giuliano

lunedì 12 novembre 2018

IL BASTONE DEL FILOSOFO (14)










































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Thoreau contempla e sposa la natura, che non è oggetto di una religione concettuale, come in Emerson, né di una religione del progresso, come in Etzler, ma di una filosofia esistenziale.

In questa filosofia esistenziale, poco importa salire in ascensore su edifici di decine di piani, lavarsi in una vasca di acqua calda, attraversare l’Atlantico in aereo, passeggiare di notte per strade illuminate a giorno, vivere cent’anni, mangiare cibi sofisticati in mezzi di trasporto collettivi veloci come il lampo o abitare in un appartamento dove fa freddo d’estate e caldo d’inverno.

Cos’hanno a che vedere con Thoreau tutte queste invenzioni costose, dispendiose quanto inutili?




Lui che ha recitato l’elogio del camminare e del contatto col suolo; che si bagna nell’acqua gelida dei laghi e confessa di preferire l’odore di topo muschiato del cacciatore di pellicce a quello di polvere del professore rinchiuso nella sua biblioteca; che, salvo uno o due brevi viaggi fuori del suo villaggio, non lascerà mai Concord, la sua città natale; che si rallegra di fare ritorno al suo capanno di legno, nella foresta, nelle notti senza luna, più gratificanti per l’istinto rispetto alle notti di luna piena; che si preoccupa non della quantità, ma della qualità e dell’eccellenza del tempo da vivere; che confida al suo diario il desiderio di mangiare una marmotta cruda per incorporare la sua vitalità; e che consiglia di coprirsi bene d’inverno o più leggeri d’estate per adeguare i vestiti al clima del momento; a che pro una vita sofisticata, ma falsa, quando una vita semplice, ma vera, è alla portata del primo venuto?

A contatto con la natura, Thoreau confessa di recuperare le forze eventualmente mancanti. La lettura della sua intera opera mostra in lui un temperamento stoico, un’indole austera e ascetica. Ai suoi lettori confida di non aver mai conosciuto momenti di depressione o di malinconia. Anche quando la tubercolosi ridurrà considerevolmente la sua energia, la sua forza, la sua resistenza, vivrà quegli anni della sua vita da uomo che confida nelle virtù riparatrici delle passeggiate, della camminata, del contatto coi boschi, le strade, la foresta, i campi, da cui il saggio attinge serenità, il naturalista il soddisfacimento della sua libido sciendi.




La città offre un clima tetro e deleterio, attiva le forze patogene. La campagna invece produce individui sani, semplici. L’assenza di contatto con la natura genera tristezza e malinconia.

Nella sua Storia naturale del Massachusetts, Thoreau scrive:

‘Se, come minimo, i nostri piedi non si trovano al cuore della natura, i nostri visi non saranno che pallidi e lividi’.

La natura dà salute, e quelli che pretendono che essa generi tristezza sono malati che proiettano la loro patologia su di essa. A partire dall’idea della correlazione natura/salute, città/malattia, Thoreau si spinge fino ad avanzare la strana ipotesi di una genealogia della negatività nella sfera politica:

‘Le teorie della disperazione, della tirannia e della servitù spirituale o politica, non furono mai insegnate da uomini che condividono la serenità della natura’.




La tesi stupisce, ma quando si prova a sottoporla a verifica, ci si interroga, e si cercano esempi o controesempi, non si trova niente da contrapporre ad essa.

Osservare la natura e ricavarne delle lezioni non basta!

Bisogna anche applicarle nella vita quotidiana e incarnarne gli ideali. Walden contiene, in mezzo ad alcuni aforismi eterni, una frase sublime:

‘Ai nostri giorni ci sono professori di filosofia, ma non filosofi’.

Essere filosofo non significa mettere a punto pensieri sottili, e neanche creare scuole di pensiero, ma ‘amare la saggezza per vivere secondo i suoi decreti, una vita semplice, indipendente, generosa e fiduciosa. Significa risolvere alcuni problemi della vita, non solo in teoria, ma in pratica’.




Magnifica lezione.

I filosofi antichi agivano così: vivere il proprio pensiero, pensare la vita, e compiere incessantemente un movimento di andata e ritorno tra una teoria e una pratica per affinare l’una e l’altra. Questa dialettica segnò le scuole di saggezza precristiane – pitagorismo, stoicismo, cinismo, cirenaici, epicureismo – nel corso di alcuni secoli, prima che venissero cancellate dal trionfo del cristianesimo che avrebbe rivendicato il monopolio della vita filosofica.

Vivere da filosofo significò allora vivere da cristiano, mentre l’esercito dei filosofi apologeti si incaricava di predicarne le modalità. Per molti secoli, la filosofia fece allora parte del meccanismo disciplinare cristiano. I pensatori fornivano concetti e teorie, discorsi e dibattiti, argomenti e casistiche, retorica e sofistica, in grado di giustificare e legittimare questo colpo di Stato ontologico sulle anime e sulle coscienze.




Filosofare diventò quindi questione di laboratori, uffici, biblioteche, università, crogiuoli in cui si fondevano le armi da guerra intellettuali dell’Impero cristiano che aveva devastato la vita filosofica antica per sostituirla con la macerazione ascetica. Venne allora il regno dei professori di filosofia, così numerosi, secondo Thoreau, quanto sono rari i filosofi, in altri termini gli individui il cui esempio mostra che essi non si accontentano di parlare.

La vita filosofica si oppone alla vita gretta.

Ma che cos’è una vita gretta?

Un’esistenza interamente dedita al denaro, all’avere, alle ricchezze, al possesso, agli onori, alla reputazione, vizi che risalgono alla più remota antichità.

…Al che occorre aggiungere dei vizi recenti: la vita sottomessa ai dogmi della società consumistica – desiderare, comprare, consumare, sostituire, una catena perversa, che, come Thoreau intuisce già a vent’anni, minaccia di diventare religione nel futuro prossimo del popolo americano.




Per quanto riguarda le relazioni con gli altri, la vita gretta si accontenta delle apparenze e della superficie, a scapito della profondità, che nondimeno costituisce la loro verità.

Perversione diffusa nelle città, ma molto meno in campagna, dove il contatto diretto con la natura garantisce una relazione sana e vera con la semplicità, la verità degli esseri.

La vita di salotto, la vita mondana, la vita della schiuma delle relazioni umane, la vita della chiacchiera, questa è la vita gretta. Essa caratterizza sempre una vita nella quale non ci si trova al centro di sé, ma ai margini, altrove, in periferia.


(M. Onfray; Fotografie di A. Masuri)











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