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Meccanica e meccanismo (28)
Prosegue con:
[ *Ed io a lui:
Privilegiando
nella volontà tradotta dell’artista una ‘luce’ con la quale miriamo un aspetto
della stessa nella totalità dell’Opera compiuta da quando nato il pittogranma
di cui futura parola, riducendo però la vastità della prospettiva evidenziata
ad una tecnica figlia del suo e nostro tempo. L’evoluzione detta non scorre al
contrario nella scelta di un singolo aspetto che fanno della luce, con la sua
micro e macro suddivisione, anima dell’arte, riducendo ad un formalismo la
bellezza di quanto ammirato ed evoluto, ma bensì nel puntinato di quanto
ugualmente scorto adeguando i parametri nell’ottica più congeniale alla volontà
del termine il quale sottintende, altrimenti ridurremmo l’esperienza della
puntinata visione ad un accademico principio, di cui io e la mia guida
riconosciamo in cotal salita e discesa, la volontà di comprendere più di quanto
nell’enunciato raccolto e postulato…
Adottando lo stesso principio formale ci adeguiamo quanto dal Gould postulato e lo adattiamo alla nostra ‘Gallerie di stampe’ ed esuliamo dal punto prospettico di questa in infiniti crescendi e certe prospettive della stessa evoluzione letta ed ammirata. Giacché il Seraut svela non volendo la manifesta coscienza dello scienziato ponendo il nostro essere ad un nuovo (quanto antico) confino, di cui ogni sapere, e ciò che ne deriva, formare quelle ortodossie o eterodossie in seno ad ogni dottrina, riproponendo ugual espressioni di intolleranza…; ma al contrario, riprospettiamo ed adeguiamo il traguardo per ogni opera maturata dalla e nella ricerca per ogni nuova teoria in conformità alla vastità prospettica la qual vuole conferire al dono dell’universale sapere… verità agognata… Rapportando la lunga stasi documentata, e non solo dal Gould, ad una singola evoluzione in merito alla stessa prospettiva la qual però, come detto, esula e sfugge (come direbbe Godel) dal progressivo contesto in cui enumerata…
Infatti nella logica di una immobilità postulata muoviamo e rileviamo Pensiero di una perenne stasi dallo gnosticismo ampiamente rivelata… La progressione nasce e muove l’intento dallo scienziato quanto dal pittore detto preso qual esempio, per conferire alla ‘Galleria di stampe’ certezza di stasi nel momento in cui la luce, così come per il Brunelleschi la prospettiva, divengono immagine ed arte confacenti al dono della vista più completa nella dimensione cui la stessa prospetta… Però, pur essendo punti di fuga in statici principi protratti nei secoli, riconosciamo in cotal evoluzioni un circoscritto intento delimitare le scientifiche dottrine reclamate e suddivise e giammai specchio prospettiva e luce di universale ingegno.
Mi spiego ancor meglio: se il puntinato e la sua manifestazione nella duratura o limitata stasi assieme alla prospettiva con il suo punto di fuga e la luce per il post impressionista rappresentano evoluzioni nella materia che sottintendono, abbiamo perso, però, quella capacità di rapportare il tutto dal tutto nato all’universale essere evoluto motivo e principio di questo e/o altro studio, giacché questo intende (o fors’anche ed ancor meglio sottintende) nel progresso del detto ingegno anche corrispondenza e certa appartenenza alla spirale di cui specchio…
Delimitando ed enunciando il confino tra stasi ed il successivo cammino nato in ragione di quanto fin qui raccolto al fossile di cui specchio da quando il Tempo… Ragion per cui se ad oggi il pixel adotta ugual evoluzione dello scienziato da un artista nato ed evoluto, in difetto però, della medesima stasi che rapporterà e tradurrà quanto di concretamente ‘accertato’ entro i più reali termini di quanto non propriamente ‘assommato’ o meglio ‘risolto’ dalla stessa geologica dottrina la quale spiega il conformarsi della vita da una cellula nata e poi fino ad un pensiero prima glutterato e poi più ampiamente cogitato…
Poi di nuovo frammentato in ‘pittogramma’ di limitato contenuto alla parete di cui compone statico e puntinato motivo… cui il pixel conferisce immagine appropriata… alla luce nata… Riducendo l’universale evoluzione detta ed il simmetrico presunto suo sapere ad un puntinato contenuto enunciato, però, nella stasi di un battito di ciglia qual certa e reale comprensione circa il tutto… In quanto successioni graduali di una stasi protratta nel senso gnostico del Tempo e non certo punti di equilibrio di saggia evoluzione, e con questo penso di aver tradotto l’arcana parola rilevata, in quanto lo abbiamo più volte detto, in verità e per il vero, se pur il Tempo nello Spazio scorre ed enumeriamo i secoli e l’uomo un Secondo rispetto alla consistenza di quanto presidiato, da quando cioè, pone parola e pensiero, in verità siamo fermi in stasi protratte nel fattore dello stesso (tempo)…
Così
non facciamo che dar ragione della nostra universale pazzia nell’aver
confermato che non è sufficiente prospettiva e luce per svelare qual si voglia
mistero ma una capacità di coniugare ed elevare la dimensione a ciò di cui non
visto, solo percepito, nel contesto che fanno della vera evoluzione un gradino
più elevato per la globale comprensione… nella stasi cui l’opera compone la
propria visione… Giuliano Lazzari;
L’Eretico Viaggio; punti di equilibrio ]
Una
proiezione del medesimo principio (orientato però in una direzione diversa) è
offerta dalle fotografie realizzate attraverso tre filtri luminosi e il
successivo congiungimento delle tre immagini mediante una lanterna magica
oppure mediante la loro scomposizione per mezzo di un retino, con successiva
stampa in tre colori (la comune fotografia tricromatica).
