giuliano

mercoledì 11 febbraio 2015

IL RUOLO DELL'INTELLETTUALE (4)











































Precedente capitolo:

Il ruolo dell'Intellettuale (3)

Prosegue in:

Il ruolo dell'Intellettuale (5)













I miei Dialoghi, sia come Tomo, sia come Blog, nascono (e criticano evidenziandone limite e contraddizione censura e potere memoria e ragione in cui l’Intellettuale inizia a prendere o muovere i primi passi ben documentati) in questi ‘serbatoi’: biblioteche di grande sapere, monasteri della parola trascritta conservata e studiata, pur considerando la grande opera, unica utile  fondamentale e indispensabile nel vasto mondo culturale che successivamente si è evoluto.  Quando si parla di ‘connessioni’ anche in singoli aspetti trattati, non si può non farlo in contesti isolati, è utile il microscopio, ma nel momento in cui sono consapevole ciò che sto osservando, altrimenti non avrei cognizione di causa delle finalità che voglio in realtà conseguire. La mia Opera, come spesso detto, deve essere aperta o configurata nella Totalità e Verità della dimensione che vuole o vorrebbe coinvolgere per l’intento ultimo di quella ‘luce’ sinonimo di Evoluzione e Vita quanto del Dio in cui tale evento si manifesta.
Questo entro la ‘curvatura’ della ‘parentesi’ detta, ma sappiamo anche che l’opera in questa Equazione di un Eretico ed un ‘professor’ sovrintende per intero detta Equazione e prima del Tempo detto, indi, la dimensione percepita non può e deve essere limitata alla singola visione entro il Tempo (dove si svolge l’intento): entro il grafico enunciato, entro il numero configurato, entro ogni stimolo e prova…;  ma proiettata, similmente al Primo Dio, nel vasto mondo della Creazione e conferire quella Luce dove il Tutto o il Nulla, possono svolgere i loro ruoli già definiti in questa ‘predestinazione’ in cui il Tempo ruota attorno ad ugual Memoria…. con l’Intellettuale e la sua povera parola…..

(Giuliano Lazzari)



  










Un uomo nato fra il Mille e il Millequattrocento avrebbe compreso i termini donna (mulier), cavaliere (miles), cittadino (urbanus), mercante (mercator), povero (pauper): non avrebbe inteso invece il significato della parola ‘intellettuale’ (e ciò stranamente avviene ancor oggi, scusate l’intervento…) attribuita all’uomo. Per chi frequentava la scuola, l’uomo era piuttosto razionale, ma questa era la definizione buona per tutto il genere umano, una definizione che discendeva da Aristotele. L’aggettivo ‘intellettuale’ si accompagnava a sostantivi diversi, con qualche variante di significato. La ‘sostanza intellettuale’ (opposta a ‘sostanza materiale’) era lo Spirito o l’Anima, la ‘conoscenza intellettuale’ era quel tipo di conoscere che superava lo strumento dei sensi spingendosi a cogliere le forme.
Gli aristotelici parlavano di ‘piacere intellettuale’, di ‘virtù intellettuale’ secondo l’antica analisi dell’Etica Nicomachea. Questo preambolo ha una connessione significativa con il tema ‘l’intellettuale nel Medioevo’?
Senz’altro sì.
Il moderno termine ‘intellettuale’, che indica non una qualità ma una categoria di persone, entra in uso molto tardi, nella Francia di fine Ottocento con il ‘Manifeste des intellectuels’. Ma questo vocabolo così recente si presta meravigliosamente al nostro scopo, che è quello di individuare (ed anche al mio, per sancire la manifestazione ciclica iscritta nel Tempo detto e ripeto nella ‘parentesi’ enunciata) un tipo d’uomo che nei secoli medievali ‘lavorava con la parola e con la mente’, non viveva di rendita della terra né era costretto a ‘lavorare con le mani’ e, in misura variabile, era consapevole di questa diversità dalle altre categorie umane.



















