Al tramonto dell’epistéme nella filosofia e nella
scienza corrisponde il proposito, che è esplicito nelle moderne scienze della
formazione educativa, di non avere “preferenze” nella promozione scolastica dei
valori: il proposito di non realizzare certi scopi piuttosto che altri – che è
analogo alla mancanza di preferenze che è tipica di una certa democrazia, ossia
è analogo al principio democratico di non imporre alcun valore alla società.
Alla svalutazione dei contenuti corrisponde la
valorizzazione del metodo. Il metodo è la “via”, cioè il mezzo, lo strumento.
Come la democrazia, anche la formazione educativa viene ad assumere come scopo
il metodo, ossia ciò che era il mezzo. Porre come scopo il metodo, e non certi
contenuti, significa porre come scopo la promozione della “spontaneità” e della
“libertà creatrice” di chi è “formato”.
La tecnica, che è il metodo, ossia il mezzo, la via lungo la quale dovrebbero essere realizzati i contenuti e i valori della tradizione, diventa invece il loro scopo; e la formazione educativa (come l’informazione) diventa un aspetto dell’Apparato tecnologico.
Sia pure
attraverso una interpretazione ingenuamente tecnicistica (macchinistica,
scientistica, fisicalistica, matematicistica) della tecnica – che trattiene la
tecnica alla sua configurazione attuale e che ignora il suo essere
l’espressione più radicale della volontà di potenza che si esprime
originariamente nella filosofia greca –, scienziati dell’educazione come B.F.
Skinner parlano, appunto, di tecnologia dell’insegnamento o di macchine per
l’insegnamento (come per Le Corbusier la casa è una “macchina per abitare”); o
di “didattica automatica” e di “istruzione programmata”.
Oggi l’uomo è “formato” perché gli “strati” culturali della civiltà, che l’‘instruere’ dell’istruzione trasmette e colloca nell’individuo umano, non sono più lo scopo della formazione, ma il mezzo per attivare nell’individuo la “spontaneità” e la “libertà creatrice” che lo emancipano dalla tradizione.
Ma oggi l’espressione primaria della spontaneità
e della libertà creatrice è la potenza dell’Apparato tecnologico, separatamente
dalla quale esse non sono né efficaci né significative.
L’uomo è “formato” quando la sua spontaneità e
libertà creatrice diventano elementi della spontaneità e della libertà
creatrice, cioè della potenza dell’Apparato.
Se libertà è non trovare ostacoli nell’agire – gli ostacoli che in quanto tali predeterminano l’agire, e gli impediscono di essere creatore –, e se la creatività è la capacità di liberarsi dai dati preesistenti, che in quanto tali ostacolano l’agire, la forma suprema di libertà creatrice è oggi la tecnica.
Oltre a diventare lo scopo della democrazia, anche per questo aspetto del discorso la libertà – che inizialmente è il mezzo per la realizzazione degli scopi della tradizione – diventa, in quanto libertà creatrice della tecnica, lo scopo che la tecnica stessa, insieme a tutte le forze viventi della tradizione occidentale, si propone di potenziare indefinitamente.
(E. Severino)
Ma in cosa consiste l’idea di progresso e la fede in esso?
L’idea base
del progresso e la sua espressione sono:
‘L’umanità
muta continuamente, supera il passato, mantenendo di esso le opere intraprese e
i ricordi’.
In senso
traslato, questo mutamento delle relazioni fra gli uomini noi lo chiamiamo
movimento, e un mutamento verso il passato lo definiamo all’indietro, e un
mutamento verso il futuro lo definiamo in avanti. Complessivamente in senso
traslato diciamo che l’umanità si muove in avanti.
Questo stato delle cose, sebbene non espresso chiaramente, è fuori di dubbio. Ma a questo indubbio stato delle cose i credenti nel progresso e nello sviluppo storico aggiungono un altro elemento non dimostrabile e cioè che l’umanità nelle epoche precedenti abbia goduto di meno benessere e che questo sia sempre minore più ci si inoltri nel passato e, viceversa, sempre maggiore quanto più si vada avanti.
