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Alla morte di don Chisciotte ciò che ricordiamo di lui, oltre penna e pennello esposti alle vicissitudini del Tempo, evoluto se pur immobile, osservato nell’orbita da chi mirabilmente lo ha (ri)creato dipinto e ben ritratto, l’apparente ‘pazzia’ nella dolente nota biografica accomunare l’Eresia alla Verità negata allo stesso, lento scorrere ai capricci del vento così come ogni Elemento ed ogni Straniero scagliarsi al mulino della inesorabile sua ed altrui evoluzione: minuti ore secoli numerati e transitati, ère immuni alla Verità così come la Ragione ed ogni Eretico rincorrere la propria Visione… immune al Tempo con solo negli occhi l’orrore del presente!
Fedele alla solitaria Dottrina negata derisa e perseguitata, combattuta fra Monopodio ed il triste Tempo numerato, e l’‘esule’ vittima d’ogni visibile invisibile reato da cui deriso e perseguitato; giacché chi afferra il senso nonché sottile ‘quadro’ della metafora qual dettaglio della dovuta congiunzione intuirà anche, che i favori del Secolo ogni Secolo conservato e dipinto maggiormente incline a Monopodio accompagnato da tutti i personaggi che lo omaggiano e proteggono, in Primo Piano o sullo sfondo comporre l’eterno panorama della Storia a voi narrata e felicemente vissuta…
Dividere, per l’appunto, Infinito e Tempo…
Nella prospettiva con cui deriso descritto e ritratto…
La postura, si prenda dovuta nota nella differenza, che intercorre fra la postura detta e l’impostura, si compone nel mirabile ritratto che si conviene al gentiluomo virtuoso: lo sguardo è fermo, rivolto a noi, o meglio a voi, al vostro felice Tempo così mirabilmente transitato ciarlato vilipeso non meno che perseguitato, Rembrandt non distante negli anni dalle tristi vicissitudini del Cervantes, ci tramanda un mirabile dettaglio: il gentiluomo Six si sta sistemando il guanto con cui si predispone alla ‘vista’ dello spettatore, del resto chi lo osserva appartiene a ben vedere al Tempo transitato per ogni museo o Tomo ben rilegato.
Il Gentiluomo, invece, Infinito nel dettaglio della celata prospettiva raffigurare mirabile metafora la qual unisce Arte Poesia e Filosofia, Pittogramma di una velata eretica Dottrina nella postura per l’appunto, in cui il guanto degna maschera (ai nostri odierni intendimenti anche ‘mascherina) d’una più ordinata odierna impostura… di cui il Tempo transitato ne ammira la solitaria sottigliezza immune da qualsivoglia patologica corrotta Natura…
Il gentiluomo nell’ipotesi comune della Storia sembra che si stia sistemando il guanto sinistro sulla mano, preparandosi, per così dire, ad assumere la sua figura pubblica.
Me il pittore si è preoccupato di evidenziare con grande cura il pollice infilato nel guanto aderente, al punto di delineare l’estremità superiore dell’unghia sotto la morbida pelle di camoscio. È quindi altrettanto plausibile immaginare che la mano nuda, la destra, sia invece per sfilare il guanto. Ciò non significa, ovviamente, che dobbiamo invertire la direzione del movimento di Six – da un uscire ad un entrare, dal commiato al benvenuto -, quanto piuttosto la volontà di Rembrandt quando intende cogliere il soggetto proprio sull’ambiguo limite fra la casa ed il mondo esterno, tra pubblico e privato, per indurci altresì a pensare oltre che osservare nel dettaglio le due mani, ornate e protette da guanti (o da ‘mascherina’), nella più reale o irreale relazione e connessione in cui e per cui ritratto il gentiluomo condiviso e diviso tra relazioni pubbliche e private: una per il mondo e una per gli amici (degli amici) e per se stesso…
Il dettaglio del guanto (oppure l’odierna mascherina) serve unitamente a preservare l’osservato nel pubblico Tempo transitato, che pur osservando se medesimo non riesce a cogliere il sottile dettaglio del guanto calzato oppure al contrario sfilato, così come l’intero abito con cui la mascherina conferisce ulteriore odierno dettaglio del degrado sia se calzata, oppure, per l’intrepido futuro che attende per ogni pubblica relazione…, sfilata, nel costante rischio d’un contagio con cui l’impostura peggio d’ogni virus inganna e falsa ogni prospettiva ed inganna la vista…
Divisa e condivisa fra pubblico e privato
Tra una casa e la scena d’un teatro…
Tra pubblico e privato non sufficiente un guanto, una mascherina, a preservarci dagli inganni accompagnati dai soprusi di Monopodio (e con lui chi al meglio lo nobilita e legalizza, fors’anche istituzionalizza), giacché da sangue ‘coronato’ e non ancor del tutto ‘guasto’ e ‘ulcerato’, dai remoti tempi in cui ogni falso sovrano o signore esige superiore pretesa nella ‘differenza’ posta e nell’apparenza vestita nonché adornata con ‘nobile’ ricchezza, quantunque sempre privata del dovuto Spirito da cui l’uomo; mai potrà nascere o evolvere Esemplare Novella nella ‘voce del sangue’ con cui scritta la Storia del nostro quanto altrui destino.
