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Circa la Natura seviziata... (16)
Prosegue nel...:
Il senso
estetico e quello morale sono evidentemente strettamente collegati, e gli
uomini che sono costretti a vivere nelle condizioni sopra descritte vanno
chiaramente incontro all’atrofia di entrambi.
Sia
la bellezza della natura sia quella dell’ambiente culturale creato dall’uomo sono
manifestamente necessarie per mantenere l’uomo psichicamente e spiritualmente
sano. La totale cecità psichica di fronte alla bellezza in tutte le sue forme,
che oggi dilaga ovunque così rapidamente, costituisce una malattia mentale che
non va sottovalutata, se non altro, perché va di pari passo con l’insensibilità
verso tutto ciò che è moralmente condannabile.
Coloro
cui spetta la decisione di costruire una strada, o una centrale elettrica o una
fabbrica che deturperà per sempre la bellezza di una vasta zona sono del tutto
insensibili alle istanze estetiche. Dal sindaco di un piccolo paese al ministro
dell’economia di una grande nazione, tutti sono d’accordo nel ritenere che non
valga la pena di fare sacrifici economici, e tanto meno politici, per difendere
la bellezza del paesaggio.
I pochi scienziati e difensori della natura che vedono lucidamente approssimarsi la tragedia sono totalmente impotenti. Avviene infatti che un comune che possiede piccoli appezzamenti di terreno sul limitare di un bosco scopra che questi aumenteranno di valore se saranno collegati da una strada; e ciò basta perché il grazioso ruscello che attraversa il paese venga deviato, incanalato e ricoperto di cemento, e perché un bel viottolo di campagna venga immediatamente trasformato in una orrenda strada di periferia.
Nel primo
capitolo ho spiegato come e perché, nei sistemi viventi, la funzione dei
circuiti regolatori, anzi, di quelli a retroazione negativa, sia indispensabile
ai fini del mantenimento di uno stato costante (steadystate); e inoltre come e
perché la retroazione positiva, in un circuito, comporti sempre il pericolo di
un aumento a valanga di un singolo effetto. Un caso specifico di retroazione
positiva si verifica quando individui della stessa specie entrano tra loro in
una competizione che, attraverso la selezione, ne influenza l’evoluzione. Al
contrario della selezione causata da fattori ambientali estranei alla specie,
la selezione intraspecifica modifica il patrimonio genetico della specie
considerata attraverso alterazioni che non solo non favoriscono le prospettive
di sopravvivenza della specie, ma, nella maggior parte dei casi, le ostacolano.
Il mio maestro Oskar Heinroth diceva, nel suo solito modo drastico:
Dopo lo sbatter d’ali del fagiano argo, il ritmo
di lavoro dell’umanità moderna costituisce il più stupido prodotto della
selezione intraspecifica.
Al tempo in
cui fu pronunziata, questa affermazione era decisamente profetica, ma oggi è
una chiara esagerazione per difetto, un classico understatement. Per l’argo, come per molti altri animali con
sviluppo analogo, le influenze ambientali impediscono che la specie proceda,
per effetto della selezione intraspecifica, su strade evolutive mostruose e
infine verso la catastrofe. Ma nessuna forza esercita un salutare effetto
regolatore di questo tipo sullo sviluppo culturale dell’umanità; per sua
sventura essa ha imparato a dominare tutte le potenze dell’ambiente estranee
alla sua specie, e tuttavia sa così poco di se stessa da trovarsi inerme in
balìa delle conseguenze diaboliche della selezione intraspecifica.
Homo homini lupus: anche questo detto, come la famosa frase di Heinroth, è ormai divenuto un understatement. L’uomo, che è l’unico fattore selettivo a determinare l’ulteriore sviluppo della propria specie, è, ahimè, di gran lunga più pericoloso del più feroce predatore.
La
competizione fra uomo e uomo agisce, come nessun fattore biologico ha mai
agito, in senso direttamente opposto a quella potenza eternamente attiva,
beneficamente creatrice e così distrugge con fredda e diabolica brutalità tutti
i valori che ha creato, mossa esclusivamente dalle più cieche considerazioni
utilitaristiche.
Sotto la
pressione di questa furia competitiva si è dimenticato non solo ciò che è utile
per l’umanità intera, ma anche ciò che è buono e vantaggioso per il singolo
individuo. La stragrande maggioranza degli uomini contemporanei apprezza
soltanto ciò che può assicurare il successo nella concorrenza spietata, ciò che
permette loro di superare i propri consimili.
Il denaro
era in origine un mezzo, e infatti nel linguaggio di tutti i giorni si dice
ancora: è una persona con molti mezzi. Ma quanta gente è oggi ancora in grado
di capirci quando cerchiamo di spiegare che il denaro in sé non ha valore
alcuno?
Lo stesso
si può dire per il tempo: Time is money
significa, per coloro i quali attribuiscono al denaro un valore assoluto, che
essi apprezzano in egual misura ogni secondo risparmiato. Se è possibile
costruire un aereo in grado di sorvolare l’Atlantico in un tempo leggermente
inferiore a quello attuale, nessuno si chiede quale sia la contropartita nel
necessario prolungamento delle piste degli aeroporti, nella maggiore velocità
di atterraggio e di decollo che comporta rischi maggiori, nell'aumento del
rumore, ecc'. La mezz’ora guadagnata rappresenta agli occhi di tutti un valore
intrinseco per il quale nessun sacrificio è troppo grande. Ogni fabbrica di
automobili deve cercare di produrre un nuovo tipo di vettura che sia più veloce
di quello precedente, tutte le strade vanno allargate, tutte le curve
rettificate, col pretesto della maggiore sicurezza: in realtà soltanto per
poter guidare un po’ più velocemente, e quindi più pericolosamente.
