giuliano

venerdì 30 luglio 2021

L'ISOLA DI SACHALIN (17)

 






















Precedenti capitoli:


Circa l'isola (16)


Prosegue con il...:


Capitolo completo...


& una e più Domeniche....


con il guardiano del Gulag (18/20) 








Lui invece non era tuttavia soddisfatto della risposta, anzi irritato, e mi ha risposto con ogni sorta di domande intese per ottenere una confessione dei nostri reali scopi nell’andare in un paese come la Siberia. Alla fine disse con crescente serietà e severità…

 

Ieri ti sei soffermato davanti all’articolata prigione.

 

 Sì,

 

ho risposto.

 

Perché lo hai fatto? 




 …Stavamo salendo sulla collina per avere un panorama della città, del vostro grande immenso paese, ovvero là dove inizia il Paese decantato per finire alla Vista d’una Prigione di Stato… Ed anche procedendo al contrario… Direi che dipende molto dai punti di vista!

 

Ma tu non sei salito sulla collina, hai semplicemente camminato e poi sei passato davanti all’articolata prigione, guardando attentamente mentre passavi, e poi sei tornato.

 

Ho spiegato che l’ora era tarda e che dopo essere passata il carcere abbiamo deciso di rimandare la nostra escursione in vetta della collina fino al mattino.




 ….Sia nell’andare che nel tornare,

 

…continuò,

 

tu... hai dedicato, anzi pensato con tutta la tua attenzione alla prigione. Ed anche alla vigilata prigionia d’ognuno. E questa mattina di nuovo alla stessa cosa. Ora, cosa stavi guardando? Cerchi qualche carcerato o rifugiato politico. Sei anche tu un rifugiato?!




 Quando ho capito da queste domande come abbiamo rischiato di cadere nei sospetti più infondati non meno di nuovi arresti (della Ragione), non ho potuto fare a meno di sorridere verso questo ufficiale con la testa completamente rasata; ma poiché non c’era alcunché di intelligente nel suo volto, e siccome tutti e quattro gli ufficiali sembravano considerarlo una sorta di duce, e noi al contrario un corteo di poveri esuli, Ragion per cui ho fornito di nuovo spiegazioni…

 

Dove stai in città?

 

Mi ha chiesto uno degli agenti di polizia.

 

All’albergo del Mulino!




Ho risposto!

 

Quanto tempo intendi restare qui? 

 

Secoli, noi viaggiamo da Secoli…

 

Dove hai imparato a parlare la nostra lingua?

 

…chiese il capo dei gendarmi, riprendendo a turno l’esame.

 

In Siberia,

 

ho risposto.




Ci sei già stato prima?

 

Da Secoli! Paghiamo anche il dovuto canone!

 

Cosa facevi in Siberia prima?

 

Sto cercando di costruire una linea telegrafica senza fili utile anche per gli Esuli…

 

(G. Kennan)  




Diecimila verste via terra all’andata e innumerevoli miglia marine al ritorno non erano bastate ad Anton Pavlovič Čechov per depistare la chandra, quel taedium vitae squisitamente russo che lo attanagliava e che lo aveva spinto ad affrontare il più inutile dei viaggi: a quello a Sachalin.

 

O, almeno, le prime lettere inviate ai familiari al suo rientro (come quella citata, scritta da Pietroburgo il 9 gennaio 1891 all’affezionatissima sorella Marija, cui Čechov si rivolge con un nomignolo) restituiscono, più che il sollievo di chi torna in patria dopo una lunga assenza, l’impressione di uno spaesamento difficile da superare. Dopo le fatiche di Sachalin e dei tropici, aveva confidato qualche giorno prima all’editore e amico Aleksej Suvorin la mia vita moscovita mi sembra borghese e noiosa al punto che darei un morso a qualcuno.




