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Vorrei accennare ora alla versione meno presuntuosa che i
fisici danno della ‘vanagloria del presente’. Si chiama ‘principio antropico’ e
afferma che le leggi stesse della
fisica, o le costanti fondamentali dell’universo, sono un artificio sottilmente
regolato, finalizzato alla nascita della specie umana. Il principio antropico
non si basa necessariamente sulla vanità e non significa necessariamente che
l’universo sia stato creato apposta perché nascessimo noi; significa solo che
noi siamo qui e che non potremmo esserci in un universo che non avesse la
capacità di produrci. Come osservano i fisici, non è un caso che vediamo le
stelle in cielo, perché le stelle sono una parte indispensabile di qualsiasi
universo capace di generarci. Questo, ripeto, non significa che le stelle
esistano apposta per produrre noi, ma solo che, senza di esse, nel sistema
periodico degli elementi non ci sarebbero atomi più pesanti del litio e una
chimica di tre soli elementi sarebbe troppo misera per sostenere la vita. La
visione è un tipo di attività che può esplicarsi solo in un universo in cui si
vedano le stelle. Occorre però aggiungere qualche osservazione. Ammesso il
fatto banale affinché gli uomini appaiano occorrono leggi fisiche e costanti
capaci di produrli, può sembrare ugualmente improbabile che queste regole così
potenti esistano. E se i fisici, basandosi sui loro assunti, calcolassero che
il numero di tutti gli universi possibili è di gran lunga più elevato del
numero degli universi le cui leggi e costanti permettono alla fisica di
trasformarsi grazie alle stelle in chimica e grazie ai pianeti in biologia? Per
qualcuno, l’alta improbabilità dell’evento significa una sola cosa: le leggi e
le costanti sono state deliberatamente decise
‘ab initio’ (anche se mi chiedo sempre come si possa considerarla una
spiegazione plausibile dei fenomeni, visto che il problema viene immediatamente
rimandato a quello più vasto di spiegare l’esistenza dell’altrettanto sottile e
improbabile Programmatore).
(R. Dawkins, Il racconto
dell’antenato)
… Quando si dice sono tornato acqua, vento,
fuoco, terra, è perché l’essenza dell’essere sembra sgretolarsi verso queste
primi elementi di materia di cui siamo composti per poi tornare alle sue
essenziali forme e caratteristiche. Così posso dire di aver raggiunto un
livello di simmetria con gli elementi esterni, dai più bassi ai più alti nella
scala della loro percezione, nei quali si palesa una reale sincronia di un
orologio biologico quasi perfetto nel meccanismo dettato dall’evoluzione del
tempo.
Siamo abituati a sezionare per gradi ed
epoche, nel fare questa operazione che riproduco o cerco di riprodurre su
questi fogli, mi sono addentrato sino agli aspetti meno visibili della materia,
trascurando invece tutti i nessi della vita. Questo è un fatto importante, se
prima ed ora, l’insieme di ogni singolo aspetto nella dimensione più
spettacolare della manifestazione sensibile mi trasporta ad uno stato d’animo
elevato, ora, quella lingua spirituale è ‘prima lingua’.
La lingua del ‘Programmatore’, perché lingua
primordiale.
La lingua con la quale componevamo i suoni
della natura circostante, cantavamo stupori e paure, i piaceri nelle stagioni
alterne dell’intero creato. Ma dar forma ai motivi di alcune esaltazioni
linguistiche nelle varie espressioni che le caratterizzano non è solo
evidenziare gli aspetti che l’occhio spirito dell’anima percepisce e poi
descrive, ma è anche veleggiare lungo percorsi e stati d’animo dove la
coscienza sembra farsi più antica. Dove
oltre alla meraviglia si aggiunge un altro grado di percezione inconsapevole
che mi porta ad una regressione ed esaltazione nello stesso tempo (scorgiamo
altresì la filosofia dell’alpinista). Perché il salire, l’arrampicare,
l’elevarsi per guardare dall’alto le cose del basso, e le nostre condizioni in
quel basso o piccolo che scorgiamo a mano a mano che saliamo, è in realtà un
procedere all’opposto rispetto al cammino che si compie.
