giuliano

martedì 24 gennaio 2017

CIO' CHE NON MUORE RISORGE (2)


















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Ciò che non muore risorge (gennaio...) (1)


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Ciò che conta! (3)














Infatti ci vedranno fra breve esitare ad imporre le più modeste norme di sicurezza ambientale nella costruzione delle automobili o a esigere che le società finanziarie dicano la verità sugli interessi richiesti per i prestiti che concedono.  Hanno intuito che la criminalità organizzata, questo impero della corruzione, della venalità ingorda e dell’estorsione, continua a prosperare, non soltanto tollerata ma spesso alleata a importanti personalità dei sindacati, del mondo degli affari e del governo.
Per queste ragioni - ora rinnovate ed aggiornate - forse molti giovani come molte donne nel loro manifesto disprezzo per gli eccessi del ‘materialismo’ di una falsa e non solo ingorda ricchezza ma dannosa economia, fanno eco agli insegnamenti di un altro giovane ribelle:

“Ed Egli mandò via i ricchi a mani vuote”.

Ma come ben vedete nel mio ed altrui sacrificio nulla servito perché i ricchi escono dallo stesso mio e vostro ‘studio’ a mani piene di monete e non solo… Ma ciò che respingono questi giovani è qualcosa di più di questi abusi dovuti al principio del profitto; spesso è proprio la natura del materialismo della nostra comune società e le sue conseguenze che li portano ad un ragionevole e rivoluzionario rifiuto.




I sobborghi come avete visto rimangono ‘scatolette sparse su una collina… tutte fatte di cartapesta come un gioco di bambini con i loro giochi, tutte uguali’. ‘Col danaro non mi compero l’amore’, cantano. Ai loro occhi, misuriamo troppo spesso il valore di un uomo in base allo stipendio o a quello che possiede. In definitiva, ritengono che la vecchia generazione abbia rinunciato ai valori sociali e personali in cambio di ‘giocattoli’ che una volta qualcuno ha definito ‘una collezione di passatempi per gente immatura’.
Infatti approfondendo e aggiornando questo concetto, al proliferare di spazi inaccessibili e fortificati, si osserva una sempre più scarsa presenza dei luoghi pubblici, che invece dovrebbero favorire l’incontro, il dialogo, il confronto e lo scambio tra gli individui. Al loro posto sorgono invece nuovi spazi, creati appositamente per il consumo.  Le comunità locali e gli spazi pubblici non sono più quelli di una volta: perdendo ogni legame con il territorio e la capacità di essere occasioni di incontro, viene meno anche la loro funzione principale, cioè quella di aggregare le persone e tenerle unite.




Nei luoghi di riunione si creavano anche norme, in modo da poter fare giustizia e da imporla orizzontalmente, sì da trasformare coloro che parlavano in una comunità, separata dagli altri e integrata al suo interno da criteri comuni e condivisi di valutazione. Ora, un territorio che venga privato di spazi pubblici offre scarse possibilità perché le norme vengano discusse, i valori messi a confronto, perché ci siamo scontri e negoziati. Ciò che viene a mancare è dunque lo spazio del confronto costruttivo, della discussione e della condivisione dei valori; tutte attività importanti e necessarie per costruire e tenere viva una comunità.  “Lungi dall’essere terreno di coltura dello spirito comunitario, le popolazioni locali sono piuttosto accozzaglie di entità prive di legami reciproci”. Le persone che sono escluse e si trovano a vivere assieme nello stesso spazio, condividono semplicemente un vincolo territoriale, ma legami di altro tipo non sussistono; per questo, pur essendo dei gruppi, delle comunità, non possono essere paragonati alle comunità del recente passato.




