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Circa la tirannide (16/1)
Prosegue con il...:
Mancato rispetto delle Leggi (18)
Non c’è
ombra di dubbio, mio caro Nicarco, che il tempo a venire avvolgerà nelle
tenebre e nell’incertezza totale gli accadimenti umani se fin d’ora, per fatti
così nuovi, così recenti, trovano credito resoconti completamente menzogneri.
E, non
nutro dubbio circa il fatto, che seppure ed in apparenza le idee siano esposte
al meglio del democratico intento, il tiranno è sempre in agguato come il peggiore
male. Anzi con il proposito di rinnovarne il banchetto, ovvero il veleno con il
quale in segreto il nocchiere, traina il cocchio del proprio ed altrui tiranno,
preparare il malefico unguento servito alla mensa della nuova tirannia.
Eppure lo
vediamo di frequente, ostenta il nome d’un apostolo, giacché tutti noi in odio
al tiranno non meno del nocchiere, suo ‘cavallo’, siamo ispirati dal suono
soave degli Oracoli dettati dalla Natura del proprio Spirito, tutte le volte
che ne avvertono il malefico maleficio.
Qualcuno o
più d’uno, durante l’intero simposio, ha indicato le pesti del passato presente
e avvenire, quali morbi da combattere, al che noi abbiamo replicato, che peggio
di loro regna il virus sconfitto del tiranno, il quale trama la rovina definitiva
della compiuta naturale democrazia esposta all’incessante oblio dell’umana
tirannica natura.
Già di per
se questo il principio d’ogni veleno!
Il male un
nulla in confronto della dottrina del tiranno, il quale arruola, nella vasta
schiere di eserciti e future corti fedeli al principio della incurabile tirannia,
l’essenza del veleno spacciato qual profumo lieve e delicato, rivenduto come
miracoloso unguento con cui battezzare il popolo offerto in Sacrifico ad ogni
(ignoto) altare del libero arbitrio. Ovvero là ove dimora ogni più democratico
consenso, il tiranno Matteo, prepara in segreto,
come e peggio d’un oracolo, il proprio veleno.
Negli intervalli trama e tesse auspici accompagnati da fatture frammentate da brevi responsi oracolari, i quali vengono inalati e dispensati ai fedeli della segreta setta, in ricordo del veleno della non sconfitta tirannia.
Si badi
bene da non confonderli con i loro eterni alleati e fratelli, giacché d’una
diversa setta e dottrina, seppur in apparenza si tengono in concordato odio, in
realtà scrutano le viscere della Natura, in ugual medesima dottrina nell’amore
sviscerato per la tirannia. Ovvero, è bene differenziarli dai Ciclopi, seppur
qualcuno li scruta in armonia con Davide re e sultano, differenziando lo scarto
di quanto ingegnato nonché industrializzato in onore di Prometeo il Dio del
fuoco, hora dicono – da tutti loro - incatenato.
Di comune
segreto accordo hanno sentenziato il momento sia giunto di liberarlo!
In effetti,
per cominciare, a differenza di quanto avete sentito dire, i sette sapienti non
furono i soli ad intervenire a quel simposio: i partecipanti furono infatti più
di due volte tanti (io stesso vi presi parte con
odierno rammarico, come intimo nemico di Periandro, il giovane, il nuovo tiranno senza paragone alcuno con suo padre, il vecchio, il quale ha abdicato, o
declinato l’intervento, lasciando l’onore testamentario, purtroppo al giovane
dissennato).
Ora, dal
momento che il tempo non ci manca e che d’altro canto la mia tarda età non mi
consente di differire il racconto dei fatti, soddisferò il vostro desiderio con
un’esposizione esaustiva di tutto quanto, così come effettivamente si svolse
fin dal principio, e come ebbe a finire nel principio della fine.
Con Matteo il giovane in luogo a procedere in nome e per conto dell’assennato padre Periandro!
Morto
ammazzato?
Non
sappiamo, quando lo vediamo rimpiangiamo i tempi trapassati dei Simposi.
