giuliano

sabato 7 febbraio 2015

I NOSTRI PRIMI SOGNI I NOSTRI PRIMI PENSIERI (13)













































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I nostri primi sogni i nostri primi pensieri (1/12)

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I nostri primi sogni i nostri primi pensieri (14)













Sto cercando di ridurre al minimo l’impatto di un argomento non facile, di cui pochi riescono a percepirne la bellezza nella sua originaria ‘genesi’. La struttura della vita, l’anatomia di un apparente cadavere. Nel conseguimento degli studi di medicina l’anatomia umana per taluni rimane lo scoglio più duro per i futuri dottori.  Non si riesce a percepire nessuna bellezza, dalla carne morta o viva sezionata,  per scoprire taluni meccanismi del corpo umano.
Così la terra che spesso e non impropriamente ho chiamato Gaia, riserva questa formazione epidermica dalla quale posso decifrare con occhio allenato la sua vera natura. Riesco a vedere con occhi diversi il contesto o ciascun contesto che appare alla vista. Non percepisco solo un panorama, una valle, una montagna, un lago, un deserto, ma una configurazione ben stabilita in perenne movimento, in formazione, in evoluzione, con caratteristiche ben specifiche. Se poi come detto in maniera inconsapevole siamo attratti da talune suggestioni, o emozioni legate a determinati luoghi, posso dire che regrediamo verso una regione remota del passato. Istintivamente nel panorama della nostra natura, esaminata dall’occhio dell’antropologia, della paleontologia, della biologia, della chimica, della fisica, della psicologia, della sociologia, e della medicina, ripercorriamo a ritroso nella formazione culturale del nostro essere alcune tappe evolutive. I ricordi che emergono sono remoti nel passato genetico, possono cioè galleggiare da quel mare talune immagini della nostra infanzia o alcuni ricordi specifici che credevamo di aver perso per sempre,  profondi ed apparentemente scomparsi per lasciar spazio ad altri che nel detto panorama, affiorano come rocce al di sotto della fitta foresta. Affiorano evidenti come solo aspetti esteriori quali talune caratteristiche fisiche: altezza, occhi, carnagione, capelli, sesso.




Se  ho ragione di credere che ogni religione sia l’espressione spontanea di uno stato psichico generale, allora il cristianesimo diede espressione a uno stato che predominava al principio della nostra era e durante una serie di secoli successivi. Ma che uno stato abbia predominato in una certa epoca non esclude l’esistenza di altri stati psichici. Anche questi stati sono ugualmente suscettibili di espressione religiosa. Il cristianesimo dovette per qualche tempo combattere per la propria vita contro lo gnosticismo, il quale corrispondeva a uno stato psichico leggermente diverso. Lo gnosticismo venne completamente annientato e i suoi resti sono così malamente mutilati che ci vuole uno studio speciale per poter gettare anche un solo sguardo nel suo intimo significato. Ma se le radici storiche dei nostri simboli si estendono oltre il Medioevo, nell’antichità , esse sono senza dubbio da ricercarsi per la maggior parte nello gnosticismo. Non mi sembra dunque illogico che uno stato psichico in precedenza represso si risollevi nel momento in cui perdono efficacia le idee principali che condizionarono la sua repressione. Benché spenta, l’eresia gnostica continuò attraverso il Medioevo in una forma inconscia, cioè sotto il travestimento dell’alchimia. La quale , come è noto, comprendeva due elementi che si completavano a vicenda : da una parte la ricerca chimica vera e propria, e dall’altra la ‘Theoria’ o ‘Philosophia’. Più tardi sembrano aggirarsi attorno alla seguente idea centrale: l’ anima mundi, il demiurgo o spirito divino , che covò le acque del caos prima di creare il cosmo , restò nella materia in uno stato potenziale, e così anche lo stato caotico primitivo poté persistere. Negli alchimisti greci incontriamo ben presto l’idea della ‘ pietra che contiene uno  spirito’.  La   ‘pietra’  è chiamata prima materia , Hyle o Chaos, o massa confusa.  Questa  terminologia alchimista è fondata sul Timeo di Platone. J. C. Steebus dice: “La materia prima, che dev’essere ricettacolo e madre di quanto è creato ed è visibile, non va chiamata né terra né aria né fuoco né acqua, né composta né componente di quegli elementi: ma è un qualcosa d’invisibile, informe, che tutto genera. Lo stesso chiama la materia prima anche terra del caos primevo, Materia, Caos, abisso, madre delle cose…. Quella primeva materia creatrice…bagnata dalle acque celesti, fu poi adornata da Dio con le Idee innumerabili di tutte le cose…”.

