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Il paradiso riconquistato (15)
Thoreau contempla e sposa la natura, che non è
oggetto di una religione concettuale, come in Emerson, né di una religione del
progresso, come in Etzler, ma di una filosofia
esistenziale.
In questa filosofia esistenziale, poco importa salire in
ascensore su edifici di decine di piani, lavarsi in una vasca di acqua calda,
attraversare l’Atlantico in aereo, passeggiare di notte per strade illuminate a
giorno, vivere cent’anni, mangiare cibi sofisticati in mezzi di trasporto
collettivi veloci come il lampo o abitare in un appartamento dove fa freddo
d’estate e caldo d’inverno.
Cos’hanno a che vedere con Thoreau tutte
queste invenzioni costose, dispendiose quanto inutili?
Lui
che ha recitato l’elogio del camminare e del contatto col suolo; che si bagna
nell’acqua gelida dei laghi e confessa di preferire l’odore di topo muschiato
del cacciatore di pellicce a quello di polvere del professore rinchiuso nella
sua biblioteca; che, salvo uno o due brevi viaggi fuori del suo villaggio, non
lascerà mai Concord, la sua città natale; che si rallegra di fare ritorno al
suo capanno di legno, nella foresta, nelle notti senza luna, più gratificanti
per l’istinto rispetto alle notti di luna piena; che si preoccupa non della
quantità, ma della qualità e dell’eccellenza del tempo da vivere; che confida
al suo diario il desiderio di mangiare una marmotta cruda per incorporare la
sua vitalità; e che consiglia di coprirsi bene d’inverno o più leggeri d’estate
per adeguare i vestiti al clima del momento; a che pro una vita sofisticata, ma
falsa, quando una vita semplice, ma vera, è alla portata del primo venuto?
A
contatto con la natura, Thoreau
confessa di recuperare le forze eventualmente mancanti. La lettura della sua
intera opera mostra in lui un temperamento stoico, un’indole austera e
ascetica. Ai suoi lettori confida di non aver mai conosciuto momenti di
depressione o di malinconia. Anche quando la tubercolosi ridurrà
considerevolmente la sua energia, la sua forza, la sua resistenza, vivrà quegli
anni della sua vita da uomo che confida nelle virtù riparatrici delle
passeggiate, della camminata, del contatto coi boschi, le strade, la foresta, i
campi, da cui il saggio attinge serenità, il naturalista il soddisfacimento
della sua libido sciendi.
La
città offre un clima tetro e deleterio, attiva le forze patogene. La campagna
invece produce individui sani, semplici. L’assenza di contatto con la natura
genera tristezza e malinconia.
Nella
sua Storia
naturale del Massachusetts, Thoreau scrive:
‘Se,
come minimo, i nostri piedi non si trovano al cuore della natura, i nostri visi
non saranno che pallidi e lividi’.
La
natura dà salute, e quelli che pretendono che essa generi tristezza sono malati
che proiettano la loro patologia su di essa. A partire dall’idea della
correlazione natura/salute,
città/malattia, Thoreau si spinge
fino ad avanzare la strana ipotesi di una genealogia della negatività nella
sfera politica:
‘Le teorie della disperazione, della
tirannia e della servitù spirituale o politica, non furono mai insegnate da
uomini che condividono la serenità della natura’.
La
tesi stupisce, ma quando si prova a sottoporla a verifica, ci si interroga, e
si cercano esempi o controesempi, non si trova niente da contrapporre ad essa.
Osservare
la natura e ricavarne delle lezioni non basta!
Bisogna
anche applicarle nella vita quotidiana e incarnarne gli ideali. Walden contiene, in mezzo ad
alcuni aforismi eterni, una frase sublime:
‘Ai nostri giorni ci sono professori di
filosofia, ma non filosofi’.
Essere filosofo non significa mettere a
punto pensieri sottili, e neanche creare scuole di pensiero, ma ‘amare la
saggezza per vivere secondo i suoi decreti, una vita semplice, indipendente,
generosa e fiduciosa. Significa risolvere alcuni problemi della vita, non solo
in teoria, ma in pratica’.
Magnifica
lezione.
I
filosofi antichi agivano così: vivere il proprio pensiero, pensare la vita, e
compiere incessantemente un movimento di andata e ritorno tra una teoria e una
pratica per affinare l’una e l’altra. Questa dialettica segnò le scuole di
saggezza precristiane – pitagorismo, stoicismo, cinismo, cirenaici, epicureismo
– nel corso di alcuni secoli, prima che venissero cancellate dal trionfo del
cristianesimo che avrebbe rivendicato il monopolio della vita filosofica.
Vivere da filosofo significò allora vivere
da cristiano, mentre l’esercito dei filosofi apologeti si incaricava di
predicarne le modalità. Per molti secoli, la filosofia fece allora parte del
meccanismo disciplinare cristiano. I pensatori fornivano concetti e teorie,
discorsi e dibattiti, argomenti e casistiche, retorica e sofistica, in grado di
giustificare e legittimare questo colpo di Stato ontologico sulle anime e sulle
coscienze.
Filosofare diventò quindi questione di laboratori,
uffici, biblioteche, università, crogiuoli in cui si fondevano le armi da
guerra intellettuali dell’Impero cristiano che aveva devastato la vita
filosofica antica per sostituirla con la macerazione ascetica. Venne allora il
regno dei professori di filosofia, così numerosi, secondo Thoreau, quanto sono
rari i filosofi, in altri termini gli individui il cui esempio mostra che essi
non si accontentano di parlare.
La vita filosofica si oppone alla vita
gretta.
Ma
che cos’è una vita gretta?
Un’esistenza interamente dedita al
denaro, all’avere, alle ricchezze, al possesso, agli onori, alla
reputazione, vizi che risalgono alla più remota antichità.
…Al che occorre aggiungere dei vizi
recenti: la vita sottomessa ai dogmi della società consumistica – desiderare, comprare,
consumare, sostituire, una catena perversa, che, come Thoreau intuisce già a
vent’anni, minaccia di diventare religione nel futuro prossimo del popolo
americano.
Per quanto riguarda le relazioni con gli
altri, la vita gretta si accontenta delle apparenze e della superficie, a
scapito della profondità, che nondimeno costituisce la loro verità.
Perversione
diffusa nelle città, ma molto meno in campagna, dove il contatto diretto con la
natura garantisce una relazione sana e vera con la semplicità, la verità degli
esseri.
La
vita di salotto, la vita mondana, la vita della schiuma delle relazioni umane,
la vita della chiacchiera, questa è la vita gretta. Essa caratterizza sempre
una vita nella quale non ci si trova al centro di sé, ma ai margini, altrove,
in periferia.
(M.
Onfray; Fotografie di A. Masuri)
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