Periandro
in quel tempo aveva organizzato il ricevimento non in città, a Corinto, ma in
una sala nella zona del porto Lecheo, vicino al tempio di Afrodite, in onore
della quale si celebrava quel giorno il sacrificio. Dopo che la madre si uccise
per la relazione incestuosa che aveva avuto con lui, da cui nato Matteo,
Periandro non aveva più sacrificato ad Afrodite ed era proprio quella la prima
volta da allora che, spinto da certi sogni di Melissa, si era risolto ad
onorare ed adorare di nuovo questa dea.
A ciascuno
degli invitati era stato mandato un carro, tirato da due cavalli ed equipaggiato
in modo confortevole: era estate e tutta la strada, fino al mare, era affollata
di carri e di viandanti che la rendevano polverosa e piena di chiasso.
Nondimeno Talete, come vide il carro presentarsi alla porta, con un sorriso lo
rimandò indietro. Così ci incamminammo, seguendo in tutta tranquillità dei
sentieri di campagna.
Talete si mise a ridere e disse:
‘Se c’è
qualche problema, si riprenda la via di Priene! Biante saprà trovare una
soluzione, così come l’ha trovata la prima volta’.
‘Di che cosa
si trattava la prima volta?’
chiesi io.
Ed egli
rispose:
‘Il re
d’Egitto gli aveva inviato una vittima sacrificale pregandolo di rimandargliela
dopo aver asportato la parte peggiore e al tempo stesso migliore delle carni
dell’animale. Il Nostro se la cavò molto bene: prima di rimandare indietro la
bestia ne fece mozzare la lingua. È evidente che è stato questo episodio
all’origine della stima e dell’ammirazione che il re manifesta nei suoi
confronti’.
‘Non è
questa la sola ragione!’
replicò Nilosseno.
‘Bisogna
considerare anche il fatto che Biante non rifugge, come voi, dall’essere amico
dei re né dall’essere reputato tale. Così, nei tuoi confronti, Talete, il mio
re nutre ammirazione per molteplici motivi; in particolare, è rimasto
singolarmente ben impressionato dal modo in cui hai misurato la piramide, senza
alcuno sforzo e senza avvalerti di strumenti, limitandoti a collocare il tuo
bastone al limite dell’ombra proiettata dalla piramide stessa; formatisi, al
contatto dei raggi del sole, due triangoli, dimostrasti che la proporzione
esistente fra la lunghezza del bastone e l’altezza della piramide era la stessa
che intercorreva tra la lunghezza delle due ombre.
Ciò nonostante, come ti ho già detto, ti si muove l’accusa di avere in odio i re, ed al mio sono state riportate alcune tue impudenti dichiarazioni nei confronti dei tiranni. Ad esempio, alla domanda di Molpagora di Ionia che ti chiedeva quale fosse la cosa più strana che tu avessi mai visto, avresti risposto:
“Un giovane
tiranno nato da un vecchio”.
Ed in
un’altra occasione, nel corso di una riunione conviviale, quando la
conversazione venne a cadere sulle bestie feroci, avresti sostenuto che il
peggiore degli animali selvatici è il tiranno, ed il peggiore fra i domestici
l’adulatore. Affermazioni di questo genere, i re, anche se pretendono di essere
completamente diversi dai tiranni, non le sentono certo volentieri’.
‘Quest’ultima
risposta, però’
precisò
Talete
‘è di Pittaco che la diede un giorno, per scherzo, a Mirsilo. Per quanto mi riguarda, io dissi che ciò che maggiormente avrebbe destato la mia meraviglia, sarebbe stato vedere un giovane nocchiero, non un tiranno, raggiungere la vecchiaia. Nondimeno, questo mutamento di vocaboli, suscita in me lo stesso sentimento che provò quel ragazzino che, volendo un giorno lanciare un sasso ad un giovane tiranno, ed avendo invece colpito la brasiliana con cui accompagnato, commentò:
‘Va bene
anche così in nome della transitata tirannia!’.
Ciò detto
nello Stato al suo trans brasiliano!