Tra pubblico e privato, per chi calza il guanto o cammina per la stessa ugual medesima strada scalzo, corre ed inciampa il Tempo preservato al tatto così come al contagioso respiro, d’una appestata realtà evoluta al panorama d’una Storia sempre corrotta…
Unita e divisa tra pubbliche e private risate di sdegno i Poeti di corte umiliarono Cervantes non reputandolo degno, il ritratto di se medesimo e di come il mondo cinto e calzato con ugual costume (e guanto) guasta l’intera Reale Compagnia non sopportandone l’altezzosa Rima ridotta al cortile d’una Osteria.
Il ‘quadro’ della Storia non meno della Rima al colore del pennello che l’accompagna ornata da Monopodio e chi al meglio, pur calzando guanto e mascherina, lo asserve e mantiene nel fasto della pubblica economia che nulla priva della ricchezza ottenuta pur il guanto e la maschera d’un penoso corrotto bilancio falsarne la Memoria, come Monopodio e l’eterna sua dottrina insegna…
Tra pubbliche calunnie il pastore incolpa il Lupo del danno mai arrecato alla pecunia del Monopodio di Stato, se pur il nobile paese assetato di gloria e colmo di arroganza e falsa dottrina divenuta morale di vita… umilmente ed umiliato calzo il guanto come la mascherina in ciò che divide Eretico e ciarlatano… astenendomi di inchinarmi, o ancor peggio, baciare le mani del Monopodio da cui ciò che Stato… e mai sarà…
(il curatore del blog)
…Noi ci siamo riformati allontanandoci da loro, non contro di loro…; poiché facendo astrazione da quegli oltraggi e quello scambio di espressioni ingiuriose, che unicamente indicano la differenza fra le nostre tendenze e non nella nostra causa, esistono un unico nome e appellativo comune fra noi, un’unica fede e un necessario nucleo di principi comuni agli uni e agli altri; e perciò io non mi faccio scrupolo di conversare o vivere con loro, di entrare nelle loro chiese in difetto delle nostre, e di pregare insieme a loro, o per loro: non sono mai riuscito a percepire un qualche nesso logico con quei molti testi che vietano ai figli di Israele di contaminarsi con i templi dei pagani, essendo noi tutti cristiani, e non divisi da detestabili empietà, tali da poter profanare le nostre preghiere o il luogo in cui le diciamo; e nemmeno a comprendere perché mai una coscienza risoluta non possa adorare il suo Creatore ovunque, specialmente in luoghi dedicati al suo servizio; in cui, se le loro devozioni l’offendono, le mie possono piacergli, se le loro profanano il luogo, le mie possono santificarlo; l’acqua benedetta e il crocifisso (pericolosi per la gente comune) non ingannano il mio giudizio, ne fan menomamente torto alla mia devozione: io sono, lo confesso, naturalmente incline a quello che lo zelo fuorviato definisce superstizione; riconosco indubbiamente austera in genere la mia conversazione, pieno di severità il mio comportamento, non esente talvolta da qualche asperità; pure nella preghiera mi piace usare rispetto con le ginocchia, col cappello e con le mani…, insomma con tutte quelle manifestazioni esteriori e percepibili ai sensi…
…E quindi come vi furono molti riformatori, allo stesso modo molte riforme; tutti i paesi procedendo ciascuno col proprio metodo particolare, a seconda di come li dispone il loro interesse nazionale, insieme al loro temperamento e al clima; alcuni irosamente e con estremo rigore, altri con calma, attenendosi ad una via di mezzo, non con strappi violenti, ma separando senza sforzo la comunità, e lasciando un’onesta possibilità di riconciliazione; cosa questa che, sebbene desiderata dagli spiriti pacati disposti a concepirla effettuabile per opera della rivoluzione del tempo e della misericordia di Dio, pure a quel giudizio che vorrà considerare le attuali incompatibilità fra i due estremi, come questi dissentano nella condizione, nelle tendenze e nelle opinioni, potrà prospettarsi altrettanto probabile quanto lo è un’opinione fra i poli del Cielo…