Da ciò ne
deriva che per un agire fruttuoso occorra agire soltanto in rapporto alle
condizioni storiche e che ogni azione, secondo la legge del progresso, conduca
di per sé ad un miglioramento del benessere comune e che quindi tutti i
tentativi di fermare o contrastare il movimento della storia siano inutili.
Tale
conclusione è illegittima perché il secondo elemento, quello sul continuo
migliorarsi dell’umanità sulla strada del progresso, non è per nulla dimostrato
e risulta ingiusto.
Da tempi immemorabili l’umanità intera è percorsa – dice lo storico fedele del progresso – da un processo, quello del progresso, e per dimostrarlo si confronta, ad esempio, l’Inghilterra del 1685 con l’Inghilterra dei nostri giorni. Ma anche se fosse possibile dimostrarlo – mettendo a confronto la Russia, la Francia e l’Italia di oggi con quella di Roma antica, della Grecia o di Cartagine – che il benessere dei popoli recenti sia superiore a quello degli antichi…
…Io, come
tutte le persone libere dalla superstizione del progresso, vedo soltanto che l’umanità
‘vive’, che i ricordi del tempo passato ora si accumulano, ora scompaiono; che
le opere del passato spesso servono da base per nuove opere del presente,
spesso invece costituiscono un ostacolo per esse; vedo che il benessere della
gente aumenta in un posto, per un determinato strato sociale e in un
determinato senso, mentre altrove diminuisce; vedo che, se anche lo
desiderassi, non riuscirei a trovare nessuna legge universale nella vita
dell’umanità.
‘Leggere’ la storia con l’idea del progresso è egualmente superficiale che leggerla con l’idea del regresso o di qualunque altra volete fantasia storicista.
Dirò di
più: non vedo alcuna necessità di trovare leggi universali, ancora prima di
dire se questo sia possibile. La legge universale ed eterna è scritta
nell’anima di ogni uomo. La legge del progresso, o della perfezione, è scritta
nell’anima di ogni uomo e soltanto per errore la si può trasferire nella
storia. Finché riferita alla persona, questa legge è produttiva e accessibile a
tutti, quando la si trasferisce nella storia diventa chiacchiera inutile e
vuota, che conduce a giustificare qualunque assurdità e fatalismo.
Il
progresso è complessivamente, per tutta l’umanità, un fatto non dimostrato e
per tutti i popoli orientali inesistente; il dire perciò che il progresso è una
legge dell’umanità è privo di fondamento quanto il dire che tutti sono biondi
ad eccezione di quelli con i capelli neri.
Tuttavia probabilmente non abbiamo ancora definito il progresso così come molti lo capiscono. Ci sforzeremo quindi di darne la definizione più comune e ragionevole.
Il
progresso è probabilmente una legge svelata solo ai popoli europei, ma così
importante da dover assoggettare ad essa tutta l’umanità. In questo senso il
progresso è la strada percorsa da una parte nota dell’umanità e che è
riconosciuta da questa parte come via al suo benessere. Nello stesso senso
Buckle comprende il progresso della civilizzazione dei popoli europei,
includendo in questa idea generale di progresso, il progresso sociale,
economico, delle scienze, delle arti, dei mestieri e in particolare le invenzioni
della polvere da sparo, della stampa e dei mezzi di trasporto.
Una tale
definizione di progresso è chiara e comprensibile: ma suscita senza volerlo
delle domande.
1. Chi ha stabilito che questo progresso conduce al benessere? Per crederlo mi occorre che lo riconoscano non persone particolari appartenenti ad una classe esclusiva – storici, pensatori e giornalisti – ma che tutta la massa del popolo, soggetta all’azione del progresso, riconosca che il progresso conduce al proprio benessere. In ciò scorgiamo una contraddizione permanente.
