giuliano

mercoledì 29 agosto 2018

LA GOVERNANTE ROSSA (& brevi racconti dal Caucaso ovvero pensieri circa gli errori di questa vita…) (33)




















Precedenti capitoli:

La Governante di Hitler (32)

Prosegue in:

Il 'Governatore' Universale (34)














Eppur l’ho brevemente anticipato che alla fine - o per via della Storia - circa la reale discendenza - o per amor Bibliografico e tollerante rinnovato patto di non commettere vecchi errori del passato – ci siamo (ri)trovati  accompagnati e riparati fin nelle 'nuove' Montagne del Caucaso…

…Non si sta proprio tanto male sicché vi narro la premessa con Epilogo d’una strana avventura (che ci accomuna) d’una vita intera che può anche far sorridere accompagnata dalla satira che ci unisce e confina fin quassù nel freddo caucasico massiccio… e nella Fuga ci rende perfetti ‘compagni’ d’avventura nella sofferta salita per ogni Cima…

…L’Epilogo detto nasce in concomitanza d’una futura dittatura, cioè, da una fuga sino ad un medesimo intollerante regime, giacché l’esperienza che ci accomuna nel frettoloso Passo fa sorgere una Trama ove la delirante scelta derivata (o ancor peggio ‘calcolata’ giacché vittima della propria natura) d’ogni popolo confinato e approdato alla sponda opposta del torrente superato in ‘piena’ del silente rumoroso fragore dalle alte nevi e ghiacci della Vetta cui nei rifugi albergano gli opposti Elementi di cui la Terra – confinano ogni turista come l’intero Popolo che l’attraversa ben fermo con l’illusoria sensazione di aver conquistato il Passo d’una nuova Cima… Ma in verità e per il vero, ben ancorati alla riva d’una simmetrica Natura cui la strana scelta (derivata) della Vita impone comunque e sempre un sofferto improprio ‘calvario’, improprio Sentiero alieno alla Vera Genesi cui ognuno appartiene per propria evoluta nobile discendenza e libera… Statura o fors’anche Elevatura…

  …Il destino nacque dal ‘pasto’ ad ognun offerto all’Alba d’uno strano mattino - il pasto non men del passo derivato spesso negato a chi addita i difetti e gli oltraggi della Vita - e questi - pensando di esserlo - dispensare il peggior principio a cui ci siamo sottratti cercando diverso antidoto fin quassù alla alte Terre del Caucaso…




…Il nostro acuto osservatore (quello dell’osservatorio della cima o vetta che sia) commise talvolta degli errori anche con le sue iperboli, e c’era sempre qualche lettore attento che lo coglieva in fallo.

In uno dei suoi begli articoli, ad esempio, Roth scrisse una volta:

‘Milioni di orologi batterono le dodici’.

Un lettore preciso gli fece notare:

‘Egregio signor Roth, io l'amo particolarmente. Ma sulle torri e i campanili del mondo intero non ci sono milioni di orologi’.

Un’altra volta Roth scrisse:

‘Milioni di allodole trillano’.

Un altro lettore preciso scrisse:

‘Caro signor Roth, non esistono milioni di allodole’.

Non so se questo lettore avesse ragione. Però ricordo che Roth rispose a entrambi in maniera non proprio gentile:

‘Devo avere moltiplicato il numero degli orologi e delle allodole per il numero di pensieri che vi procurano i miei errori’.




Roth finì nei guai anche in un’altra occasione.

L’edizione  domenicale della ‘Frankfurter Zeitung’ conteneva una pagina turistica, per la quale tutti noi ogni tanto scrivevamo un articolo. Roth, che per le sue collaborazioni alla terza pagina doveva viaggiare più degli altri, ebbe un giorno l’idea di un reportage sulla cultura della ‘prima colazione’ nei diversi paesi.

Suppongo che si rendesse perfettamente conto di quel che faceva quando dichiarò che la peggiore colazione d’Europa era quella servita dalla governante tedesca negli alberghi tedeschi e non.

Immensa fu la conseguente ondata di sdegno.

Ad inviare indignate proteste al giornale non furono soltanto singoli hotel: contro Joseph Roth si scagliò l’Associazione degli albergatori tedeschi altoatesini e quelli del vecchio Regno Austroungarico della alta e bassa bergamasca in Italia, e i cui dirigenti minacciarono naturalmente anche di boicottare la ‘Frankfurter Zeitung’, e stavolta sembrava che per Roth ci fosse ben poco da ridere.

Il giornale notoriamente non aveva un caporedattore. Era diretto da un comitato di redazione che si riuniva ogni giorno alle otto del mattino. Il caso fu naturalmente dibattuto per decidere in che modo affrontare questa campagna. I membri del comitato erano già sul punto di affidarsi, come in altre occasioni, all’arbitrato di Rudolf Geck, di cui conoscevano le capacità diplomatiche, quando all’ultimo momento venne in mente all’editore Heinrich Simon di domandare quanti albergatori fossero abbonati al giornale. Una telefonata agli uomini dell’amministrazione, ed ecco la risposta:

“ottocento alberghi”.




