giuliano

venerdì 12 luglio 2019

(il fascismo) ...AL POTERE (10)





















































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Rosso o nero medesimo il 'Quadro' dal politico ispirato (11/2)













Come il periodo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Duemiladieci, anche quello dalla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento all’inizio dei Dieci del Novecento fu un’era di globalizzazione. La saggezza convenzionale di entrambe le fasi riteneva che la crescita stimolata dalle esportazioni avrebbe prodotto una politica illuminata e posto fine al fanatismo. Questo ottimismo si sgretolò durante la Prima guerra mondiale e durante le successive rivoluzioni e controrivoluzioni. Il’in fu un primo esempio di questa tendenza. Giovane sostenitore del principio di legalità, si spostò verso l’estrema destra pur ammirando le tattiche che aveva osservato nell’estrema sinistra.

L’ex sinistroide Benito Mussolini guidò i fascisti nella marcia su Roma poco dopo che Il’in era stato espulso dalla Russia; il filosofo scorse nel duce una speranza per il mondo corrotto. Il’in considerava il fascismo la politica del mondo a venire. Durante l’esilio, negli anni Venti, temeva che gli italiani arrivassero al fascismo prima dei russi. Si consolò con l’idea che i Bianchi fossero stati la fonte d’ispirazione per il colpo di stato mussoliniano: ‘Il movimento bianco è, come tale, più profondo e più ampio del fascismo [italiano]’.




La profondità e l’ampiezza, spiega Il’in, vengono dall’adozione del genere di cristianesimo che impone il sacrificio del sangue dei nemici di Dio. Credendo, negli anni Venti, che i Bianchi potessero ancora conquistare il potere, si rivolse loro chiamandoli ‘Miei fratelli bianchi, fascisti’.

Il’in restò altrettanto colpito da Adolf Hitler.

Pur visitando l’Italia e passando le vacanze in Svizzera, tra il 1922 e il 1938 visse a Berlino, dove lavorò per un istituto culturale finanziato dal governo. Sua madre era tedesca ed egli si sottopose alla psicoanalisi con Freud in tedesco, studiò la filosofia tedesca e scrisse in tedesco con la stessa padronanza e frequenza con cui scrisse in russo. Durante il lavoro revisionava e scriveva studi critici sulla politica sovietica (Un mondo sull’orlo dell’abisso in tedesco e Il veleno del bolscevismo in russo, per esempio, solo nel 1931). Considerava Hitler un difensore della civiltà contro il bolscevismo: il Führer, scrive, ‘ha reso un enorme servigio a tutta l’Europa’ impedendo ulteriori rivoluzioni sul modello russo. Osserva soddisfatto che l’antisemitismo hitleriano deriva dall’ideologia dei Bianchi russi. Lamenta che ‘l’Europa non comprende il movimento nazionalsocialista’. Il nazismo, continua, è soprattutto uno ‘spirito’ cui i russi devono prendere parte.




Nel 1938 Il’in lasciò la Germania per la Svizzera, dove visse fino alla morte, nel 1954. Lì ricevette un aiuto economico dalla moglie di un uomo d’affari tedesco-americano e guadagnò anche qualche soldo tenendo conferenze pubbliche in tedesco. L’essenza di questi interventi, afferma uno studioso svizzero, è che la Russia dovrebbe essere intesa non come minaccia comunista presente, bensì come salvezza cristiana futura.

Secondo Il’in, il comunismo fu inflitto alla povera Russia dall’Occidente in declino. Un giorno la Russia libererà se stessa e gli altri con l’aiuto del fascismo cristiano.

Un critico svizzero definì i suoi libri ‘nazionali nel senso che si oppongono all’intero Occidente’.

Le idee politiche di Il’in non cambiarono quando scoppiò la Seconda guerra mondiale. I suoi contatti in Svizzera erano uomini dell’estrema destra: Rudolf Grob credeva che la Svizzera avrebbe dovuto imitare la Germania nazista; Theophil Spoerri apparteneva a un gruppo che mise al bando ebrei e massoni; Albert Riedweg era un avvocato di destra il cui fratello Franz fu il più illustre cittadino svizzero nella macchina di sterminio nazista. Franz Riedweg sposò la figlia del ministro tedesco della Guerra ed entrò nelle SS. Partecipò alle invasioni della Polonia, della Francia e dell’Unione Sovietica, l’ultima delle quali fu, secondo Il’in, un esperimento bolscevico durante il quale i nazisti avrebbero potuto liberare i russi.




Quando, nel 1945, l’URSS vinse la guerra ed estese il suo impero verso ovest, il filosofo cominciò a scrivere per le future generazioni di russi. Paragonò la propria produzione al gesto di accendere una piccola lanterna in una fitta oscurità. Con quella fiammella, i leader russi degli anni Duemiladieci hanno provocato una conflagrazione.

Il’in fu coerente.

La sua prima grande opera filosofica, scritta in russo (1916), fu anche l’ultima, nella traduzione tedesca rivista (1946).14 L’unico bene nell’universo, sostiene, è stata la totalità di Dio prima della creazione. Quando Dio creò il mondo, mandò in frantumi l’unica e totale verità, ossia Se stesso. Il’in divide il mondo nel ‘categorico’, la dimensione perduta di quel singolo concetto perfetto, e nello ‘storico’, la vita umana con i suoi fatti e le sue passioni. Per lui, la tragedia dell’esistenza è che i fatti non si possono riassemblare nella totalità di Dio né le passioni nel Suo scopo.