Qualunque
sia la risposta, coloro che detengono il potere, indipendentemente dall’orientamento
politico, hanno interesse a favorire entrambi questi fattori e a ingigantire le
motivazioni che spingono l’individuo alla competizione.
Non mi
risulta che esista finora una analisi psicologica profonda di queste
motivazioni; ritengo tuttavia molto probabile che, oltre alla brama del
possesso e all’ambizione di ottenere una posizione di rango più elevato, un
ruolo molto importante sia svolto in entrambe dalla paura: paura di essere
superati dai concorrenti, paura di diventare poveri, paura di prendere
decisioni sbagliate e di non essere, o non essere più, all'altezza di una
situazione estenuante. L’angoscia in tutte le sue forme è certamente il fattore
determinante nel minare la salute dell’uomo moderno, ed è causa di ipertensioni
arteriose, di nefrosclerosi, di infarti cardiaci precoci e di altri bei malanni
del genere. L’uomo che ha perpetuamente fretta non insegue solo il possesso,
poiché la meta più allettante non potrebbe indurlo a essere tanto
autolesionista: egli è spinto da qualcosa, e ciò che lo spinge è solamente l’angoscia.
Il semplice
fatto, per esempio, di percepire e riconoscere la propria mano che tasta e
afferra, accanto alle cose tastate e afferrate, come qualcosa di appartenente
al mondo esterno, deve avere instaurato una nuova relazione i cui effetti sono
stati d’importanza capitale. Un essere che non abbia ancora preso coscienza del
proprio io non può essere in grado di sviluppare né un pensiero astratto, né un
linguaggio, né una coscienza o una morale responsabile.
Un essere che non riflette più corre il
rischio di perdere tutte queste qualità e attività specificamente umane.
Il
dilagante bisogno di rumore, che sembra paradossale se si considera la
nevrastenia degli uomini d’oggi, si spiega soltanto col bisogno di soffocare
qualcosa. Durante una passeggiata nel bosco mia moglie ed io fummo un giorno
sorpresi dal rapido avvicinarsi degli strilli di una radiolina che un solitario
ciclista di circa 16 anni portava con sé sul portapacchi. Mia moglie osservò:
Questo ragazzo ha paura di sentir cantare gli
uccelli!
Penso
che egli temesse soltanto il pericolo di potere, per un attimo, incontrare se
stesso.
Gli uomini, dunque, soffrono per la tensione nervosa e psichica che vien loro imposta dalla competizione coi loro simili. Sebbene essi vengano addestrati sin dalla primissima infanzia a vedere un progresso in tutte le folli aberrazioni della concorrenza, sono proprio i più progrediti tra loro a portare con maggiore chiarezza l’angoscia negli occhi, e sono i più capaci, quelli che maggiormente vanno coi tempi, a morire precocemente di infarto.
Anche
volendo accettare l’ipotesi ingiustificatamente ottimistica che la popolazione
della terra non continuerà ad aumentare al ritmo minaccioso di oggi, dobbiamo
riconoscere che la competizione economica in cui l’umanità si è lanciata è sufficiente
ad annientarla.
Ogni meccanismo di regolazione a retroazione positiva porta prima o poi alla catastrofe; e il processo di cui parliamo ne contiene più d’uno. Oltre alla selezione economica intraspecifica che tende a instaurare tempi di lavoro sempre più stretti, esiste un secondo pericoloso meccanismo a retroazione positiva di cui Vance Packard parla in molti dei suoi libri e che porta al progressivo aumento dei bisogni dell’uomo. Per motivi del tutto ovvi, ogni produttore cerca di incrementare il più possibile nei consumatori il bisogno dei suoi prodotti. Molti istituti scientifici di ricerca si occupano esclusivamente del problema di identificare i mezzi più idonei per raggiungere questo fine assolutamente spregevole. La gran massa dei consumatori è abbastanza stupida da lasciarsi manipolare dai metodi elaborati sulla base dei sondaggi di opinione e della pubblicità. Nessuno, ad esempio, si ribella al fatto di dover pagare per ogni tubetto di dentifricio o per ogni pacchetto di lamette da barba un imballaggio di tipo reclamistico che spesso costa quanto la merce o anche di più.
Le forme
lussuose di vita, che sono il risultato del terribile circolo vizioso
instauratosi tra aumento della produzione e crescita dei bisogni, diverranno
fatali ai Paesi occidentali quanto orientali.
Sarà indice di ben poca lungimiranza da parte dei dirigenti del
capitalismo il voler proseguire sulla via sin qui percorsa, cercando di
premiare il consumatore con il miglioramento del suo tenore di vita e, così, di
condizionarlo perché continui a competere col suo prossimo in una gara che gli
provoca l’ipertensione e l’esaurimento nervoso.
(K. Lorenz)
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