giuliano

venerdì 27 febbraio 2015

IL RUOLO DELL'INTELLETTUALE: il Divino Intelletto (11)










































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Il ruolo dell'Intellettuale: il Divino Intelletto (10)

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Il ruolo dell'Intellettuale (12)














…. Valentino e la sua scuola rappresentano il culmine di ciò che abbiamo chiamato in questo studio, in mancanza di un termine migliore, il tipo siro-egiziano (con manifestazioni e reminiscenze orientali) di speculazione gnostica. Il principio distintivo di codesto tipo è il tentativo di porre l’origine delle tenebre e quindi della frattura dualistica dell’essere all’interno della Divinità stessa, e quindi di sviluppare la tragedia Divina, la necessità di salvezza che ne deriva, e la dinamica di questa stessa salvezza, come una sequenza di eventi all’interno del Divino. Inteso in senso radicale, questo principio fa sorgere il compito di derivare non soltanto fatti spirituali quali la passione, l’ignoranza, la malvagità, ma la natura stessa della ‘materia’, in contrasto con lo Spirito (e quindi con l’Intelletto da questo motivato), da una sorgente spirituale primitiva: la sua esistenza stessa va spiegata in termini di Storia Divina; e ciò significa in termini ‘mentali’, e, in considerazione della natura del prodotto finale, più particolarmente in termini di errore e fallimento Divino.




In tal modo, la ‘materia’ apparirebbe una funzione piuttosto che una sostanza in se stessa, uno stato o ‘affezione’ dell’essere assoluto, e l’espressione esterna solidificata di quello stato: la sua esteriorità stabile in realtà non è altro che un prodotto residuo di un ‘movimento’ deteriorante di ‘introversione’, che rappresenta e stabilizza il livello più basso della definizione dell’assoluto da se stesso. Ora, a parte l’interesse teoretico, il significato religioso di tale compito speculativo sta nel fatto che, in questo sistema ‘conoscenza’ e il suo opposto ‘ignoranza’ sono situati in una posizione ontologica di prim’ordine: entrambi sono principi di esistenza totale e oggettiva, non semplicemente di esperienza privata e soggettiva (ma sottolineiamo in questo passo, che la civiltà si fonda sulla conoscenza - anche se asserve e persegue il suo opposto, - la democrazia fonda i suoi principi sulla successiva evoluzione di questo principio scritto nella ragione e l’Intelletto, il suo opposto, una società asservita alla dittatura, consolida principi opposti, motivandoli  legittimandoli e giustificandoli (principi di ‘materia’) nella sua spirale evolutiva, là dove il suo codice genetico, come più volte espresso, nelle false motivazioni evolutive con tutti i presunti traguardi raggiunti, rappresenta in realtà il suo opposto. Mi pare valida rappresentazione teatrale nella ‘Grande Notizia’ di questi giorni, l’inglese fondamentalista laureato in informatica ed asservito ad opposti principi, il fondamento evolutivo del nuovo messaggio mediatico di conoscenza trasmigra nel suo opposto che si evolve in un mostro dalle molte facce che asserve motivi che non hanno nulla nell’Intelletto e nella Conoscenza, ma progrediscono e regrediscono al puro Medioevo… La società evoluta si specchia e guarda attraverso l’informatico che parla attraverso i suoi strumenti di un nuovo ed imminente medioevo, adoperando tutti i mezzi di cui necessita per lo scopo contrario alla ragione.).




L’ ‘ignoranza’, anziché essere, come è in genere nel pensiero gnostico, un risultato dell’immersione Divina nel basso mondo, qui essa è piuttosto la causa prima dell’esistenza stessa del basso mondo, il suo principio originante come pure la sostanza permanente: per quanto numerosi possano essere gli stadi intermedi attraverso cui la materia, questo stadio in apparenza ultimo, è collegata con l’unica sorgente suprema, nella sua essenza non è altro che la forma oscurata ed estraniata da sé di ciò con cui essa sembra essere in opposizione – ‘proprio come ignoranza’, suo principio sottostante, ‘è la materia oscurata del suo opposto, la conoscenza’.  
Perché la conoscenza è la condizione originaria dell’Assoluto, il fatto primordiale, e l’ignoranza non ne è soltanto l’assenza in un soggetto senza connessione con la conoscenza (di cui estrapola poche e confuse frammentate ‘parole’ iscritte in quel PENITENZIAGITE, chiave di lettura della falsa pratica Eretica evolutiva dei nostri giorni… di cui gli strumenti litici attestano una falsa certificazione di conoscenza e probabile condizione economica nella breve durata della loro sostanza), ma è una perturbazione che ha colpito una parte dell’Assoluto, che proviene da motivi suoi propri e sfocia in una condizione negativa ancora collegata a quella originaria di conoscenza in quanto rappresenta la mancanza o pervertimento di essa….




… Ma se è questa la funzione ontologica dell’ ‘ignoranza’, allora anche la ‘conoscenza’ assume uno stato ontologico che va molto oltre la semplice importanza morale e psicologica che le viene attribuita; e la pretesa di redenzione avanzata in virtù di essa in ogni religione gnostica, riceve qui un fondamento metafisico nella dottrina dell’esistenza totale che la fa divenire, in modo convincente, il solo e sufficiente veicolo di salvezza, e questa salvezza stessa in ogni anima diviene un ‘evento cosmico’.
Questa è la grande ‘equazione pneumatica’ del pensiero valentiniano (evoluzione del….): l’evento umano individuale della Conoscenza pneumatica è l’universo equivalente dell’evento precosmico universale dell’ignoranza Divina, e nel suo effetto redentivo è dello stesso ordine ontologico.

(E. Dodds, I greci e l'irrazionale; W. Shakespeare, Macbeth; H. Jonas, Lo Gnosticismo; G. Lazzari commenti in aperta e chiusa parentesi aggiuntivi al testo...)

















sabato 21 febbraio 2015

IL RUOLO DELL'INTELLETTUALE: 'Solo' nella ricerca della verità (8)














































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Il ruolo dell'Intellettuale (7)

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Il ruolo dell'Intellettuale (9)













