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Siamo tutti dei 'poveri' cretini (30)
Prosegue in:
La 'governante' di Hitler (32)
....In questo
caso sembrerebbe giusto premiare l’intraprendenza e penalizzare l’inerzia.
Oppure il gioco è truccato, cioè alcuni dei contendenti hanno chance incalcolabilmente
migliori di altri grazie alla loro origine sociale, al loro grado di istruzione
e alle maggiori risorse di cui dispongono?
In questo
caso il diritto universale alla libertà va difeso correggendo la sperequazione delle
opportunità.
Il sogno del
libero mercato concepisce tutti i soggetti coinvolti in processi economici come
ugualmente liberi e ugualmente capaci di perseguire i propri interessi materiali,
e quindi di prendere decisioni ponderate. Un altro dei presupposti è l’idea che
quelle decisioni siano sempre decisioni razionali, finalizzate al proprio
personale tornaconto. Come in de Mandeville, sono le api più ingegnose e astute
a imporsi, vivendo nel lusso e dando da mangiare a migliaia di compagne con i
loro eccessi e le loro abitudini decadenti.
L’idea che
la libertà dell’essere umano si potesse definire in termini puramente economici
è nata in parallelo a quella di una libertà incondizionata di ordine etico. Al
crollo delle grandi ideologie messianiche del XX secolo quella concezione
economicista della libertà è sembrata la candidata migliore per colmare il
vuoto lasciato dall’implosione di più di un grande modello di trascendenza. Il ‘Mercato’
era il sostituto ideale di Dio, dello Spirito e del Progresso. Da un lato, statistiche
e dividendi alla mano, è riuscito ad ammantarsi di un’aura di fattualità e neutralità
scientifica al di qua di ogni ideologia; dall’altro le sue dinamiche sono sufficientemente
opache da rendere possibile una messa in scena spettacolare. I suoi misteriosi
capricci vanno decifrati, tanto che un’intera casta di profeti e auguri, più potente
di qualunque clero, vive lautamente della loro interpretazione.
Tendiamo a parlare
dei mercati come di remote divinità, inquiete, apatiche o iperattive a seconda dei
casi. Sacrifichiamo esseri umani sull’altare della crescita economica. Nel XVII
secolo correva voce che il potere statale fosse stato accaparrato da una
congiura di preti e magistrati. Oggi, invece, sono gli economisti a saziare la nostra
fame di trascendenza.
Sia fatta la
volontà del mercato!
Già nel 1944
Karl Polanyi metteva in guardia dalla tentazione di considerare la società come
una mera appendice dell’economia. All’epoca poteva sembrare un’idea eccentrica,
ma oggi quello scompenso è diventato la nostra realtà. È sorprendente quanta
criptoteologia si nasconda nel modello in apparenza scientifico del libero mercato.
Forse è ingiusto coinvolgere Giovanni Calvino in un dibattito scatenatosi a
secoli dalla sua morte, e del quale il riformatore religioso non poteva
immaginare nulla, ma l’esaltazione della ricchezza e della riuscita economica,
il più volgare e il più trasparente tra i sottoprodotti sociali del nostro ipereconomicismo,
ha moltissimo in comune con la dottrina calvinista della predestinazione, come
abbiamo già osservato.
Dio
stabilisce a propria discrezione chi merita la grazia e chi no, e la ricchezza è
un segno di elezione.
La ricchezza
è una virtù e la povertà un vizio.
Peggio
ancora: la povertà è assenza di grazia divina, e come tale è una sciagura senza
alcun rimedio. Dio ha volto le spalle alle classi più deboli…
Argomenti
che avrebbero quasi certamente sconvolto Gesù
di Nazareth, ma rivelatisi quanto mai influenti nella storia, tanto da determinare
ancora oggi l’epoca in cui viviamo. I risvolti religiosi della dottrina del libero
mercato emergono anche da altri aspetti, a partire dall’idea che un mercato
veramente libero sarebbe in grado di creare libertà e difenderla in virtù di una
dinamica puramente intrinseca. Già Marx, negli ultimi anni, aveva capito che senza
una forma di regolamentazione i mercati tendono al monopolio. A lungo andare la
favoleggiata concorrenza tra infiniti soggetti che si incitano l’un l’altro a innovare e abbassare i prezzi lascia
il posto a una sola scelta, quella tra Microsoft e Apple.
Già nel XVIII
secolo Adam Smith ammetteva implicitamente la propria incapacità di dimostrare
quel dogma quando adduceva l’idea che per ragioni non meglio precisate una ‘mano
invisibile’ avrebbe corretto le asimmetrie del mercato. Un corrispettivo economico
del deus ex machina che nel teatro
barocco spuntava dal nulla per sciogliere arbitrariamente una situazione senza
via di scampo.
Il mito del
libero mercato non risente soltanto della dottrina calvinista della predestinazione
e del dogma della provvidenza: anche il presupposto della razionalità di tutti
gli attori è tanto indimostrabile quanto intriso di religione.
Nel XVII
secolo il problema ha visto contrapporsi cartesiani e spinoziani: siamo esseri
per definizione razionali oppure veniamo mossi e dominati dalle nostre
passioni?