La ragione dell’adattabilità del termine ‘intellettuale’ a un gruppo di uomini ‘medievali’ sta anche in una sfumatura precisa, pur se sottintesa, di significato dell’aggettivo ‘intellettuale’, usato in quei tempi in relazione alla virtù, alla conoscenza e al piacere. In tutti i contesti citati, infatti, ‘intellettuale’ significa qualcosa ritenuta più pregevole ed elevata del suo opposto e indica una qualità indiscutibilmente positiva. La stima e il giudizio degli intellettuali medievali su se stessi ha questo denominatore comune: la loro attività o professione ha ai loro occhi un pregio particolare rispetto alle altre attività o professioni. Sembra dunque che dal nostro punto di vista ci sia piena legittimità a parlare di ‘intellettuale medievale’: l’analisi della tipologia ci offrirà, credo, nuove conferme.
Certamente l’uomo medievale, per indicare coloro che noi chiamiamo intellettuali, usava altri termini: è interessante ricordarli perché ci indicano già vari tipi di intellettuale. Maestro e professore erano termini identici per significato nella sostanza nominata: si trattava di persone che insegnavano dopo aver studiato; ma (è curioso) mentre magister indica sempre una qualità di elevatezza morale e dignità indiscussa, professor sovente reca con sé una traccia di ironia verso la boria e la presunzione di alcuni personaggi ‘che confidano troppo nel loro sapere’.
‘Erudito’ e ‘dotto’ sono termini più neutri e indicano chi ha studiato e accumulato conoscenze sui libri. Il termine ‘filosofo’ è in un certo senso meno significativo: un lieve sospetto di laicità, rispetto a chi studia prevalentemente la ‘pagina sacra’, rende il suo uso più raro. Filosofi rimangono soprattutto gli antichi, anche se qualche personaggio con molta consapevolezza reclama il nome per sé.
Letterati è la categoria più ampia e per forza di cose la meno precisa: erano letterati tutti quelli che sapevano leggere e scrivere, e dominavano il mondo delle parole, in quei secoli una esigua minoranza di fronte al vasto gruppo degli illetterati (a questo punto per dovere di cronaca dobbiamo dire che nonostante tutto, superata questa ‘barriera’ dal Tempo scritta, in realtà e verità il consumo di libri allo scopo ‘intellettuale’, risulta ancora molto scarso, per il detto Tempo Libero soppiantato da 




diverso tipo di creatività…: io umiliato in questa mia attività rappresento la Verità enunciata, rappresento il costante numero da loro Creato in diverso contesto enumerato al monitorino del Tempo maturato…, scusate la Rima, ma a questo punto si ode anche un colpo un botto di chi a questo Tempo così comandato e (e pagato) intellettualmente (e dicono addetti ai lavori… democraticamente…) connesso, collegato, si ode voce ed urlo, minaccia ed insulto, uno sputo, e l’intimidazione e la tortura ha fatto la sua venuta, ma mi dicono al telefono che non siamo al Medio-Evo ma in pieno progresso…, scusate si ode, ora, in questo Moderno Tempo scritto, chi scalcia la  sua parola la sua rima inchiodata al soffitto: la maledizione antica figlia di una lontana Ortodossia non certo figlia mia, non è Evo antico, ma Moderno Tempo condiviso…, non è il Male di un Tartaro profondo ma luce che sgorga da un moderno Intelletto così condiviso e diviso… il Male urla la sua minaccia alla tortura di un quadro antico…
A questo punto debbo saltare un rigo, perché dalla paura del botto subito l’….. del Tempo condiviso non vuol udire ragion del suo nome antico, a te saluto Cieco con la vista di questo nostro Tempo diluito entro il tuo breve schermo condiviso…. Ragion per cui debbo far le mie scuse all’autore del libro, più magister che professor in questo dire, al professor lascio la certezza della mia progressione in questa spirale di nuova e antica avventura… sperando che il rogo non distribuisca sua eterna Rima al capezzale della sofferta e condivisa Vita…..

(J. Le Goff, L’uomo medievale)    
















                               

Nessun commento:

Posta un commento