Croce, il miracolo della vita, il nostro mangiare e sopravvivere , è opera di nostro fratello Eraclio. Tutto, con il tempo, abbiamo imparato da lui dipendere. Nel segreto della nostra cella vediamo e preghiamo nostro fratello – Eraclio - . L’uomo che ora io vedo aver preso voce da quella fitta boscaglia dietro l’altare …..  e parlare ……domandare. E con lui i figli d’altare, a cui spesso confuso nel fitto cerimoniale attorno ad esso , non riusciamo più a dar un nome.  Con lui i suoi fratelli e sudditi, i dottori , da cui  – Eraclio -  insegna ed apprende , nel lento fluire del tempo, immobile , di fronte all’assoluto della verità.  Con lui Vescovi e Cardinali, i medici della nostra anima, dei nostri dolori, custodi delle nostre celle, padroni dei nostri pensieri, seminatori dei nostri sogni, raccoglitori della nostra semenza .  Con lui il lento trasmutare della storia, il lento progredire della scienza Teologica in seno alla verità scientifica. La stagione di una verità  scorre attraverso la mutabilità apparente, apparenza del tempo.  Questo deambulare in circolo per questo giardino. Questo il nostro camminare, pregare….. e troppo spesso sperare. Nella solitaria quiete dell’ Eremo le stagioni sono ricorrenze da calendario. Sono Messe da celebrare, penitenza da rispettare, comunioni per i nostri visitatori di tutto il feudo, di cui disconosciamo persino i confini.  Sono cornici ed usanze, litanie ripetute fino allo stordimento. Così incorniciamo lo scorrere lento del tempo e con esso la vita che spesso vediamo e ammiriamo da lontano. La vita, per noi, dissidenti cultori della biblioteca, si nasconde in cornici di quadri ammirati da lontano: è profumo di Primavera, spensieratezza di neve, freddo e gelo, e poi i colori assordanti dell’Estate. Quei quadri li possiamo ammirare e vedere… talvolta ….. Ma ben attenti a non essere visti. Non essere osservati nel nostro lento volare verso altri luoghi. La nostra – anima -, così ci spiega Eraclio è la parola donata di nostro Signore, è il mistero del – verbo- , il sacrificio a cui tutti noi ci dobbiamo umiliare , per comprendere , capire …. e poi celebrare.  Il nostro – Spirito – ci insegna, deve perseguire la dura disciplina della penitenza, della severità , del castigo. La nostra – Salvezza –  il pregare quell’anima, che un giorno incontrerà la gloria dei cieli.  La penitenza della preghiera, e la paura del potere Divino, che nostro Signore e Padrone possono su di noi.  La vita, tramanda fratello – Eraclio –, può conoscere solo questa umiliazione, questo castigo, questa eterna penitenza. La luce della preghiera deve penetrare in noi, dall’alto di quella feritoia nella Chiesa, come immagine manifesta di Dio.  La prima ed assoluta creazione, la prima sua manifestazione, la prima sostanza.  Così nel buio della nostra anima, il corpo deve prendere forma e spirito.  Nel nostro pregare nel buio dei nostri patimenti, possiamo sperare solo nella salvezza di quella luce. La prima luce dell’ – Altissimo -. Il creatore di tutte le cose.  Quando fratello – Eraclio – parla in codesto modo , ci illumina tutti. Apre ai nostri occhi chiusi la comprensione vera del Mondo, del Creato, dell’Universo.  Io, e tutti i miei confratelli, dai lontani tempi del seminario, abbiamo compreso la verità tangibile del mondo attraverso la parola di fratello – Eraclio - .  Con i fratelli più anziani abbiamo imparato che la luce della sostanza della materia creata si deve riflettere su tutte le opere che leggiamo, sulle preghiere che recitiamo, sulle pitture che componiamo. Sulle croci che fabbrichiamo. Quelle e solo quelle sono le nostre stagioni, gli sguardi di un desiderio di vita e salvezza. Panorami  di verità.













mercoledì 11 febbraio 2015

IL RUOLO DELL'INTELLETTUALE (4)











































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Il ruolo dell'Intellettuale (3)

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Il ruolo dell'Intellettuale (5)













I miei Dialoghi, sia come Tomo, sia come Blog, nascono (e criticano evidenziandone limite e contraddizione censura e potere memoria e ragione in cui l’Intellettuale inizia a prendere o muovere i primi passi ben documentati) in questi ‘serbatoi’: biblioteche di grande sapere, monasteri della parola trascritta conservata e studiata, pur considerando la grande opera, unica utile  fondamentale e indispensabile nel vasto mondo culturale che successivamente si è evoluto.  Quando si parla di ‘connessioni’ anche in singoli aspetti trattati, non si può non farlo in contesti isolati, è utile il microscopio, ma nel momento in cui sono consapevole ciò che sto osservando, altrimenti non avrei cognizione di causa delle finalità che voglio in realtà conseguire. La mia Opera, come spesso detto, deve essere aperta o configurata nella Totalità e Verità della dimensione che vuole o vorrebbe coinvolgere per l’intento ultimo di quella ‘luce’ sinonimo di Evoluzione e Vita quanto del Dio in cui tale evento si manifesta.
Questo entro la ‘curvatura’ della ‘parentesi’ detta, ma sappiamo anche che l’opera in questa Equazione di un Eretico ed un ‘professor’ sovrintende per intero detta Equazione e prima del Tempo detto, indi, la dimensione percepita non può e deve essere limitata alla singola visione entro il Tempo (dove si svolge l’intento): entro il grafico enunciato, entro il numero configurato, entro ogni stimolo e prova…;  ma proiettata, similmente al Primo Dio, nel vasto mondo della Creazione e conferire quella Luce dove il Tutto o il Nulla, possono svolgere i loro ruoli già definiti in questa ‘predestinazione’ in cui il Tempo ruota attorno ad ugual Memoria…. con l’Intellettuale e la sua povera parola…..

(Giuliano Lazzari)



  










Un uomo nato fra il Mille e il Millequattrocento avrebbe compreso i termini donna (mulier), cavaliere (miles), cittadino (urbanus), mercante (mercator), povero (pauper): non avrebbe inteso invece il significato della parola ‘intellettuale’ (e ciò stranamente avviene ancor oggi, scusate l’intervento…) attribuita all’uomo. Per chi frequentava la scuola, l’uomo era piuttosto razionale, ma questa era la definizione buona per tutto il genere umano, una definizione che discendeva da Aristotele. L’aggettivo ‘intellettuale’ si accompagnava a sostantivi diversi, con qualche variante di significato. La ‘sostanza intellettuale’ (opposta a ‘sostanza materiale’) era lo Spirito o l’Anima, la ‘conoscenza intellettuale’ era quel tipo di conoscere che superava lo strumento dei sensi spingendosi a cogliere le forme.
Gli aristotelici parlavano di ‘piacere intellettuale’, di ‘virtù intellettuale’ secondo l’antica analisi dell’Etica Nicomachea. Questo preambolo ha una connessione significativa con il tema ‘l’intellettuale nel Medioevo’?
Senz’altro sì.
Il moderno termine ‘intellettuale’, che indica non una qualità ma una categoria di persone, entra in uso molto tardi, nella Francia di fine Ottocento con il ‘Manifeste des intellectuels’. Ma questo vocabolo così recente si presta meravigliosamente al nostro scopo, che è quello di individuare (ed anche al mio, per sancire la manifestazione ciclica iscritta nel Tempo detto e ripeto nella ‘parentesi’ enunciata) un tipo d’uomo che nei secoli medievali ‘lavorava con la parola e con la mente’, non viveva di rendita della terra né era costretto a ‘lavorare con le mani’ e, in misura variabile, era consapevole di questa diversità dalle altre categorie umane.



















