mercoledì 4 settembre 2013
IL GIUDICE DEI DIVORZI (2)
Precedente capitolo:
il giudice dei divorzi
VECCHIETTO. A dir il vero signori miei, il cattivo alito che essa dice
che ho, non dipende dai miei denti marci, dal momento che non ho den-
ti, né tanto meno, procede dal mio stomaco che è sanissimo, bensì dal-
la cattiveria del suo animo.
Le loro signorie non conoscono bene la signora, che in fede mia, se la
conoscessero, la terrebbero a distanza o le darebbero la cresima. Son
ventidue anni che vivo martire di lei senza aver mai confessato i di-
spetti, gli strilli, i capricci suoi; e da quasi due anni, mi sta dando spin-
toni quotidiani verso la fossa, con le sue grida m'ha fatto diventare
mezzo sordo , e pazzo a furia di litigi.
Se mi cura, come essa dice, lo fa a contraggenio, mentre la mano ed
il fare del medico devono essere delicati. In conclusione, signori, son
io che muoio in suo potere ed è lei che mi tiene ai suoi ordini dal mo-
mento che è padrona con piene facoltà di quel che ho.
MARIANA. Di quel che avete? E che possedete voi che non abbiate
guadagnato dalla mia dote? E i beni acquistati in patrimonio per metà
sono miei, a dispetto vostro. Di essi e della dote, se morissi ora, non
vi lascerei il becco di un sol quattrino, perché vediate l'amore che vi
porto.
GIUDICE. Ditemi, signore, quando entraste in potere di vostra mo-
glie, non eravate sano, gagliardo e in buone condizioni?
VECCHIETTO. Ho già detto che son ventidue anni che entrai al suo
comando come un forzato sotto un aguzzino calabrese a remare nel-
le galere. Allora ero così in gamba che potevo dire e fare come chi
al gioco ha sempre la carta buona.
MARIANA. Scopa nuova, scopa bene tre giorni!
GIUDICE. Tacete, tacete per...., brava donna, e andate con Dio che
non trovo motivo alcuno per separarvi; dal momento che avete preso
il dolce, accettate anche l'amaro: nessun marito è obbligato a fermare
la veloce corsa del tempo perché non passi dalla sua porta e dalla sua
vita; così scontate i brutti giorni di adesso con i buoni che vi diede
quando poté, e non una parola di più.
VECCHIETTO. Se fosse possibile, vossignoria mi farebbe proprio una
grazia a sollevarmi dalle pene liberandomi da questa prigionia; per-
ché, se mi lascia in questo stato, ora che che siamo arrivati a que-
sta rottura, sarà come consegnarmi di nuovo al boia che mi torturi.
E se non fosse proprio possibile, facciamo una cosa: si chiuda lei in
un convento ed io in un altro, dividiamo la sostanza, e così potremo...
vivere in pace e al servizio di Dio quel che ci resta di vita.
MARIANA. Un accidente! Avete proprio trovato quella buona che se
ne sta rinchiusa! Sì, sì, venite un po' a vedere la ragazzina amante
di grate, di ruote, inferriate e guardiane! Rinchiudetevi voi che po-
tete sopportarlo, che non avete né occhi per vedere; né orecchi per
sentire, né piedi per camminare, né mani per toccare; io, invece, son
sana, ho i miei cinque sensi a posto, vivi e vegeti, e voglio usarli allo
scoperto e non di sottecchi e per indovinelli come giocando alla.....
'quinola'.
CANCELLIERE. E' sfrontata, la moglie!
PROCURATORE. E il marito serio, ma non ne può più.
GIUDICE. Ebbene, io non posso farvi divorzio 'quia nullam invenio
causam' (oppure come si suol dire... fra noi Eretici:
'Dio mette i suoi frutti sugli alberi peg.....ri...')
(Cervantes, Il Giudice dei divorzi)
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