Ed il motivo per cui ho sempre considerato Solone sapiente in sommo grado, è proprio dovuto al fatto che ha rifiutato di diventare un tiranno travestito da saggio. Ne contiamo tanti troppi di questi travestiti brasiliani. E lo stesso Pittaco, se non fosse stato tanto vicino a detenere il potere assoluto, non avrebbe detto:
‘Com’è
difficile essere uomo valente e dotato!’.
Quanto a
Periandro il vecchio, affetto dalla
tirannide come da un male ereditario, sembra cavarsela abbastanza bene: almeno
fino ad oggi le sue compagnie sono sane, si circonda esclusivamente di uomini
assennati ed ha rifiutato di uccidere non meno di sottomettere i cittadini più
eminenti - come putti e infanti - come gli aveva consigliato il mio compatriota
Trasibulo.
Infatti il
tiranno che preferisce esercitare il suo potere su schiavi piuttosto che su
uomini degni di questo nome, non differisce in nulla da un contadino che
preferisce raccogliere doglio e cardi invece che grano ed orzo. Uno solo è il
bene che può compensare tutti i mali connaturati alla tirannide: l’onore e la
gloria; questo bene tuttavia può realizzarsi solo se quanti esercitano il
potere, qualora regnino su uomini dabbene, li superino in virtù, apparendo
quindi superiori ai migliori; quanti invece, al posto di questo nobile ideale,
hanno a cuore esclusivamente la propria sicurezza, ebbene costoro dovrebbero
esercitare il potere su pecore, cavalli e buoi, non su uomini’.
L’uomo avveduto, infatti, - proseguì Nilosseno - non si presenta a banchetto come un vaso vuoto, ma viene con il proposito di fare ed ascoltare discorsi seri о divertenti, per intrattenersi su argomenti che di volta in volta l’occasione suggerisce ai convitati, se questi intendono trascorrere il tempo godendo della reciproca compagnia. Se un piatto non è buono, lo si può rifiutare; se un vino è di cattiva qualità, si può sempre ripiegare sull’acqua; ma un convitato pesante e triviale, che vi dà il mal di testa, annulla e guasta il piacere di qualsiasi vino, di qualsiasi cibo, la grazia di qualunque musico, né ci si può in questo caso avvalere di quell’espediente che consiste nel vomitare ciò che provoca tanto disgusto.
A volte,
anzi, perdura anche tutta la vita, come perdura in bocca un cattivo sapore,
un’antipatia reciproca sorta a banchetto a causa di offese che, per un moto
d’ira, sono state scambiate tra i fumi dell’ubriachezza.
Perciò fece
benissimo Chilone, quando ieri è stato invitato, a non accettare prima di
essersi informato sull’identità di ciascuno dei convitati sostenendo che,
quando bisogna navigare о prendere parte ad una spedizione militare si è
costretti a sopportare un compagno di traversata о di tenda sciocco, ma
l’andare a mescolarsi coi primi venuti in un banchetto, questo non è da persona
assennata.
Così
chiacchierando lungo la strada, giungemmo finalmente al luogo in cui si sarebbe
tenuto il simposio. Talete rifiutò di lavarsi, sostenendo che ci eravamo già
cosparsi di olio; si mise invece a passeggiare ed ammirare i viali, le palestre
ed il parco prospiciente il mare, tenuto splendidamente: niente di tutto ciò lo
impressionava in modo particolare, ma non voleva dare l’impressione di
disdegnare о addirittura disprezzare la magnificenza di Periandro il vecchio.
A mano a mano che gli altri si erano cosparsi d’olio о lavati, i servitori li conducevano nella sala del banchetto attraverso il portico.
Mentre
stavamo per entrare nella sala in cui si sarebbe tenuto il banchetto, ci si
parò davanti Alessidemo di Mileto, figlio bastardo del tiranno Trasibulo: stava
infatti uscendo e nel suo furore parlava tra sé, visibilmente molto agitato,
senza che però noi riuscissimo a capire nulla di ciò che diceva. Quando vide
Talete, tornò un poco in sé, si fermò ed esclamò:
‘Quale
affronto ci ha fatto Periandro! E pensare che prima non mi ha permesso di
imbarcarmi, cosa che ero intenzionato a fare, pregandomi di fermarmi per
partecipare al banchetto e poi, una volta che sono qui, vedo che mi assegna un
posto indegno della mia condizione, anteponendo Eoli, insulari, in una parola,
tutti quanti a Trasibulo! Perché, è evidente, attraverso me in realtà è
Trasibulo, dal momento che è stato lui ad inviarmi qui, che egli vuole ostentatamente
offendere ed umiliare’.