2. La seconda domanda è: cosa riconoscere come
benessere? Il miglioramento dei mezzi di trasporto, la diffusione dei libri
stampati, l’illuminazione a gas delle strade, le case di ricovero per i poveri,
i bordelli e via di seguito? Oppure la primordiale ricchezza della natura, le
foreste, la selvaggina, il pesce, uno sviluppo fisico forte, la purezza dei
costumi etc.? L’umanità vive contemporaneamente una tale molteplicità di
aspetti nella sua vita quotidiana, che determinare il grado di benessere in una
determinata epoca e attribuirlo all’uomo è impossibile. Un uomo vede soltanto
il progresso dell’arte, un altro il progresso della virtù, un terzo il
progresso delle comodità materiali, un quarto quello della forza fisica, un
quinto quello dell’organizzazione sociale, un sesto quello delle scienze, un
settimo quello dell’amore, dell’uguaglianza e della libertà, un ottavo quello
dell’illuminazione a gas e delle macchine per cucire.
Anche colui
che si rapportasse indifferentemente nei confronti di tutti gli aspetti della
vita, troverà che il progresso di un aspetto soltanto fa sempre comunella con
il regresso di un altro aspetto della vita umana.
Gli uomini politici più coscienziosi, che credono nel progresso dell’uguaglianza e della libertà, forse non si sono convinti e non si convincono ogni giorno di più che nella Grecia antica e a Roma ci sia stata più libertà e eguaglianza che nella moderna Inghilterra con le sue guerre cinesi e indiane, o nella Francia moderna con i suoi due Bonaparte o nella stessa America moderna con la sua furiosa guerra per il diritto alla schiavitù?
I più
coscienziosi credenti nel progresso dell’arte, non si sono forse convinti che
ai nostri giorni non c’è un Fidia, un Raffaello, un Omero?
Prendiamo
in esame le più comuni e celebrate manifestazioni del progresso in rapporto ai
vantaggi e agli svantaggi per la società e per il popolo, proprio quelle tanto
celebrate: la stampa, il vapore, l’elettricità.
‘L’uomo
domina le forze della natura, il pensiero vola alla velocità di un fulmine da
un capo all’altro della terra. Il tempo è stato vinto’.
Tutto ciò è
bello e commovente; ma vediamo chi ne trae vantaggio?
Parliamo
del progresso del telegrafo elettrico.
È evidente che l’applicazione e i vantaggi del telegrafo sono appannaggio soltanto delle classi alte, quelle cosiddette istruite. Il popolo, cioè i 9/10 sente soltanto il sibilo dei fili metallici sopra la testa ed è ingiustamente limitato dalle severi leggi sui danneggiamenti dei telegrafi.
Tutti i pensieri
che viaggiano sopra il popolo attraverso questi fili metallici sono soltanto
pensieri su come sfruttare il popolo nel più comodo dei modi. Attraverso i fili
metallici vola il pensiero su come aumentare la domanda di una qualche merce e
come, per questo, occorra aumentarne il prezzo; oppure il pensiero che, poiché
l’esercito francese è accresciuto di numero, occorra prima possibile chiamare
alla leva ancora “tot” cittadini; o il pensiero su come il popolo in un
determinato luogo sia scontento della sua condizione e occorra spedire per
reprimerlo “tot” soldati; o il pensiero su come io, ricca proprietaria terriera
russa, che soggiorno a Firenze, grazie a Dio ho curato i nervi, abbraccio il
mio adorato coniuge e gli chiedo di spedirmi urgentemente 40 franchi.
Senza aver fatto una statistica precisa dei dispacci telegrafici, si può star sicuri che tutti i dispacci appartengono a questo genere di corrispondenza i cui modelli vi ho qui presentato.
