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L'Imperatore Eretico (18)
Prosegue in:
L'odiato nemico 'barbone' (20)
“Verba vana aut risui apta non loqui!”.
Ci voltammo.
Chi aveva parlato era un monaco curvo per il peso degli anni, bianco
come la neve, non dico solo il pelo, ma pure il viso, e le pupille.
Mi avvidi che era cieco.
La voce era ancora maestosa e le membra possenti anche se il corpo era
rattrappito dal peso dell’età. Ci fissava come se ci vedesse, e sempre anche in
seguito lo vidi muoversi e parlare come se possedesse ancora il bene della
vista. Ma il tono della voce era invece di chi possieda solo il dono della
profezia.
“L’uomo venerando d’età e sapienza che vedete”,
disse Malachia a Guglielmo indicandogli il nuovo venuto,
“è Jorge da Burgos. Più vecchio di chiunque viva nel monastero, salvo Alinardo
da Grottaferrata, egli è colui a cui moltissimi tra i monaci affidano il carico
dei loro peccati nel segreto della confessione”.
Poi, volgendosi al vegliardo:
“Quello che sta davanti a voi è frate Guglielmo da Baskerville, nostro
ospite”.
“Spero che non vi siate adirato
per le mie parole”.
disse il vecchio in tono brusco.
“Ho udito persone che ridevano su cose risibili e ho ricordato loro uno
dei principi della nostra regola. E come dice il salmista, se il monaco si deve
astenere dai discorsi buoni per il voto di silenzio, a quanto maggior ragione
deve sottrarsi ai discorsi cattivi. E come ci sono discorsi cattivi ci sono immagini
cattive.
…E sono quelle che mentono circa la forma della creazione e mostrano il
mondo al contrario di ciò che deve essere, è sempre stato e sempre sarà nei
secoli dei secoli sino alla consunzione dei tempi. Ma voi venite da altro
ordine, dove mi dicono è vista con indulgenza anche la giocondità più inopportuna”.
Alludeva a quanto tra i benedettini si diceva delle bizzarrie di santo
Francesco di Assisi e forse anche delle bizzarrie attribuite a fraticelli e
spirituali d’ogni sorta, che dell’ordine francescano erano i più recenti e
imbarazzanti germogli. Ma frate Guglielmo fece mostra di non raccogliere l’insinuazione.
“Le immagini marginali inducono sovente al sorriso, ma per fini di edificazione”,
…rispose.
“Come nei sermoni per toccare l’immaginazione delle pie folle occorre
inserire exempla, non di rado faceti, così anche il discorso delle immagini deve
indulgere a queste nugae. Per ogni virtù e per ogni peccato c’è un esempio
tratto dai bestiari, e gli animali si fanno figura del mondo umano”.
“Oh sì,”
motteggiò il vecchio, ma senza sorridere,
“ogni immagine è buona per invogliare alla virtù, perché il capolavoro
della creazione, messo a capo in giù, diventi materia di riso. E così la parola
di Dio si manifesta attraverso l’asino che suona la lira, l’allocco che ara con
lo scudo, i buoi che si attaccano da soli all’aratro, i fiumi che risalgono le correnti,
il mare che s’incendia, il lupo che si fa eremita!
Cacciate la lepre col bue, fatevi insegnar grammatica dalle civette, che
i cani morsichino le pulci, gli orbi guardino i muti e i muti domandino pane,
la formica partorisca un vitello, volino i polli arrosto, le focacce crescano
sui tetti, i pappagalli tengano lezione di retorica, le galline fecondino i
galli, mettete il carro avanti i buoi, fate dormire il cane nel letto e tutti camminino
a testa in giù!
Cosa vogliono tutte queste nugae?
Un mondo inverso e opposto a quello stabilito da Dio, sotto pretesto di
insegnare i precetti divini!” [come
quella bestia che rinnegò da Apostata il nostro credo pur venendo dalla nostra
comune Storia…].
