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Prosegue con:
Guerra alla mafia (2)
Per gran
parte della sua vita Robert F. Kennedy aveva vissuto nell’ombra. Era il
settimo figlio di Joe e Rose Kennedy ma, soprattutto, il terzo genito. Suo
padre dominò la sua famiglia, instillando
nei suoi figli la fede nei propri diritti - la ricchezza tanto ipotizzata di
Joe ha fornito un’educazione dorata – e (almeno nei ragazzi) un senso di ‘noblesse oblige’. I fratelli maggiori di
Bobby erano come – modelli di comportamento. Sia Joe
Kennedy Jr. e Jack combatterono nella seconda guerra mondiale, guadagnandosi
gli elogi di Purple Heart per il valore.
Bobby, nato nel
1925, era troppo giovane per prestare servizio in combattimento: si arruolò
in Marina sei settimane prima del suo diciottesimo compleanno, ma con sua
intensa frustrazione, non vide mai un servizio attivo.
Joe Snr.
aveva ambizioni a lunga scadenza nel vedere un Kennedy alla Casa Bianca. Dopo
la morte di Joe Jr., iniziò ad avviare Jack come futuro presidente,
raccogliendo fondi e stringendo alleanze per sostenere una carriera politica nell’imminente
dopoguerra per suo figlio. Ma sono stati i soldi, i contatti e le trattative di
Joe a garantire la vittoria di Jack alle elezioni di novembre. Quando Jack
prese posto alla Camera dei Rappresentanti, Bobby
tornò tranquillamente ad Harvard. Era uno studente diligente ma insignificante,
noto principalmente per la sua profonda fede cattolica e una ferrea determinazione,
a volte si misurava e metteva alla prova sul campo di calcio o nei
combattimenti. Tutti i suoi successivi biografi suggeriscono che il ‘personaggio
da duro’ adottato da Bobby fosse
rivolto a un pubblico di un solo osservatore: suo padre.
Dopo tre anni alla facoltà di giurisprudenza e meno di un anno di lavoro per il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, nel giugno 1952 Bobby tornò di nuovo in politica, gestendo l’onda di successo di Jack per ottenere un seggio al Senato, il successivo passo fondamentale nel percorso pianificato verso la Casa Bianca. La gestione della campagna elettorale da parte di Bobby gli valse la reputazione di spietato e freddo cinico con la conseguente e tardiva gratifica da parte dell’amato padre.
Nel febbraio 1954 divenne consigliere capo
della rappresentanza delle minoranze del Partito Democratico, affrontando sia
McCarthy che Cohn. Nei due anni successivi contestò le loro azioni e, quando i
Democratici divennero il partito di maggioranza, rappresentò una figura chiave
nelle audizioni televisive che esaminarono la condotta di McCarthy e Cohn. Le
sessioni aumentarono la reputazione pubblica di Bobby mentre distrussero quella del senatore e del suo avvocato.
Cohn, in particolare, nutriva un violento disgusto per la sua gestione politica,
una volta tentò di colpirlo con un pugno davanti a giornalisti allarmati. Mancò,
ma poco importava: Cohn aveva amici potenti che condividevano il suo odio per Bobby. Uno era
il vicepresidente repubblicano della nazione, Richard Nixon; l’altro era John
Edgar Hoover, il machiavellico Direttore dell’FBI.
Entrambi
divennero nemici per tutta la vita di Robert Kennedy.
Tra il 1957 e il 1959 Bobby divenne consigliere capo del Comitato McClellan del Senato incaricata di indagare sulla corruzione e i vari racket all’interno dei sindacati americani. Sotto la sua direzione il Comitato emise 8.000 citazioni in giudizio e tenne 270 giorni di udienze televisive che coinvolsero 1.526 testimoni, i quali denunciarono estorsioni violente e corruzione endemica da parte di dirigenti sindacali, alcuni dei quali avevano taglieggiato milioni dai fondi pensione dei lavoratori ordinari per sostenere i propri elevati e lussuosi patrimoni personali. Ma, grazie a Bobby, si scoprirono anche stretti legami tra i capi sindacali e la mafia: un nome, in particolare, era al centro di quella che Kennedy avrebbe poi definito ‘una cospirazione del male’: ovvero il più che noto Jimmy Hoffa, presidente dell’onnipotente Brotherhood of Teamsters - il più grande e ricco sindacato d’America.