Il principio
dell’autoregolamentazione dei mercati è fondato sul presupposto che gli esseri umani,
in ultima analisi, agiscano nel nome di interessi economici razionali. Come se
le nostre motivazioni non fossero legate a bisogni sessuali, paure e istinti
gregari, ma ciascuno dei nostri comportamenti funzionasse come la scelta di una
carriera o un esame comparativo dei prezzi. In base a principi del genere, per
esempio, avere figli sarebbe la decisione più stupida. In termini di mercato i
figli rendono i genitori più poveri, più vulnerabili e meno liberi di scegliere
in modo indipendente e flessibile. Intesi come una condotta economica, i figli
sono una catastrofe.
Ma allora perché
a ogni nuova generazione scegliamo di riprodurci?
Perché non
siamo creature innanzitutto razionali!
Perché molto
spesso le grandi decisioni della vita hanno poco o nulla a che vedere con vantaggi
monetizzabili.
L’idea che l’essere
umano sia un soggetto innanzitutto razionale si può vedere come una ripresa di
alcuni temi del pensiero illuminista; se intesa come fondamento di una teoria empirica
del consorzio umano, però, non può reggere alla prova dei fatti. Le possibili
interpretazioni dei concetti liberali fondamentali, cioè la libertà e i diritti
umani, coprono uno spettro molto ampio: dall’ ‘emancipazione del proletariato’
in Urss e in Cina al dominio del ‘libero mercato’. Non di rado sono stati
investiti di accenti religiosi e sottintesi politici. Gli ideali illuministi
hanno perso la loro innocenza. Si sono piegati a compromessi, e molti, forse troppi,
sono stati deformati e invocati a sproposito, molte, troppe volte. Eppure l’intuizione
alla loro base, l’idea che tutti gli esseri umani nascano uguali, è stata l’innovazione
di maggiore portata nella storia del pensiero sociale. Prendendo le mosse dall’esperienza
concretamente vissuta delle differenze che potevano convivere nelle grandi città
commerciali, i pensatori illuministi hanno affermato i diritti degli individui
contro quelli della collettività. È a quell’epoca e a quelle idee che dobbiamo,
tra le altre cose, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: principi
che vengono violati ogni giorno in tutto il mondo, ma che come istanza
normativa esercitano su tutti noi un potere universalmente vincolante. È il sogno
della democrazia e della giustizia sociale, del femminismo e dell’emancipazione
postcoloniale, dei diritti civili e dell’uguaglianza per tutti. Il sogno più
grande e bello che l’umanità abbia mai sognato. Un bel sogno, ma anche molto difficile,
dal momento che la prospettiva di un’uguaglianza davvero universale esige un possente
sforzo di fantasia: gli illuministi radicali sostenevano che l’essere umano è
parte della natura, un animale come gli altri, anche se di gran lunga il più
interessante (quantomeno dal nostro punto di vista).
Nessun Dio
governa le nostre vite, che nessun ordine superiore e nessun destino storico
abbracciano e ricomprendono. Gli altri animali, salvo eccezioni, conoscono la
solidarietà solo all’interno di un branco o come sottoprodotto di una gerarchia
sociale. La natura è fatta di cacciatori e prede. Nessun animale al di fuori
del branco ha il diritto di non essere cacciato, di crescere in pace i propri
piccoli, di vivere al sicuro e di non morire di fame.
La proposta
di Spinoza e Vanini era di estendere la solidarietà di branco all’intera specie
umana, riconoscendo a tutti gli uomini il diritto alla libertà che all’epoca si
tendeva a riservare soltanto ai membri del proprio gruppo sociale di
appartenenza. Quell’idea era e rimane una sfida. Il sogno liberale ambisce a
far vivere l’essere umano in un mondo che impone una concezione del tutto nuova
di ciò che significa essere uomo, rende le società più dinamiche e trasparenti,
crea mobilità e innovazione, ma al tempo stesso sradica le persone,
insinuandosi nelle loro vite, che piaccia loro o meno.
Il dinamismo
sociale porta con sé il cambiamento tecnologico, i flussi migratori, nuove
concezioni morali e il tramonto delle verità eterne, sostituite da esperimenti,
ipotesi e discussioni senza fine. La libertà del sogno liberale implica la
necessità di costruirsi attivamente. È un sogno che ha conquistato intere
società, trascinandole via con sé, facendole muovere in continuazione: domani
nulla sarà più come ieri.
Il sogno
liberale si rimette continuamente in discussione, generando senza sosta nuovi scenari,
nuove promesse e nuove esigenze. Così facendo produce anche interpretazioni sempre
nuove della propria storia, sottraendosi alla prova della verità.
Le decisioni
politiche e le pratiche sociali che fanno capo a quella tradizione nascono da compromessi,
fraintendimenti, dibattiti e intese più o meno trasparenti. Sono imperfette per
definizione. Lasciano sempre spazio per rettifiche e miglioramenti. Le
formazioni di compromesso si trasformano nel tempo. Il problema della verità
esula dalla sfera delle loro ambizioni pratiche.
Anche nel
caso migliore il fatto di vivere in uno stato di flusso permanente, senza la speranza
di poter saziare un giorno la nostra sete di verità, mette gli individui a dura
prova, sia sul piano intellettuale che su quello personale. Le circostanze, però,
tendono quasi sempre a favorire pochi fortunati, e interpretare il concetto
illuministico della libertà in senso puramente economicista, nei termini di un’autoregolamentazione
del mercato, significa fare del sogno liberale un idolo assetato di sacrifici
umani.
(Giuliano;
J. Bury; P. Blom)
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