“Ma l’Areopagita insegna”,
…disse umilmente Guglielmo,
“che Dio può essere nominato solo attraverso le cose più difformi [e altresì ‘incomprensibili’ o
apparentemente ‘avverse’ ‘opposte’ al corso del Tempo da Lui nella materia
creato].
E Ugo di San Vittore ci ricordava che quanto più la similitudine si fa
dissimile, tanto più la verità ci è rivelata sotto il velame di figure orribili
e indecorose, tanto meno l’immaginazione si placa nel godimento carnale ed è
obbligata a cogliere i misteri che si celano sotto la turpitudine delle
immagini...”.
“Conosco l’argomento! E ammetto con vergogna che è stato l’argomento principe
del nostro ordine, quando gli abati cluniacensi si battevano contro i
cistercensi. Ma san Bernardo aveva ragione: a poco a poco l’uomo che
rappresenta mostri e portenti di natura per rivelare le cose di Dio per speculum et in aenigmate, prende gusto
alla natura stessa delle mostruosità che crea e si diletta di quelle, e per
quelle, né vede più che attraverso quelle. Basta che guardiate, voi che avete ancora la vista, ai capitelli del
vostro chiostro”,
e accennò con la mano fuori dalle finestre, verso la chiesa,
“sotto gli occhi dei frati intenti alla meditazione, cosa significano
quelle ridicole mostruosità, quelle deformi formosità e formose difformità? Quelle
sordide scimmie? Quei leoni, quei centauri, quegli esseri semiumani, con la
bocca sul ventre, un piede solo, le orecchie a vela? Quelle tigri maculate,
quei guerrieri in lotta, quei cacciatori che soffiano nel corno, e quei molti
corpi in una sola testa e molte teste in un solo corpo? Quadrupedi con la coda
di serpente, e pesci con la testa di quadrupede, e qui un animale che davanti
pare un cavallo e dietro un caprone, e là un equino con le corna e via via,
ormai è più piacevole per il monaco leggere i marmi che non i manoscritti, e
ammirare le opere dell’uomo anziché meditare sulla legge di Dio. Vergogna, per
il desiderio dei vostri occhi e per i vostri sorrisi!”.
Il gran vecchio si fermò ansimando.
E io ammirai la vivida memoria con cui, forse cieco da tanti anni,
ancora rimemorava le immagini della cui turpitudine ci parlava. Tanto che sospettai
che esse lo avessero molto sedotto quando le aveva viste, se sapeva descriverle
ancora con tanta passione. Ma mi è sovente accaduto di trovare le
rappresentazioni più seducenti del peccato proprio nelle pagine di quegli
uomini di incorruttibile virtù che ne condannavano il fascino e gli effetti. Segno
che questi uomini sono mossi da tale ardore di testimonianza della verità che
non esitano, per amor di Dio, a conferire al male tutte le seducenze di cui si
ammanta, per render meglio gli uomini edotti dei modi con cui il maligno li
incanta. E di fatto le parole di Jorge mi stimolarono una gran voglia di vedere
le tigri e le scimmie del chiostro, che non avevo ancora ammirato [così come in seguito - in medesima ugual
simmetria - nel desiderio della conoscenza rilevata e rivelata la segreta
Dinastia che come un Araldo d’una ugual segreta genetica o genealogia venne
cancellata dalla storia e al suo posto una falsa Eresia…].
Ma Jorge interruppe il corso dei miei pensieri perché riprese, con tono
meno eccitato, a parlare.
“Nostro Signore non ha avuto bisogno di tante stoltezze per indicarci
la retta via. Nulla nelle sue parabole muove al riso, o al timore. Adelmo
invece, che ora piangete morto, godeva talmente delle mostruosità che miniava,
che aveva perduto di vista le cose ultime di cui dovevano essere figura
materiale. E ha percorso tutti, tutti dico”,
e la sua voce si fece solenne e minacciosa,
“i sentieri della mostruosità. Onde Dio sa punire”.
Scese un pesante silenzio sui presenti.
