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L’ultimo convoglio lascia
Montecassino il 3 novembre 1943, con le opere della Galleria nazionale di
Capodimonte e del Museo archeologico di Napoli, settantamila documenti
dell’abbazia, le reliquie di san Benedetto e di santa Scolastica, ossia quanto
resta delle loro ossa (per l’abate, ‘il tesoro più importante, tra le cose più
sante della Chiesa cattolica’).
Quando l’autocarro,
facendo retromarcia, investe uno dei millenari pilastri dell’abbazia, Schlegel
stesso salta a bordo del bestione motorizzato imprecando in tedesco e, senza
troppi complimenti, si mette alla guida al posto dell’impaurito conducente. Lui
di manovre se ne intende, eccome: a Vienna dirigeva una ditta di spedizioni con
annesso garage.
Le casse con i tesori
napoletani e degli altri musei dell’Italia meridionale, quelli dello Stato, non
si fermano nella capitale, ma proseguono verso nord. La loro marcia sarà
bloccata presso Spoleto. Schlegel elenca, fra i tesori dello Stato, tre
Tiziano, due Raffaello, originali di Tintoretto, Ghirlandaio, Pieter Bruegel,
antichissimi oggetti di culto d’oro, sculture lignee, vasi e sculture di Pompei
e infine, come un botto finale di un fuoco d’artificio, una Leda di Leonardo da
Vinci (oggi agli Uffizi dopo il recupero da parte di Siviero), di cui
l’ufficiale tedesco scrive nel suo diario: ‘Di Leonardo da Vinci ci sono appena
una dozzina di quadri in tutto il mondo. Uno di questi l’abbiamo salvato noi’.
Quando al comando di divisione, a Teano, Becker viene a sapere che a Spoleto è arrivato l’esperto d’arte rappresentante di Göring, ha conferma dei suoi sospetti. Probabilmente molte di quelle opere gli italiani non le avrebbero mai riviste.
Il capitano medico si
precipita nella città umbra a bordo della sua piccola Fiat decappottabile, un
viaggio di duecentocinquanta chilometri. In tempi normali sarebbe durato poche
ore. Ma nel caos dell’Italia in guerra, con le strade sempre sottoposte agli
attacchi aerei alleati, Becker, viaggiando di notte, impiega dieci ore per
raggiungere Spoleto. Lì si rende conto di aver avuto ragione ad allarmarsi,
quando vede le casse sventrate e intorno a esse aggirarsi l’incaricato di
Göring, Walter Andreas Hofer, venuto dalla Germania per prelevare le opere
destinate al maresciallo.
In particolare, l’inviato di Göring si è soffermato davanti alla meravigliosa 'Parabola dei ciechi' di Pieter Bruegel il Vecchio, un dipinto a tempera databile intorno al 1568 e conservato nel Museo di Capodimonte a Napoli, opera che gli sollecita un pensiero umoristico. Il quadro mostra sei ciechi, tutti col bastone, che cercano la loro strada in un villaggio deserto, con i volti tirati rivolti verso un cielo ostile. Il primo è già caduto, il secondo sta inciampando su di lui e cade a sua volta. A Becker viene in mente che l’esperto in uniforme arrivato da Berlino avrebbe potuto scegliere per Göring proprio il Bruegel, come commento silenzioso all’attuale situazione della Germania.
Tornato al suo comando,
Becker fa il diavolo a quattro. Dice che quei beni di Spoleto sono di proprietà
dello Stato italiano. Gli ufficiali della Divisione Göring avevano dato la loro
parola d’onore che quel tesoro – al completo – sarebbe stato riconsegnato agli
italiani! Ma Becker viene convocato dal suo diretto superiore, il quale gli
rinfaccia di essersi occupato di cose non di sua competenza, di aver viaggiato
e di essersi assentato senza permessi, rischiando di finire davanti alla corte
marziale. Per questo sarebbe stato mandato a combattere in Russia. Nel
frattempo, però, viene trasferito a Bologna, dove per fortuna si dimenticano di
lui.
Roma, 8 dicembre 1943, mattino inoltrato. Una folla di quasi un centinaio di persone si è radunata davanti a Castel Sant’Angelo. Alcuni bambini sono riusciti ad arrampicarsi sulle statue degli angeli disegnate dal Bernini che adornano le spallette del ponte sul Tevere. Su tutti, a sorvegliare la scena dalla cima del castello, c’è l’arcangelo Michele di bronzo. È qui che deve svolgersi la prima cerimonia di riconsegna dei tesori dell’abbazia di proprietà della Chiesa.