Il contadino di Jasnaja Poljana del governatorato di Tula o qualunque altro contadino russo (non si dimentichi che questi contadini costituiscono tutta la massa del popolo, del quale il progresso crede di curare il benessere) non ha mai spedito né ricevuto un solo dispaccio, né ancora per molto lo potrà fare. Tutti i dispacci che viaggiano sopra la sua testa non potranno aggiungere un granello di sabbia al suo benessere perché tutto ciò che al contadino occorre, questi lo prende dal suo campo, dal suo bosco e gli sono egualmente indifferenti il rincaro dei prezzi dello zucchero così come quello del cotone, il rovesciamento del re Ottone o il discorso pronunciato da Palmerston o da Napoleone III, o i sentimenti del barin che scrive da Firenze.
Tutti
questi pensieri che si diffondono alla velocità di un fulmine su tutta la
terra, non aumentano la produttività dei suoi aratri, né diminuiscono il
controllo sulle foreste di proprietà o demaniali, né aggiungono forze al suo
lavoro e alla sua famiglia, né gli danno lavoratori in più.
Tutti
questi grandi pensieri possono soltanto nuocere al suo benessere, non lo
consolidano né lo migliorano; possono essere rilevanti solo in senso negativo.
Per gli
“ortodossi” del progresso invece i fili telegrafici hanno portato e porteranno
enormi vantaggi.
Io non discuto sui vantaggi, mi sforzo solo di dimostrare che non occorre pensare e convincere gli altri che ciò che è conveniente per me è di grandissimo beneficio anche per tutto il resto del mondo. È necessario innanzitutto dimostrarlo o almeno aspettare che tutti riconoscano come bene ciò che per noi è vantaggioso. Nel cosiddetto assoggettamento del tempo e dello spazio per mezzo dell’elettricità, noi questo non lo scorgiamo.
Al
contrario vediamo che i paladini del progresso ragionano a proposito
esattamente come i vecchi possidenti, che assicurano che per i contadini, lo
stato e tutta l’umanità, non c’è niente di più vantaggioso della servitù della
gleba e del lavoro a corvè; la differenza sta solo nel fatto che la “fede” dei
possidenti è una cosa vecchia e risaputa, mentre quella dei “progressisti” è
cosa nuova e predominante.
Discutendo
di tutto ciò a noi così vicino, mi preme di nuovo avvisare il lettore che
occorre, nel modo più sincero possibile, liberarsi da credenze e paradossi
politico-economici, spacciati per verità; che occorre considerare soltanto i
fatti che avvengono davanti ai nostri occhi.
Noi vogliamo risolvere il seguente problema: se all’aumento dell’applicazione del vapore agli spostamenti e alla produzione industriale corrisponda un miglioramento del benessere del popolo. Non staremo a parlare delle conseguenze e dei risultati di tale applicazione secondo teorie politico-economiche contrapposte, ma prenderemo in considerazione semplicemente quei benefici che il vapore ha portato e porta alla massa del popolo.
Il
contadino di Tula, che vedo e conosco molto bene, non ha bisogno di spostarsi
velocemente da Tula a Mosca, di andare sul Reno, di fare Parigi e ritorno. La
possibilità di tali spostamenti non aggiunge niente al suo benessere. Egli
soddisfa tutte le sue necessità col proprio lavoro e, ad iniziare dal cibo per
finire col vestiario, produce tutto da sé: i soldi per lui non costituiscono
ricchezza. E ciò è tal punto vero che quando ha dei soldi, li mette sottoterra
e non ritiene necessario farne uso alcuno.
Perciò, anche se la ferrovia gli rende più accessibili i prodotti manifatturieri e del commercio, egli rimane completamente indifferente a questa grande disponibilità: non gli occorrono né tricò, né rasi, né orologi, né vino francese, né sardine. Tutto ciò che gli serve e che ai suoi occhi costituisce ricchezza e crescita del suo benessere, egli se lo guadagna nella sua terra, col suo lavoro.
(L. Tolstoj)
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