La ragione dell’adattabilità del termine ‘intellettuale’ a un gruppo di uomini ‘medievali’ sta anche in una sfumatura precisa, pur se sottintesa, di significato dell’aggettivo ‘intellettuale’, usato in quei tempi in relazione alla virtù, alla conoscenza e al piacere. In tutti i contesti citati, infatti, ‘intellettuale’ significa qualcosa ritenuta più pregevole ed elevata del suo opposto e indica una qualità indiscutibilmente positiva. La stima e il giudizio degli intellettuali medievali su se stessi ha questo denominatore comune: la loro attività o professione ha ai loro occhi un pregio particolare rispetto alle altre attività o professioni. Sembra dunque che dal nostro punto di vista ci sia piena legittimità a parlare di ‘intellettuale medievale’: l’analisi della tipologia ci offrirà, credo, nuove conferme.
Certamente l’uomo medievale, per indicare coloro che noi chiamiamo intellettuali, usava altri termini: è interessante ricordarli perché ci indicano già vari tipi di intellettuale. Maestro e professore erano termini identici per significato nella sostanza nominata: si trattava di persone che insegnavano dopo aver studiato; ma (è curioso) mentre magister indica sempre una qualità di elevatezza morale e dignità indiscussa, professor sovente reca con sé una traccia di ironia verso la boria e la presunzione di alcuni personaggi ‘che confidano troppo nel loro sapere’.
‘Erudito’ e ‘dotto’ sono termini più neutri e indicano chi ha studiato e accumulato conoscenze sui libri. Il termine ‘filosofo’ è in un certo senso meno significativo: un lieve sospetto di laicità, rispetto a chi studia prevalentemente la ‘pagina sacra’, rende il suo uso più raro. Filosofi rimangono soprattutto gli antichi, anche se qualche personaggio con molta consapevolezza reclama il nome per sé.
Letterati è la categoria più ampia e per forza di cose la meno precisa: erano letterati tutti quelli che sapevano leggere e scrivere, e dominavano il mondo delle parole, in quei secoli una esigua minoranza di fronte al vasto gruppo degli illetterati (a questo punto per dovere di cronaca dobbiamo dire che nonostante tutto, superata questa ‘barriera’ dal Tempo scritta, in realtà e verità il consumo di libri allo scopo ‘intellettuale’, risulta ancora molto scarso, per il detto Tempo Libero soppiantato da 




diverso tipo di creatività…: io umiliato in questa mia attività rappresento la Verità enunciata, rappresento il costante numero da loro Creato in diverso contesto enumerato al monitorino del Tempo maturato…, scusate la Rima, ma a questo punto si ode anche un colpo un botto di chi a questo Tempo così comandato e (e pagato) intellettualmente (e dicono addetti ai lavori… democraticamente…) connesso, collegato, si ode voce ed urlo, minaccia ed insulto, uno sputo, e l’intimidazione e la tortura ha fatto la sua venuta, ma mi dicono al telefono che non siamo al Medio-Evo ma in pieno progresso…, scusate si ode, ora, in questo Moderno Tempo scritto, chi scalcia la  sua parola la sua rima inchiodata al soffitto: la maledizione antica figlia di una lontana Ortodossia non certo figlia mia, non è Evo antico, ma Moderno Tempo condiviso…, non è il Male di un Tartaro profondo ma luce che sgorga da un moderno Intelletto così condiviso e diviso… il Male urla la sua minaccia alla tortura di un quadro antico…
A questo punto debbo saltare un rigo, perché dalla paura del botto subito l’….. del Tempo condiviso non vuol udire ragion del suo nome antico, a te saluto Cieco con la vista di questo nostro Tempo diluito entro il tuo breve schermo condiviso…. Ragion per cui debbo far le mie scuse all’autore del libro, più magister che professor in questo dire, al professor lascio la certezza della mia progressione in questa spirale di nuova e antica avventura… sperando che il rogo non distribuisca sua eterna Rima al capezzale della sofferta e condivisa Vita…..

(J. Le Goff, L’uomo medievale)    
















                               

lunedì 9 febbraio 2015

IL RUOLO DELL'INTELLETTUALE (2)


















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Il ruolo dell'intellettuale

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Il ruolo dell'Intellettuale (3)














Le Verità potrebbero essere altre, come altri potrebbero essere gli Universi, come Infiniti furono i mondi di quel Giordano, Uno ne oscurò e tacitò per sempre la Memoria… 
Fedele a questo limite, estendo tal concetto anche all’Epistola stessa, ed ai suoi, se pur innumerevoli argomenti trattati, per proiettarla in un contesto più ampio che non ci deve ragione o torto uno sull’altro, non cerco questo limite, non siamo in opposte trincee come neppure su un terreno da gioco, siamo in realtà nella proiezione stratigrafica della Cultura (ortodossa e non, cristiana e laica) che ha generato successive ‘evoluzioni’, è degno di nota, a questo punto, studiare più attentamente dette Evoluzioni o In-voluzioni fra un ‘Magister’ ed un ‘Eretico’.  Questo rimane l’intento nella volontà taciuta: far affiorare, come detto, due sistemi sociali che pur vicini si contrappongono, pur vicini come dovrebbero essere, in realtà sono enormemente distanti tra loro.
Al manierismo accademico del Seicento o Settecento ho contrapposto l’Impressionismo dell’Ottocento e Novecento. Alle precise ed accurate definizioni e grafici, ho contrapposto un diverso Viaggio (Viaggio che ha una sua particolare Genesi…); ciò che nel frattempo ne è scaturito e scaturisce supera di molto le singole motivazioni di partenza, compresi i limiti discorsivi espressi entro la parentesi della scientificità storica per rapportarli in un contesto più ampio là dove hanno preso forma e consistenza dettati dalle false o vere ragioni del Tempo che li contiene ed enumera; di conseguenza l’humus che si genera nel contesto della immutata ‘volontà’ Creatrice: (anche se tante difficoltà incontra per la lotta e conservazione della vita) arrivare a quella Luce di Verità che taluni conservano e mantengono per diverso privilegio o potere.




Mi pare doveroso a questo punto una premessa di natura ‘evoluzionistica’ dal punto di vista storico, perché l’umile ‘autodidatta’ e ‘ricercatore’ (ed anche o troppo spesso perseguitato) si contrappone al Professore. Questa specificità, già rilevata, nei capitoli precedenti, in cui ho sentenziato delle conclusioni lapidarie per quanto stimolanti, rimangono immutate nel momento in cui, pur perseguendo ugual intenti (i tuoi ben retribuiti, i miei gratuiti) si delinea una frattura sociale e una enorme diversità di ruoli, in cui lo scrivente è attaccato nella sua volontà ‘riformatrice’ da quell’humus culturale che sembra difendere ruoli di casta ben definiti nell’ortodossa definizione dell’immutabilità del tempo; ed in cui i soggetti delegati a tal compito, immagino, abbiano oggettive difficoltà di comprensione del solo oggetto della ‘nostra’ disquisizione o anche un solo aspetto di essa (visto le parole che questo pubblico dire hanno motivato non in ambito puramente accademico), come potrebbe essere lo stress nel ruolo della società pre e post industriale.
I soggetti classificatori di meriti e giudizi delegati a ‘quarti’ (per statura e peso) da terzi,  imprecano ed urlano la loro indignazione più o meno come avviene allo Stadio. Asservono ruoli e meccanismi del tutto compatibili con quel Sistema cui lo Stress e l’Inquinamento sono mali di minore entità ed importanza, quindi non oggetto di concorde attenzione, ma di clamore al limite del codice civile per asservire meccanismi sociali già espressi nel mondo della letteratura con quel Dick a me tanto caro. 