Gli
esempi qui citati dimostrano come gli strumenti da noi presi in esame siano
effettivamente delle organoproiezioni. Ma se le cose stanno davvero così (e non
per una coincidenza casuale, bensì in virtù dell’essenza stessa della
produzione tecnica), occorre ritenere che tutti gli strumenti siano tali e non
soltanto “taluni” e che nella natura medesima dell’utensile sia insita la
necessità di essere la proiezione di questo o quell’organo.
In
tal caso, dovremo porci una duplice domanda: in primis, proprio tutti i nostri
organi hanno la loro proiezione nella tecnica umana?
E,
in secundis: davvero ogni strumento è la proiezione di uno dei nostri organi?
Com’è evidente, la risposta alla prima questione non potrà essere che negativa. La nostra tecnica si evolve continuamente. Non intendo con questo affermare che essa si evolva senza soluzione di continuità in tutta la durata storica, ma solo che appaiono strumenti che in una certa fase della storia e presso una data cultura non esistevano; inoltre, compaiono strumenti costruiti secondo nuovi principi.
E
non c’è motivo di credere che una tale produzione debba essere limitata e non
possa proseguire indefinitamente. Di conseguenza, ogni stadio dell’evoluzione
tecnica non è definitivo e, pertanto, in un dato momento storico non tutti gli
organi e non tutte le parti degli organi trovano la loro proiezione nella
tecnica.
Il
compito storico della tecnica consiste nel continuare deliberatamente con le
proprie organoproiezioni, fondandosi sulle soluzioni fornite inconsapevolmente
dalla germinazione corporea dell’anima.
Come la natura, – dichiara du Prel – risolve i suoi compiti organici in base al principio della dispersione minore di forze, delineandosi come archetipo della tecnica, così quest’ultima dovrà imitare la natura, come del resto ha sempre fatto inconsciamente. Ma, per raggiungere la soluzione ideale dei fini che si propone, essa dovrà innalzarsi fino all’imitazione consapevole della natura […] Solo se la tecnica prenderà a imitare consapevolmente la natura, potrà sorgere la speranza che la sua evoluzione non dipenda dal caso, simile a una caccia a occhi bendati e che si realizzi la profezia di Francis Bacon, barone di Verulam: ‘Insieme all’invenzione andrà perfezionandosi anche l’arte d’inventare’.
E
questa è la risposta alla prima domanda; una risposta dal carattere meramente
preliminare, poiché il suo contenuto si amplierà in misura considerevole non
appena prenderemo in esame anche la seconda delle questioni da noi poste, vale
a dire: davvero tutti gli strumenti sono la proiezione dei nostri organi?
Fu
proprio quest’interrogativo (concepito in maniera erronea) a spingere Ernst
Mach a replicare alla teoria sulla produzione tecnica di Kapp, affermando che
essa ‘avvolge di una fitta nebbia il pensiero di Spencer e che per suo tramite ‘si
potrà pervenire soltanto a una ‘filosofia’ fantastica’ della tecnica. ‘È
incerto – obietta Mach – quale organo si proietti nella vite, nella dinamo, nel
rifrattometro a cristallo e così via. Quel che è certo è che attraverso lo
studio della tecnica possiamo arrivare a comprendere taluni organi del nostro
corpo.