( C. G. Jung, Psicologia e religione)




Tratti distintivi dell’essere umano dei quali non si presta la dovuta attenzione, ma in realtà dicono molto per ciò che concerne la nostra provenienza culturale. Dunque grazie all’analisi delle rocce e non solo, posso risalire al DNA della terra e di molti altri pianeti dei quali quando mi accingo a porre i termini dello studio della loro formazione, inizio per l’appunto da frammenti di apparente morta materia. Così come già detto, sono in grado di vedere la sua evoluzione, di leggerne la probabile transizione nel corso di milioni di anni. Noi che siamo comparsi nel Pliocene, non siamo altro che il risultato di questa lenta trasformazione, che via via si sono avvicendate sul nostro pianeta. I carotaggi artici ci indicano in maniera specifica questa paziente ricerca, soprattutto circa le condizioni climatiche o più propriamente ambientali che godeva la terra nell’arco di tutte le sue evoluzioni. Quando attraverso gli occhi e le emozioni di alcuni viandanti che mi accompagnano per questa passeggiata ho potuto rivivere talune dinamiche con l’occhio attento e la mente aperta ad una nuova comprensione che richiede un buon grado di umiltà e pazienza, mi sono imbattuto in molti panorami diversi. E’questo l’aspetto affascinante del Viaggio, la premessa e lo scopo appunto, non di per se del libro, o almeno nelle caratteristiche che più propriamente conosciamo del libro, ma bensì questo aspetto inconsueto di lettori - compositori, attraverso frequenti simmetrie e chiralità per costruire una sorta di carta geografica arcaica ed elementare nelle forme, per una scoperta che non si soffermi su alcuni concetti, ma li esamina molti per coniugarli e unirli in infinite rette partenti da punti fissi.  




Queste immagini che cerco di ricomporre possono ed appaiono virtuali, secondo quel procedere contromano, al normale scorrere delle odierne (immagini), che ci privano di fatto della vista e con essa dell’intelligenza che le elabora. Incontrovertibilmente torno al concetto di quell’espressione innestata al centro della spirale ‘equiangolare’, e con essa lo sviluppo nella successiva evoluzione del numero (dando per sottinteso che non mi riconosco in Cartesio), che nella esponenziale crescita nel concetto della ‘tecnica’, mi riporta inevitabilmente al mio essere ed appartenere alla natura, da cui so provenire la verità, disconoscendo l’attuale cultura e con essa un’improbabile verità (creatrice di false immagini e nuove deleterie mitologie). La mia immagine di verità, contro la ‘loro realtà dell’immagine’ e con essa il concepire e vivere la vita. Tracciare forme da un pensiero originario che non è più pensiero, ma ‘ossessione’ (di verità). Così ho provato frequenti ‘ossessioni’, ognuno di noi, dall’artista al ricercatore, dallo scienziato all’esploratore, se non fosse posseduto da questo dèmone non coltiverebbe nulla di proficuo.  Anche un pensiero sia esso giusto o sbagliato ha una propria genesi, un suo DNA. Grazie a tutte queste ‘ossessioni’ che sono rette imprescindibili dove costruisco  figure più o meno precise nell’ottica della geometria dell’Universo che occupiamo, ed ai rapporti con il remoto passato di un anima antica che prende forma attraverso il pensiero, posso evidenziare il legame imprescindibile con la stessa ‘anima mundi’, nella quale siamo un tutt’Uno. Quei momenti di estrema felicità in cima ad una montagna non sono altro che una scalata verso il nostro sé originario. Inconsapevoli abbiamo ripercorso l’intero cammino quando ancora non sapevamo camminare, ma nuotavamo tranquilli nell’acqua.