Quindi avversi inconsapevoli e certamente non coscienti dell’oggetto del loro ‘libero arbitrio’ su cui riversano un odio confacente con quella società che li adopera motiva ed opprime, quella società che li narcotizza con l’oppio prima, poi con i più moderni derivati della espressione del nuovo millennio che avanza, riducendo un complesso dibattito, ad un messaggino, o peggio, ad un rito che privilegia l’apparire all’essere, la forma al contenuto, l’arroganza mediatica dei nuovi padroni del mondo: il futuro ‘1984’ di Orwelliana memoria, misto al fuoco amico così caro al forno elevato a 451° dove poter gettare in un nuovo fuoco purificatore tutto il sapere cartaceo come nei roghi di secolare memoria nazista o eretica che fu’. Avendo asservito quelle logiche che lo vogliono dipendente allo stress più opprimente per lo sviluppo dell’economia più corrotta; che lo vogliono asservito a quei farmaci che rendono le case farmaceutiche così importanti nel business globale dell’economia quanto la malattia che dovrebbero curare fonte e principio dei loro immensi guadagni; o le droghe così importanti nell’economia mondiale del narco- traffico, traffico di uomini e guerre, e  di conseguenze di armi nella globale espressione di quella economia che privilegia un mondo dove stress vuol dire business e chi si ferma a riflettere è perduto o peggio sconfitto.
A meno che, non si abbia a che fare in pieno Millennio con un Evo antico, in cui, come parlerò dopo, questi ‘simplices’ o ‘rudes’ non siano una minoranza, ma costituiscano una maggioranza inconsapevole dei propri diritti costantemente violati giornalmente per il cosiddetto ‘pubblico interesse’: cioè l’interesse di quei pochi espressione della ricchezza e del privilegio di casta, compresa la libera stampa asservita agli interessi del Regime che dispensa loro largo riconoscimento economico per la quadratura del conto cui la penna a sfera saprà rendere dovuta e ricamata parola al popolo servita - quarto e quinto potere di secolare memoria - a vantaggio di una società dove diritto vuol dire limite d’impresa economica, dove libera espressione vuol dire terrorismo, dove verità vuol dire bestemmia ereticale, e la più atroce bestemmia contro il diritto, verità inoppugnabile per la bugia mediatica asservita alle masse. Più grande è la bugia o la calunnia più docile ed asservito sarà il popolo al  dispensatore o dittatore di false verità.
Dunque dei moderni e privilegiati per quanto organizzati ‘illeterati’ ad uso e consumo della società del nuovo Evo Moderno, che mossi dai più bassi (ed incompresi) istinti per quelle finalità che convergono a quegli interessi in cui (una volta pagato il canone di connessione globale… ai moderni operatori della comunicazione di massa in questo inconscio collettivo giammai compreso) la mia quanto la tua Cultura non hanno nulla da dividere o disquisire. Tutti quegli istinti di Orwelliana memoria (di cui anche i grandi operatori del libero impero di ‘internet’ non sembrano immuni) miranti a quelle finalità contrarie al progresso Umano e Culturale unite da un aspetto evoluzionistico dalle dubbie finalità….  

(Giuliano Lazzari) 















                      

sabato 7 febbraio 2015

I NOSTRI PRIMI SOGNI I NOSTRI PRIMI PENSIERI (13)













































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I nostri primi sogni i nostri primi pensieri (1/12)

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I nostri primi sogni i nostri primi pensieri (14)













Sto cercando di ridurre al minimo l’impatto di un argomento non facile, di cui pochi riescono a percepirne la bellezza nella sua originaria ‘genesi’. La struttura della vita, l’anatomia di un apparente cadavere. Nel conseguimento degli studi di medicina l’anatomia umana per taluni rimane lo scoglio più duro per i futuri dottori.  Non si riesce a percepire nessuna bellezza, dalla carne morta o viva sezionata,  per scoprire taluni meccanismi del corpo umano.
Così la terra che spesso e non impropriamente ho chiamato Gaia, riserva questa formazione epidermica dalla quale posso decifrare con occhio allenato la sua vera natura. Riesco a vedere con occhi diversi il contesto o ciascun contesto che appare alla vista. Non percepisco solo un panorama, una valle, una montagna, un lago, un deserto, ma una configurazione ben stabilita in perenne movimento, in formazione, in evoluzione, con caratteristiche ben specifiche. Se poi come detto in maniera inconsapevole siamo attratti da talune suggestioni, o emozioni legate a determinati luoghi, posso dire che regrediamo verso una regione remota del passato. Istintivamente nel panorama della nostra natura, esaminata dall’occhio dell’antropologia, della paleontologia, della biologia, della chimica, della fisica, della psicologia, della sociologia, e della medicina, ripercorriamo a ritroso nella formazione culturale del nostro essere alcune tappe evolutive. I ricordi che emergono sono remoti nel passato genetico, possono cioè galleggiare da quel mare talune immagini della nostra infanzia o alcuni ricordi specifici che credevamo di aver perso per sempre,  profondi ed apparentemente scomparsi per lasciar spazio ad altri che nel detto panorama, affiorano come rocce al di sotto della fitta foresta. Affiorano evidenti come solo aspetti esteriori quali talune caratteristiche fisiche: altezza, occhi, carnagione, capelli, sesso.




Se  ho ragione di credere che ogni religione sia l’espressione spontanea di uno stato psichico generale, allora il cristianesimo diede espressione a uno stato che predominava al principio della nostra era e durante una serie di secoli successivi. Ma che uno stato abbia predominato in una certa epoca non esclude l’esistenza di altri stati psichici. Anche questi stati sono ugualmente suscettibili di espressione religiosa. Il cristianesimo dovette per qualche tempo combattere per la propria vita contro lo gnosticismo, il quale corrispondeva a uno stato psichico leggermente diverso. Lo gnosticismo venne completamente annientato e i suoi resti sono così malamente mutilati che ci vuole uno studio speciale per poter gettare anche un solo sguardo nel suo intimo significato. Ma se le radici storiche dei nostri simboli si estendono oltre il Medioevo, nell’antichità , esse sono senza dubbio da ricercarsi per la maggior parte nello gnosticismo. Non mi sembra dunque illogico che uno stato psichico in precedenza represso si risollevi nel momento in cui perdono efficacia le idee principali che condizionarono la sua repressione. Benché spenta, l’eresia gnostica continuò attraverso il Medioevo in una forma inconscia, cioè sotto il travestimento dell’alchimia. La quale , come è noto, comprendeva due elementi che si completavano a vicenda : da una parte la ricerca chimica vera e propria, e dall’altra la ‘Theoria’ o ‘Philosophia’. Più tardi sembrano aggirarsi attorno alla seguente idea centrale: l’ anima mundi, il demiurgo o spirito divino , che covò le acque del caos prima di creare il cosmo , restò nella materia in uno stato potenziale, e così anche lo stato caotico primitivo poté persistere. Negli alchimisti greci incontriamo ben presto l’idea della ‘ pietra che contiene uno  spirito’.  La   ‘pietra’  è chiamata prima materia , Hyle o Chaos, o massa confusa.  Questa  terminologia alchimista è fondata sul Timeo di Platone. J. C. Steebus dice: “La materia prima, che dev’essere ricettacolo e madre di quanto è creato ed è visibile, non va chiamata né terra né aria né fuoco né acqua, né composta né componente di quegli elementi: ma è un qualcosa d’invisibile, informe, che tutto genera. Lo stesso chiama la materia prima anche terra del caos primevo, Materia, Caos, abisso, madre delle cose…. Quella primeva materia creatrice…bagnata dalle acque celesti, fu poi adornata da Dio con le Idee innumerabili di tutte le cose…”.