‘Come?’

disse Heinrich Simon.

‘Solo ottocento? Per così pochi non stiamo a scomodare il buon Geck’. Sarà Roth stesso a risolvere la questione. Deve rispondere con un articolo, e che sia al vetriolo, se ne ha voglia’.

A Roth non si sarebbe potuto fare un piacere maggiore.

Si mise alla scrivania e buttò giù la risposta. Non sono più in grado, naturalmente, di citarne il contenuto. Terminava con la minaccia che la ‘Frankfurter Zeitung’ avrebbe boicottato gli alberghi ed esaminato ancora più dettagliatamente le loro prime colazioni.

Non credo che le cronache registrino una capitolazione più rapida. La gioia maggiore, naturalmente, la ricavò il nostro caro Joseph Roth.

…Pensavamo la partita vinta ma a quelli si allearono gli Inglesi e con loro gli Americani che già da allora rifornivano gli stessi calunniati ed offesi albergatori (e non solo quelli…) accompagnati dalle loro Governanti così non rimasero che le tempestose fredde alte cime del Caucaso…




…La fuga iniziò nei pressi di Kiev, in marcia verso il Caucaso… Portava una stella rossa, aveva gli stivali laceri! Non sapeva ancora se era davvero innamorato ciò che aveva lasciato. Ma per antica consuetudine le giurò, un giorno, fedeltà. Incontrò in lei resistenza a ogni forma di Poesia e sentì il crollo di leggi eterne…

‘Non ti lascerò mai’

diceva Franz Tunda…

‘Ti pianterò!’,

rispondeva la ragazza…

La chiamavano Natasa, era la figlia di un orologiaio e di una contadina, s’era sposata presto con un francese, fabbricante di profumi, e dopo un anno aveva già divorziato. Aveva ora 23 anni. A volte il suo viso si trasformava: la sua fronte convessa era percorsa da tante piccole rughe, le brevi forti sopracciglia si contraevano, la pelle delicata del naso si tendeva sopra l’osso, le narici si restringevano, le labbra, sempre rotonde e semiaperte premevano l’una contro l’altra come due nemici accaniti, il collo si protendeva come un animale alla cerca. Le sue pupille, di solito brune, rotonde, esili anelli dorati, diventavano ovali verdi e sottili tra le palpebre contratte, come lame nel fodero.

Non voleva saperne della sua bellezza, si ribellava (nascondendo e celando ogni Sentiero…) contro se stessa, riteneva la sua ‘naturale femminilità’ una ricaduta nella concezione borghese della Vita e l’intero sesso femminile delle altre che compongono la Genesi della sua bellezza un residuo ingiustificato di un mondo vinto, agonizzante. Era più coraggiosa di tutta la truppa maschile in mezzo alla quale combatteva. Non sapeva che il coraggio era la virtù delle Vette e la paura la saviezza degli uomini. Non sapeva neppure che tutti quegli uomini erano suoi buoni commilitoni solo perché… l’amavano anche per la sua ruvida bellezza… Non sapeva che gli uomini erano pudichi e si vergognavano di aprire il loro cuore. Non si era messa con nessuno; non si era accorta dell’amore di nessuno di loro perché era più borghese di quanto non potesse ammettere.




Gli uomini del suo gruppo erano marinai, contadini, allevatori, operai, senza istruzione e innocenti come bestie ed animali! Tunda accompagnato dal suo amico era il primo uomo di condizione borghese. Si mise subito con lui. Non sospettò che fosse un’evidente ricaduta nel mondo borghese. Riconosceva il suo orizzonte borghese. Si propose di fare di quel materiale un rivoluzionario, un ‘carbonaio’, un ‘anarchico’… Non sapeva che poteva riuscirle solo perché sia lei sia lui, anche in mezzo agli altri, vivevano in un’isola inaccessibile e, malgrado le loro diverse convinzioni, si capivano al volo.

Natasa s’innamorò di Tunda, in piena regola, secondo tutte le leggi dell’amore, da lei combattute, del vecchio mondo da lei rinnegato. Per questo diceva:

‘Ti pianterò’…

E non sapeva mentire.

Tunda giurò dapprima eterno amore con la sicurezza di tutti gli uomini superficiali cui sono toccate in sorte molte donne sagge. Poi la resistenza programmatica e insincera, ma sconcertante, della donna e la sua rinuncia consapevole, brusca, per lui così insolita, a tutte le amenità della seduzione maschile lo fecero innamorare – per la prima volta nella sua vita.