Questi fenomeni sfociano nella disgregazione delle collettività e nell’erosione degli spazi pubblici, come luoghi di incontro, e producono una condizione, volontaria o imposta, di isolamento dell’individuo: c’è chi sceglie di isolarsi e fa di tutto per rimanere distaccato e chi invece si trova escluso, estromesso, per volontà altrui, perché gli viene negato l’accesso. Le élites hanno prescelto l’isolamento e, per ottenerlo, pagano generosamente e volentieri. Il resto della popolazione si trova tagliata fuori e costretta a pagare l’alto prezzo culturale, psicologico e politico del nuovo isolamento in cui è caduta. Quanti non hanno i mezzi per scegliere di stare separati e di pagare i costi di servizi di sicurezza, si trovano a vivere gli aspetti passivi di questo fenomeno attuale.
Da una parte si trovano dunque le persone che si barricano nelle loro fortezze e dall’altra le persone che sono costrette a rimanere all’interno dei loro spazi, perché estromessi dalle aree di potere. In questo modo la distanza tra le élites che sperimentano l’extraterritorialità e le persone che invece rimangono legate alla territorialità aumenta inevitabilmente, e questa disparità si fa sentire ancor di più se si considera che extraterritorialità vuol dire anche libertà, capacità di movimento, in opposizione alla stanzialità e ai vincoli imposti dalla territorialità:




“Se la nuova extraterritorialità della élite viene vissuta come una inebriante libertà, la territorialità degli altri non fa tanto pensare a una casa, a una base sicura, ma sempre più a una prigione, tanto più umiliante quanto più viene ostentata la libertà di movimento degli altri”.
…Abbiamo conservato gelosamente il nostro sistema educativo e soprattutto universitario considerandolo anch’esso uno dei pilastri della società liberale. Ma questa fede non è condivisa da tutti. Uno dei suoi critici ha detto: “L’educazione è per sua stessa natura un problema individuale… da mantenere al di fuori degli ingranaggi della produzione di massa. Il suo compito non è quello di produrre gente che, istintivamente, vada tutta nella stessa direzione… [eppure] i nostri milioni di studenti imparano tutti le stesse lezioni e trascorrono ore di fronte ad internet o alla televisione guardando più o meno le stesse cose e le stesse cose condividere in ugual identico momento. Per una ragione o per l’altra trascuriamo sempre più le differenze, quando addirittura non cerchiamo di dimenticarle. Andiamo diritti verso la standardizzazione dei cervelli, verso quello che Goethe chiamava ‘il mortale luogo comune che ci incatena tutti’ ”.





Chi ha parlato così non era un oratore di una manifestazione di Berkeley; era Edith Hamilton, uno dei nostri massimi cultori degli studi classici.
Giudizi molto simili vengono pronunciati dai nostri giovani critici. Così ha parlato un rappresentante degli studenti in una riunione del consiglio di amministrazione dell’università di California: “Abbiamo chiesto di essere ascoltati! Avete rifiutato e continuato a firmare accordi in nome del vostro business! Abbiamo chiesto giustizia e non solo per i neri. L’avete chiamata anarchia senza il dovuto codice a barre! Abbiamo chiesto la libertà al di fuori del limitato intento da voi nominato ‘geografia’ globale! L’avete chiamata ‘licenza’. Piuttosto che affrontare la paura e la sfiducia che avete motivato ad ogni vostro evento rinnovato numerato dal ‘sette all’otto’ con il russo corrisposto, avete chiamato tutto questo ‘comunismo’. Ci avete accusato di essere usciti dalle giuste vie. Ma siete a voi a precludercele con ogni vostro nuovo trattato e firma! Voi, non noi, avete edificato le università e non solo quelle sulla sfiducia e sulla disonestà”.




È impossibile fraintendere l’angoscia che scaturisce da queste ed altre proteste. Possono esserci molte cose dietro quel grido, ma una di queste è certamente la protesta dell’individuo contro l'‘universalità’ divenuta una corporazione burocratica troppo spesso foraggiata da interessi privati, contro l’ottusa standardizzazione di cui parlava Hamilton. Perché nella burocrazia e nella standardizzazione (anche con la virtuale e confusa se non addirittura mascherata  pretesa del contrario) c’è la negazione del valore dell’individuo e dell’importanza dell’uomo come tale: se tutti sono uguali, perché ascoltare ciò che il singolo ha da dire? Se non siamo disposti ad ascoltare, allora gli uomini non sono altro che numeri di una serie di statistica, una parte del prodotto nazionale lordo, come tante tazzine da caffè o tanti computer ove a piacimento ricavare dati o se non altro rubarli o spiarli…



         














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