Ardì di romperlo Venanzio da Salvemec.
“Venerabile Jorge”,
…disse,
“la vostra virtù vi rende ingiusto…
Due giorni prima che Adelmo morisse voi eravate presente a un dotto
dibattito che ebbe luogo proprio qui nello scriptorium.
Adelmo si preoccupava che l’arte sua, indulgendo a rappresentazioni bizzarre e fantastiche,
fosse tuttavia intesa alla gloria di Dio, strumento di conoscenza delle cose
celesti. Frate Guglielmo citava poco fa l’Areopagita, sulla conoscenza per difformità.
E Adelmo citò quel giorno un’altra altissima autorità, quella del dottore d’Aquino,
quando disse che conviene che le cose divine siano esposte più in figura di corpi
vili che in figura di corpi nobili. Prima perché è più facilmente liberato l’animo
umano dall’errore; è chiaro infatti che certe proprietà non possono essere attribuite
alle cose divine, ciò che sarebbe dubbio se queste fossero indicate con figure
di nobili cose corporee.
In secondo luogo perché questo modo rappresentativo più si conviene
alla conoscenza che di Dio abbiamo su questa terra: egli ci si manifesta
infatti più in quello che non è che in quello che è, e perciò le similitudini
di quelle cose che più si allontanano da Dio ci portano a una più esatta
opinione di lui, perché così sappiamo che egli è al di sopra di ciò che diciamo
e pensiamo.
Terzo luogo perché così sono meglio celate le cose di Dio alle persone indegne.
…Insomma, si trattava quel giorno di capire in che modo si possa
scoprire la verità attraverso espressioni sorprendenti, e argute, ed
enigmatiche. E io gli ricordai che nell’opera del grande Aristotele avevo
trovato parole assai chiare a questo riguardo...”.
“Non ricordo”,
..interruppe seccamente Jorge,
“sono molto vecchio!
Non ricordo!
Posso avere ecceduto in severità!
Ora è tardi, debbo andare”.
“E’ strano che non ricordiate”,
insistette Venanzio,
“fu una dotta e bellissima discussione, in cui intervennero anche
Bencio e Berengario. Si trattava di
sapere infatti se le metafore, e i giochi di parole, e gli enigmi (della
Storia), che pure paiono immaginati dai poeti [quanto da Cesari - per puro diletto e credo - per amor di medesimo Dio
venerato e giammai perseguitato e nei Secoli similmente ‘pregato’ senza volontà
d’oltraggio ma nello Spirito della Memoria tollerata e ‘legiferata’ e da tutti
ugualmente celebrata - sia nel Tempio di una Gerusalemme deicida del proprio
Dio - che all’altare di un diverso Olimpo… - ma quantunque in medesima ricerca
e umile pretesa in nome e per conto d’un Superiore Spirito…], non inducano
a speculare sulle cose in modo nuovo e sorprendente, e io dicevo che anche questa
è una virtù che si richiede al saggio... E c’era anche Malachia...”.
“Se il venerabile Jorge non ricorda, abbi rispetto per la sua età e per
la stanchezza della sua mente... peraltro sempre così viva”,
…intervenne qualcuno dei monaci che seguivano la discussione.
La frase era stata pronunziata in modo agitato, almeno all’inizio,
perché chi aveva parlato, accorgendosi che per invitare al rispetto del
vecchio, di fatto ne metteva in luce una debolezza, aveva poi rallentato l’impeto
del proprio intervento, finendo quasi in un sussurro di scusa.
A parlare era stato Berengario da
Arundel, l’aiuto bibliotecario.
Era un giovane dal volto pallido, e osservandolo mi ricordai della definizione
che Ubertino aveva dato di Adelmo: i suoi occhi parevano quelli di una donna
lasciva. Intimidito dagli sguardi di tutti che ora si posavano su di lui,
teneva le dita delle mani allacciate come chi voglia reprimere un’interna
tensione.
Singolare fu la reazione di Venanzio.