( C. G. Jung, Psicologia e religione)




Tratti distintivi dell’essere umano dei quali non si presta la dovuta attenzione, ma in realtà dicono molto per ciò che concerne la nostra provenienza culturale. Dunque grazie all’analisi delle rocce e non solo, posso risalire al DNA della terra e di molti altri pianeti dei quali quando mi accingo a porre i termini dello studio della loro formazione, inizio per l’appunto da frammenti di apparente morta materia. Così come già detto, sono in grado di vedere la sua evoluzione, di leggerne la probabile transizione nel corso di milioni di anni. Noi che siamo comparsi nel Pliocene, non siamo altro che il risultato di questa lenta trasformazione, che via via si sono avvicendate sul nostro pianeta. I carotaggi artici ci indicano in maniera specifica questa paziente ricerca, soprattutto circa le condizioni climatiche o più propriamente ambientali che godeva la terra nell’arco di tutte le sue evoluzioni. Quando attraverso gli occhi e le emozioni di alcuni viandanti che mi accompagnano per questa passeggiata ho potuto rivivere talune dinamiche con l’occhio attento e la mente aperta ad una nuova comprensione che richiede un buon grado di umiltà e pazienza, mi sono imbattuto in molti panorami diversi. E’questo l’aspetto affascinante del Viaggio, la premessa e lo scopo appunto, non di per se del libro, o almeno nelle caratteristiche che più propriamente conosciamo del libro, ma bensì questo aspetto inconsueto di lettori - compositori, attraverso frequenti simmetrie e chiralità per costruire una sorta di carta geografica arcaica ed elementare nelle forme, per una scoperta che non si soffermi su alcuni concetti, ma li esamina molti per coniugarli e unirli in infinite rette partenti da punti fissi.  




Queste immagini che cerco di ricomporre possono ed appaiono virtuali, secondo quel procedere contromano, al normale scorrere delle odierne (immagini), che ci privano di fatto della vista e con essa dell’intelligenza che le elabora. Incontrovertibilmente torno al concetto di quell’espressione innestata al centro della spirale ‘equiangolare’, e con essa lo sviluppo nella successiva evoluzione del numero (dando per sottinteso che non mi riconosco in Cartesio), che nella esponenziale crescita nel concetto della ‘tecnica’, mi riporta inevitabilmente al mio essere ed appartenere alla natura, da cui so provenire la verità, disconoscendo l’attuale cultura e con essa un’improbabile verità (creatrice di false immagini e nuove deleterie mitologie). La mia immagine di verità, contro la ‘loro realtà dell’immagine’ e con essa il concepire e vivere la vita. Tracciare forme da un pensiero originario che non è più pensiero, ma ‘ossessione’ (di verità). Così ho provato frequenti ‘ossessioni’, ognuno di noi, dall’artista al ricercatore, dallo scienziato all’esploratore, se non fosse posseduto da questo dèmone non coltiverebbe nulla di proficuo.  Anche un pensiero sia esso giusto o sbagliato ha una propria genesi, un suo DNA. Grazie a tutte queste ‘ossessioni’ che sono rette imprescindibili dove costruisco  figure più o meno precise nell’ottica della geometria dell’Universo che occupiamo, ed ai rapporti con il remoto passato di un anima antica che prende forma attraverso il pensiero, posso evidenziare il legame imprescindibile con la stessa ‘anima mundi’, nella quale siamo un tutt’Uno. Quei momenti di estrema felicità in cima ad una montagna non sono altro che una scalata verso il nostro sé originario. Inconsapevoli abbiamo ripercorso l’intero cammino quando ancora non sapevamo camminare, ma nuotavamo tranquilli nell’acqua.




Diverse specie di teleostei vivono nell’acqua povera di ossigeno delle paludi. Con le branchie non riescono a ricavare dall’acqua sufficiente ossigeno e hanno bisogno di aiutarsi con l’aria. I noti pesci da acquario delle paludi del Sudest asiatico, come Betta splendens, il pesce combattente, spesso salgono in superficie per incamerare aria, ma continuano a respirare attraverso le branchie. Poiché le branchie sono bagnate, immagino si possa dire che questo incamerare aria salendo in superficie equivalga a ossigenare localmente l’acqua delle branchie, come potremmo fare noi formando bolle d’aria nel nostro acquario. Ma c’è di più: la camera branchiale è dotata di uno spazio ausiliario per l’aria, riccamente vascolarizzato. Tale cavità non è un autentico polmone. Il vero omologo del polmone nei teleostei è la vescica natatoria che, viene usata per controllare la spinta idrostatica in qualsiasi condizione. I pesci che assumono aria attraverso la camera branchiale hanno riscoperto la respirazione aerea attraverso una strada completamente diversa. Il più sofisticato utente della camera branchiale per l’aria è forse il pesciforme Anabas. Anche questo pesce, vivendo in acque poco ossigenate ,ha l’abitudine di spostarsi sulla terra ferma per cercarvi acqua quando la sua pozza si è prosciugata . Riesce a sopravvivere fuori dell’acqua per giorni e giorni. Di fatto, l’Anabas è un esempio vivente di ciò che Romer intendeva dire quando propugnava l’idea (oggi meno accreditata) che i pesci siano approdati sulla terraferma solo per cercarvi l’acqua. Un altro gruppo di teleostei che camminano è quello dei già citati Periophthalmidae, protagonisti di questa storia. Si nutrono di insetti e ragni , che di norma non si trovano in mare. E’ possibile che i nostri progenitori del Devoniano abbiano goduto di analoghi vantaggi lasciando per la prima volta il mare; erano infatti stati preceduti, sulla terraferma, sia dagli insetti sia dai ragni. Il genere Periophthalmus guizza e striscia nel fango usando anche le pinne pettorali , i cui muscoli sono così ben sviluppati da sostenere il suo peso. Di fatto, il corteggiamento di Periophthalmus ha luogo in parte sulla terraferma e il maschio alza la testa, come fanno alcune lucertole, per mostrare alle femmine il sottogola e la gola dorati. Anche lo scheletro della pinna si è evoluto in maniera convergente fino a somigliare a quello di tetrapodi come la salamandra. I Periophthalmus fanno salti di oltre mezzo metro , piegandosi di lato e raddrizzandosi di colpo, e sono state queste acrobazie a indurre la popolazione locale a chiamarli “saltafango” “saltatori”, pesci rana o pesci canguro. Sono comunemente definiti anche pesci arrampicatori perché sono soliti arrampicarsi sulle mangrovie alla ricerca di prede. Si aggrappano agli alberi con le pinne pettorali, aiutati da una sorta di ventosa che producono unendo sotto il corpo le pinne pelviche. L’autore di un libro popolare sulla conquista della Terra cita il diario di un artista del XVIII secolo che viveva in Indonesia  e che tenne un pesce rana per tre giorni in casa: ‘Mi seguiva dappertutto con grande familiarità , proprio come un cagnolino’. Il libro riporta un disegno del pesce rana che cammina come un cagnolino, ma l’animale raffigurato è in realtà una rana pescatrice, un pesce di profondità nel quale il raggio anteriore della pinna dorsale si prolunga in una membranella di allettamento che serve a catturare pesci piccoli. …Mi piace l’idea che discendiamo da una creatura la quale , benché sotto molti aspetti diversa dal moderno Periophthalmus, era avventurosa e intraprendente come un cagnolino: forse l’essere più simile a un cane che il Devoniano avesse da offrire.

