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I nostri primi sogni i nostri primi pensieri (14)
Sto cercando di ridurre al minimo l’impatto
di un argomento non facile, di cui pochi riescono a percepirne la bellezza
nella sua originaria ‘genesi’. La struttura della vita, l’anatomia di un
apparente cadavere. Nel conseguimento degli studi di medicina l’anatomia umana
per taluni rimane lo scoglio più duro per i futuri dottori. Non si riesce a percepire nessuna bellezza,
dalla carne morta o viva sezionata, per
scoprire taluni meccanismi del corpo umano.
Così la terra che spesso e non impropriamente
ho chiamato Gaia, riserva questa formazione epidermica dalla quale posso
decifrare con occhio allenato la sua vera natura. Riesco a vedere con occhi
diversi il contesto o ciascun contesto che appare alla vista. Non percepisco
solo un panorama, una valle, una montagna, un lago, un deserto, ma una
configurazione ben stabilita in perenne movimento, in formazione, in
evoluzione, con caratteristiche ben specifiche. Se poi come detto in maniera
inconsapevole siamo attratti da talune suggestioni, o emozioni legate a
determinati luoghi, posso dire che regrediamo verso una regione remota del
passato. Istintivamente nel panorama della nostra natura, esaminata dall’occhio
dell’antropologia, della paleontologia, della biologia, della chimica, della fisica, della psicologia,
della sociologia, e della medicina, ripercorriamo a ritroso nella formazione
culturale del nostro essere alcune tappe evolutive. I ricordi che emergono sono
remoti nel passato genetico, possono cioè galleggiare da quel mare talune
immagini della nostra infanzia o alcuni ricordi specifici che credevamo di aver
perso per sempre, profondi ed
apparentemente scomparsi per lasciar spazio ad altri che nel detto panorama,
affiorano come rocce al di sotto della fitta foresta. Affiorano evidenti come
solo aspetti esteriori quali talune caratteristiche fisiche: altezza, occhi,
carnagione, capelli, sesso.
Se
ho ragione di credere che ogni religione sia l’espressione spontanea di
uno stato psichico generale, allora il cristianesimo diede espressione a uno
stato che predominava al principio della nostra era e durante una serie di
secoli successivi. Ma che uno stato abbia predominato in una certa epoca non
esclude l’esistenza di altri stati psichici. Anche questi stati sono ugualmente
suscettibili di espressione religiosa. Il cristianesimo dovette per qualche
tempo combattere per la propria vita contro lo gnosticismo, il quale
corrispondeva a uno stato psichico leggermente diverso. Lo gnosticismo venne
completamente annientato e i suoi resti sono così malamente mutilati che ci
vuole uno studio speciale per poter gettare anche un solo sguardo nel suo
intimo significato. Ma se le radici storiche dei nostri simboli si estendono
oltre il Medioevo, nell’antichità , esse sono senza dubbio da ricercarsi per la
maggior parte nello gnosticismo. Non mi sembra dunque illogico che uno stato
psichico in precedenza represso si risollevi nel momento in cui perdono
efficacia le idee principali che condizionarono la sua repressione. Benché
spenta, l’eresia gnostica continuò attraverso il Medioevo in una forma
inconscia, cioè sotto il travestimento dell’alchimia. La quale , come è noto,
comprendeva due elementi che si completavano a vicenda : da una parte la
ricerca chimica vera e propria, e dall’altra la ‘Theoria’ o ‘Philosophia’. Più
tardi sembrano aggirarsi attorno alla seguente idea centrale: l’ anima mundi,
il demiurgo o spirito divino , che covò le acque del caos prima di creare il
cosmo , restò nella materia in uno stato potenziale, e così anche lo stato
caotico primitivo poté persistere. Negli alchimisti greci incontriamo ben
presto l’idea della ‘ pietra che contiene uno
spirito’. La ‘pietra’
è chiamata prima materia , Hyle o Chaos, o massa confusa. Questa
terminologia alchimista è fondata sul Timeo di Platone. J. C. Steebus
dice: “La materia prima, che dev’essere ricettacolo e madre di quanto è creato
ed è visibile, non va chiamata né terra né aria né fuoco né acqua, né composta
né componente di quegli elementi: ma è un qualcosa d’invisibile, informe, che
tutto genera. Lo stesso chiama la materia prima anche terra del caos primevo,
Materia, Caos, abisso, madre delle cose…. Quella primeva materia
creatrice…bagnata dalle acque celesti, fu poi adornata da Dio con le Idee
innumerabili di tutte le cose…”.