Guardò Berengario in modo tale che quello abbassò gli occhi:
“Va bene fratello”,
…disse,
“se la Memoria è un dono di Dio anche la capacità di dimenticare può
essere molto buona, e va rispettata. Ma la rispetto nell’anziano confratello a
cui parlavo. Da te mi attendevo un ricordo più vivo intorno alle cose accadute
quando stavamo qui, insieme con un tuo carissimo amico...”.
…Non potrei dire se Venanzio avesse calcato il tono sulla parola “carissimo”.
Sta di fatto che avvertii un’atmosfera di imbarazzo tra gli astanti.
Ciascuno volgeva l’occhio da una parte diversa e nessuno lo dirigeva su
Berengario, che era arrossito violentemente.
Intervenne subito Malachia, con autorità:
“Venite, frate Guglielmo”,
…disse,
“vi mostrerò altri libri interessanti”.
Il gruppo si sciolse.
Scorsi Berengario lanciare a Venanzio uno sguardo carico di rancore, e Venanzio
rispondergli del pari, con muta sfida. Io, vedendo che il vecchio Jorge si
stava allontanando, mosso da un senso di rispettosa reverenza, mi chinai a
baciargli la mano. Il vecchio ricevette il bacio, posò la mano sul mio capo e domandò
chi fossi. Quando gli dissi il mio nome il suo volto si rischiarò.
“Porti un nome grande e bellissimo”,
disse.
“Sai chi fu Adso da Montier-en-Der?”.
…domandò.
Io, lo confesso, non lo sapevo.
Così Jorge soggiunse:
“Fu l’autore di un libro grande e tremendo, il Libellus de
Antichristo, in cui egli vide cose che sarebbero accadute, e non fu
ascoltato abbastanza”.
“Il libro fu scritto prima del millennio”,
disse Guglielmo,
“e quelle cose non si sono
avverate...”… [Ma posso ora aggiungere e
pensare in questa Disquisizione fra veri saggi Filosofi che ben altri eventi -
in nome di un Dio (erroneamente) pregato nei principi in difetto d’una vera
corretta universale interpretazione qual indiscussa ‘equazione’… si son rivelati
e raccolti… E certo non nell’editto della pura fratellanza o teologica-tolleranza
opposta ad ogni ‘antico e nuovo’ (scientifico) manuale dell’Inquisitore
(adottato); e questa - cari dotti lettori - è pur sempre Memoria celebrata
anche se la vecchiaia della Storia si palesa nella propria ed altrui ‘ceca
ignoranza’ la qual giustifica ciclica indotta dilettevole difettevole ‘materia’
nonché dotta distinta intolleranza accompagnata da ‘fratello’ abominio in onor
di qualsivoglia Dio, e questi chiamato in causa non può che palesare il proprio
ed altrui dissenso negli innumerevoli Dèi e/o Elementi all’opposto - come poco
fa detto ed appena disquisito…. Palesando, in verità e per il vero, l’uomo in
difetto della propria ed altrui Ragione rendendolo al di sotto dell’Animale (o della
Bestia coniata e incisa) con cui ‘minia’ il dotto suo saggio ed altrui Tomo… e
con cui vorrebbe edificare la Biblioteca della Memoria in difetto proprio di
quella…]
“Per chi non ha occhi per vedere”,
…disse il cieco.
“Le vie dell’Anticristo sono lente e tortuose. Egli arriva quando noi
non lo prevediamo, e non perché il calcolo suggerito dall’apostolo fosse
errato, ma perché noi non ne abbiamo appreso l’arte”.
Poi gridò, ad altissima voce, il
volto verso la sala, facendo rimbombare le volte dello scriptorium:
“Egli sta venendo!
Non perdete gli ultimi giorni ridendo sui mostriciattoli dalla pelle
maculata e dalla coda ritorta!
Non dissipate gli ultimi sette giorni!”.
Ed a quel punto giunte le sue parole udimmo (in questo secolo) un
tremore lento della Terra intera….
(U. Eco)
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