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Dall’elemento
del fuoco Bosch passa poi a quello
dell’acqua, egli la dipinge nello stato di selvaggio scatenamento di una grande
inondazione che trascina nei suoi vortici una massa di uomini nudi. Ma al tempo
stesso ci mostra come l’uomo abbia domato questo elemento, costruendo ponti,
battelli e mulini. Nella pittura del mulino, Bosch ha scrupolosamente riprodotto, ponendola in evidenza, tutta
la struttura della ruota per valorizzare pienamente l’aspetto tecnico, ed ha
fatto lo stesso con l’arco del ponte. Sottolinea così il grande progresso
compiuto dalla tecnica dal tempo della forgia primitiva di Vulcano. Ma queste
opere non sono ‘benedette’: il mulino è in fiamme, il battello è sul punto di
affondare, e il ponte serve ad una selvaggia soldataglia per rovesciarsi da una
riva all’altra. Il tentativo umano di domare l’elemento dell’aria, rappresentato
dal mulino a vento, non è meno fallimentare: anche le ali del mulino bruciano.
Bosch ha reso
l’elemento della terra tramite una grande fortezza, allineando una teoria di
bastioni, muraglie e cittadelle dai neri contorni che si stagliano all’orizzonte.
Bosch accusa così l’uomo di essersi
separato dalla comunità terrestre, dalla pace delia Natura, per ritirarsi
dietro le mura della diffidenza. La fortezza simboleggia l’isolamento ostile, la
volontà di potenza, la violenza.
Questa
umanità, divenuta estranea al Dio-natura, è in preda alla guerra.
Ed infatti la guerra avanza con le sue bandiere, le sue lance, le sue trombe e le sue legioni guidate da un condottiero che cavalca una salamandra di fuoco. Anche la vita civile è posta sotto il segno della violenza, completamente dominata dalla lotta tra il crimine e l’autorità. Teatro di questo scontro sono la forca e il rogo, situati a sinistra, ai margini del dipinto. Notiamo come, in questa scena d’esecuzione, i condannati a morte vengano raffigurati nudi, semplicemente, mentre i boia e i loro sbirri sono trasformati in caricature odiose. Questo disprezzo dell’autorità corrisponde letteralmente al nono articolo sottoposto a ritrattazione nel processo verbale di Cambrai, laddove si dice: ‘reprehenden tes peccatores vel eos judicantes plus peccant quam reprehensi aut judicati’.
Nel
quadro della ‘rigida concezione medievale del diritto’, questa critica del Libero Spirito al concetto di giustizia è
qualcosa di assolutamente nuovo. In effetti, secondo le analisi di J. Huizinga, il Medioevo non conosceva
ancora quel complesso di scrupoli che, nei tempi moderni, ha suscitato l’idea
della fallibilità dei giudici, e il sentimento della corresponsabilità della
società nella genesi del crimine. Il
Medioevo concepiva soltanto il castigo esemplare, e lo salutava con feroce
soddisfazione.
Certamente questa applicazione spietata della legge era sovente controbilanciata da atti del tutto incondizionati di misericordia che concedevano la grazia al colpevole. Di fronte a queste due posizioni giuridiche estreme, l’atteggiamento del Libero Spirito è un’eccezione della più grande rilevanza storica e sociale, tale da mettere in discussione l’assetto giuridico dell’epoca.
Nei
paesaggi cosmici dello sfondo si poteva già ravvisare uno scetticismo radicale nei
confronti della civiltà, condannata come generatrice di guerra.
Nella
scena della forca è lo stato ad essere posto sotto accusa, e in una delle sue
funzioni supreme, quella della giustizia. È lo stato stesso che viene giudicato
in base all’utopia dell’innocenza originaria. Ci troviamo qui in presenza dell’anarchismo
paleo-cristiano che perseguiva l’ideale di ‘una umanità riunificata, governata
non dalle leggi, ma dall’amore’.