 ( R. Dawkins, Il racconto dell’antenato)




La terra durante i lunghi periodi di evoluzione con la comparsa delle prime forme di vita ha conosciuto delle trasformazioni evidenti, noi nell’arco dell’intera sua storia   rappresentiamo una frazione di secondo. Questo può rendere chiara l’idea dei tempi di riferimento. Noi che siamo comparsi nel Pliocene non siamo altro che il risultato di lente trasformazioni che si sono avvicendate sulla terra con il formarsi di nuove specie di vita sempre più complesse. Come in seguito spiegherà Darwin gli organismi viventi, sia si tratti di animali o piante, non sono immutabili nel tempo, ma si modificano di generazione in generazione sotto la spinta della selezione naturale che favorisce la sopravvivenza dell’individuo più forte e più adatto al suo ambiente di vita. In questo contesto dobbiamo inserire, seguendo le stesse linee di principio, fintanto valgano le medesime regole matematiche, le dinamiche evolutive dell’Universo. La sua nascita e  sviluppo il quale non posso dissociare (nel senso metaforico infinito e universale di concetto di viaggio) da questo fattore discorsivo, nel momento in cui voglio mettere in essere un principio in stato embrionale, cioè l’idea stessa che è all’origine di taluni concetti, che se non indago per meglio procedere in questo modo di analisi all’apparenza non omogenea, rimarrebbero comparti stagni di un sommergibile, ma in realtà




imprescindibili a mio avviso per lo sviluppo dell’embrione e con le stesse motivazioni scientifiche e non, che lo hanno originato. Talune simmetrie hanno dimostrato pur non seguendo una precisa logica di datazione, una inequivocabile  medesima appartenenza, come una eredità comune condivisa con quel primo pesce che è fuoriuscito dall’acqua, poi migliaia di anni dopo tornato sui suoi passi per provare le stesse incompiute sensazioni di necessità e scoperta mosse dalla forza creatrice della vita. Prima di quel gesto meccanico inconscio o non,  nel concetto di vita nella logica dell’evoluzione dell’Universo, c’era il ‘pensiero della vita’. Nella forma antica e involontaria, quasi meccanicistica delle nostre cellule esisteva già tal concetto (disconoscendo, come già detto, il fondamentalismo deleterio e dannoso per la comprensione dell’intero meccanismo, di Cartesio). Solo lì possiamo ubicare il tentativo di quell’oscura Entità di cui per millenni abbiamo cercato di dar forma e pensiero. Nella logica di questo pensiero ‘gnostico’ di conoscenza e ricerca posso distinguere le probabili distanze fra noi e Dio, con esse le ‘casualità’ in un disegno o al contrario in assenza totale di esso, poste in un evento o più eventi, a cui per nostro limite diamo un nome. Tutto ciò che pensiamo conoscere limita la nostra stessa conoscenza nel momento in cui diamo per scontati alcuni presupposti, similmente alla ‘natura delle cose’ nella loro immagine riflessa nell’apparenza (la natura per il vero ama nascondersi). Che riduce i termini evolutivi verificati. E’incredibile per taluni accettare che da quella prima forma di vita fuoriuscita dall’acqua si sia formata una natura simile alla nostra. Umani, almeno così dicono, con tutte le caratteristiche specifiche che ci contraddistinguono dagli altri esseri animali e vegetali, di cui oggi  non conosciamo neppure la più semplice struttura o genesi.

(Prosegue....)















giovedì 5 febbraio 2015

DOPO COSA RIMARRA'? (2)


















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Dopo cosa rimarrà?

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L'inizio di una nuova fine:

Nulla che possa essere narrato come la storia del vero Creato














…. Un giorno quando mi accingevo ad accamparmi sopra un lastrone galleggiante, poco dopo la mezzanotte, rivolsi per caso gli occhi verso il sole, e lontano, sperduti in mezzo a quel mare di ghiacci mobili, scorsi a un tratto (ciò che mi pareva o appariva…) gli alberi di una nave. Una nave fantasma, o una nave vera: per me era lo stesso; credo che la prima idea che mi venne in mente fu che difficilmente poteva trattarsi di una nave vera; ma davanti ad uno spettacolo così impensato il mio cuore si mise a battere, come se stessi per morire; debolmente tentando di agitare la pagaia di canna sulla mia testa, caddi in ginocchio, e un attimo dopo crollai nella canoa……






… E per quanto fossi stanco, feci subito tutto quel che potevo per avvicinarmi alla nave; dopo nemmeno quattro ore di fatiche, attraverso quel miscuglio di acqua e ghiaccio, dall’alto di un lastrone galleggiante scorsi, con incredibile gioia, che la nave in questione era (o forse mi sembrava..) la Continent… Sembrava così strano trovarla in quei paraggi! La nave era completamente immobile, sotto il sole del mattino, simile a un freddo spirito luminoso, simile ad una costruzione di millenaria memoria, simile ad una piramide antica, che accendeva di punti accecanti quell’oceano di ghiaccio alla Deriva, e tutto appariva soffuso di una tinta quasi rosea, che faceva pensare ad una sposa morta improvvisamente sommersa da un mare di ghiaccio ed acqua sommersa da un vestito bianco….






… Cominciai di nuovo a fare segni con la pagaia ed a urlare verso la Continent, quando infine riuscii a distinguere qualcuno a quella che poteva sembrare una prora, mi misi a gridare ancora più forte. Non mi sembrò che si muovesse: rimaneva lì, immobile e chino sul bordo, a guardarmi (mi sembrava scorgere anche delle strane antenne, rami elevati nella direzione del cielo…), ancora mezzo miglio, poi una cinquantina di metri, ma sulla nave, per quanto ormai dovessero avermi sentito, avermi visto,  non si scorgeva movimento alcuno, nessuno mi dava il benvenuto: tutto, tutto rimaneva immobile come la morte, in quel calmo mattino artico, mio Dio che scenario! Eppure, mentre gridavo e piagnucolavo, una folle e sola certezza si affermava in me: perché dalla nave mi era arrivata un’ondata di profumo come di peschi… tutti sulla Continent… erano morti….






