giuliano

domenica 26 agosto 2018

SIAMO TUTTI DEI 'POVERI' CRETINI (31)









































Precedenti capitoli:

Siamo tutti dei 'poveri' cretini (30)

Prosegue in:

La 'governante' di Hitler (32)














....In questo caso sembrerebbe giusto premiare l’intraprendenza e penalizzare l’inerzia. Oppure il gioco è truccato, cioè alcuni dei contendenti hanno chance incalcolabilmente migliori di altri grazie alla loro origine sociale, al loro grado di istruzione e alle maggiori risorse di cui dispongono?

In questo caso il diritto universale alla libertà va difeso correggendo la sperequazione delle opportunità.

Il sogno del libero mercato concepisce tutti i soggetti coinvolti in processi economici come ugualmente liberi e ugualmente capaci di perseguire i propri interessi materiali, e quindi di prendere decisioni ponderate. Un altro dei presupposti è l’idea che quelle decisioni siano sempre decisioni razionali, finalizzate al proprio personale tornaconto. Come in de Mandeville, sono le api più ingegnose e astute a imporsi, vivendo nel lusso e dando da mangiare a migliaia di compagne con i loro eccessi e le loro abitudini decadenti.




L’idea che la libertà dell’essere umano si potesse definire in termini puramente economici è nata in parallelo a quella di una libertà incondizionata di ordine etico. Al crollo delle grandi ideologie messianiche del XX secolo quella concezione economicista della libertà è sembrata la candidata migliore per colmare il vuoto lasciato dall’implosione di più di un grande modello di trascendenza. Il ‘Mercato’ era il sostituto ideale di Dio, dello Spirito e del Progresso. Da un lato, statistiche e dividendi alla mano, è riuscito ad ammantarsi di un’aura di fattualità e neutralità scientifica al di qua di ogni ideologia; dall’altro le sue dinamiche sono sufficientemente opache da rendere possibile una messa in scena spettacolare. I suoi misteriosi capricci vanno decifrati, tanto che un’intera casta di profeti e auguri, più potente di qualunque clero, vive lautamente della loro interpretazione.

Tendiamo a parlare dei mercati come di remote divinità, inquiete, apatiche o iperattive a seconda dei casi. Sacrifichiamo esseri umani sull’altare della crescita economica. Nel XVII secolo correva voce che il potere statale fosse stato accaparrato da una congiura di preti e magistrati. Oggi, invece, sono gli economisti a saziare la nostra fame di trascendenza.

Sia fatta la volontà del mercato!

Già nel 1944 Karl Polanyi metteva in guardia dalla tentazione di considerare la società come una mera appendice dell’economia. All’epoca poteva sembrare un’idea eccentrica, ma oggi quello scompenso è diventato la nostra realtà. È sorprendente quanta criptoteologia si nasconda nel modello in apparenza scientifico del libero mercato. Forse è ingiusto coinvolgere Giovanni Calvino in un dibattito scatenatosi a secoli dalla sua morte, e del quale il riformatore religioso non poteva immaginare nulla, ma l’esaltazione della ricchezza e della riuscita economica, il più volgare e il più trasparente tra i sottoprodotti sociali del nostro ipereconomicismo, ha moltissimo in comune con la dottrina calvinista della predestinazione, come abbiamo già osservato.




Dio stabilisce a propria discrezione chi merita la grazia e chi no, e la ricchezza è un segno di elezione.

La ricchezza è una virtù e la povertà un vizio.

Peggio ancora: la povertà è assenza di grazia divina, e come tale è una sciagura senza alcun rimedio. Dio ha volto le spalle alle classi più deboli…

Argomenti che avrebbero quasi certamente sconvolto Gesù di Nazareth, ma rivelatisi quanto mai influenti nella storia, tanto da determinare ancora oggi l’epoca in cui viviamo. I risvolti religiosi della dottrina del libero mercato emergono anche da altri aspetti, a partire dall’idea che un mercato veramente libero sarebbe in grado di creare libertà e difenderla in virtù di una dinamica puramente intrinseca. Già Marx, negli ultimi anni, aveva capito che senza una forma di regolamentazione i mercati tendono al monopolio. A lungo andare la favoleggiata concorrenza tra infiniti soggetti che si incitano l’un  l’altro a innovare e abbassare i prezzi lascia il posto a una sola scelta, quella tra Microsoft e Apple.

Già nel XVIII secolo Adam Smith ammetteva implicitamente la propria incapacità di dimostrare quel dogma quando adduceva l’idea che per ragioni non meglio precisate una ‘mano invisibile’ avrebbe corretto le asimmetrie del mercato. Un corrispettivo economico del deus ex machina che nel teatro barocco spuntava dal nulla per sciogliere arbitrariamente una situazione senza via di scampo.




Il mito del libero mercato non risente soltanto della dottrina calvinista della predestinazione e del dogma della provvidenza: anche il presupposto della razionalità di tutti gli attori è tanto indimostrabile quanto intriso di religione.

Nel XVII secolo il problema ha visto contrapporsi cartesiani e spinoziani: siamo esseri per definizione razionali oppure veniamo mossi e dominati dalle nostre passioni?