Diverse specie di teleostei vivono nell’acqua povera di ossigeno delle paludi. Con le branchie non riescono a ricavare dall’acqua sufficiente ossigeno e hanno bisogno di aiutarsi con l’aria. I noti pesci da acquario delle paludi del Sudest asiatico, come Betta splendens, il pesce combattente, spesso salgono in superficie per incamerare aria, ma continuano a respirare attraverso le branchie. Poiché le branchie sono bagnate, immagino si possa dire che questo incamerare aria salendo in superficie equivalga a ossigenare localmente l’acqua delle branchie, come potremmo fare noi formando bolle d’aria nel nostro acquario. Ma c’è di più: la camera branchiale è dotata di uno spazio ausiliario per l’aria, riccamente vascolarizzato. Tale cavità non è un autentico polmone. Il vero omologo del polmone nei teleostei è la vescica natatoria che, viene usata per controllare la spinta idrostatica in qualsiasi condizione. I pesci che assumono aria attraverso la camera branchiale hanno riscoperto la respirazione aerea attraverso una strada completamente diversa. Il più sofisticato utente della camera branchiale per l’aria è forse il pesciforme Anabas. Anche questo pesce, vivendo in acque poco ossigenate ,ha l’abitudine di spostarsi sulla terra ferma per cercarvi acqua quando la sua pozza si è prosciugata . Riesce a sopravvivere fuori dell’acqua per giorni e giorni. Di fatto, l’Anabas è un esempio vivente di ciò che Romer intendeva dire quando propugnava l’idea (oggi meno accreditata) che i pesci siano approdati sulla terraferma solo per cercarvi l’acqua. Un altro gruppo di teleostei che camminano è quello dei già citati Periophthalmidae, protagonisti di questa storia. Si nutrono di insetti e ragni , che di norma non si trovano in mare. E’ possibile che i nostri progenitori del Devoniano abbiano goduto di analoghi vantaggi lasciando per la prima volta il mare; erano infatti stati preceduti, sulla terraferma, sia dagli insetti sia dai ragni. Il genere Periophthalmus guizza e striscia nel fango usando anche le pinne pettorali , i cui muscoli sono così ben sviluppati da sostenere il suo peso. Di fatto, il corteggiamento di Periophthalmus ha luogo in parte sulla terraferma e il maschio alza la testa, come fanno alcune lucertole, per mostrare alle femmine il sottogola e la gola dorati. Anche lo scheletro della pinna si è evoluto in maniera convergente fino a somigliare a quello di tetrapodi come la salamandra. I Periophthalmus fanno salti di oltre mezzo metro , piegandosi di lato e raddrizzandosi di colpo, e sono state queste acrobazie a indurre la popolazione locale a chiamarli “saltafango” “saltatori”, pesci rana o pesci canguro. Sono comunemente definiti anche pesci arrampicatori perché sono soliti arrampicarsi sulle mangrovie alla ricerca di prede. Si aggrappano agli alberi con le pinne pettorali, aiutati da una sorta di ventosa che producono unendo sotto il corpo le pinne pelviche. L’autore di un libro popolare sulla conquista della Terra cita il diario di un artista del XVIII secolo che viveva in Indonesia  e che tenne un pesce rana per tre giorni in casa: ‘Mi seguiva dappertutto con grande familiarità , proprio come un cagnolino’. Il libro riporta un disegno del pesce rana che cammina come un cagnolino, ma l’animale raffigurato è in realtà una rana pescatrice, un pesce di profondità nel quale il raggio anteriore della pinna dorsale si prolunga in una membranella di allettamento che serve a catturare pesci piccoli. …Mi piace l’idea che discendiamo da una creatura la quale , benché sotto molti aspetti diversa dal moderno Periophthalmus, era avventurosa e intraprendente come un cagnolino: forse l’essere più simile a un cane che il Devoniano avesse da offrire.