Il pensatore romeno Emil M. Cioran, a sua volta un propugnatore del fascismo cristiano, spiega questo concetto: prima della storia, Dio è perfetto ed eterno; una volta che dà inizio alla storia, sembra ‘frenetico, incline a commettere un errore dopo l’altro’.




Come dice Il’in: ‘Quando Dio sprofondò nell’esistenza empirica, fu privato della sua unità armoniosa, della ragione logica e dello scopo organizzativo’. Per lui, il mondo umano dei fatti e delle passioni è assurdo. Egli trova immorale che un fatto possa essere compreso nel suo contesto storico: ‘Il mondo dell’esistenza empirica non si può giustificare teologicamente’. Le passioni sono malvage. Durante la creazione, Dio commise l’errore di dare libero sfogo alla ‘perfida natura del sensuale’. Cedette a un impulso ‘romantico’ creando esseri, cioè noi, spinti dal sesso. Così ‘il contenuto romantico del mondo supera la forma razionale del pensiero, e il pensiero cede il posto allo scopo irrazionale’, l’amore fisico. Dio ci abbandonò nel ‘relativismo spirituale e morale’. Condannando Dio, Il’in responsabilizza la filosofia, o almeno un filosofo: se stesso. Conserva la visione di una ‘totalità’ divina che esisteva prima della creazione del mondo, ma si considera l’unico capace di rivelare come si possa riconquistarla. Avendo tolto di mezzo Dio, può dare giudizi su ciò che è e su ciò che dovrebbe essere. C’è un mondo divino che in qualche modo deve essere redento, e questo compito sacro ricadrà sugli uomini che, grazie a lui e ai suoi libri, conoscono la propria situazione.

È una visione totalitaria.

Chi aspira a una condizione in cui pensiamo e sentiamo come una cosa sola, cioè non pensiamo e non sentiamo affatto?




Dobbiamo smettere di esistere come singoli esseri umani. ‘Il male’ scrive Il’in ‘inizia dove inizia la persona’. La nostra individualità dimostra soltanto che il mondo è difettoso: ‘La frammentazione empirica dell’esistenza umana è una condizione sbagliata, transitoria e metafisicamente falsa del mondo’.

Il’in disprezza le classi medie, la cui società civile e la cui vita privata alimentano, a suo parere, la frammentazione del mondo e tengono lontano Dio. Appartenere a uno strato della società che offre agli individui il progresso sociale significa essere il peggior tipo di essere umano: ‘Questa condizione è il livello più basso di esistenza sociale’. Come ogni forma di immoralità, la politica dell’eternità inizia facendo un’eccezione per se stessa. Tutto il resto del creato sarà anche malvagio, ma io e il mio gruppo siamo buoni, perché io sono me stesso e il mio gruppo è mio. Altri saranno anche confusi e affascinati dai fatti e dalle passioni della storia, ma io e la mia nazione abbiamo conservato un’innocenza preistorica. Siccome l’unico bene è questa qualità invisibile che dimora dentro di noi, l’unica linea politica è quella che salvaguarda la nostra innocenza, a prescindere dai costi. Coloro che sposano la politica dell’eternità non si aspettano di avere una vita più lunga, più felice o più proficua. Accettano la sofferenza come segno di rettitudine, se pensano che gli altri colpevoli soffrano di più. La vita è rozza, breve e disgustosa; il piacere dell’esistenza è la possibilità di renderla più rozza, più breve e più disgustosa per gli altri.

Il’in fa un’eccezione per la Russia e per i russi.




L’innocenza russa, dice, non è osservabile nel mondo. Questo è l’atto di fede che egli chiede al suo popolo: la salvezza impone di vedere la Russia come non è. Poiché i fatti del mondo sono soltanto i detriti corrotti della creazione fallita di Dio, vedere davvero significa contemplare l’invisibile.

Corneliu Codreanu, il fondatore di un analogo fascismo romeno, vide l’arcangelo Michele in carcere e riassunse la visione in poche righe.

Benché Il’in esponga l’idea della contemplazione in diversi libri, in realtà essa non è altro che questo: il filosofo vede la propria nazione come virtuosa, e la purezza di questa visione è più importante di qualunque cosa i russi abbiano effettivamente fatto. La nazione, ‘pura e oggettiva’, è ciò che il filosofo vide quando preferì chiudere gli occhi. L’innocenza assume una forma biologica specifica. Ciò che Il’in vede è un corpo russo vergine. Come i fascisti e altri despoti dell’epoca, il filosofo pensava che la sua nazione fosse una creatura, ‘un organismo della natura e dell’anima’, un animale dell’Eden senza peccato originale. A decidere chi debba far parte dell’organismo russo non è l’individuo, perché le cellule non scelgono se far parte di un corpo.

La cultura russa, scrive Il’in, produce automaticamente l’ ‘unione fraterna’ ovunque si estenda il potere russo.

(T. Snyder, La paura & la Ragione)













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