Non si sale, ma si scende verso i nostri
antenati, si toccano le rocce che ci sono appartenute nella lenta formazione
della terra, e più si fanno antiche, più noi
simmetricamente regrediamo alla pura forma di condizioni geometriche
semplici che stabilisce la matematica dell’Universo.
Vuoti di pensieri nel momento della fatica.
Ritorno all’antico ordine di forme semplici,
fin tanto che, nella cima, sono di nuovo in quel primo Oceano, dove l’Uno è
divenuto il ‘tutto’ che lo circonda, in attesa di moltiplicarsi nel ‘tutto’ che
da lui si genera. Studiare le sensazioni dell’alpinista oltre allo spirito
dell’avventura della scoperta, della sfida e della conquista, è respirare con
lui, e cogliere in questa percezione della realtà un diverso aspetto della sua
dimensione, e con essa l’anima e la coscienza. Nel momento in cui si appresta a
questa discesa verso i primordi della vita. Non dobbiamo considerare la
percezione ottenuta e descritta quale unica entità psicologica legata al
concetto proprio di salita, la natura si nasconde di nuovo e con essa (una
nuova) la verità, la discesa lenta e graduale verso il primo sé antico e imperscrutabile
dei tanti sentimenti senza parole, di una nascita in seno all’Universo e alla
terra da lui generato.
L’essere è provvisto di vita affinché
attraverso lui continui il percorso evolutivo da una forma primordiale, fino
all’apparente perfezione dell’attuale, esprimendo la volontà stessa della
vetta. In noi ci sono tutte le vite passate in relazione con ogni elemento
esterno che le ha caratterizzate, compreso il rapporto accentuato con quel
mondo animale di cui alcuni miei fedeli compagni ne rappresentato gli aspetti
più interessanti. Nel momento in cui riesco a liberare in loro tutti quegli
istinti di addomesticazione che gli abbiamo impartiti per secoli. Per cui essi
tornano ad essere quello che erano, compagni di caccia liberi nelle scelte, e di
nuovo autosufficienti per il proprio fabbisogno. Esaminare quegl’uomini in
vetta, ora che sto ammirando queste cattedrali, forme contorte del nostro
passato remoto, non è opera di erudizione da bibliofilo e appassionato di
montagna, ma uno scavare nelle viscere della terra attraverso tutti i pensieri
che sono anche nostri, nel senso che ci sono appartenuti milioni di anni fa’.
Di nuovo cerco di coprire il cammino nella soffice simmetria di questa neve, e
lasciare il riflesso di immagini che sono ‘il Tempo’,‘nel Tempo’.
(G. Lazzari, Il Viaggio)
Come l’artista scavo la pietra,
animo la scultura della mia illusione
scolpita nel principio di una diversa
passione.
La pietra è più dura di ogni cuore
che incontra la mia penna,
la dura pena per ogni tortura
ombra del loro Dio.
Perché raccontano
che è la più bella visione,
Madonna che aspetta la sua offerta,
con il bambino gravido e senza rancore. (1)
Era la nostra Dèa nel principio,
prima del libro del profeta,
le hanno rubato anche il sorriso,
acqua di torrente che sgorga
nella mente.
Mentre Cibele semina il campo
del mio paradiso,
dove coltivo con solo il sorriso,
il frutto proibito tributo
per un nero aguzzino.
Cui debbo anche il dolce vino,
dona l’ebbrezza e la comprensione,
una penna che incide la dura pietra
divenuta passione.
Rito nuovo come sangue che sgorga
da una ferita della nuda terra. (2)
Scavo nella memoria,
scavo la zolla,
scrivo con l’aratro il sogno nascosto
confuso con il peccato.
La pietra assume visione
di un altro Dio,
per tanti è solo un caprone
mal scolpito.
La pietra mi racconta
un’altra visione,
coniato nel profilo di una moneta,
nella giara antica dove la tomba
l’ha restituita.
Racconta un diverso amore
e la terra di un altro colore.
Racconta la gloria di un altro peccato,
racconta la storia di un altro Dio,
forma la statua di un altro oracolo.
Racchiuso nella pergamena di un filosofo,
raccolto dalla parola di un’astronomo,
raccontato per bocca di uno storico,
intuito dalla mente di un matematico. (3)
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