giuliano

venerdì 5 novembre 2021

(la tirannide) IL PEGGIORE NEMICO (17)

 










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Mancato rispetto delle Leggi (18)









Non c’è ombra di dubbio, mio caro Nicarco, che il tempo a venire avvolgerà nelle tenebre e nell’incertezza totale gli accadimenti umani se fin d’ora, per fatti così nuovi, così recenti, trovano credito resoconti completamente menzogneri.

 

E, non nutro dubbio circa il fatto, che seppure ed in apparenza le idee siano esposte al meglio del democratico intento, il tiranno è sempre in agguato come il peggiore male. Anzi con il proposito di rinnovarne il banchetto, ovvero il veleno con il quale in segreto il nocchiere, traina il cocchio del proprio ed altrui tiranno, preparare il malefico unguento servito alla mensa della nuova tirannia.

 

Eppure lo vediamo di frequente, ostenta il nome d’un apostolo, giacché tutti noi in odio al tiranno non meno del nocchiere, suo ‘cavallo’, siamo ispirati dal suono soave degli Oracoli dettati dalla Natura del proprio Spirito, tutte le volte che ne avvertono il malefico maleficio.

 

Qualcuno o più d’uno, durante l’intero simposio, ha indicato le pesti del passato presente e avvenire, quali morbi da combattere, al che noi abbiamo replicato, che peggio di loro regna il virus sconfitto del tiranno, il quale trama la rovina definitiva della compiuta naturale democrazia esposta all’incessante oblio dell’umana tirannica natura.  

 

Già di per se questo il principio d’ogni veleno!

 

Il male un nulla in confronto della dottrina del tiranno, il quale arruola, nella vasta schiere di eserciti e future corti fedeli al principio della incurabile tirannia, l’essenza del veleno spacciato qual profumo lieve e delicato, rivenduto come miracoloso unguento con cui battezzare il popolo offerto in Sacrifico ad ogni (ignoto) altare del libero arbitrio. Ovvero là ove dimora ogni più democratico consenso, il tiranno Matteo, prepara in segreto, come e peggio d’un oracolo, il proprio veleno.




 Negli intervalli trama e tesse auspici accompagnati da fatture frammentate da brevi responsi oracolari, i quali vengono inalati e dispensati ai fedeli della segreta setta, in ricordo del veleno della non sconfitta tirannia.

 

Si badi bene da non confonderli con i loro eterni alleati e fratelli, giacché d’una diversa setta e dottrina, seppur in apparenza si tengono in concordato odio, in realtà scrutano le viscere della Natura, in ugual medesima dottrina nell’amore sviscerato per la tirannia. Ovvero, è bene differenziarli dai Ciclopi, seppur qualcuno li scruta in armonia con Davide re e sultano, differenziando lo scarto di quanto ingegnato nonché industrializzato in onore di Prometeo il Dio del fuoco, hora dicono – da tutti loro - incatenato.

 

Di comune segreto accordo hanno sentenziato il momento sia giunto di liberarlo!             

 

In effetti, per cominciare, a differenza di quanto avete sentito dire, i sette sapienti non furono i soli ad intervenire a quel simposio: i partecipanti furono infatti più di due volte tanti (io stesso vi presi parte con odierno rammarico, come intimo nemico di Periandro, il giovane, il nuovo tiranno senza paragone alcuno con suo padre, il vecchio, il quale ha abdicato, o declinato l’intervento, lasciando l’onore testamentario, purtroppo al giovane dissennato).

 

Ora, dal momento che il tempo non ci manca e che d’altro canto la mia tarda età non mi consente di differire il racconto dei fatti, soddisferò il vostro desiderio con un’esposizione esaustiva di tutto quanto, così come effettivamente si svolse fin dal principio, e come ebbe a finire nel principio della fine.




Con Matteo il giovane in luogo a procedere in nome e per conto dell’assennato padre Periandro!

 

Morto ammazzato?

 

Non sappiamo, quando lo vediamo rimpiangiamo i tempi trapassati dei Simposi.