Era un ex magazziniere di Detroit, rude e impenitentemente violento, e veterano di numerose sanguinose controversie di lavoro. I suoi fascicoli di polizia includevano accuse di aggressione, estorsione e cospirazione, sebbene non fosse mai stato condannato per alcun crimine. Non nascose mai la sua amicizia con i gangster più famosi della criminalità organizzata del paese, alcuni dei quali nominò in ruoli chiave all’interno del sindacato stesso*.
[*Hoover gli aveva fornito un dossier aggiornato in una cartella di pelle con il timbro ‘CONFIDENZIALE’. Kemper si preparò una caraffa di martini cocktail e si sedette sulla sua poltrona preferita.
Le note
offrivano un’unica chiave di lettura: Bobby
Kennedy contro Jimmy Hoffa.
Il senatore
John McClellan presiedeva la Commissione scelta del Senato sulle Attività
improprie in campo sindacale e aziendale, istituita nel gennaio 1957. Membri subordinati: i senatori Ives, Kennedy,
McNamara, McCarthy, Ervin, Mundt, Goldwater. Responsabile legale e
investigativo: Robert F. Kennedy.
Personale:
trentacinque investigatori, quarantacinque contabili, venticinque stenografe e
impiegate. Sede: il palazzo del Senato, stanza 101.
Obiettivi
ufficiali della Commissione: Smascherare la corruzione nelle pratiche
sindacali, rivelare le collusioni fra i sindacati e il crimine organizzato. I
metodi: mandati di comparizione per testimoni, sequestro di documenti ed esame
dei fondi sindacali stornati in attività criminali.
Obiettivo reale della Commissione: l’International Brotherhood of Teamsters, il sindacato dei trasporti più potente sulla faccia della terra, e a quanto si diceva il più corrotto e potente della storia.
Il suo
presidente: James Riddle Hoffa, quarantacinque anni.
Hoffa,
fantoccio della mafia. Subornatore di estorsioni, mazzette, pestaggi, attentati
dinamitardi, affari sporchi con le aziende ed epici abusi dei fondi sindacali.
Le proprietà
di Hoffa, in violazione di quattordici leggi antitrust: aziende di trasporti,
concessionarie di auto usate, uno stadio per le corse dei cani, una catena di
autonoleggi, una stazione di taxi di Miami con personale costituito da
rifugiati cubani dai numerosi precedenti criminali.
Gli amici
di Hoffa: Sam Giancana, il boss mafioso di Chicago; Santos Trafficante Junior,
il caporione di Tampa, Florida; Carlos Marcello, il padrino di New Orleans.
Hoffa che
presta ai suoi “amici” milioni di dollari usati a scopi illegali.
Che
possiede percentuali di case da gioco di proprietà mafiosa a L’Avana, Cuba. Che
finanzia illegalmente il dittatore cubano Fulgencio Batista e l’agitatore
ribelle Fidel Castro. Che sfrutta il Fondo pensioni degli Stati centrali dei
Teamster, un ricchissimo abbeveratoio finanziario gestito a quanto pare da Sam
Giancana e dalla mafia di Chicago, una struttura di strozzinaggio grazie alla
quale gangster e imprenditori corrotti ottengono ingenti prestiti a interessi
altissimi, le cui penali per il mancato pagamento includono la tortura e la
morte.
Kemper capì
il succo: Hoover è geloso. Ha sempre detto che la mafia non esiste, perché sa
di non poterla debellare per vie legali, e all’improvviso Bobby Kennedy si permette di non essere d’accordo…
Seguiva un
elenco cronologico.
