giuliano

sabato 28 gennaio 2017

SALVARE NOI STESSI (6)








































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Vi è poi una terza condizione di estraneità, nella quale lo Straniero è interpretato quale concetto chiave e primario dallo gnosticismo.
Gli gnostici infatti portano infatti alle estreme conseguenze l’uso della metafora presente nel Vangelo di Giovanni. E ciò, in una duplice direzione. Da un lato, lo Straniero, in quanto oggetto, diventa il mondo, concepito come lo Straniero esterno e cioè il nemico per antonomasia. Dall’altro, lo Straniero, in quanto oggetto, coincide ora con lo stesso gnostico. La radicalizzazione dell’oggetto corre parallela con la radicalizzazione del soggetto, come effetto di un dualismo cosmologico che si radica in un processo di demonizzazione totale del cosmo.
In questa prospettiva, la caratteristica principale dell’uso gnostico della metafora può individuarsi nel fatto che tendono a scomparire i gradi intermedi rilevati nell’uso cristiano. Lo gnostico è uno Straniero esterno, che non ricerca né vuole avere alcuna possibilità di compromesso, alcun permesso di soggiorno temporaneo nel mondo. Anzi, si può dire che il suo problema consista appunto nel rendersi conto di questa sua condizione: soltanto quando ne avrà preso consapevolezza, gli si aprirà veramente quella possibilità di ritorno in patria (celeste), che costituisce la sua unica ancora di salvezza.




Questa concezione dello gnostico come Straniero si fonda su di un radicale sentimento di estraneità al mondo, che porta alle sue estreme conseguenze spunti platonici, biblici e cristiani. Attraverso l’analisi del collegato vocabolario gnostico è possibile cogliere una climax, che aiuta a comprendere come l’autoconsapevolezza dello gnostico come Straniero sia il punto di arrivo di un processo di progressiva estraneazione nei confronti del mondo.
L’estraneità al mondo che vive lo gnostico e descrivono i testi gnostici è prima di tutto un sentimento, il quale riflette una condizione esistenziale di disagio. La descrizione di questa situazione conosce varie sfumature, che aiutano meglio a comprendere la profondità e la raffinatezza dell’analisi psicologica soggiacente ai testi gnostici. Si va da un senso iniziale e generico in cui essere estraneo o Straniero coincide in fondo con l’esser strano o con la ‘novità’ della situazione. Questa iniziale e indistinta situazione si precisa nella misura in cui approfondisce il confronto col mondo e le sue potenze, un mondo avvertito in tutti i sensi ostile.



Anche se i testi gnostici mettono il lettore di fronte a uno spettro variegato di posizioni dualistiche, quelle che ora devono interessare sono le espressioni più decise e conseguenti, che presuppongono una concezione dualistica radicale, fondata a sua volta su di una concezione totalmente pessimistica del mondo e del suo creatore. E, allora, confrontandosi con questo mondo e col suo signore che lo gnostico prende progressivamente consapevolezza della stranezza del mondo e, nel contempo, della sua totale estraneità a questo mondo. Quest’ultimo, inizialmente avvertito come qualcosa di estraneo, di diverso da noi, da ‘me’, dal vero io o sé, senza che questa estraneità comporti però una reale presa di distanza, in una seconda fase o in un secondo stadio di questo percorso ideale di estraneazione e, per converso, di presa di consapevolezza della propria estraneità, si configura non soltanto per noi ma anche per sé come qualcosa di estraneo, un quid di minaccioso ed ostile.
Il terzo stadio, di questo processo ideale può essere individuato nel sorgere e nel manifestarsi di un sentimento di estraneità quanto tale, in sé. Gli gnostici quindi sono gli Stranieri per definizione, in quanto appartengono non ad un tertium genus (il che presume il diritto ad esistere di due altri genera e la necessità di essere riconosciuti da questi), ma alla stirpe straniera per definizione, che si presenta e coincide con l’unica stirpe ‘vera’. 




Questa orgogliosa consapevolezza trova espressione in talune affermazioni che i testi gnostici mettono in bocca al loro rilevatore. Così, nella seconda Apocalisse di Giacomo, il rivelatore gnostico, identificato col Cristo risorto, esclama a Giacomo: ‘Io sono lo Straniero’; o Mani, un personaggio storico fondatore di una tipica religione di gnosi come il manicheismo, definisce se stesso ‘il primo Straniero, lo Straniero proveniente dalla grande gloria, il figlio del dominatore’; e così si definisce anche il salvatore nei testi mandei.
Ma lo gnostico è Straniero, così come lo è il rivelatore, perché, in ultima analisi, Straniero è lo stesso Dio della gnosi, nella sua assoluta trascendenza inaccessibile alla ragione umana e conoscibile soltanto mediante rivelazione della gnosi: in questo mondo, il volto del Cristo neotestamentario, vicino e lontano nel contempo, si è trasformato nel volto di un Dio Straniero, assolutamente inaccessibile, salvo, appunto, che per chi è a lui consustanziale.
Lo Straniero, di conseguenza, viene a chiamare lo Straniero, viene a salvare gli stranieri; e, viceversa, salvando gli stranieri dispersi nel mondo, Egli salva se stesso.


(G. Filoramo, Veggenti Profeti Gnostici)  

















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