 

Periandro in quel tempo aveva organizzato il ricevimento non in città, a Corinto, ma in una sala nella zona del porto Lecheo, vicino al tempio di Afrodite, in onore della quale si celebrava quel giorno il sacrificio. Dopo che la madre si uccise per la relazione incestuosa che aveva avuto con lui, da cui nato Matteo, Periandro non aveva più sacrificato ad Afrodite ed era proprio quella la prima volta da allora che, spinto da certi sogni di Melissa, si era risolto ad onorare ed adorare di nuovo questa dea.

 

A ciascuno degli invitati era stato mandato un carro, tirato da due cavalli ed equipaggiato in modo confortevole: era estate e tutta la strada, fino al mare, era affollata di carri e di viandanti che la rendevano polverosa e piena di chiasso. Nondimeno Talete, come vide il carro presentarsi alla porta, con un sorriso lo rimandò indietro. Così ci incamminammo, seguendo in tutta tranquillità dei sentieri di campagna.




Talete si mise a ridere e disse:

 

‘Se c’è qualche problema, si riprenda la via di Priene! Biante saprà trovare una soluzione, così come l’ha trovata la prima volta’.

 

‘Di che cosa si trattava la prima volta?’

 

chiesi io.

 

Ed egli rispose:

 

‘Il re d’Egitto gli aveva inviato una vittima sacrificale pregandolo di rimandargliela dopo aver asportato la parte peggiore e al tempo stesso migliore delle carni dell’animale. Il Nostro se la cavò molto bene: prima di rimandare indietro la bestia ne fece mozzare la lingua. È evidente che è stato questo episodio all’origine della stima e dell’ammirazione che il re manifesta nei suoi confronti’.

 

‘Non è questa la sola ragione!’

 

replicò Nilosseno.

 

‘Bisogna considerare anche il fatto che Biante non rifugge, come voi, dall’essere amico dei re né dall’essere reputato tale. Così, nei tuoi confronti, Talete, il mio re nutre ammirazione per molteplici motivi; in particolare, è rimasto singolarmente ben impressionato dal modo in cui hai misurato la piramide, senza alcuno sforzo e senza avvalerti di strumenti, limitandoti a collocare il tuo bastone al limite dell’ombra proiettata dalla piramide stessa; formatisi, al contatto dei raggi del sole, due triangoli, dimostrasti che la proporzione esistente fra la lunghezza del bastone e l’altezza della piramide era la stessa che intercorreva tra la lunghezza delle due ombre.




Ciò nonostante, come ti ho già detto, ti si muove l’accusa di avere in odio i re, ed al mio sono state riportate alcune tue impudenti dichiarazioni nei confronti dei tiranni. Ad esempio, alla domanda di Molpagora di Ionia che ti chiedeva quale fosse la cosa più strana che tu avessi mai visto, avresti risposto:

 

“Un giovane tiranno nato da un vecchio”.

 

Ed in un’altra occasione, nel corso di una riunione conviviale, quando la conversazione venne a cadere sulle bestie feroci, avresti sostenuto che il peggiore degli animali selvatici è il tiranno, ed il peggiore fra i domestici l’adulatore. Affermazioni di questo genere, i re, anche se pretendono di essere completamente diversi dai tiranni, non le sentono certo volentieri’.

 

‘Quest’ultima risposta, però’

 

precisò Talete

 

‘è di Pittaco che la diede un giorno, per scherzo, a Mirsilo. Per quanto mi riguarda, io dissi che ciò che maggiormente avrebbe destato la mia meraviglia, sarebbe stato vedere un giovane nocchiero, non un tiranno, raggiungere la vecchiaia. Nondimeno, questo mutamento di vocaboli, suscita in me lo stesso sentimento che provò quel ragazzino che, volendo un giorno lanciare un sasso ad un giovane tiranno, ed avendo invece colpito la brasiliana con cui accompagnato, commentò: 

 

‘Va bene anche così in nome della transitata tirannia!’.

 

Ciò detto nello Stato al suo trans brasiliano!