( C. G. Jung, Psicologia e religione)
Tratti distintivi dell’essere umano dei quali
non si presta la dovuta attenzione, ma in realtà dicono molto per ciò che concerne
la nostra provenienza culturale. Dunque grazie all’analisi delle rocce e non
solo, posso risalire al DNA della terra e di molti altri pianeti dei quali
quando mi accingo a porre i termini dello studio della loro formazione, inizio
per l’appunto da frammenti di apparente morta materia. Così come già detto,
sono in grado di vedere la sua evoluzione, di leggerne la probabile transizione
nel corso di milioni di anni. Noi che siamo comparsi nel Pliocene, non siamo
altro che il risultato di questa lenta trasformazione, che via via si sono
avvicendate sul nostro pianeta. I carotaggi artici ci indicano in maniera
specifica questa paziente ricerca, soprattutto circa le condizioni climatiche o
più propriamente ambientali che godeva la terra nell’arco di tutte le sue evoluzioni.
Quando attraverso gli occhi e le emozioni di alcuni viandanti che mi
accompagnano per questa passeggiata ho potuto rivivere talune dinamiche con
l’occhio attento e la mente aperta ad una nuova comprensione che richiede un
buon grado di umiltà e pazienza, mi sono imbattuto in molti panorami diversi.
E’questo l’aspetto affascinante del Viaggio, la premessa e lo scopo appunto,
non di per se del libro, o almeno nelle caratteristiche che più propriamente
conosciamo del libro, ma bensì questo aspetto inconsueto di lettori -
compositori, attraverso frequenti simmetrie e chiralità per costruire una sorta
di carta geografica arcaica ed elementare nelle forme, per una scoperta che non
si soffermi su alcuni concetti, ma li esamina molti per coniugarli e unirli in
infinite rette partenti da punti fissi.
Queste immagini che cerco di ricomporre
possono ed appaiono virtuali, secondo quel procedere contromano, al normale
scorrere delle odierne (immagini), che ci privano di fatto della vista e con
essa dell’intelligenza che le elabora. Incontrovertibilmente torno al concetto
di quell’espressione innestata al centro della spirale ‘equiangolare’, e con
essa lo sviluppo nella successiva evoluzione del numero (dando per sottinteso
che non mi riconosco in Cartesio), che nella esponenziale crescita nel concetto
della ‘tecnica’, mi riporta inevitabilmente al mio essere ed appartenere alla
natura, da cui so provenire la verità, disconoscendo l’attuale cultura e con
essa un’improbabile verità (creatrice di false immagini e nuove deleterie
mitologie). La mia immagine di verità, contro la ‘loro realtà dell’immagine’ e
con essa il concepire e vivere la vita. Tracciare forme da un pensiero
originario che non è più pensiero, ma ‘ossessione’ (di verità). Così ho provato
frequenti ‘ossessioni’, ognuno di noi, dall’artista al ricercatore, dallo
scienziato all’esploratore, se non fosse posseduto da questo dèmone non
coltiverebbe nulla di proficuo. Anche un
pensiero sia esso giusto o sbagliato ha una propria genesi, un suo DNA. Grazie
a tutte queste ‘ossessioni’ che sono rette imprescindibili dove costruisco figure più o meno precise nell’ottica della
geometria dell’Universo che occupiamo, ed ai rapporti con il remoto passato di
un anima antica che prende forma attraverso il pensiero, posso evidenziare il
legame imprescindibile con la stessa ‘anima mundi’, nella quale siamo un
tutt’Uno. Quei momenti di estrema felicità in cima ad una montagna non sono
altro che una scalata verso il nostro sé originario. Inconsapevoli abbiamo
ripercorso l’intero cammino quando ancora non sapevamo camminare, ma nuotavamo
tranquilli nell’acqua.