Inizio del ‘57: la Commissione prende di mira il presidente dei Teamster, Dave Beck. Beck testimonia per ben cinque volte: lo sprone implacabile di Bobby Kennedy riesce a spezzarlo. Un gran giurì di Seattle lo incrimina per furto ed evasione fiscale.
Primavera ‘57: Jimmy Hoffa assume il completo controllo
dei Teamster.
Agosto ‘57: Hoffa promette di ripulire il sindacato dalle
ingerenze della mafia… una colossale menzogna.
Settembre ‘57: Hoffa sotto processo a Detroit. L’accusa:
intercettazioni telefoniche ai danni dei suoi subordinati all’interno del
sindacato. Una giuria ben disposta: Hoffa se la cava.
Ottobre ‘57: Hoffa viene eletto presidente dei
Teamster. Voci insistenti: il 70 per cento dei suoi delegati è stato selezionato
illegalmente.
Luglio ‘58: la Commissione inizia a indagare sui
collegamenti diretti fra i Teamster e il crimine organizzato. Attenzione
particolare viene dedicata alla riunione degli Appalachi del novembre ‘57.
Cinquantanove pezzi grossi della mafia si incontrano nella villa di un amico ‘esterno’, nello Stato di New York. Un agente di polizia di nome Edgar Croswell controlla le targhe. Ne segue una retata, e l’antica affermazione di Hoover, ‘la mafia non esiste’, diventa indifendibile.
Luglio ‘58: Bobby
Kennedy prova che Hoffa risolve gli scioperi corrompendo i dirigenti delle
aziende. Una pratica che risale al
lontano ‘49.
Agosto ‘58: Hoffa testimonia di fronte alla
Commissione.
Bobby Kennedy si scatena, e ne smaschera le
innumerevoli menzogne.
Le note
giungevano alla conclusione.
La
Commissione era impegnata nelle indagini sul villaggio turistico Sun Valley, di
proprietà di Hoffa, alle porte di Lake Weir, Florida. Bobby Kennedy aveva sequestrato i registri contabili del Fondo
pensioni degli Stati centrali e aveva notato che 3 milioni di dollari del
suddetto fondo erano stati investiti nel progetto. Era una cifra molto
superiore rispetto ai normali costi edilizi. La teoria di Kennedy era che Hoffa
aveva fatto una cresta di almeno un milione di dollari e stava vendendo ai suoi
fratelli del sindacato materiale prefabbricato in una zona paludosa infestata
dagli alligatori.
Ergo:
frode immobiliare.
Un’appendice
conclusiva: Hoffa usa un suo uomo per vendere le proprietà di Sun Valley: Anton
William Gretzler, quarantasei anni, residente in Florida, condannato tre volte
per truffa. Gretzler ha ricevuto un mandato di comparizione datato 29.10.58, ma al momento se ne sono
perse le tracce. (J. Ellroy)]
All’inizio di febbraio 1958, mentre le audizioni McClellan esaminavano altri funzionari dei Teamsters, Hoffa pagò un avvocato di New York per infiltrarsi nel Comitato. L’avvocato denunciò l’accaduto a Bobby, che con l’appoggio dell’FBI, gli tese una trappola: fuori da un hotel di Washington DC, e sotto lo sguardo di telecamere segrete, il capo dei Teamsters fu sorpreso mentre consegnava una bustarella di una seconda rata di 2.000 dollari pattuiti; la polizia lo arrestò consegnandolo al tribunale, dove Bobby lo stava aspettando per assistere alla citazione in giudizio*.
[*Il telefono prese a
squillare: si profilava lo sciroppato numero 20. La linea era disturbata:
probabilmente un’interurbana.
— Chi parla?
— Pete? Sono
Jimmy.
HOFFA.
— JIMMY, come
stai?
— Al momento
ho freddo. A Chicago si gela. Ti sto chiamando da casa di un amico, e il
riscaldamento fa le bizze. Sicuro che il tuo telefono non sia sotto controllo?