Ed il motivo per cui ho sempre considerato Solone sapiente in sommo grado, è proprio dovuto al fatto che ha rifiutato di diventare un tiranno travestito da saggio. Ne contiamo tanti troppi di questi travestiti brasiliani. E lo stesso Pittaco, se non fosse stato tanto vicino a detenere il potere assoluto, non avrebbe detto:

 

‘Com’è difficile essere uomo valente e dotato!’.

 

Quanto a Periandro il vecchio, affetto dalla tirannide come da un male ereditario, sembra cavarsela abbastanza bene: almeno fino ad oggi le sue compagnie sono sane, si circonda esclusivamente di uomini assennati ed ha rifiutato di uccidere non meno di sottomettere i cittadini più eminenti - come putti e infanti - come gli aveva consigliato il mio compatriota Trasibulo.

 

Infatti il tiranno che preferisce esercitare il suo potere su schiavi piuttosto che su uomini degni di questo nome, non differisce in nulla da un contadino che preferisce raccogliere doglio e cardi invece che grano ed orzo. Uno solo è il bene che può compensare tutti i mali connaturati alla tirannide: l’onore e la gloria; questo bene tuttavia può realizzarsi solo se quanti esercitano il potere, qualora regnino su uomini dabbene, li superino in virtù, apparendo quindi superiori ai migliori; quanti invece, al posto di questo nobile ideale, hanno a cuore esclusivamente la propria sicurezza, ebbene costoro dovrebbero esercitare il potere su pecore, cavalli e buoi, non su uomini’.




 L’uomo avveduto, infatti, - proseguì Nilosseno - non si presenta a banchetto come un vaso vuoto, ma viene con il proposito di fare ed ascoltare discorsi seri о divertenti, per intrattenersi su argomenti che di volta in volta l’occasione suggerisce ai convitati, se questi intendono trascorrere il tempo godendo della reciproca compagnia. Se un piatto non è buono, lo si può rifiutare; se un vino è di cattiva qualità, si può sempre ripiegare sull’acqua; ma un convitato pesante e triviale, che vi dà il mal di testa, annulla e guasta il piacere di qualsiasi vino, di qualsiasi cibo, la grazia di qualunque musico, né ci si può in questo caso avvalere di quell’espediente che consiste nel vomitare ciò che provoca tanto disgusto.

 

A volte, anzi, perdura anche tutta la vita, come perdura in bocca un cattivo sapore, un’antipatia reciproca sorta a banchetto a causa di offese che, per un moto d’ira, sono state scambiate tra i fumi dell’ubriachezza.

 

Perciò fece benissimo Chilone, quando ieri è stato invitato, a non accettare prima di essersi informato sull’identità di ciascuno dei convitati sostenendo che, quando bisogna navigare о prendere parte ad una spedizione militare si è costretti a sopportare un compagno di traversata о di tenda sciocco, ma l’andare a mescolarsi coi primi venuti in un banchetto, questo non è da persona assennata.

 

Così chiacchierando lungo la strada, giungemmo finalmente al luogo in cui si sarebbe tenuto il simposio. Talete rifiutò di lavarsi, sostenendo che ci eravamo già cosparsi di olio; si mise invece a passeggiare ed ammirare i viali, le palestre ed il parco prospiciente il mare, tenuto splendidamente: niente di tutto ciò lo impressionava in modo particolare, ma non voleva dare l’impressione di disdegnare о addirittura disprezzare la magnificenza di Periandro il vecchio.




A mano a mano che gli altri si erano cosparsi d’olio о lavati, i servitori li conducevano nella sala del banchetto attraverso il portico.

 

Mentre stavamo per entrare nella sala in cui si sarebbe tenuto il banchetto, ci si parò davanti Alessidemo di Mileto, figlio bastardo del tiranno Trasibulo: stava infatti uscendo e nel suo furore parlava tra sé, visibilmente molto agitato, senza che però noi riuscissimo a capire nulla di ciò che diceva. Quando vide Talete, tornò un poco in sé, si fermò ed esclamò:

 

‘Quale affronto ci ha fatto Periandro! E pensare che prima non mi ha permesso di imbarcarmi, cosa che ero intenzionato a fare, pregandomi di fermarmi per partecipare al banchetto e poi, una volta che sono qui, vedo che mi assegna un posto indegno della mia condizione, anteponendo Eoli, insulari, in una parola, tutti quanti a Trasibulo! Perché, è evidente, attraverso me in realtà è Trasibulo, dal momento che è stato lui ad inviarmi qui, che egli vuole ostentatamente offendere ed umiliare’.