Tra i contemporanei di Bosch solo Cornelio Agrippa manifesta con la stessa audacia e la stessa foga un simile anarchismo. Nel x c i capitolo, De iure et legibus (Del diritto e delle leggi), del suo scritto intitolato Della vanità e dell’incertezza delle Scienze, egli è d’accordo con Bosch nel considerare il diritto come conseguenza diretta della caduta di Adamo:
Vedete
ora come la scienza del diritto reclami il primato su tutte le altre scienze,
come essa le tiranneggi tutte e si arroghi, quasi fosse una figlia di Dio, un
privilegio su tutte le altre discipline? [...] Essa trae la sua origine dal
crimine del nostro primo padre, crimine che è la causa di tutti i nostri mali.
Ed è ciò che ha dato origine al diritto della natura corrotta, che si è
convenuto di chiamare ius naturale o
diritto naturale, le cui regole o principi fondamentali sono i seguenti: vim vi repellere licei, la violenza può
essere combattuta con la violenza; frangentem
fidem fides frangatur eidem, a colui che viola la propria parola non può
essere accordata fiducia; attere fattentem
non est fraus, ingannare chi ti inganna non è inganno; [...] volenti non fit iniuria, a chi
acconsente nessun torto è fatto; [...] si
te vel me confundi oporteat, potius eligam te confundi quam me, se uno di
noi due deve soffrire, tu od io, preferisco che sia tu e non io. Ed altri
principi dello stesso genere riconosciuti poi come leggi.
Questo malefico diritto naturale è, in Bosch, la forza invisibile che sconvolge e corrompe tutto l’orizzonte cosmico. Nella sua oscurità, lacerata qua e là da incendi sanguinosi, questo paesaggio fa pensare ad una miniera incendiata. L’effetto inquietante che ne risulta è essenzialmente dovuto al contrasto tra la rigidità di pietra dei neri edifici e il gioco furioso delle fiamme nel cielo, la fretta frenetica delle armate che s’avanzano come sferzate dalla furia della guerra e il panico dei personaggi travolti dalle acque o rifugiati sulla riva.
La
rabbia e il terrore di questa enorme massa inebetita conferiscono a questo
paesaggio cosmico un’atmosfera di disperazione annunciatrice del Giudizio finale.
Su
questo teatro del mondo che qui funge da orizzonte, gli elementi
della Natura e gli istinti malvagi dell’uomo si affrontano.
La
smisuratezza dell’inventiva, della volontà di potenza e dell’egoismo umano non
soltanto fanno violenza alla Creazione, ma distruggono anche ogni possibilità
di vita comune tra gli uomini.
Dalla situazione iniziale d’un mondo stravolto da cima a fondo a causa della Caduta, Bosch passa al presente e mostra come l’ordine sociale del suo tempo sia minato dalla stessa corruzione, dallo stesso male. Egli non raggiunge qui i toni del Carro di fieno, dove più tardi, nel pannello centrale, rappresenterà le supreme autorità del Papa e dell’Imperatore che, accompagnati dal loro seguito di chierici e principi, si dirigono in corteo verso l’Inferno.
Per
stigmatizzare potere temporale e potere spirituale, egli si limita qui,
prudentemente, a ritrarre i monaci e i cavalieri, bersagli tradizionali della
satira popolare. Ma, ponendo alla gogna questi due ordini — gli uni messi in
caricatura come cavalieri erranti e sanguinari, gli altri come missionari
fanatici ed ipocriti - egli manifesta una tale aggressività che i suoi
attacchi, andando oltre i personaggi in questione, raggiungono quelli che,
invisibili, stanno alle loro spalle. È il concetto stesso di autorità che Bosch qui abbatte. In queste immagini
militanti, denunzie feroci contro monaci e cavalieri, il Libero Spirito
rivoluzionario insorge e lancia il suo grido di
odio in tyrannos.
(W. Fraenger)
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