Diverse specie di teleostei vivono
nell’acqua povera di ossigeno delle paludi. Con le branchie non riescono a
ricavare dall’acqua sufficiente ossigeno e hanno bisogno di aiutarsi con
l’aria. I noti pesci da acquario delle paludi del Sudest asiatico, come Betta
splendens, il pesce combattente, spesso salgono in superficie per incamerare
aria, ma continuano a respirare attraverso le branchie. Poiché le branchie sono
bagnate, immagino si possa dire che questo incamerare aria salendo in
superficie equivalga a ossigenare localmente l’acqua delle branchie, come
potremmo fare noi formando bolle d’aria nel nostro acquario. Ma c’è di più: la
camera branchiale è dotata di uno spazio ausiliario per l’aria, riccamente
vascolarizzato. Tale cavità non è un autentico polmone. Il vero omologo del
polmone nei teleostei è la vescica natatoria che, viene usata per controllare
la spinta idrostatica in qualsiasi condizione. I pesci che assumono aria
attraverso la camera branchiale hanno riscoperto la respirazione aerea
attraverso una strada completamente diversa. Il più sofisticato utente della
camera branchiale per l’aria è forse il pesciforme Anabas. Anche questo pesce,
vivendo in acque poco ossigenate ,ha l’abitudine di spostarsi sulla terra ferma
per cercarvi acqua quando la sua pozza si è prosciugata . Riesce a sopravvivere
fuori dell’acqua per giorni e giorni. Di fatto, l’Anabas è un esempio vivente
di ciò che Romer intendeva dire quando propugnava l’idea (oggi meno
accreditata) che i pesci siano approdati sulla terraferma solo per cercarvi
l’acqua. Un altro gruppo di teleostei che camminano è quello dei già citati
Periophthalmidae, protagonisti di questa storia. Si nutrono di insetti e ragni
, che di norma non si trovano in mare. E’ possibile che i nostri progenitori
del Devoniano abbiano goduto di analoghi vantaggi lasciando per la prima volta
il mare; erano infatti stati preceduti, sulla terraferma, sia dagli insetti sia
dai ragni. Il genere Periophthalmus guizza e striscia nel fango usando anche le
pinne pettorali , i cui muscoli sono così ben sviluppati da sostenere il suo
peso. Di fatto, il corteggiamento di Periophthalmus ha luogo in parte sulla
terraferma e il maschio alza la testa, come fanno alcune lucertole, per
mostrare alle femmine il sottogola e la gola dorati. Anche lo scheletro della
pinna si è evoluto in maniera convergente fino a somigliare a quello di
tetrapodi come la salamandra. I Periophthalmus fanno salti di oltre mezzo metro
, piegandosi di lato e raddrizzandosi di colpo, e sono state queste acrobazie a
indurre la popolazione locale a chiamarli “saltafango” “saltatori”, pesci rana
o pesci canguro. Sono comunemente definiti anche pesci arrampicatori perché
sono soliti arrampicarsi sulle mangrovie alla ricerca di prede. Si aggrappano
agli alberi con le pinne pettorali, aiutati da una sorta di ventosa che
producono unendo sotto il corpo le pinne pelviche. L’autore di un libro
popolare sulla conquista della Terra cita il diario di un artista del XVIII
secolo che viveva in Indonesia e che
tenne un pesce rana per tre giorni in casa: ‘Mi seguiva dappertutto con grande
familiarità , proprio come un cagnolino’. Il libro riporta un disegno del pesce
rana che cammina come un cagnolino, ma l’animale raffigurato è in realtà una
rana pescatrice, un pesce di profondità nel quale il raggio anteriore della
pinna dorsale si prolunga in una membranella di allettamento che serve a
catturare pesci piccoli. …Mi piace l’idea che discendiamo da una creatura la
quale , benché sotto molti aspetti diversa dal moderno Periophthalmus, era
avventurosa e intraprendente come un cagnolino: forse l’essere più simile a un
cane che il Devoniano avesse da offrire.