 

 ‘Suvvia!’

 

gli disse Talete.

 

‘Hai forse paura che il posto che ti è stato destinato sia umiliante per te, che la tua dignità ne risulti oscurata, così come gli astri, per gli Egiziani, divengono migliori о peggiori a seconda che salgano о discendano nel corso delle loro evoluzioni?




Se la pensi così, ti dimostrerai inferiore a quello Spartano che, vistosi assegnare dal corego l’ultimo posto in un coro, gli disse: “Ma che bravo! Hai trovato il modo giusto per valorizzare anche questa posizione!” ’.

 

E continuò:

 

‘Quando ci viene assegnato un posto a tavola, o ad un processo, non dobbiamo arrovellarci cercando di scoprire dietro a chi siamo stati messi, ma dobbiamo piuttosto preoccuparci d’instaurare un buon rapporto con coloro che ci stanno accanto, tutti gli altri o rimanenti tali consumarne gli avanzi del banchetto, sforzandoci fin dall’inizio di scoprire in noi stessi un principio che serva a stabilire un’amicizia e a mantenerla viva: e ciò si realizza pienamente allorquando ci dimostriamo entusiasti della compagnia di quanti ci sono stati posti accanto o di dietro, invece di provarne insofferenza. In realtà, chi trova da ridire sul suo posto a tavola, trova da ridire sul suo vicino di tavola più che sul suo ospite, e finisce con l’inimicarseli entrambi’.

 

‘Tutte parole, le tue, nient’altro che parole!’

 

replicò Alessidemo.

 

‘In pratica anche voi, i famosi sapienti, vedo che gli onori li ricercate, eccome!’.

 

E con questo ci passò davanti e sparì.

 

A questo punto Talete si rivolse a noi che eravamo rimasti allibiti di fronte all’eccentrico comportamento dell’individuo in questione e ci disse:

 

‘È proprio un tipo strampalato e rozzo per natura! Pensate che, quand’era ancora ragazzino, avevano portato un giorno in dono a Trasibulo un profumo di gran pregio: ebbene, egli lo versò in un capace recipiente usato per tenere in fresco il vino, vi aggiunse del vino puro e quindi tracannò il tutto, col risultato di attirare a Trasibulo antipatie, invece che simpatie’.




[….] Dopo che furono rilette le domande con relativa risposta, mio caro Nicarco, calò il silenzio, quindi Talete chiese a Nilosseno se Amasi avesse approvato le soluzioni proposte. E quello rispose che alcune lo avevano trovato consenziente, su altre invece non era d’accordo. Al che Talete disse:

 

‘In realtà, non ce n’è neppure una che non sia passibile di critica: in tutte sono contenuti gravi errori e grande ignoranza. Volendo considerare, ad esempio, la prima risposta, come potrebbe essere il Tempo la cosa più vecchia, se una parte di esso è trascorsa, un’altra è presente ed un’altra ancora a venire?

 

Perché è evidente che il Tempo che verrà dopo di noi ci appare più giovane delle cose e degli uomini d’oggi.

 

Quanto al ritenere che la Verità è sapienza, è come dire, a mio avviso, che la luce e l’occhio sono tutt’uno. E se ha ritenuto la luce così bella, come di fatto è, come mai non ha tenuto conto del sole?

 

Quanto alle altre risposte, quella concernente gli dèi e quella sui demoni, sono anch’esse azzardate e pericolose: ma c’è addirittura completa mancanza di raziocinio in quella concernente la sorte; essa muterebbe infatti tanto facilmente se fosse la cosa più forte e potente che c’è al mondo?

 

Nemmeno la morte è la cosa più comune: gli esseri viventi, infatti, non ne partecipano. Ma per non dare l’impressione di limitarci a correggere le definizioni altrui, contrapponiamo a quelle del re d’Etiopia delle risposte nostre.