…Ma per differenziarmi con maggior precisione, e portarmi in un cerchio più ristretto: non vi è alcuna Chiesa di cui ciascun punto tanto si armonizzi con la mia coscienza, i cui articoli, costituzioni ed usi sembrino così consoni alla ragione, e come formati per la mia speciale devozione, quanto questa dalla quale io traggo il mio credo, la Chiesa anglicana alla cui fede ho giurato obbedienza…
…Io non condanno tutte le cose del Concilio di Trento, e nemmeno approvo tutte quelle del Sinodo di Dort. In breve, là dove la Sacra Scrittura tace, la Chiesa è il mio testo; dove quella parla, questa è solo il mio commento; quando vi è l’unito silenzio di entrambe, non prendo da Roma o da Ginevra le leggi della mia religione, ma mi valgo piuttosto dei dettami della mia stessa religione.
È un ingiusta calunnia da parte dei nostri avversari, e un grossolano errore in noi, far risalire a Enrico ottavo la natività della nostra religione; poiché, sebbene sconfessasse il Papa, egli non rifiutò la fede di Roma, e non effettuò più di quanto i suoi stessi predecessori desiderarono e tentarono nei tempi passati, e per cui si ritenne si sarebbe adoperato lo Stato di Venezia ai nostri giorni.
Ed è ugualmente manifestazione poco caritatevole da parte nostra associarci a quelle volgarità plebee e a quegli obbrobriosi insulti contro il vescovo di Roma, cui come principe temporale dobbiamo un linguaggio castigato: confesso che c’è causa di risentimento fra noi; grazie alle sue sentenze io me ne sto scomunicato; Eretico è l’espressione migliore di cui dispone per me; tuttavia nessun orecchio può testimoniare che io lo abbia mai ricambiato chiamandolo anticristo, uomo del peccato, o meretrice di Babilonia. È metodo della carità sopportare senza reagire: quelle usuali satire e invettive del pulpito possono magari avere un buon effetto sul volgo, le cui orecchie sono più aperte alla retorica che alla logica; pure in nessun modo confermano la fede dei credenti più saggi, i quali sanno che una buona causa non ha bisogno di essere protetta per mezzo della passione, ma può sostenersi con una disputa contenuta.
…Non ho mai potuto allontanarmi da alcuno a causa di una differenza di opinioni, né prendermela col suo giudizio per non essere d’accordo con me in una cosa da cui alcuni giorni più tardi avrei forse dissentito io stesso. Non ho genio alle dispute di religione, e ho spesso ritenuto saggio declinarle, specie se in posizione di svantaggio, o quando la causa della verità poteva soffrirne della debolezza del mio patrocinio; là dove desideriamo venire informati, è bene discutere con uomini al di sopra di noi; ma per rafforzare e fissare le nostre opinioni, la miglior cosa è discutere con giudizi al di sotto del nostro, sì che le frequenti spoglie e le vittorie sulle loro ragioni possano fondare in noi stessi una stima e una rafforzata opinione delle nostre.
…Non ogni uomo è un degno campione del vero, e neppure atto a raccogliere il guanto di sfida nella causa della verità: molti, per ignoranza di queste massime e uno sconsiderato zelo di ciò che è vero, hanno attaccato troppo temerariamente le truppe dell’errore, e rimangono come trofei ai nemici della verità.