(
R. Dawkins, Il racconto dell’antenato)
La terra durante i lunghi periodi di
evoluzione con la comparsa delle prime forme di vita ha conosciuto delle
trasformazioni evidenti, noi nell’arco dell’intera sua storia rappresentiamo una frazione di secondo.
Questo può rendere chiara l’idea dei tempi di riferimento. Noi che siamo
comparsi nel Pliocene non siamo altro che il risultato di lente trasformazioni
che si sono avvicendate sulla terra con il formarsi di nuove specie di vita
sempre più complesse. Come in seguito spiegherà Darwin gli organismi viventi,
sia si tratti di animali o piante, non sono immutabili nel tempo, ma si
modificano di generazione in generazione sotto la spinta della selezione
naturale che favorisce la sopravvivenza dell’individuo più forte e più adatto
al suo ambiente di vita. In questo contesto dobbiamo inserire, seguendo le
stesse linee di principio, fintanto valgano le medesime regole matematiche, le
dinamiche evolutive dell’Universo. La sua nascita e sviluppo il quale non posso dissociare (nel
senso metaforico infinito e universale di concetto di viaggio) da questo
fattore discorsivo, nel momento in cui voglio mettere in essere un principio in
stato embrionale, cioè l’idea stessa che è all’origine di taluni concetti, che
se non indago per meglio procedere in questo modo di analisi all’apparenza non
omogenea, rimarrebbero comparti stagni di un sommergibile, ma in realtà
imprescindibili a mio avviso per lo sviluppo dell’embrione e con le stesse
motivazioni scientifiche e non, che lo hanno originato. Talune simmetrie hanno
dimostrato pur non seguendo una precisa logica di datazione, una
inequivocabile medesima appartenenza,
come una eredità comune condivisa con quel primo pesce che è fuoriuscito
dall’acqua, poi migliaia di anni dopo tornato sui suoi passi per provare le
stesse incompiute sensazioni di necessità e scoperta mosse dalla forza
creatrice della vita. Prima di quel gesto meccanico inconscio o non, nel concetto di vita nella logica
dell’evoluzione dell’Universo, c’era il ‘pensiero della vita’. Nella forma
antica e involontaria, quasi meccanicistica delle nostre cellule esisteva già
tal concetto (disconoscendo, come già detto, il fondamentalismo deleterio e
dannoso per la comprensione dell’intero meccanismo, di Cartesio). Solo lì
possiamo ubicare il tentativo di quell’oscura Entità di cui per millenni
abbiamo cercato di dar forma e pensiero. Nella logica di questo pensiero
‘gnostico’ di conoscenza e ricerca posso distinguere le probabili distanze fra
noi e Dio, con esse le ‘casualità’ in un disegno o al contrario in assenza totale
di esso, poste in un evento o più eventi, a cui per nostro limite diamo un
nome. Tutto ciò che pensiamo conoscere limita la nostra stessa conoscenza nel
momento in cui diamo per scontati alcuni presupposti, similmente alla ‘natura
delle cose’ nella loro immagine riflessa nell’apparenza (la natura per il vero
ama nascondersi). Che riduce i termini evolutivi verificati. E’incredibile per
taluni accettare che da quella prima forma di vita fuoriuscita dall’acqua si
sia formata una natura simile alla nostra. Umani, almeno così dicono, con tutte
le caratteristiche specifiche che ci contraddistinguono dagli altri esseri
animali e vegetali, di cui oggi non
conosciamo neppure la più semplice struttura o genesi.
(Prosegue....)
(Prosegue....)
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