Io mi candido, se Nilosseno è d’accordo, a rispondere per primo a ciascuno dei quesiti.

 

Vado dunque ad esporvi domande e risposte nell’ordine in cui sono state formulate in precedenza:

 

“Qual è la cosa più vecchia?”

 

“Il dio, perché egli è ciò che non ha mai avuto un principio”.

 

“La cosa più grande?”

 

“Lo spazio, perché il mondo contiene tutte le altre cose, ma è a sua volta contenuto nello spazio”.

 

“La cosa più bella?”

 

“Il mondo, perché tutto ciò che risulta disposto secondo un ben preciso ordine ne fa parte”.

 

“La più sapiente?”

 

“Il Tempo, perché qualcosa ha già scoperto, il passato, e tutto il resto, cioè l’avvenire, lo scoprirà”.

 

“La più comune?”

 

“La speranza: essa infatti è presente anche in coloro che non posseggono nient’altro”.

 

“La più utile?”

 

“La virtù, perché rende utile qualsiasi cosa insegnandoci ad usarla bene”.

 

“La più dannosa?”

 

“Il vizio, perché con la sua presenza guasta la maggior parte delle cose

 

“La più potente?”

 

“La necessità, dato che è la sola cosa invincibile”.

 

“La più facile?”

 

“Tutto ciò che è secondo natura, perché per quanto riguarda i piaceri, ve ne sono molti davanti ai quali gli uomini si tirano indietro, oppure e al contrario, ne fanno merito a danno della Natura intera”.




 […] Ma Mnesifilo di Atene, amico ed ammiratore di Solone, disse:

 

‘Per quanto mi riguarda, Periandro, sono del parere che la conversazione, così come avviene per il vino, non debba essere ripartita sulla base del censo о del rango, ma, così come usa in un regime democratico, debba essere invece equamente distribuita tra tutti e bisogna che tutti vi siano coinvolti. Ebbene, nelle considerazioni testé espresse a proposito del potere e della sovranità, noi democratici non abbiamo avuto parte alcuna: riteniamo pertanto giusto che si riprenda a discutere e che ciascuno di voi proponga una sentenza sulla forma di governo basata sull’uguaglianza dei diritti, ricominciando da Solone’.

 

La proposta fu accolta e per primo prese la parola Solone:

 

‘Avete già avuto modo di udire, Mnesifilo, tu e tutti gli Ateniesi qual è la mia opinione sul governo dello Stato; ma se vuoi riascoltarla ti dico che secondo me lo Stato che gode il massimo della prosperità e della felicità e che meglio conserva la democrazia è quello in cui coloro che non hanno subito un torto, non meno di coloro che invece lo hanno subito, perseguono e puniscono chi lo ha perpetrato’.




Per secondo parlò Biante, il quale sostenne che la democrazia più solida è quella in cui tutti temono la legge come si teme un tiranno.

 

Dopo di lui, Talete la identificò in quella all’interno della quale non vi sono cittadini troppo ricchi о troppo poveri.

 

Fu poi la volta di Anacarsi, il quale disse che è quella nella quale ogni cosa è ripartita secondo principi egualitari, ma dove tuttavia il meglio è determinato dalla virtù ed il peggio dal vizio.

 

Per quinto parlò Cleobulo: egli affermò che è superiore ad ogni altro in saggezza quello Stato all’interno del quale i governanti temono il biasimo più della legge.

 

Pittaco, che parlò per sesto, sostenne che la costituzione migliore è quella in cui ai malvagi non è concesso ricoprire cariche pubbliche, mentre i buoni non hanno il diritto di non ricoprirle.

 

Gli successe a parlare Chilone il quale, volgendogli le spalle spazientito, dichiarò che la migliore forma di governo è quella in cui si presta più ascolto alle leggi e meno agli oratori.

 

Per ultimo, formulando un giudizio complessivo su quanto era stato detto, Periandro dichiarò che, a suo avviso, tutti avevano fatto l’elogio di quella democrazia che è la più simile all’aristocrazia.

 

(ispirato da Plutarco)









 

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