— Certo. Fred
Turentine passa al setaccio tutti gli apparecchi di Hughes una volta al mese.
— Allora si
può parlare?
— Si può
parlare, sì.
Hoffa si
lasciò andare. Reggendo il ricevitore a mezzo metro dall’orecchio, Pete lo
sentiva benissimo.
— La
Commissione McClellan mi sta girando attorno come una mosca su uno stronzo.
Quel piccolo furbastro succhiacazzi di Bobby
Kennedy ha convinto metà del paese che i Teamster siano peggio degli
stramaledetti rossi; mi sta perseguitando con mandati di comparizione e ci ha
sguinzagliato dietro i suoi investigatori come… pulci su un cane. Prima si è
dedicato a Dave Beck, e adesso se la prende con me.
Bobby Kennedy è una valanga di merda.
Sto costruendo
questo villaggio in Florida chiamato Sun Valley, e Bobby sta cercando di
rintracciare i tre milioni di dollari con cui l’ho finanziato. Crede che li
abbia prelevati dal Fondo pensioni degli Stati centrali… ed è convinto di
potermi usare per far eleggere presidente quel figaiolo del fratello. Crede che
James Riddle Hoffa sia un ostacolo politico del cazzo. Pensa che sarò pronto a
chinarmi e a prenderlo nel didietro come uno stramaledetto frocio.
Crede… che il
sottoscritto sia una fighetta come lui e suo fratello.
È convinto che
cederò come Dave Beck. E come se tutto questo non bastasse, ho un servizio di
taxi a Miami pieno di teste calde cubane che non fanno altro che litigare su
Castro e Batista come, come, come… Jimmy rimase senza fiato.
— Cosa vuoi da
me?, chiese Pete.
Jimmy prese
fiato.
— Ho un
lavoretto a Miami.
— Quanto?
— 10.000.
— Prego, —
disse Pete.(J. Ellroy)]
Aiutato da un astuto avvocato, Hoffa fu assolto dall’accusa di corruzione e quando apparve davanti al Comitato McClellan nell’agosto del 1957 Bobby fu più che convinto che dietro la sua immagine poco trasparente, si celasse il vero volto di un serio e pericoloso criminale a capo di un potente sindacato: scrisse in seguito che ‘c’erano momenti in cui il suo viso sembrava completamente trafitto da questo sguardo di malvagità assoluta’. Nei giorni di un teso controinterrogatorio, Bobby accusò Hoffa di collaborare con alti gangster della mafia, Hoffa replicò con inspiegabili vuoti di memoria o attaccando il consiglio del Comitato. ‘Sei malato – ecco qual è il tuo problema – sei malato’, ringhiò a Bobby durante un dibattimento particolarmente teso.
Ma
nonostante tutto il rumore e la furia del ‘caso’, le udienze non danneggiarono
Hoffa, e quando il 20 settembre 1958,
dopo più di un anno di guerre processuali e di logoramento, McClellan dichiarò
un cessate il fuoco, Hoffa riuscì a uscire dal Palazzo del Senato senza un
pericolo maggiore di quando vi era entrato. Per Bobby, tuttavia, la guerra era tutt’altro che finita. Mise Hoffa
sul suo primario e irremovibile interesse psicologico e mentale, e pose, di
conseguenza, tutta la propria instancabile attenzione ai ‘partner esterni’ (o
associati) al leader sindacale facenti parte della criminalità organizzata.
La
mafia siciliana
controllava (e controlla tuttora*)
gran parte della malavita americana sin
dagli anni ’20: le sue attività includevano prostituzione, strozzinaggio,
estorsioni, gioco d’azzardo illegale, contrabbando e, negli anni ’50, il
mercato in costante crescita dei narcotici, eppure, sotto la guida di Hoover, l’FBI
aveva sempre evitato qualsiasi vera indagine sulla criminalità organizzata
nonché sulla mafia italiana, e quando Bobby
iniziò a chiedere al Bureau i loro fascicoli su i 70 mafiosi più potenti
del paese, rimase sconvolto nello scoprire che ‘non avevano alcuna
informazione, credo, su quaranta di settanta, nemmeno la più che minima
informazione’. Aiutato dai rapporti dell’intelligence del rivale Bureau of
Narcotics, Bobby convocò una serie di
gangster a comparire davanti al Comitato*.