Un uomo può essere con lo stesso diritto in possesso della Verità così come di una città, e trovarsi tuttavia costretto ad arrendersi; è quindi di gran lunga preferibile goderne in pace, anziché cimentarla in battaglia. Se sorgono pertanto dubbi sul mio cammino, io li dimentico senz’altro, o li rimando per lo meno a quando il mio giudizio meglio fecondato e la ragione più matura siano in grado di risolverli; poiché mi rendo conto che la stessa ragione di un uomo è il suo miglior Edipo e, con una tregua ragionevole, trova il mezzo di sciogliere quei vincoli con cui le sottigliezze dell’errore hanno incatenato i più arrendevoli e deboli fra i nostri giudizi.
In Filosofia, dove la verità appare bifronte, non vi è uomo più paradossale di me; ma in teologia amo percorrere la strada maestra, e con fede umile, benché non cieca ed assoluta, mi piace seguire la gran ruota della Chiesa, con la quale io procedo, senza riserve di speciali poli o movimenti originati dall’epiciclo del mio cervello; in tal modo non lascio adito a errori, scismi o eresie di cui, presentemente, spero di non offendere la verità se dico di non avere né macchia né tintura, devo confessare che i miei studi più giovanili sono sati contaminati da due o tre di queste, non generate dai secoli più avanzati, ma vecchie e in disuso, di quelle che mai sarebbero potute resuscitare, se non ad opera di menti bizzarre e indipendenti come la mia; poiché le eresie non periscono certo con i loro autori, ma come il fiume Aretusa, benché perdano la loro corrente in un luogo, esse risorgeranno in un altro: un concilio generale non è in grado di estirpare una sola eresia; questa può venir cancellata per il momento, ma la rivoluzione del Tempo e gli identici aspetti del cielo la riporteranno in vita, ed essa prospererà allora, finché non venga nuovamente condannata; poiché, come se esistesse una metempsicosi e l’Anima di un uomo passasse in un altro, le opinioni dopo certi cicli trovano indubbiamente e uomini e spiriti simili a quelli che per primi le generarono…
Non occorre attendere l’anno di Platone per rivedere noi stessi; ogni uomo non è soltanto se stesso: ci sono stati molti Diogeni e altrettanti Timoni, benché solo pochi di quel nome; le vite degli uomini vengono rivissute, il mondo è ora com’era nelle età trascorse, non ci fu alcuno allora senza che ci sia stato da quel tempo altri, che egli stia alla pari, e che in un certo qual modo è il suo rivissuto…
Non sono mai riuscito a saziarmi della contemplazione delle meraviglie appartenenti alla Natura: il flusso ed il deflusso del mare, l’ingrossarsi del Nilo, il volgersi dell’ago verso nord, e mi sono perciò studiato di trovare il loro corrispondente e parallelo nelle più evidenti e trascurate opere della Natura; e questo quanto posso fare, senza spingermi oltre, osservando la cosmografia del mio stesso io; portiamo dentro di noi quelle meraviglie che cerchiamo al di fuori: vi è tutto un Continente con i suoi prodigi: noi siamo quell’audace ed avventurosa opera della Natura, da cui chi la studia saggiamente apprende quello per cui altri si affaticano esaminando le diverse parti di un trattato e un volume senza fine.
Sono due così i libri da cui ricavo la mia teologia; accanto a quello scritto da Dio, un altro della sua serva Natura, che è il manoscritto pubblico e universale aperto agli occhi di tutti; coloro che non lo videro mai nell’uno, l’hanno scoperto nell’altro: fu questa la Sacra Scrittura e la teologia dei pagani; il corso naturale del Sole portò costoro a tributargli una maggior ammirazione di quanta la sua posizione soprannaturale ne ottenne dai figli di Israele; gli effetti ordinari della Natura destarono un maggiore entusiasmo negli uni, che tutti i suoi miracoli negli altri; indubbiamente i pagani erano più capaci di leggere quelle mistiche lettere, di quanto lo siano i cristiani, che vogliono uno sguardo attento a questi comuni geroglifici, e non ci degniamo di succhiare la teologia dai fiori della Natura.
