinceri, mal potrebbero essere
gli altri che a comparazione di quelli sono molto più sciocchi:
non ti par così?
- Così,
disse.
- Adunque, quando l'anima coglie il vero?




Al certo, ponendosi ella a considerare alcuna cosa avendo compagno
il corpo, esso manifestamente la trae in inganno.
- Dici vero.
- E se mai ci è cosa, non è il ragionamento quello che rispecchia un po-
co gli enti?




- Sì.
- E allora l'anima ragiona perfettamente, quando per nulla non l'anneb-
biano la vista e l'udito, né il piacere e il dolore; ma sola rimanendo, ac-
comiatato, sdegnosa di aver che fare con lui e toccarlo, con tutto il suo
potere a quello che è s'indirizza.




- Giusto.
- E per tal ragione l'anima del filosofo non ha in fastidio il corpo?
e non fugge via da esso, e di rimanere sola è bramosa?
- E' chiaro.
- E che s'ha a dire, o Simmia, a quest'altro proposito?




S'ha a dire, che il giusto è qualche cosa per sé medesimo?
- Sì, s'ha a dire, per Giove.
- E similmente il bello e il buono?
- Come no?
- E li hai mai tu veduti con gli occhi?




- No,
rispose.
- E forse li hai tu sentiti con altro senso corporale?
non dico solo gli enti mentovati, ma anco la grandezza, la sanità, la
forza, e, per dire brevemente, tutte le altre cose nella loro essenza,
ossia nel loro sincero essere?




forse che per via del corpo si discerne ciò che ha di puro vero nelle
cose?
Ovvero è così che solo colui che s'apparecchia a ben ragionare su
gli enti ai quali ha rivolto la mente sua, colui solo è più prossimo ad
averne conoscimento?




e non farebbe colui questo apparecchiamento con grande purità,
il quale quanto può si profondasse in ciascun ente con la ragione
medesima, non interponendo la vista né alcun altro senso corpora-
le?
colui, il quale si mettesse a cercare ciascun ente schietto giovando-
si del discorso schietto della mente e stando in compagnia con l'-




anima, sciolto dagli occhi e dagli orecchi e da tutto il corpo, facen-
do egli turbamento quando ci si mischia, e non lasciando acquista-
re verità e sapienza?
E Simmia:
- Benissimo, Socrate; tu di' proprio vero.




- E però i filosofi di necessità devono pensare in modo, che hanno
a dir così parlandosi insieme:
"Ci mena quasi una via diritta e chiara nella considerazione, che in
sino a tanto che si ha il corpo, e la sua pestilenza ci si avventa all'a-
nima, mai non perverremo noi a quello che desideriamo: ch'è il vero;




imperocché il corpo a cagione del suo campamento ci fa molestie
innumerabili e le infermità sopravvenimenti c'impediscono di cercare
quello che è.
Oltre a ciò con tanta iniquità ci riempe di amori, desiderii, paure, e
visioni fallaci e sciocchezze d'ogni maniera, che proprio non ci lascia
mai intendere a cosa niuna.




Ché le ribellioni, le guerre e battaglie non le fa che esso con le sue
voglie; imperocché dalla bramosia di arricchire scoppian le guerre;
e le ricchezze si bramano per il corpo, per lisciar lui.
Per questo egli è d'impaccio alla filosofia, e, che è peggio, poniamo
che ci dia riposo un poco, e noi ad alcuna considerazione dirizziamo
l'intelletto, repentemente ecco ch'egli ci si caccia nel mezzo, sì scom-
pigliando, fracassando, percuotendo, che, colpa sua, non ci vien fat-
to di contemplare la verità.




E però egli è assai manifesto, che, volendo veder con chiarezza, è
mestieri disvilupparci da lui e guardare i puri enti con la pura anima;
e può essere, secondoché mostra il ragionamento, che allora conse-
guiremo quello di che siamo desiosi e amorosi, cioè la intelligenza...."
(Platone, Fedone)












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