[* Palermo — Ancora un candidato in cerca di voti mafiosi: il geometra Francesco Lombardo, candidato di Fratelli d’Italia, non ha provato neanche a nascondersi. Il 28 maggio (2022), è arrivato al chiosco di frutta e verdura ormai diventato il quartier generale del boss Vincenzo Vella ed è andato subito al dunque:
‘Qualche voto qua lo prendiamo?’.
E il mafioso,
uno già condannato tre volte e in libertà da un anno per un cavillo, ha
risposto con parole accorate:
‘Tu sì… tu personalmente sì’.
È un brutto
film quello che due settimane fa è apparso a sorpresa sui monitor della sala
intercettazioni della squadra mobile. A sorpresa, perché i poliziotti della
sezione Criminalità organizzata tenevano sotto controllo il mafioso, e
all’improvviso si sono visti arrivare un candidato alle elezioni per il
Consiglio comunale. Quelle immagini sugli schermi, quei dialoghi incalzanti,
sono l’ennesimo caso di scambio elettorale politico-mafioso.
Non ha dubbi
la procura.
Mercoledì
scorso, è stato arrestato
il candidato di Forza Italia Pietro Polizzi e il boss Agostino Sansone, nel
cuore di Palermo, all’Uditore; ieri pomeriggio, sono finiti in manette
dall’altra parte della città il mafioso Vella e
il candidato di Fratelli d’Italia che su Facebook mostrava le foto dell’ultimo incontro
in piazza con Giorgia Meloni.
Il giudice
delle indagini preliminari Lirio Conti ha accolto la richiesta del procuratore
aggiunto Paolo Guido e dei sostituti Bruno Brucoli e Francesca Mazzocco nel
giro di poche ore. ‘Emerge con chiarezza — ha scritto — che Lombardo si sia rivolto
a Vella proprio nella sua veste “qualificata” di aderente al gruppo criminale’.
La promessa Eccole
le parole del candidato, che utilizza sempre il pronome “voi” quando si rivolge
al padrino. “Voi”, i mafiosi di corso dei Mille e di Brancaccio, gli eredi dei
Tagliavia e dei Graviano che nel 1993 piazzarono le bombe fra Roma, Milano e
Firenze. E poi uccisero il parroco Pino Puglisi. Voi. ‘Me li raccogliete una ventina
di voti?’, il candidato Lombardo non ha utilizzato mezzi termini. E il boss
Vella non se l’è fatto ripetere: ‘Penso di sì’. Il candidato ha rilanciato
ancora, non sospettava che nello smartphone del mafioso fosse stato installato
un trojan che stava registrando ogni sussurro: ‘Non mi sono messo sempre a disposizione
con voialtri a prescindere della politica?’.
Voi, voialtri. Un crescendo che richiama le parole pronunciate qualche giorno fa dall’altro politico arrestato, quello di Forza Italia: ‘Se sono potente io, siete potenti voialtri’, diceva Pietro Polizzi. Il boss Vella ha confermato ancora una volta: ‘Quelli nostri tutti li prendi’. I voti. E a questo punto, considerata tanta disponibilità, Lombardo ha fatto l’annuncio, la sua promessa solenne di candidato colluso: ‘Se salgo io… io sono in commissione urbanistica’.
E
ancora: ‘Sono all’edilizia privata, hai capito che appena qua c’è un problema
io… e tu mi chiami’.
Il boss ha
colto al balzo, da tempo voleva sistemare le autorizzazioni del chiosco
diventato il suo quartier generale: ‘Sì, il suolo pubblico te lo puoi sbrigare?’.
(la Repubblica, 11/06/2022)]
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