 ( R. Dawkins, Il racconto dell’antenato)




La terra durante i lunghi periodi di evoluzione con la comparsa delle prime forme di vita ha conosciuto delle trasformazioni evidenti, noi nell’arco dell’intera sua storia   rappresentiamo una frazione di secondo. Questo può rendere chiara l’idea dei tempi di riferimento. Noi che siamo comparsi nel Pliocene non siamo altro che il risultato di lente trasformazioni che si sono avvicendate sulla terra con il formarsi di nuove specie di vita sempre più complesse. Come in seguito spiegherà Darwin gli organismi viventi, sia si tratti di animali o piante, non sono immutabili nel tempo, ma si modificano di generazione in generazione sotto la spinta della selezione naturale che favorisce la sopravvivenza dell’individuo più forte e più adatto al suo ambiente di vita. In questo contesto dobbiamo inserire, seguendo le stesse linee di principio, fintanto valgano le medesime regole matematiche, le dinamiche evolutive dell’Universo. La sua nascita e  sviluppo il quale non posso dissociare (nel senso metaforico infinito e universale di concetto di viaggio) da questo fattore discorsivo, nel momento in cui voglio mettere in essere un principio in stato embrionale, cioè l’idea stessa che è all’origine di taluni concetti, che se non indago per meglio procedere in questo modo di analisi all’apparenza non omogenea, rimarrebbero comparti stagni di un sommergibile, ma in realtà




imprescindibili a mio avviso per lo sviluppo dell’embrione e con le stesse motivazioni scientifiche e non, che lo hanno originato. Talune simmetrie hanno dimostrato pur non seguendo una precisa logica di datazione, una inequivocabile  medesima appartenenza, come una eredità comune condivisa con quel primo pesce che è fuoriuscito dall’acqua, poi migliaia di anni dopo tornato sui suoi passi per provare le stesse incompiute sensazioni di necessità e scoperta mosse dalla forza creatrice della vita. Prima di quel gesto meccanico inconscio o non,  nel concetto di vita nella logica dell’evoluzione dell’Universo, c’era il ‘pensiero della vita’. Nella forma antica e involontaria, quasi meccanicistica delle nostre cellule esisteva già tal concetto (disconoscendo, come già detto, il fondamentalismo deleterio e dannoso per la comprensione dell’intero meccanismo, di Cartesio). Solo lì possiamo ubicare il tentativo di quell’oscura Entità di cui per millenni abbiamo cercato di dar forma e pensiero. Nella logica di questo pensiero ‘gnostico’ di conoscenza e ricerca posso distinguere le probabili distanze fra noi e Dio, con esse le ‘casualità’ in un disegno o al contrario in assenza totale di esso, poste in un evento o più eventi, a cui per nostro limite diamo un nome. Tutto ciò che pensiamo conoscere limita la nostra stessa conoscenza nel momento in cui diamo per scontati alcuni presupposti, similmente alla ‘natura delle cose’ nella loro immagine riflessa nell’apparenza (la natura per il vero ama nascondersi). Che riduce i termini evolutivi verificati. E’incredibile per taluni accettare che da quella prima forma di vita fuoriuscita dall’acqua si sia formata una natura simile alla nostra. Umani, almeno così dicono, con tutte le caratteristiche specifiche che ci contraddistinguono dagli altri esseri animali e vegetali, di cui oggi  non conosciamo neppure la più semplice struttura o genesi.

(Prosegue....)















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