giuliano

martedì 7 maggio 2013

RHODE ISLAND (2)







































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Rhode Island (3)











Mia nonna era una donna serena e tranquilla della vecchia scuola e faceva
del suo meglio per correggere il mio comportamento sempre più burrasco-
so - in quanto il mio innato nervosismo aveva fatto sì che diventassi un
bambino molto irrequieto e incontrollabile.
Era appassionata studiosa di astronomia e, sebbene non abbia diretto per-
sonalmente i miei occhi verso i cieli, fu grazie alla sua biblioteca ricca di li-
bri sull'argomento che mi interessai della materia.
In quanto alle mie due zie, queste rappresentavano un palese contrasto.
La maggiore era un'appassionata di scienza e letteratura. Ebbe grande in-
fluenza nel far volgere la mia fantasia verso i classici, e anche il mio antico
amore per la chimica nacque dalle sue osservazioni circa questa disciplina.
Era un'artista di grandi doti espressive.
Quando sposò il dottor Clark, fu lo strumento che mi indusse ad apprez-
zare l'elemento classico più sostanziale di tutti! L'altra mia zia era ancora
una donna molto giovane quando cominciai a osservare gli eventi che si
svolgevano intorno a me.




Era assai popolare nell'ambiente sociale dei più giovani e recava il prin-
cipale tocco di gaiezza in una famiglia alquanto conservatrice. Alle conver-
sazioni e ai dibattiti animati e spiritosi di questa generazione più giovane
devo le mie prime lezioni nella scuola di Pope.
Nel 1894 sapevo leggere speditamente ed ero un instancabile compulsa-
tore del dizionario; non permettevo mai che una parola mi sfiorasse senza
accertarmi del suo significato. Fu allora che i volumi più vetusti della biblio-
teca familiare divennero tutto il mio mondo - risultando allo stesso tempo
i miei servitori e i miei padroni.
Mi aggiravo tra di loro come una falena ammaliata, ricavando gioia supre-
ma dagli antichi volumi inglesi dei Lovecraft, che mia madre mi aveva affi-
dato quando mio padre era rimasto paralizzato, dal momento che ero di-
ventato l'unico rappresentante maschile della famiglia.
Leggevo tutto, capivo qualcosa e e il resto me lo immaginavo.
Nel gennaio del 1896 la morte di mia nonna gettò la famiglia in un'atmo-
sfera di lutto da cui non si riprese mai appieno. Le nere gramaglie di mia
madre e delle mie zie mi terrorizzavano e ripugnavano al punto che, per
sollevarmi, attaccavo di nascosto alle loro gonne pezzettini di carta o di
stoffa colorati.




Dovevano ispezionare con attenzione le loro vesti prima di ricevere una
visita o uscire di casa! Fu allora che la mia vivacità naturale si spense.
Cominciai ad avere gli incubi più odiosi, popolati di cose che avevo bat-
tezzato 'magri notturni' (o mostri notturni), un termine composito di mia
invenzione. Spesso li disegnavo dopo il risveglio.
Nei sogni, mi trascinavano in volo attraverso lo spazio a velocità scon-
volgente, e intanto mi pungolavano tormentavano e torturavano coi lo-
ro detestabili tridenti, degli strani denti meccanici che si attaccavano co-
me zecche...
Sono passati ormai quindici anni - anzi, di più - da quando ho visto per
l'ultima volta un 'magro notturno', ma tuttora, quando sono semi-addor-
mentato e mi lascio andare alla deriva in un mare di pensieri infantili, av-
verto un brivido di paura e.. mi sembra di rivederli, quei mostri dagli
artigli....
(Certo senza di loro non sarei divenuto un Perfetto e rinascere nelle
vesti di un perseguitato, che avendomi raccolto dal rogo mi ha donato
la rima della ...vita......)
(H.P. Lovecraft)












 

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