Né io dimentico a tal punto Dio, da adorare il nome della Natura; che non è da me definita, con le Scuole, come il principio del moto e del riposo, ma come quella linea dritta e regolare, quel corso determinato e costante con cui la sapienza di Dio ha disposto le azioni delle sue creature, a seconda delle loro diverse specie.
…Io ritengo che vi sia una bellezza generale in tutte le opere di Dio, e che non esista quindi deformità nelle creature di qualsiasi genere e specie; e non esiste, quindi, deformità se non nella mostruosità, in cui pur nondimeno esiste una specie di bellezza, escogitando la Natura con tanta ingegnosità quelle parti irregolari, da renderle talvolta più notevoli della struttura principale. Per esprimermi ancora più esattamente, non vi mai nulla di brutto e deforme, eccettuato il caos; in cui pur tuttavia, a voler esser precisi, non ci fu deformità, non esistendo allora la forma e non essendo stato ancora impregnato dalla voce di Dio.
Ora, la Natura, non è in dissidio con l’arte, né l’arte con la Natura, essendo entrambe al servizio della sua provvidenza. L’arte è il perfezionamento della Natura: se il mondo fosse ora come lo era il sesto giorno, ci sarebbe ancora un caos: la Natura ha fatto un mondo e l’arte ne ha fatto un altro. In breve, le cose sono tutte artificiali, poiché la Natura è l’arte di Dio.
Più amo e prego la Natura e più di concerto scopro e ora vi confesso che nelle Scritture ci sono storie che certamente superano le favole dei poeti, e che ad un lettore cavilloso fanno lo stesso effetto di Gargantua o di Bevis: che si esaminino, infatti, le leggende tutte dei tempi passati e i concetti favolosi di questi presenti, e sarà difficile trovarne uno che meriti di far da scudiere a Sansone; pure tutto questo è facilmente possibile, se concepiamo un concorso divino o un influsso che semplicemente derivi dal mignolo dell’Onnipotente.
E’ impossibile che alla debolezza della nostra comprensione non debbano manifestarsi irregolarità, contraddizioni e antinomie, nel discorrere dell’uomo o nell’infallibile voce di Dio: potrei io stesso mostrare un elenco di dubbi che, a quanto mi risulta, non sono stati finora immaginati o sollevati da alcuno, e che non sono risolti al loro primo presentarsi, non essendo quesiti stravaganti e nemmeno obiezioni campate in aria: poiché non posso sentir parlare di atomi in teologia. Posso leggere la storia della colomba che fu mandata fuori dall’arca e mai ritornò, senza tuttavia domandarmi come ritrovasse il compagno che non l’aveva seguita; che Lazzaro fu resuscitato dalla tomba, senza tuttavia chiedere dove se ne stesse in attesa la sua anima nel frattempo; o senza sollevare una questione giuridica per stabilire se il suo erede potesse legittimamente trattenere l’eredità assegnategli dalla sua morte, e se egli, benché richiamato in vita, non potesse più accampare alcun diritto a quanto gli era appartenuto.
Non discuto la possibilità che Eva fosse ricavata dal lato sinistro di Adamo, poiché non so ancora con certezza quale sia il lato destro dell’uomo, o se esista una tale distinzione nella Natura; credo che sia stata fatta dalla costola di Adamo, pure non sollevo una questione sul chi dovrà sorgere con quella costola alla resurrezione; o sulla possibilità che Adamo fosse ermafrodito, come sostengono i rabbini interpretando alla lettera il testo, poiché è cosa affatto contraria alla ragione che dovesse esistere un ermafrodito prima che esistesse una donna, o una composizione di due nature prima che ne fosse composta una seconda.
Allo stesso modo, se il mondo sia stato creato in autunno, estate, o primavera; poiché fu creato in tutti; poiché qualsiasi segno abbia il sole, quelle quattro stagioni sono di fatto esistenti: è della Natura di questo luminare distinguere le diverse stagioni dell’anno, e ciò è quanto esso fa contemporaneamente sull’intera Terra, ed in successione nelle varie parti di questa.
Vi è un mucchio di sottigliezze, non solo in filosofia, ma nella teologia, indicate e discusse da uomini ritenuti eccezionalmente capaci, che non sono in verità degne delle nostre ore libere, e ancor meno dei nostri studi… più seri…
(T. Browne, Religio Medici)
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