 Eppure, l’avventura siberiana aveva messo lo scrittore allora trentenne in una posizione del tutto inattesa. Al suo ritorno, Čechov non sarà più solo l’autore di deliziosi raccontini umoristici adorati dal pubblico o di bizzarre pièce teatrali (come Ivanov e Lešij) che sembravano sfidare tutte le leggi della drammaturgia, ma anche l’unico letterato russo (Vlas Doroševič lo imiterà qualche anno dopo) a essersi sobbarcato i rischi di un faticoso viaggio in Estremo Oriente pur di vedere ciò che nessun intellettuale aveva mai visto, e cioè la colonia penale istituita dal regime zarista sull’isola di Sachalin nel 1869.

 

Non stupisce dunque che un’eterogenea folla di visitatori e curiosi avesse assediato la casa di Suvorin, dove Čechov era solito trattenersi quand’era a Pietroburgo:

 

Attribuiscono al mio viaggio un’importanza che mai mi sarei aspettato, arrivano perfino consiglieri di Stato, consiglieri di Stato in carica! Tutti sono impazienti di leggere il mio libro e prevedono che sarà un successo, e io non ho nemmeno il tempo di scriverlo....




In realtà, qualche pagina Čechov l’aveva buttata giù addirittura prima di partire, come risulta dalle missive in cui confessa di aver attinto a piene mani dalla letteratura scientifica sull’argomento per compilare un capitoletto sulla geografia dell’isola, che, ammetteva compiaciuto, non mi è venuto neppure tanto male.

 

In effetti, i mesi precedenti la spedizione erano stati dedicati a uno studio matto e disperatissimo che l’aveva assorbito completamente, consumando tutte le sue energie. Con uno zelo degno di un dottorando, lo scrittore aveva raccolto dati relativi alla composizione del suolo e ai venti, sfogliato le annate del Morskoj sbornik a partire dal 1852, schiavizzato i suoi familiari affinché andassero in biblioteca a trascrivere per lui non tanto notiziole sparse, quanto quegli elementi che caratterizzano l’atteggiamento della nostra società verso la questione carceraria, come aveva precisato il 25 febbraio 1890 in una lettera al fratello maggiore Aleksandr. Una sorta di ottenebramento mentale, un’autentica Mania Sachalinosa, come la definirà lui stesso, piegando il lessico medico alle esigenze dell’autoironia. Ed è proprio alla Medicina – cioè a quella moglie legittima che Čechov dichiarava di trascurare impudentemente per l’amante Lettera tura – che il viaggio a Sachalin deve forse la sua origine.




 Fiumi d’inchiostro sono stati versati sulle ragioni che avrebbero spinto lo scrittore a visitare la colonia penale, una ridda di ipotesi – dal dolore per la prematura morte del fratello Nikolaj al desiderio di smentire l’accusa di indifferentismo sociale mossagli dal critico populista Nikolaj Michajlovskij – a cui Čechov avrebbe probabilmente risposto rovesciando l’interrogativo:

 

Perché mai andare a Sachalin?

 

in:

 

Perché non andare a Sachalin?

 

‘Ammettiamo pure che questo viaggio sia una sciocchezza, una cocciutaggine, una stravaganza; ma riflettete un po’ e ditemi cosa perdo, facendolo.




  Tempo?

 

Denaro?

 

Sarà uno strapazzo?

 

Il mio tempo non vale nulla, il denaro mi manca sempre, comunque sia; e quanto agli strapazzi, viaggerò con i cavalli venticinque o trenta giorni al massimo’

 

– così scriveva a Suvorin in una lettera datata 9 marzo 1890, nella quale difendeva con inusitata foga il suo progetto.

 

Respingendo le argomentazioni dell’editore, che l’aveva scongiurato di desistere da un’impresa così rischiosa e all’apparenza vana, Čechov replicava che Sachalin poteva essere priva d’interesse solo per una società che non vi avesse deportato migliaia di persone, spendendovi milioni di rubli…. 

(Anton Pavlovič Čechov)


(Prosegue con il capitolo completo)










Nessun commento:

Posta un commento