‘Suvvia!’
gli disse
Talete.
‘Hai forse
paura che il posto che ti è stato destinato sia umiliante per te, che la tua
dignità ne risulti oscurata, così come gli astri, per gli Egiziani, divengono
migliori о peggiori a seconda che salgano о discendano nel corso delle loro
evoluzioni?
Se la pensi così, ti dimostrerai inferiore a quello Spartano che, vistosi assegnare dal corego l’ultimo posto in un coro, gli disse: “Ma che bravo! Hai trovato il modo giusto per valorizzare anche questa posizione!” ’.
E continuò:
‘Quando ci
viene assegnato un posto a tavola, o ad un processo, non dobbiamo arrovellarci
cercando di scoprire dietro a chi siamo stati messi, ma dobbiamo piuttosto preoccuparci
d’instaurare un buon rapporto con coloro che ci stanno accanto, tutti gli altri
o rimanenti tali consumarne gli avanzi del banchetto, sforzandoci fin
dall’inizio di scoprire in noi stessi un principio che serva a stabilire
un’amicizia e a mantenerla viva: e ciò si realizza pienamente allorquando ci
dimostriamo entusiasti della compagnia di quanti ci sono stati posti accanto o
di dietro, invece di provarne insofferenza. In realtà, chi trova da ridire sul
suo posto a tavola, trova da ridire sul suo vicino di tavola più che sul suo
ospite, e finisce con l’inimicarseli entrambi’.
‘Tutte
parole, le tue, nient’altro che parole!’
replicò
Alessidemo.
‘In pratica
anche voi, i famosi sapienti, vedo che gli onori li ricercate, eccome!’.
E con
questo ci passò davanti e sparì.
A questo
punto Talete si rivolse a noi che eravamo rimasti allibiti di fronte
all’eccentrico comportamento dell’individuo in questione e ci disse:
‘È proprio
un tipo strampalato e rozzo per natura! Pensate che, quand’era ancora
ragazzino, avevano portato un giorno in dono a Trasibulo un profumo di gran
pregio: ebbene, egli lo versò in un capace recipiente usato per tenere in
fresco il vino, vi aggiunse del vino puro e quindi tracannò il tutto, col
risultato di attirare a Trasibulo antipatie, invece che simpatie’.
[….] Dopo che furono rilette le domande con relativa risposta, mio caro Nicarco, calò il silenzio, quindi Talete chiese a Nilosseno se Amasi avesse approvato le soluzioni proposte. E quello rispose che alcune lo avevano trovato consenziente, su altre invece non era d’accordo. Al che Talete disse:
‘In realtà,
non ce n’è neppure una che non sia passibile di critica: in tutte sono
contenuti gravi errori e grande ignoranza. Volendo considerare, ad esempio, la
prima risposta, come potrebbe essere il Tempo la cosa più vecchia, se una parte
di esso è trascorsa, un’altra è presente ed un’altra ancora a venire?
Perché è
evidente che il Tempo che verrà dopo di noi ci appare più giovane delle cose e
degli uomini d’oggi.
Quanto al
ritenere che la Verità è sapienza, è come dire, a mio avviso, che la luce e
l’occhio sono tutt’uno. E se ha ritenuto la luce così bella, come di fatto è,
come mai non ha tenuto conto del sole?
Quanto alle
altre risposte, quella concernente gli dèi e quella sui demoni, sono anch’esse
azzardate e pericolose: ma c’è addirittura completa mancanza di raziocinio in
quella concernente la sorte; essa muterebbe infatti tanto facilmente se fosse
la cosa più forte e potente che c’è al mondo?
Nemmeno la
morte è la cosa più comune: gli esseri viventi, infatti, non ne partecipano. Ma
per non dare l’impressione di limitarci a correggere le definizioni altrui,
contrapponiamo a quelle del re d’Etiopia delle risposte nostre.