… Così rimasi a lungo; infine risollevai la testa e rividi il bastimento desolato, alla Deriva: silenzioso, tragico, mi appariva, come se fosse colpevole di quell’oscuro carico di fatalità che portava a bordo (la morte…); rividi lo sguardo della Morte che regna sovrana nell’immobilità della nave ora così sacra; e fino a sera rimasi a guardare la massa aggrovigliata di quello che sembrava lo scafo; erano morti, sembrava, all’improvviso, e dappertutto, sugli uomini, sui ponti, sui rotoli di corde, nella cabina, nella sala delle macchine, tra i battenti dei boccaporti, su ogni scaffale, in ogni angolo, si estendeva uno strato di cenere o polvere, sottile, impalpabile, purpurea; e su tutta la nave, come lo spirito stesso della morte, regnava tranquillamente quel profumo (di una adolescente) di peschi…..  






… Lo strato di polvere, sottile ed esposto all’azione dei venti sopra coperta, si presentava nell’interno della nave sotto l’aspetto di una coltre spessa; dopo un giro di esplorazione (nel quale mi dovetti anche immergere fino nei fondali più scuri per cercare di scorgere quanto  impossibilitato scorgere in superficie…), la prima cosa che feci fu di esaminare attentamente quella sostanza, anche se non avevo, mangiato nulla in tutta la giornata, ed ero stanco da morire… Trovai il mio microscopio e quando mi sedetti per vedere se riuscivo a capire qualcosa di quella polvere, avvertii come se le miriadi di tutti gli uomini che sono vissuti sulla Terra, e gli angeli e i Demoni, e il Tempo e l’Eternità, mi stessero tutti intorno, il Bene che mi circonda contro il Male (di questa polvere) che lascia la sua traccia…. per un possibile verdetto…






Naturalmente sapevo che quell’odore di fiori di pesco, dall’effetto letale, poteva soltanto avere a che fare con un affluvio di cianogeno, o di acido cianidrico, o di acido cianidrico ‘prussico’, o di tutt’e due: perciò, quando infine mi riuscì di esaminare la polvere al microscopio, non mi stupii di trovare, mescolati alla massa di cenere, certi cristalli gialli che non potevano essere altro che ferrocianuro di potassio. Come era andato a finire quel veleno a bordo della Continent? Non lo sapevo, né avevo i mezzi, né la forza di volontà, per risolvere in quel momento un simile problema; capivo soltanto che in qualche modo l’aria della zona doveva essere avvelenata da quel gas….; in seguito questo gas, che è molto solubile, si era completamente sciolto nel mare, oppure si era perso nell’atmosfera, lasciando quel debole profumo; e una volta capito ciò, non ebbi più la forza di reggere la testa in alto, mi lasciai cadere sul tavolo, e così rimasi a lungo come ubriaco, con lo sguardo fisso nel vuoto, come un pazzo…..”


(M. P. Shiel, La nube purpurea)    
















martedì 3 febbraio 2015

IL TEMPO E LA MEMORIA (13)











































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Il Tempo e la Memoria (12/1)

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Il Tempo e la Memoria (14)














.... Pietra è mia ora all’occhio di quel Polifemo nemico della comune ora…! Io sono Ulisse e qui dalla grotta ti scrivo ma abbiamo stabilito un patto antico contro un comune nemico).
Ragion per cui, anche se codesta Rima di Vita può far sorridere chi privilegia il Turbo di una diversa turbina, il bosco della nostra Poesia per sempre ‘ossigenerà’ la verità dell’Eretica memoria, suggerendo, con Nobile Parola, che il moderno potere della nuova tortura che avanza scalcia e minaccia può solo contare sulla violenza figlia e maestra di una Ortodossa creanza, e come Storia insegna (se non leggi impara: nel paese dei balocchi trovi anche qualche Tomo che narra il tuo gesto antico, che racconta la Storia, su di un foglio su di un rigo, non certo scritta in un messaggino, su un visorino dove assestare il colpo della tua violenza antica: lancia…alla mia schiena già ferita al Teschio di una verità per sempre smarrita, Catena di un sogno antico: siamo due a reclamare verità e unanimi nel giudizio alla tua falsa parola perché ciò che ci divideva a me quel Cristo ora difeso era l’onore di una stessa Storia a cui chiedevamo giammai il tuo violento sacrificio, ma l’onore di uno stesso Dio Primo al Secondo parente del tuo Tempio antico) in essa poi ci sarà una diversa verità che avanza, perché la dittatura così costruita non ha edificio nel bosco del nostro martirio, e rinasceremo con ugual parola, e te per sempre costruirai il rogo della tua falsa storia!

(Giuliano Lazzari, curatore del blog...)

… E giacché fai di me un incolto ricercatore della verità di codesta Terra, te, nobile scienziato della Parola, regalo alla tua Memoria un po’ di Storia nel tuo Tempo fermo ad un Evo antico, ti regalo questa breve storia: un po’ di cacio saporito con il quale condire il ricco banchetto al fasto della tua perenne gloria…
Ave Cesare e Costanzo a te il formaggio…. e buon appetito (Giuliano così è scritto… alla mensa del tuo breve messaggino): 


             

Volete che vi insegni la vera strada?
Quanto al contenuto Eterodosso di questo tipo di predicazione, non era possibile avere dubbi – soprattutto allorché Menocchio espose una sua singolarissima cosmogonia di cui era giunta al Sant’Uffizio un’eco confusa:

‘Io ho detto che, quanto al mio pensier et creder, tutto era un caos, cioè Terra, aere, acqua et foco insieme, et quel volume andando così fece una massa, apunto come si fa il formazo nel latte, et in quel deventorno, et quelli furno li angeli; et la santissima maestà volse che quel fosse Dio et li angeli; et tra quel numero di angeli ve era ancho Dio creato anchora lui da quella massa in quel medesmo Tempo, et fu fatto signor con quattro capitani, Lucivello, Michael, Gabriel et Rafael. Qual Lucibello volse farsi signor alla comparation del re, che era la maestà de Dio, et per la sua superbia Iddio commandò che fusse scaciato dal cieolo con tutto il suo ordine et la sua compagnia; et questo Dio fece poi Adamo et Eva, et il populo in gran moltitudine per impir quelle sedie dellì angeli scacciati. La qual moltitudine, non facendo li commandamenti de Dio, mandò il suo figliol, il quale li Giudei lo presero, et fu crucifisso’.




… E soggiunse:

‘Io non ho detto mai che si facesse picar come una bestia. Ho ben detto che si lassò crucificar, et questo che fu crucifisso era uno delli figlioli de Dio, perché tutti semo fioli de Dio, et di quella istessa natura che fu quel che fu crucifisso; et era homo come nui altri, ma di maggior dignità, come sarebbe dir adesso il papa, il quale è homo come nui, ma di più dignità de nui perché può far; et questo che fu crucifisso nacque de s. Iseppo et de Maria vergine’.