Il principio dell’autoregolamentazione dei mercati è fondato sul presupposto che gli esseri umani, in ultima analisi, agiscano nel nome di interessi economici razionali. Come se le nostre motivazioni non fossero legate a bisogni sessuali, paure e istinti gregari, ma ciascuno dei nostri comportamenti funzionasse come la scelta di una carriera o un esame comparativo dei prezzi. In base a principi del genere, per esempio, avere figli sarebbe la decisione più stupida. In termini di mercato i figli rendono i genitori più poveri, più vulnerabili e meno liberi di scegliere in modo indipendente e flessibile. Intesi come una condotta economica, i figli sono una catastrofe.

Ma allora perché a ogni nuova generazione scegliamo di riprodurci?

Perché non siamo creature innanzitutto razionali!

Perché molto spesso le grandi decisioni della vita hanno poco o nulla a che vedere con vantaggi monetizzabili.




L’idea che l’essere umano sia un soggetto innanzitutto razionale si può vedere come una ripresa di alcuni temi del pensiero illuminista; se intesa come fondamento di una teoria empirica del consorzio umano, però, non può reggere alla prova dei fatti. Le possibili interpretazioni dei concetti liberali fondamentali, cioè la libertà e i diritti umani, coprono uno spettro molto ampio: dall’ ‘emancipazione del proletariato’ in Urss e in Cina al dominio del ‘libero mercato’. Non di rado sono stati investiti di accenti religiosi e sottintesi politici. Gli ideali illuministi hanno perso la loro innocenza. Si sono piegati a compromessi, e molti, forse troppi, sono stati deformati e invocati a sproposito, molte, troppe volte. Eppure l’intuizione alla loro base, l’idea che tutti gli esseri umani nascano uguali, è stata l’innovazione di maggiore portata nella storia del pensiero sociale. Prendendo le mosse dall’esperienza concretamente vissuta delle differenze che potevano convivere nelle grandi città commerciali, i pensatori illuministi hanno affermato i diritti degli individui contro quelli della collettività. È a quell’epoca e a quelle idee che dobbiamo, tra le altre cose, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: principi che vengono violati ogni giorno in tutto il mondo, ma che come istanza normativa esercitano su tutti noi un potere universalmente vincolante. È il sogno della democrazia e della giustizia sociale, del femminismo e dell’emancipazione postcoloniale, dei diritti civili e dell’uguaglianza per tutti. Il sogno più grande e bello che l’umanità abbia mai sognato. Un bel sogno, ma anche molto difficile, dal momento che la prospettiva di un’uguaglianza davvero universale esige un possente sforzo di fantasia: gli illuministi radicali sostenevano che l’essere umano è parte della natura, un animale come gli altri, anche se di gran lunga il più interessante (quantomeno dal nostro punto di vista).




Nessun Dio governa le nostre vite, che nessun ordine superiore e nessun destino storico abbracciano e ricomprendono. Gli altri animali, salvo eccezioni, conoscono la solidarietà solo all’interno di un branco o come sottoprodotto di una gerarchia sociale. La natura è fatta di cacciatori e prede. Nessun animale al di fuori del branco ha il diritto di non essere cacciato, di crescere in pace i propri piccoli, di vivere al sicuro e di non morire di fame.

La proposta di Spinoza e Vanini era di estendere la solidarietà di branco all’intera specie umana, riconoscendo a tutti gli uomini il diritto alla libertà che all’epoca si tendeva a riservare soltanto ai membri del proprio gruppo sociale di appartenenza. Quell’idea era e rimane una sfida. Il sogno liberale ambisce a far vivere l’essere umano in un mondo che impone una concezione del tutto nuova di ciò che significa essere uomo, rende le società più dinamiche e trasparenti, crea mobilità e innovazione, ma al tempo stesso sradica le persone, insinuandosi nelle loro vite, che piaccia loro o meno.

Il dinamismo sociale porta con sé il cambiamento tecnologico, i flussi migratori, nuove concezioni morali e il tramonto delle verità eterne, sostituite da esperimenti, ipotesi e discussioni senza fine. La libertà del sogno liberale implica la necessità di costruirsi attivamente. È un sogno che ha conquistato intere società, trascinandole via con sé, facendole muovere in continuazione: domani nulla sarà più come ieri.




Il sogno liberale si rimette continuamente in discussione, generando senza sosta nuovi scenari, nuove promesse e nuove esigenze. Così facendo produce anche interpretazioni sempre nuove della propria storia, sottraendosi alla prova della verità.

Le decisioni politiche e le pratiche sociali che fanno capo a quella tradizione nascono da compromessi, fraintendimenti, dibattiti e intese più o meno trasparenti. Sono imperfette per definizione. Lasciano sempre spazio per rettifiche e miglioramenti. Le formazioni di compromesso si trasformano nel tempo. Il problema della verità esula dalla sfera delle loro ambizioni pratiche.

Anche nel caso migliore il fatto di vivere in uno stato di flusso permanente, senza la speranza di poter saziare un giorno la nostra sete di verità, mette gli individui a dura prova, sia sul piano intellettuale che su quello personale. Le circostanze, però, tendono quasi sempre a favorire pochi fortunati, e interpretare il concetto illuministico della libertà in senso puramente economicista, nei termini di un’autoregolamentazione del mercato, significa fare del sogno liberale un idolo assetato di sacrifici umani.

(Giuliano; J. Bury; P. Blom)


















Nessun commento:

Posta un commento