Io mi candido, se Nilosseno è d’accordo, a rispondere per primo a ciascuno dei quesiti.
Vado dunque
ad esporvi domande e risposte nell’ordine in cui sono state formulate in
precedenza:
“Qual è la
cosa più vecchia?”
“Il dio,
perché egli è ciò che non ha mai avuto un principio”.
“La cosa
più grande?”
“Lo spazio,
perché il mondo contiene tutte le altre cose, ma è a sua volta contenuto nello
spazio”.
“La cosa
più bella?”
“Il mondo,
perché tutto ciò che risulta disposto secondo un ben preciso ordine ne fa
parte”.
“La più
sapiente?”
“Il Tempo,
perché qualcosa ha già scoperto, il passato, e tutto il resto, cioè l’avvenire,
lo scoprirà”.
“La più
comune?”
“La
speranza: essa infatti è presente anche in coloro che non posseggono
nient’altro”.
“La più
utile?”
“La virtù,
perché rende utile qualsiasi cosa insegnandoci ad usarla bene”.
“La più
dannosa?”
“Il vizio,
perché con la sua presenza guasta la maggior parte delle cose
“La più
potente?”
“La
necessità, dato che è la sola cosa invincibile”.
“La più
facile?”
“Tutto ciò
che è secondo natura, perché per quanto riguarda i piaceri, ve ne sono molti
davanti ai quali gli uomini si tirano indietro, oppure e al contrario, ne fanno
merito a danno della Natura intera”.
[…] Ma Mnesifilo di Atene, amico ed ammiratore di Solone, disse:
‘Per quanto
mi riguarda, Periandro, sono del parere che la conversazione, così come avviene
per il vino, non debba essere ripartita sulla base del censo о del rango, ma,
così come usa in un regime democratico, debba essere invece equamente
distribuita tra tutti e bisogna che tutti vi siano coinvolti. Ebbene, nelle
considerazioni testé espresse a proposito del potere e della sovranità, noi
democratici non abbiamo avuto parte alcuna: riteniamo pertanto giusto che si
riprenda a discutere e che ciascuno di voi proponga una sentenza sulla forma di
governo basata sull’uguaglianza dei diritti, ricominciando da Solone’.
La proposta
fu accolta e per primo prese la parola Solone:
‘Avete già
avuto modo di udire, Mnesifilo, tu e tutti gli Ateniesi qual è la mia opinione
sul governo dello Stato; ma se vuoi riascoltarla ti dico che secondo me lo
Stato che gode il massimo della prosperità e della felicità e che meglio conserva
la democrazia è quello in cui coloro che non hanno subito un torto, non meno di
coloro che invece lo hanno subito, perseguono e puniscono chi lo ha perpetrato’.
Per secondo parlò Biante, il quale sostenne che la democrazia più solida è quella in cui tutti temono la legge come si teme un tiranno.
Dopo di
lui, Talete la identificò in quella all’interno della quale non vi sono
cittadini troppo ricchi о troppo poveri.
Fu poi la
volta di Anacarsi, il quale disse che è quella nella quale ogni cosa è
ripartita secondo principi egualitari, ma dove tuttavia il meglio è determinato
dalla virtù ed il peggio dal vizio.
Per quinto
parlò Cleobulo: egli affermò che è superiore ad ogni altro in saggezza quello
Stato all’interno del quale i governanti temono il biasimo più della legge.
Pittaco,
che parlò per sesto, sostenne che la costituzione migliore è quella in cui ai
malvagi non è concesso ricoprire cariche pubbliche, mentre i buoni non hanno il
diritto di non ricoprirle.
Gli
successe a parlare Chilone il quale, volgendogli le spalle spazientito,
dichiarò che la migliore forma di governo è quella in cui si presta più ascolto
alle leggi e meno agli oratori.
Per ultimo,
formulando un giudizio complessivo su quanto era stato detto, Periandro
dichiarò che, a suo avviso, tutti avevano fatto l’elogio di quella democrazia
che è la più simile all’aristocrazia.
(ispirato da Plutarco)
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