La risposta a questa domanda, così com’è stata posta, non può essere che negativa.
Innanzitutto,
siamo ancora ben lungi dal conoscere tutti gli organi del nostro corpo. Il
nostro corpo non può essere considerato come qualcosa di noto; ciononostante,
questo non impedisce all’immaginazione creativa di proiettare nella tecnica
anche quelle parti del corpo o quegli organi che risultano ancora sconosciuti
all’anatomia macroscopica e microscopica, nonché alla fisiologia. Di
conseguenza, non solo è ammissibile, ma addirittura auspicabile attendersi
dalla tecnica quegli strumenti il cui prototipo organico non è stato ancora
rinvenuto.
Inoltre,
molti dei nostri organi sono rudimentali, non si sono ancora completamente
sviluppati o finanche formati, dal momento che la corrente vitale si è
allontanata da loro, fluendo via verso altri esseri. Ciò tuttavia non impedisce
a tali organi di esistere, almeno in linea di principio, nel nostro corpo o,
piuttosto, nel principio vitale del nostro corpo.
Per conservare l’integrità del nostro organismo è necessario che esso si stilizzi in una direzione determinata, ovvero nello sviluppo degli organi è fondamentale una certa unilateralità. Ma questo non significa che, anche nell’ambito degli strumenti che prolungano o non prolungano il nostro corpo secondo il nostro arbitrio e in base alle esigenze del momento e che possiamo unire a esso o staccare, sia necessario anche un certo grado di specializzazione, se la consideriamo nella sua interezza.
In
virtù dell’arbitrarietà dell’unione o della non unione di un dato strumento al
corpo, in virtù della loro incomunicabilità reciproca (senz’altro maggiore di
quella tra gli organi del corpo), gli strumenti sono caratterizzati da un minor
livello di coordinamento e, quindi, da una grande eterogeneità di funzioni.
Per
esprimersi più esattamente, gli strumenti sono creati dalla vita nella sua
profondità, non al livello di una specializzazione superficiale.
Ognuno
di noi nel suo profondo è potenzialmente dotato di una pluralità di organi che
non si sono rivelati nel suo corpo, ma che tuttavia possono manifestarsi in
forma di proiezioni tecniche.
E viceversa: la vita può realizzare tecnicamente la proiezione di un dato organo prima che quest’ultimo diventi noto da un punto di vista anatomico e fisiologico, rivelandosi in noi stessi o, perfino, in altri organismi, in altre manifestazioni vitali manifestamente non umane e in seguito forse anche nell’uomo in forma di embrione.
Se
lo studio degli organismi è la chiave che apre all’invenzione tecnica, al
contrario le invenzioni tecniche possono essere interpretate come una sorta di
reagente della nostra autoconoscenza.
La
tecnica può e deve risultare una provocazione per la biologia, così come la
biologia per la tecnica. Noi scopriamo in noi stessi e, in generale, nella vita
gli strumenti tecnici finora non realizzati e nella tecnica – gli aspetti
ancora ignoti della vita.
La
linea della vita e quella della tecnica fluiscono parallele; ma i punti
corrispondenti dell’una o dell’altra possono fare un balzo in avanti e
distanziarsi.
E ciò ci consente di fare congetture su queste due linee, su distanze maggiori di quelle che ci sono date effettivamente, per la linea della vita nella coscienza e quella della tecnica nella realtà.
Così,
per esempio, i presupposti per il volo umano sono insiti nello studio del volo
degli uccelli; o meglio, fu proprio quest’ultimo che instillò nell’uomo fin dai
tempi più remoti (già all’epoca di Minosse) la convinzione che l’aeronautica
fosse possibile.
In
altri casi, non sono ancora stati conseguiti risultati tecnici, benché essi si
profilino all’orizzonte. Ad esempio, fondandosi sulla nostra conoscenza degli
organi dei pesci elettrici (il pesce siluro, la torpedine, l’anguilla e
l’ossirinco, il pesce sacro degli Egizi), si può e si deve prevedere la
possibilità di fabbricare armi elettriche come prolungamento del corpo. Compito
che non è stato ancora realizzato – se eccettuiamo le fantasie di Jules Verne
nel romanzo Ottantamila leghe sotto i mari (sic! V.P.), dove si descrive il
fucile elettrico del capitano Nemo.
(P. Florenskij; La proiezioni degli organi)
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