… Di colpo, verso la fine di aprile si verificò un fatto nuovo….

I rettori veneziani invitarono l’inquisitore di Aquileia e Concordia, fra Felice da Montefalco, a uniformarsi alle consuetudini vigenti nei territori della Repubblica, le quali imponevano cause del Sant’Uffizio la presenza di un magistrato secolare accanto ai giudici ecclesiastici. Il contrasto tra i due poteri era tradizionale. Non sappiamo se in quest’occasione ci fosse stato anche un intervento dell’avvocato Trappola in favore del suo cliente. Fatto sta che Menocchio fu condotto a Portogruaro, nel palazzo del podestà, perché confermasse alla presenza di quest’ultimo gli interrogatori che si erano già svolti.
Dopo di che, il processo ricominciò…
A più riprese, in passato, Menocchio aveva detto ai compaesani di essere pronto, anzi desideroso di dichiarare le proprie ‘opinioni’ sulla fede alle autorità religiose e secolari.




‘Mi ha detto, - riferì Francesco Fassetta, - che se mai lui andasse in mano della giustizia per questo, vorebbe andar con le buone, ma quando li usasse straniezza, vorebbe dir assai contra li superiori delle loro male opere’.
E Daniele Fassetta:
‘detto Domenego ha detto che se lui non dubitasse della vita parlaria tanto che faria stupir; et quanto a me credo che volesse dir della fede’.
Alla presenza del podestà di Portogruaro e dell’inquisitore di Aquileia e Concordia, Menocchio confermò queste testimonianze: ‘è vero che io ho detto che se non havesse havuto paura della giustitia parlarebbe tanto che farebbe stupire; et ho ditto che se havessi gratia di andar avanti o il papa o un re o un principe che mi ascoltasse, haverei ditto molte cose; et poi se mi havesse fatto morir non mi sarei curato’.
Allora lo esortarono a parlare: e Menocchio abbandonò ogni reticenza. Era il 28 aprile. Cominciò denunciando l’oppressione esercitata dai ricchi sui poveri attraverso l’uso, nei tribunali, di una lingua incomprensibile come il latino (ancora oggi vige ugual problema nella controversa interpretazione della legge ed altri disposizioni inerenti gli obblighi fiscali per non incorrere nelle sanzioni che la legge stessa pone quale vincolo per scoraggiare il cittadino al mancato rispetto di essa; tutte quelle norme che i più debbono affrontare con l’ausilio di enti compotenti abilitati allo svolgimento delle mansioni fiscali, e non, per gli onori civili e sociali cui tutti dobbiamo adempiere.):

‘Io ho questa opinione, che il parlar latin sia un tradimento de’ poveri, perché nelle litte li pover’homini non sano quello si dice et sono strussiati, et se vogliono dir quatro parole bisogna haver un avocato, che neanche quelo riusciam a capire’.




Ma questo non era che un esempio di un generale sfruttamento, di cui la Chiesa era complice e partecipe:

 ‘Et mi par che in questa nostra lege il papa, cardinali, vescovi sono tanto grandi et ricchi che tutto è de Chiesa et preti, et strussiano li poveri, quali se hanno doi campi a fitto sono della Chiesa, del tal vescovo, del tal cardinale’.

 Si ricorderà che Menocchio aveva due campi a livello, di cui ignoriamo il proprietario; quanto al suo latino, si riduceva apparentemente al credo e al pater noster imparati servendo messa; e Ziannuto, suo figlio, si era affrettato a procurargli un avvocato, appena il Sant’Uffizio l’aveva messo in carcere. Ma queste coincidenze, o possibili coincidenze, non devono trarre in inganno: il discorso di Menocchio, anche se prendeva lo spunto dal suo caso personale, finiva con l’abbracciare un ambito molto più vasto. L’esigenza di una chiesa che abbandonasse i suoi privilegi, che si facesse povera coi poveri, si legava alla formulazione, sulla traccia del Vangelo, di una religione diversa, senza insistenze dogmatiche, ridotta ad un nocciolo di precetti pratici:




‘Vorria che si credesse nella maestà de Dio, et esser homini da ben, et far come disse Giusu Christo, che rispose a quelli Giudei che li dimandavano che legge si dovesse haver, et lui li rispose “Amar Iddio et amar il prossimo” ’ .

Questa religione semplificata non ammetteva, per Menocchio, limitazioni confessionali. Ma l’appassionata esaltazione dell’equivalenza di tutte le fedi, sulla base di un’illuminazione concessa in egual misura ad ogni uomo.

‘La maestà de Dio ha dato il Spirito Santo a tutti; a christiani, a heretici, a Turchi, a Giudei, et li ha tutti cari, et tutti si salvano a uno modo; et vui altri preti et frati, anchora vui volete saper più de Dio, et sette come il demonio, et volete farvi dei in Terra, et saper come Iddio a guisa del demonio: et chi più pensa di saper, manco sa; et credo che la legge et commandamenti della Chiesa siano tutte mercantie, et si viva sopra di questo’.

La netta contrapposizione tra una religione ridotta a un nucleo essenziale e le sottigliezze teologiche richiama le affermazioni di Menocchio – che del resto, pur avendo letto una parola come ‘predestinazione’, disse addirittura d’ignorarne il significato. Ancora più preciso il riscontro tra la condanna delle ‘legge et commandamenti della Chiesa’ come ‘mercantie’ e l’invettiva, contro preti e frati…




Mercato fanno di sepelir morti
come d’un sacco di lana, o di pevere:
in queste cose sono molto accorti
in non voler un defonto ricevere
se i soldi in prima in man non gli vien porti;
poi se gli vanno a manducare e bevere
ridendo de chi fa cotal dispensa
godendo i buoni letti e grassa mensa.
Mercati poi di maggior importanza
si fanno de la Chiesa che fu mia
tirandosi tra lor ogni abondanza
non si curando de chi ha carestia.
Appresso a me questa è una mala usanza
si faccian di mia Chiesa mercantia
e beato chi può haver più benefici
dicendo poche messe, e manco uffici.

… ‘Volete che vi insegni la vera strada? attendere a far ben et camminar per la strada de mi antecessori, et quello che commanda la S. Madre Chiesa’: queste erano le parole che, come si ricorderà, Menocchio sostenne di aver detto ai compaesani. Di fatto, Menocchio aveva insegnato proprio il contrario, a discostarsi dalla fede degli antenati, a respingere le dottrine che il pievano predicava dal pulpito. Mantenere questa scelta deviante per un periodo così lungo (forse addirittura una trentina d’anni) prima in una piccola comunità come quella di Montereale, poi di fronte al tribunale del Sant’Uffizio, richiedeva un’energia morale, e intellettuale che non è esagerato definire straordinaria. Né la diffidenza dei parenti e degli amici, né i rimproveri del pievano, né le minacce degli inquisitori erano riuscite a incrinare la sicurezza di Menocchio.
Ma che cosa lo rendeva così sicuro?

In nome di che cosa parlava?

(C. Ginzburg, Il formaggio e i vermi)