Solo allora la prima sua fidanzata svanì, e con lei l’intera vita precedente. Il suo passato somigliava ad un paese abbandonato per sempre, dove aveva trascorso anni insignificanti. La fotografia della sua ‘fidanzata’ era un ricordo, come la cartolina illustrata di una strada in cui una volta abitavano, il suo nome precedente, nel documento autentico, come una scheda dell’ufficio anagrafico, conservata solo per amore dell’ordine…




Ed assieme Tunda il Principe e la loro comune fidanzata riuscivano a distribuire bene le ore della giornata, a conciliare il cameratismo con le gioie dell’amore e quest’ultime con i doveri della lotta!

‘Alle unidici e mezzo avanziamo’,

diceva a Tunda…

‘ora sono le nove. Mangiamo fino alle nove e mezzo, tu tracci la pianta per Andrej, alle dieci avrai finito, fino alle undici e mezzo possiamo fare l’amore, se non temi poi d’esser stanco. A me non fa proprio niente!’,

…aggiungeva con un lieve sarcasmo, convinta di aver ancora una volta dimostrato la sua virile superiorità. Restava sveglia e controllava i suoi godimenti come una sentinella i rumori della notte. L’amore fisico era un’esigenza della natura. Natasa elevò l’amore quasi ad un dovere rivoluzionario ed ebbe d’ora in avanti la coscienza tranquilla.

Tunda aveva sempre immaginato così le donne soldato.




Quella donna pareva uscita dai libri, ed egli si consacrò alla sua esistenza, avallata dalla letteratura, con l’ammirazione e l’umile fedeltà di un uomo che per false tradizioni vede una donna decisa un’eccezione, e non la regola.

Divenne un rivoluzionario, amò Natasa e la rivoluzione.

Molte ore del giorno Natasa le dedicava ad ‘illuminare politicamente’ lui e gli altri uomini a dare a Tunda speciali ‘ripetizioni’, perché della rivoluzione lui capiva meno degli operai e dei contadini. Ci volle molto tempo prima che alla parola ‘proletariato’ perdesse l’abitudine di pensare al giovedì santo. Era in piena rivoluzione e ancora si meravigliava che non ci fossero le barricate. Quando una volta i suoi uomini - perché li comandava - cantarono l’Internazionale, egli si alzò con la coscienza sporca di un traditore, gridò evviva con l’imbarazzo di un estraneo, di un ospite che, capitato in visita per caso, è costretto a partecipare ad una festa.

Ci volle molto tempo prima che perdesse l’abitudine di trasalire quando i suoi commilitoni lo chiamavano ‘compagno’. Lui preferiva chiamarli per nome, e in un primo tempo destò dei sospetti.

‘Siamo nella prima fase della Rivoluzione Mondiale’,

diceva Natasa in ogni ora di ripetizione.




‘Gli uomini come te fanno ancora parte del vecchio mondo, ma possono esserci molto utili. Per questo ti portiamo con noi. Tu tradisci la classe borghese a cui appartieni, tu sei per noi il benvenuto. Si potrà fare di te un rivoluzionario, ma resterai sempre un ‘nobile’ borghese. Sei stato lo strumento più micidale in mano alla classe dominante, hai oppresso il proletariato, avrebbero dovuto ammazzarti. Ma qui sta la generosità del proletariato! Riconosce che ti intendi un po’ di tattica, ti perdona, si lascia persino guidare da te’.

‘Ma io lo guido solo per te – perché ti amo’…

…diceva Tunda nel suo modo antiquato.

‘l’amore! L’amore!’…

Gridava Natasa.

‘Raccontalo alla tua fidanzata! Io disprezzo il tuo amore. Che vuol, dire? Non sai nemmeno spiegarlo. Hai sentito una parola, l’hai letta nelle poesie e nei vostri libri bugiardi, nelle vostre riviste per buone famiglie! L’amore l’avete magnificamente organizzato! Qui avete la casa dove abitate, là la fabbrica o la bottega del droghiere, dall’altra parte la caserma, accanto il bordello e in mezzo il pergolato. Fate come se fosse la cosa più importante del vostro mondo, vi depositate strato su strato tutto quanto c’è in voi di nobile, di sublime, di gentile, e tutt’intorno c’è posto per la vostra volgarità. I vostri scrittori sono ciechi o corrotti, credono a quel vostro edificio, parlano di sentimenti invece che di affari, di cuore invece che di denaro, descrivono i quadri preziosi alle pareti e non i conti in banca’.

‘Io ho letto solo romanzi ‘gialli’ interveniva Tunda timidamente’.

‘Già i romanzi ‘gialli’! Dove la polizia vince e lo scassinatore finisce in prigione, oppure lo scassinatore vince solamente perché è un gentiluomo, piace alle donne e porta il frac. Se stai con noi solo per me, ti ammazzerò’…

…diceva Natasa…

‘Si solo per te mia amata Natasa e compagna!,

diceva Tunda…

Lei tirava un lungo sospiro e lo lasciava in vita…


(J. Roth)   













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