La stampa è pronta a
registrare immagini e suoni dell’avvenimento. Ci sono anche operatori tedeschi
con tanto di macchine fotografiche e cineprese, e un radiocronista della radio
fascista con la camicia nera sotto l’uniforme militare. I tedeschi hanno
chiesto che la cerimonia si svolga «con una certa solennità» allo scopo di
controbattere la propaganda angloamericana, e per dimostrare «quanta
sollecitudine essi pongano nel mettere in salvo manoscritti e opere d’arte dai
pericoli delle battaglie».
A rappresentare la
Divisione Göring c’è il tenente colonnello Schlegel, elegante nella sua
uniforme da cerimonia. Una grande giornata per la divisione e per il nazista
viennese. Schlegel è presente per rivendicare lo sgombero del tesoro della
Chiesa da Montecassino, il che è giustificato.
La cerimonia di riconsegna ha termine a mezzogiorno. La folla si sparpaglia, le cineprese vengono riposte. È stata una buona mattinata per la propaganda germanica. I tedeschi passano per difensori della civiltà europea contro gli invasori e Hitler come un benefattore della cristianità.
Ma non tutti i tesori
partiti da Montecassino, né tutti coloro che si sono dati da fare per salvarli,
sono presenti a quella cerimonia dell’8 dicembre davanti a Castel Sant’Angelo.
I tesori di Napoli, di proprietà dello Stato, sono ancora nel deposito di
Spoleto. E l’uomo che ha avuto per primo l’idea dello sgombero, il dottor
Maximilian Becker, non è presente alla cerimonia. Nessuno lo ha invitato. Non
ne trovo traccia nemmeno nel pur accurato diario di Schlegel consegnatomi a
Brunico, dove si accenna al ringraziamento dell’abate Diamare: 'Una pergamena
di elogi con una medaglia in oro e smalto per me e i più meritevoli dei miei
soldati e una pergamena in dono per il comandante della Göring, generale Paul
Conrath'.
Il diario di Schlegel si ferma alla cerimonia di riconsegna dell’8 dicembre. Ecco l’ultimo capoverso: ‘L’opera di salvataggio era compiuta, con più successo di quanto mi sarei mai immaginato. Non sono così presuntuoso da sentirmi strumento di Dio. [...] Posso solo rivendicare la soddisfazione di aver compiuto fedelmente il mio dovere, unitamente a un senso di profondissima gratitudine verso il potere superiore che mi ha concesso di salvare all’umanità tesori d’arte e beni spirituali di incommensurabile valore’.
Schlegel non dà conto
della successiva riconsegna, quella avvenuta il 4 gennaio 1944. Come se non vi avesse presenziato. Stavolta gli
autocarri portano a Roma i tesori di proprietà dello Stato, quelli bloccati a
Spoleto due mesi prima.
Quel giorno i camion
della divisione trasportano le casse dal deposito di Spoleto e le consegnano
alle autorità italiane in piazza Venezia, sotto lo storico balcone dal quale
Mussolini pronunciò la dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra. Lo
Stato italiano è rappresentato dal dirigente del ministero dell’Educazione
Alfonso Bartoli. La seconda celebrazione viene anch’essa filmata e
pubblicizzata. La cinepresa immortala militari tedeschi che aprono una cassa e
mostrano al professor Bartoli una grande tela di Giampaolo Pannini, La visita
di Carlo III, e Bartoli che consegna una pergamena di ringraziamento dello
Stato italiano per la restituzione dei tesori napoletani.
Nel carico sono comprese 172 casse delle collezioni di Napoli. Ma Bartoli e i colleghi delle Belle arti italiane che le ricevono controllano i registri e scoprono che la collezione di Napoli era partita da Montecassino in 187 casse, quindici in più di quelle che stavano ricevendo. E, come abbiamo accennato, quando chiedono ai tedeschi notizia di quelle casse e di due autocarri mancanti, si sentono rispondere che erano in ritardo a causa di «tiri di mitragliatrici» e sarebbero arrivati il giorno successivo.
In realtà non arrivarono
mai. Le quindici casse proseguirono il viaggio fino a Berlino. Erano finite a
casa di Göring dove sarebbero state esibite, la Danae di Tiziano in testa, una
settimana dopo, il 12 gennaio, giorno della festa del cinquantunesimo
compleanno del gerarca nazista. Il suo inviato Hofer aveva fatto un buon
lavoro.
(S. Giannella)
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